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Autore: Mari_Criscuolo    05/12/2019    1 recensioni
Leila (Ella) ha 22 anni e vive a Napoli, ma, dopo la laurea triennale in psicologia, si trasferisce a Roma, per continuare il suo percorso di studi.
Sofia, sua amica da otto anni, ha deciso di seguirla.
Entrambe mosse dalla stessa chimera: lottare per la propria felicità.
Ella ha compiuto una scelta che ha fatto soffrire molte persone.
Nonostante non ne se ne sia mai pentita, sa che ogni decisione comporta delle conseguenze e lei sta ancora scontando la pena che le è stata imposta.
È convinta di essere in grado di affrontare ogni difficoltà la vita le metterà sul suo cammino, perché l'inferno lo ha vissuto, deve solo trovare il modo di non ritornarci.
Una ragazza con le sue piccole manie e le sue paure.
Una ragazza che usa il sarcasmo e l'ironia per comunicare il suo affetto e, allo stesso tempo, proteggersi da chi si aspetta, da lei, cose che non può e non vuole fare.
La sua famiglia, Sofia con suo fratello Lorenzo e, infine, un incontro inaspettato, la sosterranno nella sua scalata verso la tanto agognata libertà.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Sofia! Corri!» L’urlo spaventato di Cristina allarmò Sofia, che si precipitò da lei in corridoio.
 
«Cos’è successo?» chiese trafelata.
 
«Ella…si è chiusa in bagno. La sento lamentarsi, ma non vuole aprirmi la porta.» Cristina provò ad abbassare nuovamente la maniglia, sperando che avesse deciso di sbloccare la serratura dopo le innumerevoli preghiere, ma sfortunatamente constatò che era ancora bloccata.
 
«Piange?» domandò, accostando l’orecchio alla porta per cercare di riconoscere con assoluta certezza il significato di quei singulti e rantoli.
 
«Non lo so, credo stia vomitando» suggerì Cristina.
 
«Ella apri la porta.»
 
Il tono di Sofia era dolce, sapeva che una voce autoritaria l’avrebbe solo resa più scostante, tuttavia non ottenne alcun risultato.
 
Ella aveva canalizzato tutti i suoi sentimenti negativi per riversarli su Gabriele, confondendo gli unici due ragazzi della sua vita.
 
Nel mezzo del suo ultimo sproloquio, Sofia era stata costretta a chiedersi se Ella non vedesse più Gabriele, ma Matteo.
 
«Lo so che mi senti. È stata una serata orrenda, ti prego non rendiamola un incubo, non farmi preoccupare. Gira questa dannata chiave e parliamone con calma, ti farà stare meglio.»
 
Dopo qualche istante di angoscioso silenzio, si diffuse nello spazio circostante il piccolo e rapido suono provocato dallo scatto della serratura, ma Ella non sembrava intenzionata ad abbassare la maniglia per farle entrare.
 
Sofia spinse la porta in avanti lentamente, con estrema cautela, la stessa che si userebbe per avvicinare un animale selvatico e spaventato.
 
Il bagno era immerso nell’oscurità, illuminato solo dai raggi lunari che filtravano dall’unica finestra presente. Dopo aver schiacciato l’interruttore della luce, si guardò intorno, con Cristina alle sue spalle, ma nessuna delle due riusciva a capire dove fosse, eppure il bagno era di una grandezza modesta.
 
Solo quando si voltò verso la porta la vide.
 
Seduta, con le gambe strette a petto e le braccia avvolte e avvinghiate allo sterno, il viso rivolto verso il basso e la sua fronte appoggiata alle ginocchia.
 
Dondolava su sé stessa, soffocando i gemiti e quelli che sfuggivano al suo controllo risuonavano come gorgogli strozzati.
 
Quella sofferenza, che ancora non conoscevano, le si bloccava sul fondo della gola, al solo scopo di provocare meno rumore possibile.
 
«Perché hai chiuso la porta a chiave? Se fossi svenuta, come diamine avremmo fatto a entrare?»
 
Quella sera Ella si era frantumata, sgretolandosi sotto lo sguardo inerme dei suoi amici. Pezzi, uno dopo l’altro li aveva sentiti staccarsi, lacerando la pelle laddove sarebbe stata presto visibile una nuova cicatrice.
 
Avrebbe potuto tracciare una mappa, unendo tutti i punti di ogni piaga di cui presto sarebbe stato ricoperto il suo piccolo e vulnerabile corpo.
 
