Capitolo quarto
Vinci fino a perdere
perdi fino a ridere
ma di giustizia non ne avrai mai.
E cammina, cammina non esiste
fatica o inverno
non ti fermare mai
finché non vedrai il mare
zitto e cammina contro il vento, che mira al petto
non ti fermare mai
la vita è tutto ciò che hai
la vita è tutto ciò che hai.
La mia rabbia mi esce proprio da
dentro
niente è mai sicuro per noi
proverò a resistere
forse dovrò insistere
ma il mio scalpo non lo avrai mai…
(“La mia gente” – Luca Dirisio)
La mattina successiva
Giovanni si alzò prima che spuntasse l’alba, perché sapeva che Rinaldo sarebbe
stato portato in giudizio poco tempo dopo… non avrebbe voluto lasciarlo per
tutto l’oro del mondo, ma sapeva troppo bene che era necessario: lui avrebbe
fatto il possibile per farlo liberare e, se non ci fosse riuscito, avrebbe
avuto comunque l’aiuto di Cosimo.
Albizzi attirò a sé
il ragazzino per un ultimo abbraccio e un ultimo bacio, perché così la vedeva
lui: sarebbe andato al patibolo fiero e dignitoso, consapevole di morire per
conservare la dignità alla sua casata, a suo figlio. E avrebbe portato con sé
il dolce ricordo di Giovanni per farsi forza.
“Ricordate le mie
parole, Messer Albizzi” insisté il giovane, ostinato. “Voi non sarete
condannato a morte.”
Rinaldo sorrise e scrollò
il capo, intenerito, senza ribattere. Se Giovanni voleva mantenere la sua
illusione, lui non gliel’avrebbe tolta, ma sapeva bene che, entro pochissime
ore, la Signoria avrebbe emesso il suo verdetto di condanna.
La notte trascorsa
con Giovanni, tuttavia, lo aveva calmato e tranquillizzato e, quando le guardie
vennero a prenderlo per condurlo in presenza della Signoria riunita, Albizzi
non batté ciglio, si alzò in piedi e scostò le mani che volevano afferrarlo con
un moto d’orgoglio. Non aveva bisogno di essere trascinato verso il suo destino, lui, lo aveva già accettato e
sarebbe morto come un martire della sua famiglia e della sua patria.
O, perlomeno, così si
andava raccontando…
L’uomo fu portato nel
salone dove tutti i membri della Signoria e una grandissima folla di persone si
erano riuniti per conoscere l’esito di quel verdetto.
“L’ora è giunta”
disse il Gonfaloniere Guadagni. “Dobbiamo giudicare Rinaldo Albizzi secondo la
legge e decidere la punizione per il suo tradimento.”
Fu allora che, con
grande stupore di tutti, Giovanni iniziò la sua performance!
“Questo processo è
ingiusto e porterà a un verdetto comunque ingiusto” cominciò, tanto per non
mandarle a dire… “E questo perché su quella sedia c’è un solo imputato, Messer
Albizzi, ma il vero colpevole del suo tradimento si nasconde tra i nobili
fiorentini!”
Il Gonfaloniere non
sapeva se scoppiare a ridere o mettersi le mani nei capelli. Da quando quel
ragazzino era arrivato a Firenze ogni seduta della Signoria poteva riservare
delle sorprese! Tentò comunque di riprendere la direzione del processo…
“Messer Uberti,
abbiamo avuto giorni e giorni per riflettere su ciò che Rinaldo Albizzi ha
commesso, abbiamo ascoltato più volte le vostre rimostranze e anche le parole
di Cosimo de’ Medici” gli ricordò Guadagni. “Tuttavia non abbiamo trovato
niente che potesse farci ritornare sulla nostra decisione. Albizzi ha avuto
anche la possibilità di firmare un documento in cui si impegnava a lasciare per
sempre Firenze, senza più tentare di rovesciare la Signoria, ma ha rifiutato.
Non è questa una prova lampante della sua colpevolezza?”
