Capitolo decimo
Yeah, my life is
what I'm fighting for
Can't part the sea, can't reach the shore
And my voice becomes the driving force
I won't let this pull me overboard
God, keep my
head above water
Don't let me drown, it gets harder
I'll meet you there at the altar
As I fall down to my knees
Don't let me drown, drown, drown
Don't let me, don't let me, don't let me drown…
(“Head above
water” – Avril Lavigne)
I giorni trascorsero in fretta nella
villa di campagna degli Albizzi, ma Giovanni si sentiva sempre più triste,
depresso e devastato e cercava in tutti i modi di evitare anche solo di
incrociare Rinaldo per caso… impresa non del tutto facile, visto che abitavano
nella stessa villa! Il ragazzo tentava di mostrarsi sereno e vivace come al
solito quando era in compagnia della madre, della sorella e di Ormanno, ma
quando si trovava da solo, nella sua stanza, non riusciva a smettere di
piangere, non dormiva e non mangiava quasi più.
Non avrebbe resistito ancora a lungo, ma
per fortuna giunse il giorno fissato per le nozze di Ormanno e Beatrice, il 2
ottobre, e questo fu un sollievo per lui. Era stato deciso che, una volta
sposati, i due giovani sarebbero andati a vivere a Firenze, a Palazzo Albizzi,
e Rinaldo sarebbe andato con loro mentre Madonna Albizzi sarebbe, come suo
solito, rimasta nella villa di campagna sperando di avere presto il figlio
tanto sognato.
Ovviamente, se poi la Signoria avesse
confermato l’esilio, la coppia di sposini e Rinaldo Albizzi sarebbero dovuti
partire per Ancona, ma la cosa sembrava non preoccupare più di tanto nessuno
dei diretti interessati.
Al contrario, Albizzi era molto
fiducioso e sicuro delle proprie possibilità ed era convinto che, una volta
rientrati a Firenze (o anche partiti per Ancona, se proprio si doveva…),
lontano da sua moglie, lui sarebbe riuscito a recuperare il rapporto con
Giovanni: gli avrebbe spiegato chiaramente che la situazione con Madonna
Albizzi era risolta una volta per tutte, lei avrebbe avuto un figlio tutto per
sé come tanto desiderava e lui si sarebbe dedicato completamente al suo giovane
amante! Nella sua mente la faccenda era già sistemata e non vedeva l’ora di
parlare a quattr’occhi con il ragazzino per chiarirsi.
Peccato che, invece, Giovanni aspettasse
solo di poter rientrare a Firenze per chiudere una volta per tutte quel
rapporto ambiguo con Rinaldo, tornare a vivere a Palazzo Medici e dedicarsi
solo ed esclusivamente a riportare in alto il nome della sua famiglia, proprio
come aveva deciso di fare due anni prima, quando si era recato per la prima
volta nella città dei suoi antenati. Per farla breve, Giovanni voleva fare tabula rasa di tutto ciò che era
accaduto negli ultimi due anni e ripartire da zero. Sperava, così, di riuscire
a riprendersi da quel terribile dolore che lo stava lacerando ormai da settimane.
No, Rinaldo Albizzi non meritava affatto
che lui soffrisse così tanto per colpa sua! Lo aveva preso in giro, ingannato,
tradito e l’unica cosa che Giovanni voleva era dimenticare tutto, compresa l’esistenza
stessa di quell’uomo!
Da ragazzino ingenuo qual era per le
questioni di cuore, si illudeva che, imponendosi di dimenticare Albizzi, ci
sarebbe riuscito subito e avrebbe smesso per sempre di stare male.
Ormanno e Beatrice furono fortunati: il
2 ottobre si rivelò una splendida giornata di sole, frizzante e luminosa, con
un cielo di un azzurro intenso, proprio come le più belle giornate di inizio
autunno. La villa di campagna degli Albizzi era piena di invitati vestiti a
festa (sì, c’era anche il Gonfaloniere e perfino la famiglia Medici al completo
e no, chiaramente Andrea Pazzi non era stato invitato!). I giovani sposi erano
belli, felici e innamorati e tutti rimanevano incantati dall’atmosfera serena e
gioiosa che circondava la coppia. Perfino Giovanni riuscì per un giorno a
dimenticare la gelosia che lo dilaniava e si lasciò coinvolgere dalla felicità
della sorella.
