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Autore: ElizabethBennett    20/11/2019    5 recensioni
Ogni 15 anni in Cina si svolgono le Olimpiadi delle arti marziali, Ranma è stato scelto per partecipare, ma sebbene sia un grande onore per lui, partecipare vuol anche dire allontanarsi dal Giappone forse per anni. Allontanarsi anche da Akane. Quello che però all'inizio sembra essere solo un torneo, si trasformerà in qualcosa di più grande, una guerra atta a conquistare il potere assoluto del Ki di tutti i più grandi artisti di arti marziali del mondo asiatico. Riuscirà Ranma a debellare questa nuova minaccia?
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, ranma/akane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti, ecco il secondo capitolo. Sono un pò in ansia perchè dentro la mia testa c'è già tutta la storia ma sto facendo fatica a metterla nero su bianco. 
Fatemi sapere che ne pensate e soprattuto non abbiate timore di consigliarmi dove e come potrei migliorarla. 
Grazie a tutti e buona lettura.
Lizzy
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CAPITOLO 2.
   
PRESENTE
 
La sveglia suonò anche quella mattina. Akane si alzò dal letto stiracchiandosi.
“Buongiorno p-chan!” disse dolcemente sorridendo al maialino nero che era ancora mezzo addormentato sul suo cuscino.
Stranamente da quando Ranma ed il maestro Happosai erano partiti, P-chan era sempre rimasto al suo fianco, senza allontanarsi di frequente per lunghi periodi come faceva prima. Fu grata di questo. La sua presenza rendeva un po’ meno dolorosa la sua solitudine. E adesso che ci pensava, anche Ryoga era venuto spesso a trovarla in quei mesi. Ma diversamente da prima non portava più alcun souvenir dai suoi viaggi, non che le importasse.
Akane andò alla scrivania, dopo un breve istante il suo sguardo cercò come ogni mattina la cartolina appoggiata alla lampada. L’immagine raffigurava un piccolo tempio cinese circondato dal verde. La prese delicatamente fra le mani. Rilesse per la millesima volta il messaggio scritto dal vecchio Happosai sul retro della cartolina: “Ranma è stato scelto fra i tre discepoli di Shi-Long! Ci rivedremo alla fine dell’estate.”.
La cartolina aveva il timbro postale di invio di fine giugno. Due mesi dopo la partenza dei due. Ormai era arrivato settembre, chissà quando esattamente sarebbero tornati. Ogni giorno da qualche settimana, Akane si alzava con la speranza di poterlo rivedere, ma ogni giorno terminava in delusione. Ranma non era ancora tornato.
Sospirò e riposò la cartolina al suo posto. Anche quel giorno avrebbe fatto del suo meglio per impegnarsi la giornata, a cominciare dai suoi allenamenti.
 
Infatti, negli ultimi mesi Akane aveva deciso di allenarsi con più dedizione. Era un ottimo modo per scacciare i pensieri e per controllare gli attacchi di panico che l’avevano accompagnata per tutto quel periodo. Era persino andata a chiedere aiuto alla vecchia Obaba. Dapprima la vecchia le aveva riso in faccia, dicendole che i suoi insegnamenti non erano per tutti. Un conto era allenare artisti marziali del calibro del futuro marito di Shan-pu o di Ryoga, o ancora meglio le giovani e forti amazzoni del suo villaggio, ma in Akane non vedeva alcuna promessa. La ragazza però non si diede per vinta e per circa due settimane andò a pregarla di diventare la sua sensei. Ogni mattina si presentava al ristorante Neko Hanten e si prostrava con la massima serietà e solennità ai suoi piedi. Il giorno in cui Obaba finalmente accolse la sua richiesta, Akane continuò a ringraziarla fra le lacrime. Certo non era forte come Ranma ragazza o come Shan-pu, ma della sua forza di volontà certo non poteva dirsi diversamente. Se voleva una cosa avrebbe lottato fino ad ottenerla, a qualsiasi costo. 
Anche quella mattina, approfittando del fatto che la scuola non era ancora iniziata, indossò il suo karategi, si diede una veloce occhiata allo specchio, legò i capelli in un piccolo codino e si avviò verso il luogo dell’incontro, il parco di Nerima.
 
