Ancora
un Sogno
Sandor
sognò di nuovo il fuoco verde.
Stavolta lo vedeva da una finestra del castello, dentro una stanza
immersa nel
buio. Trovò comunque il letto e una bambola e, senza sapere
come, capì che era sua.
Si
sdraiò e la attese.
Quando
sentì la porta aprirsi, si alzò e la raggiunse.
Le
coprì
la bocca con la mano soffocando un urlo, e strinse il suo corpo di
bambina a sé.
C’era
qualcosa che non tornava però. Lui sapeva che Sansa non era
davvero una bambina.
Sapeva di averla vista bere alcol e di aver assaggiato le sue labbra.
Parlarono,
ma al risveglio Sandor non riuscì a ricordare di cosa. E
mentre Sansa usciva
dallo stanzino sbadigliando, lui ricordò altri dettagli del
sogno.
Se
urli ti
uccido.
Aveva
in
testa una canzone antica cantata da Sansa, ma non gli venivano in mente
le
parole.
E
poi,
mentre lei prendeva un coltello e cercava qualcosa ancora integro da
mangiare,
a Sandor venne in mente di averle puntato una lama alla gola.
Mi
hai
promesso una canzone, Uccellino.
Credette
di tremare mentre si avvicinava al bancone.
«Ti
senti
bene?» chiese lei.
Sto
andando.
«Dobbiamo
andarcene.»
Sto
andando via.
«Andarcene?
Andarcene dove?»
«Lontano
da qui, dove i Lannister non ci troveranno mai.»
Lontano
dai fuochi.
Sansa
smise di affettare una mela. «Devi aver bevuto troppo, ieri
sera.»
Lui
ricordò di averla avuta sotto di sé mentre
cantava. Ricordò di aver pianto, e
la mano di Sansa che gli accarezzava la guancia.
«Io
potrei
tenerti al sicuro» disse, proprio come aveva detto alla Sansa
del sogno. «Nessuno
ti farà più del male.»
Se
lo
faranno, io li ucciderò.
Gli
occhi
di Sansa si fecero cupi, come se la notte fosse appena scesa nel locale.
«Che
vuoi
dire?»
«Dico
che
dobbiamo andare via prima che quel fottuto Lannister ritorni.»
Lei
scosse
la testa, posando la mela sul bancone. «Io… non
posso. Ho tutta la mia vita
qui. E anche tu.» Indicò il bar.
«Lo
brucerei piuttosto che lasciarlo a Joffrey.»
L’immagine del fuoco verde gli
annebbiò la vista, tanto che dovette strofinarsi gli occhi
per tornare a vedere
Sansa. «Ed è quello che farò oggi
stesso.»
Poi
si
avvicinò al bancone, togliendole il coltello dalle mani.
«Vieni con me.»
«Io…»
«Hai
detto
che sanno tutto di te ormai. Non hai più niente qui. E
quando brucerò il bar è
te che verranno a cercare, uccelletto.»
Sansa
abbassò gli occhi.
Non
sapeva
perché si sentisse in dovere di convincerla. Era come se
sapesse di non averla
salvata in un’altra vita… o forse era soltanto
perché conosceva Joffrey e
sapeva che Sansa non sarebbe stata al sicuro lì, senza di
lui.
È
per
colpa tua se è in questo casino,
rammentò a sé stesso.
E
poi non
ricordava come fosse finito il sogno.
Sansa
era
fuggita con lui? O era rimasta tra le grinfie di Joffrey?
«Potrei
nascondermi da qualche amica» tentò ancora Sansa.
«Perché dovrebbero farmi del
male? Non sarò io a bruciare il locale. Non ci
sarò più quando gli darai fuoco.»
Sandor
allungò
un braccio oltre il bancone e le afferrò il mento tra le
dita.
La
vide
abbassare le palpebre, e pensare di lasciarla sola lo fece infuriare.
«Guardami!»
«Lasciami.
Mi stai facendo paura.»
«Tutto
ti
fa paura.»
Sansa
aprì
gli occhi, e lui tornò alla notte del sogno, quando
l’aveva guardata cantare.
La lasciò andare.
«Joffrey
non ti lascerà in pace. Ho visto come ti guarda. E ho visto
come ti guarda
l’altro.» Petyr-il-diavolo.
«Senza di me non molleranno mai la presa. E
non sarà piacevole, ragazzina.»
«Smettila
di chiamarmi ragazzina.»
«È
quello
che sei. E i discorsi che fai lo dimostrano.»
Lei
incrociò le braccia al petto. «Ti diverte tanto
spaventare la gente?»
Mi
diverte
uccidere la gente.
Quando
aveva detto una cosa simile?
«Tu
non
sei la gente» replicò Sandor, facendole sgranare
gli occhi. «Sei un uccelletto
che non sa mentire, e che non si rende conto dei pericoli che
corre.»
