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Autore: SagaFrirry    03/10/2019    1 recensioni
"Tu credi che il mondo sia solo bianco e nero, tutto per te può essere solo bianco o nero. Ma io sono la prova che non è così. Io sono il grigio? No. Io sono l'intero spettro di colori dell'Universo!".
Keros è un demone, ma non del tutto. È figlio di due specie molto diverse, frutto di un'unione per molti sacrilega. Questo è il racconto del suo cammino, lungo i secoli dell'esistenza. Fra Inferi e Cielo, buio e luce, dannazione e santità, scoprirà come essere realmente se stesso.
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giudici e Giudicati

 

La scuola che Arikien aveva tanto sognato era stata terminata e sistemata in tempi relativamente brevi. All’inaugurazione, Lucifero aveva tagliato il nastro con orgoglio, con accanto l’erede di Alukah ed alcuni maestri che avrebbero presto insegnato nella struttura. Molti erano stati i curiosi, accorsi ad ammirare quella novità, e molti furono gli iscritti. Su richiesta di Keros, era stato aperto un portale che collegava il palazzo reale all’edificio appena inaugurato. In questo modo il principe era libero di muoversi fra i due ambienti senza faticare, impiegarci troppo tempo o dare nell’occhio.

Il primo giorno di lezione e collegio, i corridoi erano affollati e rumorosi. Arikien osservò, dall’alto dell’androne delle scale, tutti i piccoli demoni che attendevano di iniziare. Quando furono presenti altri maestri, l’erede di Alukah si presentò ai futuri allievi.

“Benvenuti” esordì, con un sorriso compiaciuto “Io sono Arikien, appartenente alla stirpa di Alukah, e vi accolgo nella nuova scuola. Il mio compito sarà di occuparmi dei piccoli e di tutti coloro che, non avendo un tetto ed una famiglia, rimarranno qui a vivere. Accanto a me, invece, potete vedere i maestri che si occuperanno della vostra istruzione ed addestramento”.

I bambini ed i ragazzi osservarono il gruppo di adulti con curiosità. Qualcuno mormorò il nome del principe, avendolo riconosciuto fra i maestri. Dopo che ognuno di essi ebbe finito di presentarsi, spiegando i vari compiti, i bambini vennero divisi fra varie classi e stanze. Keros, che si occupava delle lezioni nel mondo umano, quel giorno aiutò Arikien a sistemare i piccoli nelle camere. Prima di condurre una classe fra i mortali, dovevano raggiungere un determinato grado di conoscenze e non poteva correre rischi il primo giorno. Fra i piccoli riconobbe molti dei figli dei rinnegati che aveva incontrato ed aiutato. Si chiese se, grazie a quell’istituto, avrebbero potuto trovare delle famiglie dove crescere.

L’istituto divenne presto famoso, e molti furono gli iscritti e gli adottati. Arikien era fiero della buona riuscita del progetto e perfino Lucifero si era congratulato, quella sera a cena, per i rapidi vantaggi che una simile struttura portava al regno. Ripensandoci, il vampiro sorriso. Nel buio, l’erede di Alukah cercava un libro fra gli scaffali dell’immensa biblioteca del palazzo reale per poterlo utilizzare il giorno successivo con i cuccioli. Era solo ed udì un grido. Subito scese dall’alta scalinata che conduceva ai ripiani più alti e si precipitò fuori. Un’anima, sfuggita al controllo, era sbucata all’improvviso davanti a Leonore e la donna aveva urlato, terrorizzata. Le guardie del palazzo avevano bloccato l’intrusa e la stavano trascinando via, mentre la regina si riprendeva.

“Tutto bene?” domandò Arikien, raggiungendola “TI ha ferita?”.

“Tutto bene…” ansimò lei “Ma è spuntata così, all’improvviso, e…”.

“Tranquilla. L’hanno catturata. Senti?”.

L’anima urlava disperatamente ed i suoi versi riecheggiavano lungo i corridoi bui. Leonore, ancora un po’ spaventata, si lasciò abbracciare da Arikien. Quel contatto la fece subito calmare e sorrise, sollevata. Rimasero qualche istante stretti l’uno all’altro e poi lei si congedò, ringraziando. Il vampiro si voltò e rientrò in biblioteca. Lì, un paio di occhi velati di rosso lo fissavano nel buio. Sobbalzò, sorpreso e inquietato.

“Maestà?” chiese “Siete voi?”.

“Attento, erede di Alukah” sibilò Lucifero, scendendo lentamente lungo la rampa di scale che collegava la biblioteca alle stanze private del re “Non mettere alla prova la mia ospitalità”.