«Non volevo mi vedeste in questo stato. Non mi sento bene, mi fa male…» la sua voce era flebile e affannata. I vuoti nelle sue frasi erano colmati da gemiti che riusciva a malapena a soffocare.
 
Facendosi spazio, Sofia infilò la sua mano nel varco formatosi tra le gambe e il busto di Ella. Sfiorandole delicatamente il mento, la indusse con gentilezza ad alzare il viso.
 
La sua fronte era imperlata di sudore, che si perdeva tra le innumerevoli pieghe create da quella lotta contro il suo male.
 
Le labbra le aveva morse così tanto per far tacere il dolore da essersi gonfiate e arrossate. Era scossa da tremiti che non riusciva a controllare e non sapeva se si trattasse di adrenalina o paura. L’azzurro dei suoi occhi si era mischiato al rosso e Sofia non riusciva più a capire dove finisse la sclera e iniziasse l’iride.
 
Quella sofferenza la stava trasformando in una bambola di pezza, vuota e senz’anima. Stava risucchiando qualunque tipo di emozione positiva per renderla infelice e senza più un dolce volto da guardare.
 
«Cosa ti fa male?» chiese Sofia, inginocchiandosi di fronte a lei.
 
Non sapeva come comportarsi. Aveva davanti un quadro di completa devastazione, in cui non poteva più trovare alcuna traccia della ragazza testarda e combattiva di qualche ora prima.
 
«Lo stomaco. Si sta contorcendo, non capisco... niente. Sento solo tanto dolore… troppo.»
 
Accarezzarle i capelli non sarebbe servito a placare il suo supplizio, eppure tutto ciò che poteva fare era ricordarle di non essere sola.
 
«Hai vomitato?»
 
«No… non ci riesco. Ho solo conati.»
 
Non riusciva a respirare bene, sentiva i polmoni riempirsi solo per metà; non riusciva a deglutire, la saliva si bloccava, accumulandosi su ciò che aveva mangiato poco prima.
 
Si sentiva in trappola, oppressa e schiacciata da ogni lato e aspetto della sua vita.
 
Ciò che prima era solo psichico, adesso era somatico. Tutto si era riversato sul suo corpo, costringendola a piegarsi in due.
 
Ella lo sentiva, un lieve sussurro nella sua testa la avvertiva.
 
Si stava spezzando, stava cedendo.
 
«Vuoi andare in ospedale?»
 
Sofia la guardava contorcersi come un animale che cercava disperatamente di fuggire dalla presa mortale del suo predatore.
 
Non riusciva più a parlare, nemmeno per scandire due sillabe, limitandosi a scuotere impercettibilmente la testa, in segno di diniego.
 
Il fuoco che la stava corrodendo dall’interno era stato appiccato da Matteo. Da più di un anno ormai stava bruciando sotto il suo sguardo carico di consapevolezza, ma privo di amore, quello che tanto ostentava provare per lei.
 
La realtà e la fantasia; le parole e i fatti; l’amore e l’ossessione; la verità e le bugie, tutte facce della stessa medaglia, che più spesso di quanto ci se ne accorgeva, venivano confuse e coltivate con fertilizzanti e strumenti inadeguati, crescendo malate, contorte e sofferenti.
 
«Non puoi prendere nessuna medicina?»
 
Era la prima volta che la vedeva stare così male. Era stata presente quando aveva avuto crisi pianto o aveva vomitato il pranzo o la cena, ma mai le era capitato di assistere a tanta sofferenza.
 
Il suo dolore sembrava continuo, i crampi si susseguivano senza lasciarle un attimo di respiro. La sua maglietta nera attillata era umida sulla schiena e si intravedevano due aloni scuri in corrispondenza delle ascelle, sembrava sull’orlo del collasso.
 
«Anti… Antispasmina.»
 
«Ci penso io. Dove sono?» si intromise Cristina, che fino a quel momento era rimasta a guardare la scena impietrita, lasciando che fosse solo Sofia a interagire con Ella.
 
Aveva creduto sarebbe stato meglio che Ella non si sentisse asfissiata anche dalla presenza e dalle parole di troppe persone, una era sufficiente e doveva essere la sua migliore amica.
 
«Primo cassetto… comodino.»
 
Ora capiva cosa significava stare male tanto da non riuscire a respirare. Era un genere di frase che si riempiva di significato solo quando si aveva la sfortuna di vivere un’esperienza di simile intensità, solo quando si versavano lacrime, solo quando si poteva sentire il corpo pompare il sangue con troppa violenza e velocità per evitare il collasso degli organi.
 