La cerimonia si svolse nella cappella
privata della famiglia Albizzi e fu tenuta da Sua Santità Papa Eugenio in
persona, ben felice di poter celebrare un bel matrimonio invece del funerale di
Rinaldo e Ormanno, come sarebbe potuto accadere se non ci fosse stato Giovanni…
Il banchetto era stato allestito nel cortile interno della villa, riccamente
addobbato con ghirlande di fiori e nastri colorati, ci sarebbe stato un pranzo
sontuoso e in seguito musica e danze fino a sera. Gli invitati trascorsero una
giornata veramente speciale e, almeno per un giorno, le rivalità e le
inimicizie furono messe da parte… oddio, non del tutto, visto che Pazzi non era
stato invitato, diciamo che la cosa valeva per i presenti, ecco!
Giovanni passò tutto il tempo in
compagnia dei giovani sposi oppure degli amici Piero e Lucrezia, scherzando
affettuosamente con Beatrice e con la madre, che sarebbe ripartita due giorni
dopo per Mantova e che era molto felice dell’ottimo matrimonio della figlia
minore. Insomma, il ragazzo riuscì ad evitare accuratamente anche soltanto di
avvicinarsi a Rinaldo che, da parte sua, rimase piuttosto deluso poiché era
convintissimo di poter approfittare proprio di quel giorno di festa per la sua strategia di riconciliazione con
Giovanni.
Gli ospiti, sazi, soddisfatti e alcuni
anche parecchio ubriachi, iniziarono a lasciare la festa dopo il tramonto,
sebbene i più giovani continuassero imperterriti a danzare anche quando si era
ormai fatto buio. Tuttavia la serata si fece via via più calma e Caterina
Uberti approfittò proprio di quel momento per prendere da parte il figlio. I
suoi occhi brillavano di orgoglio e commozione.
“Figlio mio” disse la donna a Giovanni,
in tono vibrante di emozione, “devo ammettere che ero molto preoccupata per te
quando, due anni fa, rifiutasti di seguirci a Mantova e insistesti per recarti
a Firenze. Avevi solo sedici anni e non conoscevi nessuno. Ero spaventata e
dovetti farmi forza per lasciarti seguire la strada in cui credevi.”
“Ho avuto la fortuna di incontrare
subito Messer Cosimo de’ Medici, madre, e lui mi ha aiutato fin dal principio
con grande generosità e nobiltà d’animo. Non avrei potuto fare niente senza di
lui” minimizzò il ragazzo, imbarazzato.
“Lo so e sono molto grata alla famiglia
Medici” replicò la madre. “Però tu hai saputo far valere le tue qualità, ti sei
fatto apprezzare da casate importanti e prestigiose, sei riuscito a farti
rispettare anche all’interno della Signoria. Adesso so che stai veramente
riportando il nome degli Uberti alla grandezza che merita e so anche che tuo
padre Ranieri sarebbe molto fiero di te… naturalmente lo sono anch’io, sebbene
all’inizio fossi piena di dubbi e incertezze sulla tua sorte.”
Giovanni era talmente emozionato e
commosso da non riuscire nemmeno a rispondere.
“Inoltre hai organizzato questo
matrimonio prestigioso per Beatrice e adesso posso ritornare tranquilla e
serena a Mantova, perché so che tu sarai accanto a tua sorella e che te ne
occuperai se dovesse aver bisogno del tuo aiuto” continuò Madonna Uberti.
“Naturalmente, madre, anche se sono
convinto che Beatrice non avrà bisogno di me: Ormanno sarà un ottimo marito”
rispose Giovanni, sorridendo. “Comunque dovete farmi una promessa: tornerete
presto a Firenze e, quando finalmente le spoglie dei nostri antenati Farinata e
Adaleta saranno traslate nella Cattedrale, dovrete fare in modo che anche i
miei fratelli Lapo e Francesco lascino i loro impegni per partecipare!”
“Verremo sicuramente tutti insieme ad
assistere a una giornata così gloriosa ed emozionante per la nostra famiglia”
mormorò la donna. “Avrei voluto che anche tuo padre potesse esserci…”
Per qualche istante entrambi rimasero in
silenzio, ricordando quanto il padre e il nonno di Giovanni avessero narrato le
gesta di Farinata e di Neri degli Uberti, quanto li addolorasse il triste
destino dei loro antenati e quanto sarebbero stati orgogliosi del nipote che,
dopo tanti anni, aveva reso possibile ciò che sembrava quasi un miracolo.