“I… io… non capisco…”.

“Non capisci?”.

Il re, con quel passo lento e quegli occhi accesi, incuteva timore ed Arikien balbettò confuso. Lucifero, che lo aveva raggiunto, ora lo fissava minaccioso.

“Il mio debito è ripagato” sibilò il re “Ho permesso a progenie sovversiva di sopravvivere ed ho acconsentito a finanziare il tuo progetto. Mi sembra di essere stato piuttosto generoso, no?”.

“Sì, certo. Lo siete stato…”.

“E allora vedi di non farmi pentire delle mie azioni e della fiducia riposta in te. Mi auguro che d’ora in poi saprai restare al tuo posto”.

“Ma di che cosa… Non capisco…”.

“Questo palazzo non ha segreti, i miei occhi vi scrutano ogni anfratto. Lei è mia e nessun’altro la può toccare. Spero che ora tu abbia compreso”.

“Oh. Ma certo! Io… non si ripeterà”.

“Lo spero. Perché già a malapena riesco ad accettare il legame fin troppo simbiotico fra te e Keros, figuriamoci che potrei fare se ti vedo ancora appicciato alla mia sposa”.

“Domando perdono”.

Arikien comprese che era inutile discutere o ribattere. Si trovava al cospetto del demone più potente di tutti e quindi, non potendo fare altro, si inchinò in segno di resa. Lucifero annuì, convinto da quel gesto, e lasciò la stanza per raggiungere l’amata.

 

 Nel frattempo, Keros si era fatto consegnare l’anima fuggita per riportarla nel giusto settore. Nasfer aveva insistito per accompagnarlo ed insieme si addentrarono per i gironi dell’Inferno. Sul dorso della creatura che tanti secoli prima Keros aveva visto schiudere dall’uovo, padre e figlio trascinarono l’anima per terreni impervi e sconnessi. Abbandonare la città era sempre un’avventura, perché molti aspetti del paesaggio potevano mutare con il tempo. Il fuoco, il gelo ed il forte vento modificavano le rocce e l’ambiente.  Nasfer si era voltato a guardare l’anima, legata e costretta a camminare dietro alla bestia.

“Papà…” aveva domandato timidamente il bambino “Ma chi decide quali anime devono andare all’Inferno e quali in Paradiso?”.

“Gli angeli addetti a questo compito. Fra essi vi è l’Arcangelo Mihael, che giudica le situazioni più complesse”.

“E non si sbagliano mai?”.

“No. Tutte le anime all’Inferno ci sono perché è giusto che ci siano”.

“E come si fa a giudicare? E come si decide in che settore poi devono andare?”.

“Si tratta indubbiamente di un processo complesso. I giudici infernali devono valutare l’operato del mortale mentre era in vita e stabilire la punizione più adatta. A volte è semplice, altre volte vi sono molti fattori da prendere in considerazione. Ma in questo caso vi sono i tre giudici più saggi, che valutano da millenni ormai e sanno quel che fanno. In ultima istanza, se proprio non si raggiunge una soluzione, viene chiesto il parere di Lucifero”.

“Ed i colori diversi a che servono?”.

“I colori diversi? Tu vedi i colori diversi delle anime?”.

“Sì. Perché? Tu no?”.

“Io sì, ma non è una cosa da tutti”.

“Ah… no?”.

Nasfer, aggrappato alla schiena del padre, si guardava attorno abbastanza perplesso mentre assieme cavalcavano verso un settore infernale.

“Si tratta di una dote ereditata da tuo nonno, quello con le piume” spiegò il principe “Anche il colore delle anime aiuta a giudicare e stabilire dove vadano collocate. Appena nata, l’anima è bianca candida ma muta di colore, macchiandosi dei colori dei vari peccati. Gli assassini hanno l’anima di colore rosso, come il sangue, per esempio. E più peccati si commette e più quest’essenza si scurisce e perde luce. Vedere questa caratteristica rende più facile giudicare e punire”.

“Ed i demoni giudicanti hanno tutti questa capacità?”.

“Sì, è un requisito fondamentale per tentare di divenire un giudice degli Inferi”.

“E… tu perché non sei diventato un giudice, se possiedi questo dono?”.

“Perché ho scelto di fare quello che mi piaceva. E tu devi fare lo stesso”.

Il bambino annuì, mentre in lontananza vedeva una gran quantità di anime ammassate, che venivano smistate dalla lunghissima coda di un demone che si ergeva al centro di esse.

“Quello è Minosse” parlò Keros “Giudica e poi, con la lunga coda, divide le anime e altri demoni le portano nei vari settori. Alle sue spalle gli archivisti riportano tutte le decisioni prese”.