«Dici
che
Joffrey e Petyr mi farebbero del male…»
mormorò Sansa, sfiorando la lama con le
dita. «E tu? Tu non mi
farai del male?» Poi un’ombra
passò sul suo viso, come se fosse appena stata folgorata da
un’idea. «Vero?»
«No,
uccellino. Io non ti farò del male.»
Le
accarezzò il viso per un istante, prima di ritrarre la mano.
Si era appena
ricordato che Sansa non era fuggita con lui.
Lei
chiuse
gli occhi a quel contatto, e rimase così per un momento.
Finché non la vide
prendere un grande respiro.
«Va
bene»
sussurrò Sansa. «Verrò con
te.»
Successe
mentre radunavano le poche cose di valore dentro il locale. Quelle
piccole e
trasportabili. Mentre Sansa cercava ancora cibo e Sandor gli ultimi
proventi
della cassa.
Fu
lui ad
avvertire il pericolo. Lo vide arrivare dal parco di fronte al bar,
quello dove
Joffrey si radunava con gli amici.
Ora
erano
molti più del solito.
Sandor
ringraziò il cielo di aver tenuto le luci spente per tutta
la mattina. Così
sarebbe stato impossibile per le persone fuori accorgersi di loro.
Almeno
finché non avessero raggiunto i vetri…
«Svelta,
uccelletto. Andiamo.»
Le
fece
mollare la sacca che stringeva tra le dita e la portò in un
angolo. Spostò un
tavolo e aprì una botola che Sansa sembrava non riuscire
nemmeno a vedere.
«Ma
come…»
«L’uccellino
non sa smettere di parlare… Scendi e rimani in
silenzio.»
Sansa
fece
per entrare, ma poi si voltò verso di lui. «Tu non
vieni?»
«No,
uccellino. Ma ti tirerò fuori non appena sarà
tutto finito.»
«Ti
uccideranno se resti!» Gli afferrò la mano.
«Vieni, ti prego. Non posso
rimanere di nuovo sola.»
«Vai.»
«No,
se
non vieni anche tu.»
«Non
sei
brava a mentire…» sussurrò.
Ma
poi la
seguì ugualmente attraverso la botola, richiudendola sopra
di loro. Era uno
spazio troppo angusto per due persone. Potevano giusto restare in
piedi, uno di
fronte all’altra, cercando di non muoversi per non
infastidirsi a vicenda.
Riconobbero
i rumori: qualcuno aveva sfondato la porta, e diversi piedi camminavano
sopra
le loro teste.
Sandor
si
chiese cosa avrebbe fatto Joffrey non trovandolo lì.
L’idea
del
fuoco lo spaventava a morte. E se fosse stato l’altro a
bruciare il locale? A
bruciare loro? Trattenne il respiro mentre li
sentiva aggirarsi per il
bar, spaccare ciò che era rimasto integro dal giorno prima.
«Cosa
vogliono?»
gli chiese Sansa muovendo appena le labbra.
La
vide
sforzarsi di mantenere la calma.
Come
una
lady.
Non
lo
aveva detto lei? Non si era paragonata a una lady nei suoi sogni?
Restarono
così, uno di fronte all’altra, in quello spazio
strettissimo. Sandor sentì il
suo respiro caldo addosso, il petto che si alzava e si abbassava
attaccato al
suo. Si era sbagliato la sera prima, quando aveva creduto di vedere
quella
tensione tra loro. Adesso sì che la vedeva. E la sentiva in
ogni fibra del suo
corpo.
Si
sistemò
meglio contro il muro, spingendo la mano contro quello alle spalle di
Sansa. La
udì sussultare, e gli parve di vederla schiacciarsi di
più contro la parete.
«Sta’
calma, uccellino.»
«Ci
troveranno.»
«Non
qui.
Se riesci a tenere chiusa la bocca.»
Nell’oscurità
riconobbe un bagliore di rabbia negli occhi di lei. Lo divertiva
vederla così,
sentirla tesa e così vicina.
Il
respiro
di Sansa rallentò.
«Sono
sopra di noi» bisbigliò, guardando in alto, dove
si udivano dei passi.
Non
potevano rischiare che Joffrey li trovasse. Non adesso che erano
così vicini ad
andarsene. Le coprì la bocca con la mano, mentre con
l’altra la teneva ferma.
«Sta’
ferma. O ci sentiranno.»
Aveva
le
sue mani sulle braccia, le unghie che graffiavano i polsi nel tentativo
di
liberarsi. Così la attirò contro di
sé, facendola voltare. In quel modo, con la
schiena contro il suo petto, non poteva ribellarsi. E non poteva
parlare.