Il vero sapore della paura, quando il dolore arrivava in modo così intenso e acuto da credere che la prossima fitta avrebbe potuto essere l’ultima cosa che avrebbe sentito prima di morire.
 
Il puro terrore che provava quando il cuore saltava un battito per poi riprendere la sua corsa troppo velocemente per riuscire a stargli dietro.
 
La sua mente avrebbe voluto scappare da tutto quello strazio per rifugiarsi in un ricordo felice e lontano, ma il suo corpo era troppo stanco per muoversi.
 
Voleva lasciarsi andare. Chiudere gli occhi e aspettare che l’aria riprendesse a circolare da sola.
 
In un attimo la sua vista si offuscò e le immagini, dapprima nitide, si riempirono di piccoli puntini colorati e luminosi. Capendo cosa stesse per accadere, iniziò a sbattere velocemente le palpebre per non soccombere a quelle piccole luci intermittenti. Doveva rimanere lucida e stringere i denti ancora qualche minuto.
 
Non riuscendo più a mantenere diritta la testa, la piegò di lato trovando il petto di Sofia a farle da cuscino.
 
«Cristina!» esclamò Sofia, con voce non troppo forte per evitare di disturbare Ella, che era troppo sensibile a tutte le sensazioni e i rumori.
 
«Eccomi. Tieni.» disse porgendo a Ella un bicchiere di acqua e una compressa nera grande quanto una lenticchia.
 
In un attimo di lucidità, consapevole che quella fosse la sua unica speranza per trovare un po’ di sollievo da quel supplizio, afferrò, sebbene debolmente, ciò che Cristina le aveva portato.
 
Dopo che ebbe deglutito, si rannicchiò nuovamente su sé stessa, essendo quella l’unica posizione che sembrava attutire lievemente il dolore.
 
«Ella, non puoi arrivare sempre a questo punto.»
 
«Non è il momento.» la sua voce dimessa fu ulteriormente attutita dalle sue gambe, trovandosi la sua bocca a contatto con esse.
 
«È solo rimandata.»
 
«Sofia… per favore… uscite» implorò Ella.
 
Le era grata per tutto ciò che stava facendo per lei, ma aveva bisogno di rimanere sola con il suo dolore, almeno fino a quando si fosse affievolito del tutto.
 
«Scordatelo! Non ti lascio» rispose categorica.
 
«Ti prego… già sto male. Non farmi parlare, è dif…ficile.»
 
Avrebbe dovuto rispettare il suo desiderio, ma il pensiero di dover aspettare in un’altra stanza senza poterle stare vicino la angosciava come mai prima d’ora.
 
Aveva promesso ad Adele che si sarebbe presa cura di sua figlia, che quando avesse toccato il fondo e il buio dei giorni passati fosse ritornato per devastarla, lei le avrebbe stretto più forte la mano per non farla cadere, ma tutto il dolore che aveva visto riflesso nei suoi occhi e percepito attraverso il suo corpo aveva messo in ginocchio anche lei.
 
«Va bene, ma la porta rimane aperta. Io rimango qui fuori in corridoio.»
 
Ella avrebbe voluto superare da sola quel momento, non perché si vergognasse, piuttosto perché sapeva quanto potesse farle male vederla ridotta in quello stato pietoso.
 
Nonostante il senso di protezione che provava nei confronti dei suoi amici, aveva bisogno di una mano, di qualcuno che la facesse scendere da quella giostra, che la strappasse da quel circolo vizioso in cui era entrata senza nemmeno essersene accorta.
 
Raccoglieva, accumulava e metteva da parte fino a esplodere, fino a diventare un essere informe abbracciato alla tazza del gabinetto.
 
Era debole, proprio lei che aveva creduto di essere tanto forte da non poter essere sconfitta da nessuno. Rendersi conto di aver sbagliato ogni cosa, sin dal primo istante in cui aveva deciso di lasciarlo, aumentava esponenzialmente i crampi all’addome.
 
Un urlo rauco e disperato crebbe ed esplose nell’aria, risuonando tra le pareti di quel bagno dimenticato da qualunque dio.
 
I suoi lamenti straziati e sgraziati graffiavano l’anima riproducendo l’insopportabile stridore di unghie che strisciavano lentamente sulla superficie di una lavagna nera, la stessa tonalità di cui si coloravano le sue giornate.
 