“Voi vi siete
lasciato ingannare fin dall’inizio dal vero colpevole, Messer Guadagni, per
questo non riuscite a considerare lucidamente gli eventi. Ma chi è stato a
spingere Messer Albizzi a tradirsi? Chi lo ha incoraggiato a pagare dei
mercenari per impadronirsi della Signoria? Chi vi ha fatto ascoltare il
colloquio con il quale Messer Albizzi ammetteva le sue colpe, permettendovi
così di arrestarlo? Chi, infine, ha sottratto un documento privato voluto da
Sua Santità Eugenio IV e lo ha portato a voi insinuando che Messer Albizzi
avesse rifiutato di firmarlo perché le sue intenzioni erano losche? Chi ha
fatto tutto questo? Il vero colpevole, ossia Andrea Pazzi, che ha tramato
nell’ombra per tutto il tempo! Lui ha appoggiato Messer Albizzi finché pensava
che potesse prendere il potere, poi si è tirato indietro e lo ha tradito quando
ha capito che le cose si mettevano male, perché oltre a tutto il resto è pure
un vigliacco. Adesso vuole eliminare Messer Albizzi per prendere il suo seggio
nella Signoria e, quando lo avrà ottenuto, continuerà a tessere intrighi per
rovesciare lui la Repubblica!”
dichiarò Giovanni, senza nemmeno fermarsi per riprendere fiato e dimostrando
che sarebbe stato un ottimo avvocato, la sua arringa era travolgente.
Ma il Gonfaloniere
non si lasciò travolgere.
“Messer Uberti, le
vostre accuse sono molto gravi ma non portate alcuna prova a sostegno di quanto
dite. Sembra piuttosto che voi abbiate una questione in sospeso con Messer
Pazzi, forse perché, molti anni fa, la sua famiglia ebbe un ruolo importante
nella cacciata dei vostri antenati da Firenze” disse Guadagni. “Dovrei accusare
un nobile fiorentino per via del vostro desiderio di vendetta?”
Giovanni trasecolò.
Come poteva il Gonfaloniere difendere così apertamente quel serpente di Pazzi e
prendersela con lui? La rabbia lo sopraffece, ma cercò di mantenere un tono
calmo e glaciale, pensando di apparire più credibile per ciò che aveva da dire.
“Molto bene, adesso è
ancora più chiaro. Gonfaloniere Guadagni, voi non potete essere più obiettivo e
equanime, perché Andrea Pazzi vi ha soffiato il suo veleno nelle orecchie per
troppo tempo. Propongo dunque di eleggere me
come nuovo Gonfaloniere per avere finalmente qualcuno che non sia legato
alle alleanze politiche e possa giudicare con giustizia!” esclamò.
Ora, chissà che cosa
pensava di ottenere Giovanni con quella sua sparata così scioccante, ma le
reazioni furono più o meno queste: la maggior parte dei presenti scoppiò a
ridere, anzi, a sghignazzare apertamente. Chi si credeva di essere quel
ragazzino per candidarsi Gonfaloniere a nemmeno diciotto anni? Anche Guadagni
stesso dovette fingersi indignato per non fare brutta figura, ma avrebbe voluto
rotolarsi dalle risate pure lui: non si era mai divertito tanto a una riunione
della Signoria! In compenso chi si indignò davvero fu Pazzi.
“Messer Guadagni,
avete ancora bisogno di prove? Il ragazzo è chiaramente un pericolo per
Firenze, un sovversivo senza il minimo rispetto per l’autorità e, molto
probabilmente, influenzato proprio dal suo mentore
Rinaldo Albizzi!” ringhiò. “Io propongo di mettere a morte entrambi!”
Rinaldo, dal canto
suo, era rimasto allibito. Quello che Giovanni aveva appena fatto era veramente
un atto sovversivo… e lo aveva fatto per lui, per salvarlo dalla condanna a
morte! Ancora una volta si rese conto di quanto avesse sottovalutato quel ragazzino,
di come sarebbe stata la sua vita se, invece di limitarsi a divertirsi con lui,
lo avesse preso maggiormente sul serio. Di quanto Giovanni lo amasse al punto
da mettere a repentaglio la sua stessa vita…
Lorenzo, accanto a
Cosimo, si mise le mani nei capelli.
“Il ragazzo è
impazzito, ma cosa gli è saltato in mente? Cosimo, cosa possiamo fare adesso?”
gemette.