Poi
i
passi si allontanarono, e lui lasciò la presa.
Sansa
si
girò di scatto e lo colpì alla spalla.
«Volevi
che ci sentissero?» le chiese.
«Non
ci
avrebbero sentiti comunque se mi avessi lasciato stare!»
Fece
per
colpirlo di nuovo, ma le afferrò il polso e la
attirò di nuovo a sé.
«Questo
posto è troppo piccolo per due persone»
sussurrò in un ringhio. «Quindi sta’ un
po’ ferma se non vuoi che ci trovino.»
Dal
piano
di sopra venne un rumore sordo, di qualcosa che andava in pezzi.
Sansa
si
aggrappò a lui e, d’istinto, Sandor la
circondò con le braccia. Ora sentiva il
suo respiro sul collo.
«Hanno
distrutto la vetrina.»
Sansa
gli
appoggiò la testa sul petto. «Mi
dispiace.»
Aveva
le
mani sui suoi fianchi quando si accorse del silenzio. Forse se
n’erano andati.
Fece per aprire la botola, ma Sansa gli afferrò il braccio,
stringendolo contro
di sé.
«Potrebbero
essere ancora lì.»
«Non
possiamo saperlo finché non usciamo, uccelletto.»
Lei
lo
strinse più forte, respirando con affanno.
«Aspettiamo ancora. Ti prego. Hai
detto che qui non corriamo pericoli.»
Poi
lo abbracciò.
«Siamo
al
sicuro qui sotto» sussurrò Sansa.
Lui
la
attirò a sé, le accarezzò le spalle e
scese lungo le braccia. Le sfiorò il viso
con il dorso della mano, e quando sentì i loro respiri che
si univano, si chinò
a baciarla.
Un
rumore
che arrivava da sopra lo fece fermare.
«Sono
ancora qui» disse, e sembrò quasi una domanda.
Sansa
non
rispose.
Le
accarezzò i capelli, poi spostò una ciocca dietro
l’orecchio.
«Avevamo
detto che ne avremmo riparlato, uccelletto.»
«Di
cosa?
Credevo volessimo andare via insieme.»
«E
lo
faremo. Ma questo… non voglio che tu te ne penta.»
Sansa
gli
prese una mano. «Non ho niente di cui pentirmi.
Niente.»
Poi,
quando anche l’ultimo rumore scomparve e il silenzio riprese
il suo posto,
Sandor si chinò al suo orecchio.
«Quando
saremo lontani, uccelletto… allora ne riparleremo.»
Non
era
sicuro che Sansa sarebbe fuggita con lui. Nel sogno era certo di essere
partito
da solo… E quest’idea non gli dava pace. Lo
tormentava sapere di averla
abbandonata. Non poteva permettere che accadesse di nuovo.
Rimasero
immobili in attesa del silenzio assoluto. Poi, quando Sandor fu sicuro
che di
sopra non ci fosse più nessuno, tornarono nel locale.
Non
si
soffermarono a guardare i resti del bar, anche se era impossibile
ignorare le
scritte spray sulle pareti. Joffrey lo minacciava di morte. Giurava che
lo
avrebbe ritrovato ovunque si fosse nascosto.
Sansa
accarezzò quelle parole con le dita, poi si voltò
verso di lui.
«Hai
un
accendino?»
«Solo
fiammiferi.»
Lei
tese
la mano per farsi dare la scatola. «È ora di
andare» mormorò.
Aveva
una
voce diversa dal solito, fredda e distaccata, come se fosse il destino
di
qualcun altro.
Sandor
raccolse le cose rimaste, lo zaino, e restò a guardarla
mentre strofinava un
cerino sulla scatola.
Una
piccola fiamma si accese e Sansa la lasciò cadere.
Uscirono
mentre il fuoco divorava ogni cosa, annerendo le pareti e celando il
loro
passaggio.
Erano
stati
lì insieme. E non lo avrebbe saputo nessuno. Nemmeno Joffrey.
N.d.A.:
Siamo
giunti alla fine di questa
piccola storia.
Il
finale è un chiaro rimando a Lui,
il Diavolo
(minilong di due capitoli con
protagonisti diversi personaggi: Petyr, Sansa, Sandor e Jon) che vi
consiglio,
se vi piacciono le storie Modern!AU! e i libri di Stephen King
(è ispirata al
libro “Cose Preziose”).
“«E
tu? Tu non mi farai del male?»
Poi un’ombra passò sul suo viso, come se fosse
appena stata folgorata da
un’idea. «Vero?»”
Un’ombra
passa sul suo viso perché lei
stessa si rende conto di aver già pronunciato quelle parole.
Il
finale è aperto, e come detto da
Sandor, lui non sarebbe partito senza di lei, al contrario dei suoi
sogni (e di
serie e libri).
Celtica