Era ancora presto, e per strada non c’era nessuno. Per questo percepì facilmente la presenza di qualcuno alle sue spalle. Si arrestò all’improvviso e si guardò attorno, ma una volta ferma quella sensazione di essere seguita svanì. Forse si era semplicemente sbagliata. Riprese la sua corsa, ma pochi minuti dopo, avvertì nuovamente la sensazione di essere seguita. Aumentò, allora, la velocità della sua corsa, fino a quando non si sentì nuovamente sola. 
“Qualcosa non va?” La voce di Obaba la riportò alla realtà. Senza accorgersene era arrivata al parco. 
“uhm... no. E’ che…” diede uno sguardo alle sue spalle e si girò nuovamente verso la sua maestra. “Buongiorno Obaba-sama!” disse inchinandosi con rispetto. 
“Devo ammettere che sebbene il livello del futuro marito sia molto più alto del tuo, la tua ottemperanza è decisamente migliore.”
Akane arrossì, ma non disse nulla. 
“Akane, stai migliorando. Ma la strada per raggiungere i livelli di artisti marziali come Ranma è molto lunga, se non impossibile per te.” Akane strinse i pugni. “Ciò nonostante, credo che al tuo livello attuale potresti benissimo essere considerata al pari delle giovani amazzoni del mio paese. Direi che forse… forse potresti anche battere la mia nipotina.” 
A quelle parole Akane alzò lo sguardo e guardò dritta negli occhi Obaba. Sentì le lacrime pungerle gli occhi. Quello era senz’altro il miglior complimento che potesse ricevere. Conosceva benissimo anche lei i suoi limiti, sapeva che non sarebbe mai stata all’altezza di Ranma, ma voleva comunque dimostrare a se stessa, ed anche a lui che era una buona combattente, e che se fosse servito, avrebbe saputo aiutarlo veramente, non come tutte le volte in cui si era dovuta far salvare. 
Akane s’inchinò nuovamente e ringraziò caldamente la sua sensei.
Cominciarono poi l’allenamento. Obaba le aveva insegnato a muoversi con più grazia e più agilità, ad intercettare i movimenti dell’avversario prima ancora che quest’ultimo si muovesse, ed a schivare i colpi. Si era fatta anche raccontare, più nello specifico, delle olimpiadi asiatiche alle quali stava partecipando Ranma. Obaba le conosceva molto bene, pur non avendo mai partecipato. 
 