Passato l’attimo di commozione, Caterina
Uberti riprese a parlare.
“E tu che cosa vuoi fare della tua vita,
Giovanni? Come ti dicevo, sono molto fiera di te, di ciò che hai saputo fare,
degli amici importanti che ti sei fatto, ma quali sono i tuoi veri progetti per
il futuro? Vuoi dedicarti alla vita politica o magari alla carriera militare,
come i tuoi fratelli, oppure desideri avere una famiglia tua, una moglie e dei
figli?” domandò.
Beh, ovviamente non sarebbe stato
opportuno spiegare a quella povera donna che ciò che Giovanni desiderava
realmente era diventare il compagno
ufficiale di Rinaldo Albizzi… ma, in realtà, in quel momento il giovane era
ancora troppo ferito e arrabbiato anche solo per pensare una cosa simile e così
poté rispondere con sincerità alla madre.
“Io sono venuto a Firenze perché volevo
che il nome e la memoria degli Uberti fossero riabilitati, perché gli Uberti
fossero di nuovo tra le casate più importanti e prestigiose della città ed è
proprio a questo che voglio dedicare la mia vita” rispose con decisione e
fierezza.
Caterina Uberti sorrise.
“Lo immaginavo, sei proprio come tuo
fratello Francesco” commentò, divertita. “Anche lui è tutto compreso dal suo
ruolo di capitano delle guardie di Verona, e non ha tempo di pensare a nient’altro.
Veramente nelle vostre vene scorre il sangue dei grandi condottieri Farinata e
Neri… meno male che ci hanno pensato Lapo e Beatrice a sposarsi e ad assicurare
una discendenza alla nostra famiglia!”
“E io sono orgoglioso che i miei
fratelli facciano grande e onorato il nome degli Uberti anche in altre città,
così come io cerco di fare qui a Firenze” replicò Giovanni.
I due si abbracciarono e poi rientrarono
nella villa sottobraccio. Presto si sarebbero dovuti separare di nuovo e
volevano godere pienamente del tempo che potevano passare insieme.
In tutto ciò, Rinaldo era rimasto
fregato, perché non aveva potuto scambiare nemmeno due parole in croce con
Giovanni!
Passarono due giorni e giunse il momento
delle partenze. Caterina Uberti abbracciò i figli, fece loro mille
raccomandazioni e poi salì in carrozza, scortata dai servitori e dai cavalieri
che l’avrebbero scortata fino a Mantova. Una carrozza era pronta anche per
portare Ormanno e Beatrice a Firenze e Rinaldo sarebbe andato con loro. Quello
che l’illuso credeva era che Giovanni avrebbe accettato di salire con lui e di
recarsi a Palazzo Albizzi.
“Giovanni, la carrozza sta per partire”
disse l’uomo al giovane Uberti quando, dopo una lunga ricerca per le stanze
della villa, l’ebbe finalmente trovato nella sua camera a preparare le ultime
cose.
“Sono contento per voi” replicò freddo
il ragazzo. “Avete salutato vostra moglie?”
“Adesso piantala con questa storia” fece
Albizzi, spazientito. Beh, nella sua mente il suo ragionamento era
perfettamente logico e non capiva perché Giovanni facesse tanti capricci. “Ti
ho già spiegato che tra me e lei non c’è più alcun vero rapporto e che ho
semplicemente voluto esaudire la sua richiesta di un figlio per non restare da
sola…”
“Allora qualche tipo di rapporto dev’esserci
stato per forza, non credo proprio che lo Spirito Santo si scomodi per la
famiglia Albizzi” ribatté, tagliente, il giovane. “Ad ogni modo la cosa non mi
riguarda, così come non mi riguarda la vostra carrozza. Prendetela e andatevene
e… ah, salutatemi mia sorella, ditele che verrò a farle visita uno di questi
giorni, se mi fate sapere quando voi non
sarete in casa.”
Rinaldo cominciava a innervosirsi, anche
perché capiva che non sarebbe stato facile come credeva riconquistare la
fiducia del ragazzino…
“Tu devi salire in carrozza e venire a
Palazzo Albizzi con noi” insisté. “Possibile che tu non voglia comprendere?