Il principe consegnò l’anima fuggita ad uno di quei demoni e lasciò che la trascinasse via assieme alle altre. Nasfer rimase ancora qualche istante ad osservare il lavoro del giudice e poi rientrò a palazzo assieme al padre.

 

Appena arrivati, si accorsero che qualcosa di importante doveva essere successa perché vi era gran movimento. Molti erano agitati e correvano voci, che però non si riuscivano a comprendere.

“Che succede?” chiese più volte il principe, senza ricevere risposta.

Solamente quando Lucifero lo raggiunse, con un sorriso smagliante sul viso, riuscì ad avere risposte.

“Alla fine è successo!” esclamò il re, raggiante “Finalmente! Non immagini quanto ne sia soddisfatto”.

“Ma di che? Che succede?”.

“È caduto!” rise Lucifero “Caduto, capisci? Non è più un angelo!”.

“Ma chi?”.

“Vieni! Non ci crederai!”.

Il sovrano accompagnò il principe lungo i corridoi, diretto ai sotterranei del palazzo. Keros trattenne il fiato, temendo il peggio. Quale caduta poteva provocare una tale gioia in Lucifero se non quella di Mihael? Tremò al solo pensiero ma, dinanzi a sé, legato e rinchiuso in una delle celle dei sotterranei, si trovò una creatura che lo stupì ancora di più: Vehuya.

Il Serafino era ricoperto di sangue, causato dalle ferite riportate dalla caduta e dalle corna che ne avevano sfigurato il cranio.

“Io non sono un demone!” continuava a ripetere, mentre i diavoli presenti ridevano della nuova condizione dell’angelo.

“Non è meraviglioso?” ghignò Lucifero “Cazzo, quanto mi è sempre stato sulle palle! Ora ce l’ho fra le mani e potrò torturarlo a mio piacimento! Godo al solo pensiero!”.

“Ma… che stai dicendo?” esclamò Keros.

Il re, che ancora sghignazzava, smise quando notò lo sguardo stralunato del principe. Senza capirlo, alzò un sopracciglio.

“Come fai a riderne?” mormorò il principe “Non ricordi quel che hai provato tu? Non pensi che stia soffrendo già a sufficienza?”.

“Certo che no! Ah, Vehuya! Lo senti? Si chiama dolore quel che provi. È una sensazione interessante, vero? E non puoi farci niente. La luce di Dio qui non arriva, nessuno lenirà la tua agonia, nessuno udirà le tue preghiere. Ora sai cosa si prova. Se sopravvivrai, perché non è detto che tu ci riesca, ti attende un’eternità all’Inferno. Sei felice? Dai, sorridimi!”.

Keros era sconcertato. Osservava Lucifero e poi si voltò verso Nasfer, che rideva a sua volta.

“Non c’è niente da ridere!” si stizzì il principe.

“Ma papà!” alzò le spalle Nasfer “Mi hai detto che chi è all’Inferno è all’Inferno perché è giusto che ci stia. Perciò lui merita di stare qui e gli sta bene!”.

“Io non merito di essere qui!” sbraitò Vehuya, tentando di liberarsi “Io non sono colui che ha commesso il peccato più grave. Perché io vengo punito? Perché io sì e lui no?”.

“Se parli di Miky, è presto detto” ghignò il sovrano “Lui è il cocco di papà. E poi sei tu l’invidioso, non Mihael. Invidia, gelosia… tutte cose che a papà non piacciono per niente, sai? E rabbia, quanta rabbia hai addosso! Sei un peccatore! E Dio non ti vuole più con sé!”.

“Non è vero!”.

La voce di Vehuya si era incrinata, per il dolore e la tristezza, e più di un demone aveva riso.

“Adesso basta, però” aveva interrotto la risata Keros, con un gesto della mano “Non è mica un animale da circo! Non serve stare qui a ridere di lui! Lasciatelo in pace!”.

“E perché dovrei?” incrociò le braccia il re, poco convinto.

“Perché già soffre e continuerà a farlo. Forse la solitudine lo tormenterà ancora di più delle tue risate. Avrai molto tempo per stuzzicarlo a tuo piacimento, quando si sarà ripreso e magari sarà pure in grado di ribattere a tono”.

“Piccolo figlio di sangue bastardo” sibilò Vehuya “Un giorno il Cielo capirà che ho ragione io. Capiranno gli angeli che colui che deve combattere i demoni mai alzerà un solo dito contro la sua progenie e si rischierà di perdere la guerra. Si perderà la guerra per colpa di un padre peccatore che ha infangato il sangue puro degli angeli ed ha generato te, le cui ali non meritavano di essere deturpate dal tuo abominio”.