Spiegò alla ragazza che artisti marziali da tutta l’asia accorrevano per partecipare ad una preselezione, che Ranma aveva avuto la fortuna di saltare. Una volta fatta una grande prima scrematura, solo 100 accedevano al vero e proprio torneo. Di questi solo sei venivano poi scelti per l’ultima grande prova, fino ad avere in ultimo 3 vincitori. Questi avrebbero ottenuto così, il grande onore di allenarsi con il grande maestro Shi-Long, amico di Happosai. 
L’addestramento che avrebbero ricevuto i tre prescelti, consisteva in un duro ed estenuante percorso di allenamenti del corpo e della mente. Egli gli avrebbe anche insegnato le vie del Ki. Akane ascoltò tutto con estrema attenzione, da come era strutturato il torneo agli insegnamenti sul Ki. Quest’ultimo argomento in particolare, l’affascinava molto. 
Obaba le spiegò di come il Ki, altro non fosse che l’energia cosmica che sostiene ogni cosa, dagli umani, alle piante agli oggetti inanimati. Notando inoltre, il grande interesse della ragazza, le diede anche degli esercizi per cercare di entrare in sintonia con quella energia. 
Akane provava ogni sera nel dojo di casa sua, ma sembrava qualcosa di molto complicato, per il quale era necessaria la massima concentrazione e pace interiore. Cosa che per lei, sembrava alquanto impossibile ottenere, da quando Ranma se n’era andato. Solo una volta l’era parso di entrare in contatto con quell’energia, ma era stato un momento così breve, che arrivò a pensare di esserselo sognato. 
Al termine dell’allenamento, Akane si accomodò su una panchina per riposarsi. 
Fu solo allora che, dopo essersi accesa la pipa ed essersi gustata a pieni polmoni un primo tiro, Obaba parlò: “E’ stato di tuo piacere lo spettacolo?”, Akane si voltò a guardarla, non capendo cosa intendesse – “…Come?” chiese incerta, ma la vecchia non sembrò darle retta e riprese: “Non pensare che non mi sia accorta dei tuoi occhi puntati addosso. Vieni allo scoperto.”. 
Akane cominciò a guardarsi attorno. Che fosse la presenza che aveva percepito anche lei poche ore prima? 
Ci furono un paio di minuti di silenzio, e poi, senza che potesse capire da quale parte arrivasse, una figura alta e snella comparve dinnanzi a lei.
Indossava scuri abiti cinesi e stivali alti di pelle. Sulla casacca spiccava il ricamo di una grande fenice rossa, che dalla manica sinistra saliva su fino al petto. Assicurata alle sue spalle, da una cintura in pelle, incrociata sul petto, aveva un’alabarda in legno che terminava con una lunga lama ricurva monofilare, più larga verso l’esterno. Uno scialle di seta nera, circondava il suo collo e gli nascondeva il viso fin sopra al naso. Portava uno strano copricapo, anch’esso nero, dal quale un ciuffo di capelli ribelli, color del rame, scendeva sulla parte destra del suo viso, celandolo quasi interamente. Solo il suo affusolato occhio sinistro era espèosto, ed il color verde smeraldo intenso, inchiodò lo sguardo di Akane.
La ragazza rimase immobile sulla panchina, non riusciva a muovere un muscolo. Si accorse troppo tardi del movimento dell’altro. 
Si sentì un clangore. Il pugno destro del nuovo arrivato era stato bloccato dal bastone di Obaba, a pochi centimetri dal viso di Akane. 
“eh, eh. Lo spettacolo mi è piaciuto, ma sembrava più agile di quanto non sia in realtà.” disse il nuovo arrivato, senza distogliere l’occhio verde da Akane.
Dopo un primo momento di stupore, la ragazza si ravvide e scattò in piedi.
“Come ti permetti?! Sono pronta a battermi con te anche adesso! Non mi fai certo paura!”.
Il suo viso era rosso, dalla rabbia e dalla vergogna che provava per se stessa. Tutti quei duri allenamenti, e poi si era bloccata come niente di fronte a quel tipo. La rabbia le ribollì dentro, Obaba la invitò a calmarsi, ma lei cominciava a sentire la frustrazione di quei mesi impossessarsi del suo essere. Il suo avversario avverti l’aura della ragazza crescere e farsi minacciosa e, come se leggesse ogni suo minino pensiero, si mosse nell’esatto momento in cui Akane si buttò su di lui all’attacco. Ogni colpo andava a vuoto, e più mancava il bersaglio più la sua concentrazione nello sferrare i suoi colpi andava scemando, fino a perdere l’equilibrio e cadere a terra per l’ennesimo colpo a vuoto. 
“AAAHRGH!!” l’urlo di frustrazione arrivò direttamente dal fondo del suo petto, sbatté i pugni in terra con forza. Obaba guardò la sua discepola con uno sguardo di rimprovero e pietà allo stesso tempo. Nessuno si mosse o disse nulla per qualche minuto. 
Lo strano tipo, si avvicinò alla ragazza a terra, inclinandosi leggermente verso di lei.
“Ranma mi aveva detto che eri testarda, ma aveva omesso di dirmi che eri anche così carina.” Tu-tum – Il cuore di Akane perse un battito – Tu-tum – sentir pronunciare quel nome le tolse il respiro – Tu-tum.
Alzò lo sguardo e vide la mano del tizio allungata verso di lei, dopo un attimo di esitazione allungò la sua  e la raggiunse. Lui la tirò con presa salda e l’aiutò a rialzarsi da terra. 
“Ma tu… chi sei?” chiese infine guardandolo di nuovo per la prima volta. 
 