Tutto ciò che ho fatto, l’ho fatto per poter stare con te liberamente. Adesso
Ormanno ha una moglie, Alessandra avrà un figlio e io potrò dedicarmi a te,
potrò metterti al dito l’anello benedetto dal Papa e…”
“Oh, questa è proprio originale! Siete
andato a letto con vostra moglie per poter stare con me?” lo interruppe
Giovanni, caustico. “Certo che avete un’idea veramente contorta e perversa dei
rapporti interpersonali!”
“Giovanni, non farmi perdere tempo, la
carrozza non aspetterà in eterno e le guardie della Repubblica che devono
scortarci si stanno già innervosendo” disse Albizzi, ma era come parlare al
muro, il ragazzo respingeva al mittente tutte le sue parole.
“Andate a prendere la vostra carrozza,
dunque, e lasciatemi in pace” tagliò corto. “Non lo avete ancora capito? Io non
metterò mai più piede a Palazzo Albizzi finché ci sarete voi. Rientrerò a
Firenze per mio conto e tornerò a vivere a Palazzo Medici.”
“A Palazzo Medici?” trasecolò Rinaldo.
“Esatto. Ne ho già parlato con Messer
Cosimo e lui e la sua famiglia sono molto lieti di riavermi tra loro. Non ho
altro da dirvi, Messer Albizzi. Addio” concluse Giovanni, sempre più distaccato
e freddo.
Albizzi avrebbe voluto dire e fare mille
cose, ma era veramente in ritardo e non poteva far attendere ancora la carrozza
e le guardie della Repubblica… magari Andrea Pazzi avrebbe potuto usare anche
quel piccolo ritardo contro di lui, come se avesse voluto tentare la fuga!
Scrollando il capo, si avviò verso l’uscita della camera.
“Me ne vado, per adesso, ma ci rivedremo
a Firenze” disse a Giovanni. “Ti convincerò a cambiare idea, ti farò capire che
ho fatto tutto perché potessimo stare insieme. Io non rinuncio a te, ragazzino
insolente.”
Giovanni fece finta di niente e continuò
a sistemare le sue cose. Si sforzava di tenere concentrata la mente su tutto
quello che aveva da fare: sarebbe tornato a Firenze a cavallo, da solo, e si
sarebbe recato a Palazzo Medici. Messer Cosimo gli aveva parlato delle indagini
che Marco Bello stava facendo per suo conto, sicuramente presto avrebbero
trovato delle prove per incastrare Pazzi e scacciarlo dalla Signoria. Chissà,
magari sarebbero perfino riusciti a far esiliare lui invece di Albizzi! Avrebbe
dovuto parlare con Piero, che era molto deluso per la scelta del padre di
affidare il seggio della Signoria a Mastro Bredani (sì, il semplice mercante di
olio di cui vi avevo già parlato…) piuttosto che a lui. Sarebbe stato un
problema, già, perché Messer Cosimo avrebbe voluto che proprio lui, Giovanni,
prendesse quel seggio, caso mai Mastro Bredani non avesse accettato, ma il
ragazzo non se la sentiva e non capiva nemmeno perché il Medici avesse più
fiducia in lui che nel suo stesso figlio…
Insomma, Giovanni cercava con tutte le
sue forze di tenere la mente occupata per non pensare a Rinaldo, a quello che
gli aveva detto, a quanto gli mancava… Non sarebbe durata a lungo, si diceva,
alla fine lo avrebbe dimenticato, in fondo aveva mille cose di cui occuparsi a
Firenze e non avrebbe avuto certo tempo per queste sciocchezze.
Sì, anche lui si illudeva che sarebbe
stato facile, che l’impegno per Firenze, per i Medici e per il nome degli
Uberti lo avrebbe aiutato a superare quell’increscioso incidente di percorso e che in pochi giorni quella sofferenza
sarebbe scomparsa.
Eppure, nel frattempo, passava le notti
quasi insonne, singhiozzando contro il cuscino, e non mangiava più.
Era proprio un ragazzino vittima del
primo, intenso, totalizzante amore e non lo aveva ancora capito!
Ma molte cose dovevano ancora accadere
in quel di Firenze…
FINE