Cosimo, invece,
appariva tranquillo e sicuro. L’uscita spiazzante e spregiudicata di Giovanni
aveva preso in contropiede anche lui, era vero, ma aveva creato anche
l’attenzione che gli serviva per fare il suo discorso in difesa di Albizzi.
“Messer Guadagni, vi
chiedo di perdonare l’intemperanza del giovane Uberti. Come potete vedere da
solo, è ancora un ragazzino e si è lasciato trascinare. Chiedo tuttavia il
permesso di parlare io stesso alla Signoria, prima che venga presa una
decisione su Rinaldo Albizzi” disse.
Tutti tacquero,
soffocando le ultime risate. Il Gonfaloniere concesse a Cosimo il permesso di
parlare. Dopo tutto il casino che era successo, gli occhi di tutti erano fissi
sul Medici. Si sarebbe candidato anche lui come nuovo Gonfaloniere?
“Ho avuto l’onore di
passare questi ultimi giorni in compagnia di un uomo davvero santo, Papa
Eugenio IV” iniziò Cosimo, catturando la totale attenzione di tutti i presenti.
“Egli è dovuto fuggire da Roma e ha cercato rifugio nella nostra città,
Firenze, sapendo che si fa vanto della sua misericordia verso i bisognosi. Sua
Santità è arrivato qui vestito di stracci, braccato dai suoi nemici. Eppure, non
appena arrivato a Firenze, il suo primo pensiero non è stato per se stesso ma
per il suo amico, Rinaldo Albizzi. Sperava che noi mostrassimo pietà per lui
così come Gesù ha avuto pietà di noi.”
Giovanni ascoltava
affascinato e dovette riconoscere che la strategia di Cosimo era molto più
efficace della sua…
“Gesù disse Colui che è senza peccato scagli la prima
pietra, e così io ora chiedo a tutti voi” riprese Cosimo, guardando uno per
uno i membri della Signoria, “io vi chiedo: chi siete voi per scagliare questa
pietra? Chi siamo noi per togliere la
vita a un uomo? Chi siamo noi per decidere se Rinaldo Albizzi deve vivere o
morire?”
A queste parole ci fu
un lungo istante di silenzio, talmente profondo che si sarebbe potuto sentir
cadere uno spillo. Il discorso di Cosimo era stato appassionato, coinvolgente
e, soprattutto, giusto.
Poi Messer
Cavalcanti, un membro della Signoria, iniziò ad applaudire e tutti lo seguirono
con impeto ed entusiasmo, tutti pronti ora a seguire Cosimo e a risparmiare
Rinaldo così come pochi minuti prima erano stati pronti a farlo impiccare…
insomma, mancava solo che facessero la ola!
In tutto ciò,
ovviamente, Andrea Pazzi aveva un diavolo per capello e si mangiava le mani per
la rabbia di essere stato nuovamente sconfitto…
La votazione che
seguì, come ci si poteva aspettare, stabilì che Rinaldo Albizzi sarebbe stato
esiliato.
Ormanno tirò un
sospiro di sollievo e si fece il segno della croce, Giovanni cercò subito lo
sguardo di Albizzi come per dirgli, orgoglioso Che vi avevo detto? Ho avuto ragione io, ma l’uomo era rimasto
impassibile, freddo, come se la cosa non lo riguardasse minimamente.
Non degnò nessuno di
uno sguardo e si lasciò riportare in cella, in attesa dei preparativi per la
sua partenza per Ancona, il luogo scelto per il suo esilio.
A dirla tutta,
sembrava piuttosto incavolato per non aver potuto esibire la sua morte da eroe
e per essere stato salvato proprio dal rivale di sempre, Cosimo, che così aveva
fatto di nuovo la figura del magnanimo, del grand’uomo…
E, siccome Rinaldo
Albizzi era pur sempre un uomo irragionevole e senza un briciolo di buon senso,
non trovò nulla di meglio da fare che attaccare Cosimo che era andato a parlare
con lui in prigione. Vi aspettavate forse che si mostrasse grato? Mai più e mai
poi! Non sarebbe stato Rinaldo Albizzi, altrimenti.
“Questo non cancella
il passato e ciò che hai fatto vent’anni fa alla mia famiglia, Medici” gli
disse l’ingrato. “Credi forse che, salvando me, hai salvato la tua anima?”