 
5 MESI PRIMA – IL VIAGGIO
 
Akane non si era fatta vedere a cena. Lui non si era degnato di andare a cercarla. 
Quando sua madre provò a consigliargli di fare diversamente, lui rispose che non gliene importava minimamente se quel maschiaccio privo di sex appeal non era presente. E nel momento stesso, in cui insultava la sua fidanzata, una morsa dolorosa gli stritolò il  cuore. 
Ma non poteva fare diversamente, perché più soffriva, meno voleva dare a vedere che gli importava. Quanto era difficile convivere con quel lato del suo carattere così orgoglioso. 
Nodoka tentò ancora una volta ma il ragazzo con il codino la zittii con un gesto. La paura di far vedere che gli importava, non solo lo rendeva orgoglioso, ma lo trasformava anche in un figlio privo di rispetto. Mentre questi sentimenti di vergogna lo assalivano, il getto d’acqua fredda lo colpì in pieno cosi come la catinella di ferro che seguì pochi istanti dopo. 
“RANMA! FIGLIO INGRATO! COME OSI PARLARE COSì A TUA MADRE?!!”.
Genma si avventò sul figlio dopo avergli lanciato addosso la catinella di acqua fredda. 
“Aargh maledetto! Lasciami in pace!” così dicendo schivò un paio di calci e pugni del padre per poi contraccambiare a sua volta. Il signor Genma finì poco dopo nello stagno delle carpe. Dall’acqua emerse un panda arrendevole, con un cartello con su scritto “mi hai fatto male… sigh!”. 
Ranma ragazza sbuffò e fece per allontanarsi, ma i guai sembravano non essere finiti là. 
“Ragazza col codino!! Che gioia rivederti qui!” Kuno abbracciò, o meglio stritolò Ranma ragazza fra le sue braccia, non mancando di palparle per bene il seno. 
“Ma come mai anche tu qui? Non dirmi che sei venuta anche tu per dare il tuo addio a quel maledetto di Ranma Saotome! Oh ragazza col codino che gio-“ il pugno lo colpì potente sul viso, impedendogli di dire altro. Aristocrat Kuno cadde all’indietro svenuto. 
La sera proseguì nel caos totale. Tutte le ‘fidanzate’ non persero occasione per cercare di accollarsi a lui. Tutti i ‘rivali’ lo festeggiavano con eccessivo furore, contenti che presto si sarebbe tolto dai piedi, e loro avrebbero avuto più facile accesso alle loro amate. I compagni di classe trasformarono l’evento nel solito karaoke. Kasumi si preoccupava di riempire piatti e bicchieri di tutti gli ospiti. Nabiki si faceva i fatti propri, ma non mancava di scattare una foto ogni tanto, da poter utilizzare per un futuro acquirente. Soun e Genma si misero, come loro solito, a fare una partita a shoji. Obaba e Happosai parlavano dei vecchi tempi in Cina (stranamente il vecchio maniaco si stava comportando bene). 
Pian piano le ore passarono, e gli ospiti lasciarono il Tendo dojo.
La partenza si fece imminente, ed Happosai avvisò Ranma di andare a prendere i propri bagagli. Ranma salì al piano superiore, andò verso la sua camera ma prima di raggiungerla, come ogni volta quella settimana, si fermò davanti alla porta della camera di Akane. Rimase fermo là davanti per qualche minuto, incapace di fare altro. Perché quella stupida non si fosse fatta vedere tutto il giorno, proprio non lo comprendeva. Davvero non le importava che partisse? … i suoi pensieri vennero interrotti dal rumore di passi provenienti dalle scale. Preoccupato d’esser visto di fronta alla stanza di Akane, si allontanò dalla porta e si infilò in camera sua. 
Si mise lo zaino in spalla pronto per tornare di sotto, ma sua madre Nodoka entrò in quel momento in camera sua, per salutarlo privatamente. 
“Ranma, figlio mio…” la donna abbracciò forte il suo ragazzo, e gli augurò il meglio. Rimasero per un po’ in silenzio, a godere di quell’intimo abbraccio fra madre e figlio. Nodoka fu sul punto di dire qualcos’altro, ma dalle labbra non uscì suono. Sorrise al suo ragazzo e lo accompagnò giù all’ingresso. 
Sull’uscio del dojo tutta la famiglia, ad eccezione di Akane, salutò i due in partenza. 
Ranma ed Happosai si congedarono e si avviarono verso il porto. 
 