“Le mie ali stanno benissimo” mormorò Keros, non cambiando espressione e spalancandole “A differenza delle tue. Non comprendo il disegno di Dio, e non mi interessa di comprenderlo, ma fossi in te non mi ci soffermerei troppo sopra. Qui la voce di Dio non si può sentire. Eri Serafino, diverrai demone potente, se sarai in grado di affrontare la realtà. In caso contrario, non incolpare me o mio padre. Incolpa piuttosto te stesso o il Dio che tanto preghi”.

“Non nominare Dio. Tu non lo puoi fare!”.

“Lui ignora me, io ignoro lui. E dovrai imparare a fare lo stesso, temo”.

Vehuya ringhiò, dimenandosi. Keros si voltò, allontanandosi. Altri rimasero lì, deridendo il Serafino caduto e compiacendosi di quanto successo, fino a quando il nuovo demone non si addormentò sfinito.

 

Il principe tornò dal prigioniero qualche ora più tardi, quando fu sicuro di trovarlo da solo. Gli portò del cibo ed un po’ d’acqua, non aspettandosi alcun tipo di ringraziamento. Vehuya lo fissò, rimanendo immobile e steso a terra.

“Cerca di mangiare” lo incoraggiò Keros “Hai perso molto sangue, devi rimetterti in forze”.

“Così potrete torturarmi con più soddisfazione, tu e Lucifero? Dico bene?”.

“Così non morirai. Ma la vita è la tua…”.

“Ed a te che importa?”.

Il principe, con ancora le ali argentee ben visibili, sospirò. La rivalità ed il sospetto continuo erano cose che iniziavano a stancarlo già da un pezzo. Fissò quella creatura, un tempo un meraviglioso Serafino, e provò una stretta al cuore. Insanguinato, con le vesti stracciate ed il corpo contorto per il dolore, Vehuya era quasi irriconoscibile. I capelli, del tipico color biondo degli angeli, andavano gradatamente scurendosi e lo stesso accadeva agli occhi di colui che aveva perso il Cielo. L’odore del sangue era intenso, così come quello della paura. Il principe si accorse che una lacrima gli scivolava lungo le guance mentre osservava Vehuya ed il caduto la notò.

“Non mi serve la tua pietà!” sibilò il nuovo demone “Non mi servono le tue lacrime!”.

“La pietà è una delle cose più rare, qui all’Inferno. E di lacrime dubito che ne vedrai altre, poiché solo io sono in grado di piangere in questo mondo. Volevo solo aiutarti, ma la scelta è tua. Se vuoi, me ne vado immediatamente”.

Il mezzosangue si voltò, con l’intento di allontanarsi, ma riuscì solo a compiere pochi passi prima che Vehuya lo fermasse. Avvilito, il nuovo demone sospirò.

“Che ne sarà di me?” domandò, mogio.

“Dipende da te” rispose Keros, tornando dinnanzi alla cella ed osservando il prigioniero “Se saprai trovare un modo per risollevarti ed accettare questa tua vita, potrai essere e fare diverse cose. Qui vengono puniti i peccatori, coloro che disobbedirono alla legge di Dio, e potresti quasi provare soddisfazione nel torturarli. Potresti divenire archivista, sorvegliante, messaggero… Qui i ruoli non vengono prestabiliti, ognuno può impegnarsi per divenire ciò che aspira essere”.

Vehuya non sembrava convinto. “Lucifero mi torturerà?” era il suo peggior timore.

“Se ti dimostrerai a lui fedele, non lo farà”.

“E se non mi dimostrassi tale?”.

“Allora ti sottometterà, come ha fatto con tutti colori che non hanno voluto obbedire. Qui comanda il più forte”.

“E tu? Ha sottomesso anche te?”.

“Io? Sono stato sconfitto da lui, come qualsiasi altro demone. Lucifero è il sovrano per una ragione”.

“E se volesse uccidermi?”.

“Lucifero non uccide a caso. Lo farà se sarà necessario, ma solitamente preferisce aumentare il numero di demoni ai suoi comandi e non sterminarli”.

“Così da averne di più quando marcerà per riconquistare il Paradiso. Quando verrà la fine del Mondo!”.

“Di questo io non voglio parlare. Mai. Ora cerca di mangiare e riposare. Vedrò di farti liberare quanto prima. Benvenuto all’Inferno”.

Il caduto gemette a quelle parole. Vide Keros allontanarsi, mentre le guardie poste all’ingresso dei sotterranei si inchinavano mentre passava.

   
 
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