Cosimo era buono e
caro ma, alla lunga, l’atteggiamento di Albizzi era venuto a noia anche a lui.
Ma insomma, cosa voleva quell’uomo? Gli aveva salvato la vita, gli aveva regalato Giovanni… beh, forse lui non
l’avrebbe messa proprio così, ma in fin dei conti era ciò che aveva fatto, no?
Albizzi era proprio incontentabile!
“Se tu fossi saggio
non torneresti mai più a Firenze. Non forzare la mia mano, potrei non mostrarmi
così generoso una seconda volta” lo avvertì il Medici, esasperato.
Ma Rinaldo, che a
quanto pare aveva una vera e propria fissazione per tormentare il suo prossimo
e Cosimo de’ Medici in particolare, aveva ancora una freccia al suo arco, il
colpo più basso che poteva trovare… e, francamente, anche il più stupido.
“Cosimo, c’è
qualcos’altro che devo dirti” riprese a bassa voce, facendo cenno al rivale di
avvicinarsi. “So che tuo padre non è morto di morte naturale e che il suo
decesso è stato molto doloroso… sai, veleni come quello tendono ad attaccarsi
alla gola.”
L’insinuazione
crudele di Albizzi sconvolse Cosimo, che ormai aveva dato per scontato che
l’assassino del padre fosse un altro, secondo le indagini svolte da Marco
Bello. Forse si erano sbagliati tutti e Rinaldo, invece, era colpevole di quel
terribile delitto?
“Tu sai!” esclamò,
impallidendo.
“Certo che so. Ora
sono libero per merito tuo e per tutta la vita dovrai convivere con questo
tarlo che alla fine ti farà impazzire: forse sono io che ho ucciso tuo padre,
forse tu hai salvato la vita all’uomo che ha assassinato tuo padre in un modo
tanto atroce” continuò Rinaldo, sempre più malignamente.
Che poi, detto tra
noi, il cretino in realtà non era affatto colpevole di quella morte, eppure
voleva lo stesso che Cosimo lo credesse, per fargli del male un’ultima volta!
Ma si può essere più deficienti e pure stronzi di così?
Cosimo avrebbe voluto
avventarsi nella cella di Albizzi, afferrarlo per la gola e costringerlo a
dirgli la verità… ma non aveva fatto i conti con Giovanni, che era venuto anche
lui per parlare con Rinaldo e aveva assistito proprio alla parte migliore della
conversazione, quel finale con i fuochi d’artificio.
Fu quindi il ragazzo
a scagliarsi contro la cella di Albizzi, battendo Cosimo sul tempo e lasciando
entrambi gli uomini piuttosto sconcertati.
“Vi siete del tutto
bevuto il cervello, dunque, Messer Albizzi?” esclamò, infuriato. “Messer Cosimo
vi ha salvato la vita, si è opposto all’intera Signoria per voi! Se questo è il
vostro modo di ringraziare, non vorrei essere nei paraggi quando invece
progettate di fare del male a qualcuno.”
Cosimo, intanto, si
stava lentamente allontanando dalla cella, in preda ai pensieri più tormentosi.
Poteva essere vero? Rinaldo aveva avvelenato suo padre e lui si era tanto
impegnato per salvargli la vita? Marco Bello aveva forse sbagliato? Sembrava
improbabile, il suo servitore era un uomo molto accorto e astuto e non si
sarebbe fatto ingannare, ma allora perché Rinaldo aveva parlato in quel modo?
Possibile che il suo scopo fosse solo quello di lasciarlo macerare nel dubbio
per il resto dei suoi giorni, pur essendo innocente?
Si sentiva soffocare.
Si affrettò ad uscire all’aria aperta, pensando che sarebbe stato meglio
lasciare a Giovanni il compito di parlare con quell’uomo, lui non era più
lucido per poterlo fare e, comunque, Rinaldo non gli avrebbe mai detto la
verità, lo odiava troppo… lo odiava anche adesso che era salvo grazie a lui o,
magari, lo odiava ancora di più proprio per questo.
Avevate già capito
quanto Rinaldo Albizzi fosse contorto, no?
Appunto per questo
era meglio che fosse Giovanni a parlarci!
Fine capitolo quarto