Quando Ranma si fermò ad un passo dalla porta della sua camera, Akane fece lo stesso. Lentamente si avvicinò, la sua mano tremante raggiunse la maniglia, ma non l’aprì. 
Era come se al suo interno due diverse forze stessero combattendo l’una contro l’altra. Una parte di lei voleva tremendamente aprire quella maledetta porta ed abbracciarlo forte, come quella volta che lo sorprese in bagno al ritorno dal suo combattimento con Herb. 
L’altra parte invece, non ne voleva sapere, se qualcuno doveva fare il primo passo quello era proprio Ranma, e se lui non l’avesse fatto, allora al diavolo lui e quel dannatissimo torneo delle olimpiadi cinesi.
Ebbe la meglio il suo orgoglio. 
Sentì Ranma allontanarsi.
È così allora che si lasciavano, senza uno sguardo, senza un saluto.
Qualche minuto più tardi le voci di commiato giunsero dal cortile, si fece forza e si avvicinò alla finestra, doveva vederlo almeno un’ultima volta. Ma il fato le fu avverso. La visuale dalla sua stanza era limitata da un albero di ciliegio in fiore. Riuscì a vedere il maestro Happosai per via della sua bassa statura, e solamente le gambe del ragazzo Una volta varcate le mura del dojo, sparirono anche quelle dalla sua vista. 
Quella notte, si addormentò piangendo in silenzio.
 
 
PRESENTE
 
Kasumi servì del thè e dei biscotti agli ospiti appena arrivati. 
Al tavolo del salotto della famiglia Tendo sedevano in silenzio la vecchia Obaba, lo strano individuo incontrato al parco, Akane, il signor Tendo, il signor Saotome e la signora Nodoka ed infine la dolce Kasumi, l’unico viso sorridente, in mezzo a tutti quelli tirati dei presenti. 
La tensione che riempiva l’aria era palpabile. Un grugnito attirò l’attenzione di Akane e del nuovo arrivato. P-chan raggiunse la sua padroncina, ed emise una specie di ringhio in direzione dell’estraneo, mentre la ragazza lo prese gentilmente in braccio e lo strinse con protezione al suo petto.
Un mezzo sbuffo uscì dalle labbra dell’individuo. Emise due colpi di tosse per schiarirsi la gola, e allungò una mano al piatto contenente i biscotti. Ne prese uno, se lo portò alla bocca, ma prima di riuscire a dare un morso, fu assalito da un altro colpo di risate, questa volta riuscì a trattenerle a stento. 
“Si può sapere cos’è che trovi così divertente ragazzo?”. La voce di Soun Tendo suonò minacciosa sebbene la sua testa rimase di dimensioni normali, senza trasformarsi come suo solito, in una specie di spirito indemoniato dalla lingua biforcuta. 
“Mi scusi molto Signor Tendo. È che Ranma mi ha parlato molto di tutti voi. Mi sembra di conoscervi da sempre… E quando ho visto Ryog- ehm volevo dire P-chan…” diede un morso al biscotto.
Il maialino nero per poco non ebbe un infarto, quel dannato di un mezzo uomo! Che gli era saltato in mente di raccontare i fatti propri a questo sconosciuto! Gliel’avrebbe suonate di santa ragione al suo rientro.
Akane invece, continuava a guardarlo come se fosse un fantasma, non gli aveva tolto gli occhi di dosso da quando, al parco, aveva pronunciato il nome di Ranma. Il ragazzo si era rifiutato di dare spiegazioni se non una volta a casa della ragazza, con la scusa di aver fatto un lungo viaggio e di essere stanco.
Nodoka non mancò di notare lo sguardo della sua futura nuora. La preoccupazione nei suoi occhi e anche quella voglia di sapere di Ranma. D’altra parte lei stessa provava quegli stessi sentimenti, come madre. “Come ti chiami giovanotto?” Chiese la donna guardandolo. 
Soun fece un cenno con il capo in segno di assenso.
Il ragazzo si alzò in piedi, era alto forse quanto Ranma, ma più esile e snello, aveva una figura molto slanciata e tuttavia robusta. Si inchinò rispettosamente e si presentò.
“Mi chiamo Ji-Woo Choi, vengo da un piccolo paese di montagna della Corea del Sud.
Ho partecipato al grande torneo delle Olimpiadi marziali cinesi con Ranma. Piacere di conoscervi.” 
Rimasero tutti piacevolmente sorpresi dalle sue buone maniere. Soun lo invitò a riaccomodarsi, ma il ragazzo rimase in piedi, il capo ancora chino. Anzi, si inchinò ancora di più.
“Sono venuto a chiedere il vostro aiuto… Ranma ed il maestro Happosai sono in grave pericolo…” 
 
 
 
 
PRESENTE – Cina, provincia del Chinhai, catena montuosa Bayankara
 
La ferita sembrava superficiale, ma il sangue che ne sgorgava non sembrava volesse arrestarsi. Rimase a guardare quelle donne darsi da fare con garze e qualsiasi altra cosa riuscivano a trovare, per tamponare la ferita del giovane steso a terra. Il buio della grotta rendeva difficile il loro compito. Eppure non le aveva viste riposarsi un attimo da quando erano stati costretti alla ritirata. Tirò via il sudore che gli imperlava la fronte con il dorso della mano destra. L’umidità in quel posto era pesante. Mentre fuori l’aria era gelida. Seppur era ancora estate, a quelle altitudini il freddo dell’inverno cominciava a farsi sentire. 
Appoggiò la schiena alla roccia alle sue spalle e inspirò a fondo chiudendo gli occhi. 
L’immagine di lei apparì come ogni volta, nella sua mente. Era l’unico modo che conosceva per cercare di rilassare la sua mente e riprendere il controllo delle sue emozioni. 
 
Il suo viso era imbronciato, perché non aveva voluto assaggiare i biscotti che aveva preparato apposta per lui. 
 
Le sue labbra si curvarono in un sorriso. 
Ogni volta era un’immagine diversa. Lei imbronciata, lei sorridente, lei arrabbiata, lei annoiata, lei triste… Come gli mancava. Cosa avrebbe dato per tornare indietro e non essere mai partito alla volta di quello stupido torneo… Attorno a lui ora, c’era solo caos. 
Riaprì gli occhi e fu come essere catapultato di nuovo in quell’incubo.
Si guardò un po’ attorno, e si accorse allora che il maestro Happosai stava facendo ritorno. Lo raggiunse saltando da una roccia all’altra, con un’agilità invidiabile per la sua veneranda età. 
Il capo fasciato, a causa di un colpo ricevuto in un precedente scontro. 
Si salutarono reciprocamente con un cenno del capo. Happosai prese poi a sedersi a fianco del suo allievo. Rimasero per qualche minuto in silenzio. Ad osservare l’interno di quella grotta. Avevano allestito un vero e proprio rifugio. Da un lato c’era l’area dedicata ai feriti, di cui si prendeva cura un gruppo di donne e uomini di diversa età, che avessero un minimo di conoscenza medica. C’era poi un’area notte ed una per i pasti. I bambini, perché ce n’erano molti, rimanevano sempre limitati a queste due aree, per evitargli traumi non necessari. E poi c’era anche un’area dedicata alle salme. Ogni volta che il suo sguardo cadeva in quell’angolo buio, il suo cuore sembrava smettere di battere. Nella notte, a turno cercavano di portare fuori i corpi e di dargli una degna sepoltura, ma purtroppo non sempre ci riuscivano. Le ronde notturne non cessavano. Erano continuamente braccati. Strinse forte i pugni, fino a far diventare le nocchie bianche.
 
“Vecchietto, sono giorni che non ho più visto…” 
 
“Sta bene. Le ho affidato una missione.” 
 
“Di che missione stai parlando? Perchè non ne sapevo niente?”
 
Happosai, tirò fuori dalla tasca la sua pipa, la portò alla bocca e l’accese utilizzando un fiammifero già usato in precedenza. Tirò lentamente, per assaporare fino in fondo il gusto del tabacco, gli occhi chiusi. Rimase per un pò così a soppesare se dire o meno al ragazzo quello che aveva deciso di fare, o meglio quello che già aveva fatto. Pur sapendo che lui non ne sarebbe stato sicuramente contento.
 
“Vecchiaccio mi vuoi rispondere?” 
 
Happosai fece un altro tiro. “L’ho mandata a chiedere rinforzi a Nerima.”
   
 
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