Tutte le battaglie vinte non avevano più significato.
 
La tigre che prima era stata il predatore, ora era la preda, ferita e morente.
 
Le lacrime intrise di dolore si insinuavano indisturbate tra le pieghe delle sue labbra e scivolavano nella sua bocca, sprigionando il loro sapore amaro e salato e mischiandosi ai gemiti di un’agonia che non aveva fine.
 
Erano crampi, eppure le sembrava una lotta tra la vita e la morte.
 
La sua soglia di sopportazione era sempre stata molto bassa, ma, in ogni caso, il carico emotivo aveva sicuramente moltiplicato la sofferenza fisica.
 
Poteva farsi ridurre in quello stato da un uomo tanto abietto? Poteva un uomo trasformare l’amore nel peggiore dei suoi incubi?
 
Ella si rese conto che aveva fatto quello, ma anche di più.
 
La stava spingendo a chiudersi in sé stessa, alzare muri per costruirsi una stanza senza porte né finestre, la stava costringendo alla pazzia.
 
Matteo l’aveva sempre voluta tutta per sé e se non ci fosse riuscito, avrebbe fatto in modo che nessun’altro l’avesse.
 
Stava permettendo che un uomo la controllasse. Come un burattinaio stava continuando a muovere i fili della vita di Ella a proprio piacimenti, fili che aveva creduto di aver tagliato quando aveva chiuso quella relazione malata, ma, stando ai fatti, lei non aveva mai smesso di essere il personale oggetto di arredamento della sua vuota e scarna vita.
 
Si stupiva della facilità con cui gli esseri umani trattavano le persone, come se non avessero un’anima, dei sentimenti o una volontà propria.
 
L’ignoranza di un uomo la stava uccidendo.
 
Non sapeva con certezza quanto tempo fosse trascorso da quando aveva ingoiato la compressa, ma iniziava a sentire l’intensità del dolore diminuire a ogni fitta.
 
Alzò la testa, rivolgendo lo sguardo verso il soffitto, sperando che quel momento di relativa tranquillità non fosse solo una breve illusione.
 
«Come va? Ti fa ancora male?»
 
La domanda di Sofia la costrinse a spostare la sua attenzione verso la porta, dalla quale proveniva la voce dal tono tenue.
 
«La compressa ha fatto il suo dovere» si limitò a rispondere, scuotendo lentamente il capo.
 
«Hai ancora i conati?» Sofia si sedette nuovamente accanto a lei, nello stesso punto che aveva occupato qualche minuto prima.
 
«No. Era il dolore insopportabile a provocarli. Ho ancora un po’ di nausea, ma posso gestirla. La mente domina la materia, giusto?»
 
Non credeva assolutamente in questa frase, citata in Grey’s Anatomy, ma non aveva né la voglia né la forza di spendere energie che non aveva, nel vomitare la cena.
 
Prima o poi l’avrebbe digerita.
 
«Giusto, ma adesso lavati i denti e inizia ad andare a dormire.»
 
La posizione e la superficie su sui si trovavano non erano molto comode, Ella si sarebbe sentita sicuramente meglio se si fosse sdraiata sul suo letto.
 
«Se mi alzassi in piedi, sbatterei a terra e se mi stendessi, vomiterei all’istante.»
 
La stanchezza si rifletteva sul suo viso e lo sforzo fatto per contenere il dolore aveva reso la carnagione così chiara da apparire giallognola.
 
«Non puoi dormire sul pavimento.»
 
«Sofia mi tremano le gambe, non capisco più niente» ammise con voce lamentosa.
 
«Allora rimaniamo qui per un po’» rispose Sofia, sistemandosi meglio sul pavimento.
 
«Non sei costretta a farmi da balia, me la cavo.»
 
Il peso di una consapevolezza la costrinse ad abbassare il viso, per imprigionarlo tra le mani e nascondere quella verità tanto angosciante al resto del mondo.
 
«Non potrei essere in nessun’altro posto. Ti voglio un bene che non puoi neanche immaginare, non ti lascerei mai sola.»
 
Sofia era così gentile, così buona che non riusciva a sopportarlo. Non meritava quell’amore, non era giusto e doveva capirlo quanto fosse mal riposto prima che si facesse male, prima che Ella potesse ferire una delle persone più importanti della sua vita.
 
«Sono una persona orribile.»
 
Un pensiero in cui inciampava più spesso di quanto avrebbe voluto, quando le sue difese crollavano e diventava una bambola di pezza in balia delle più oscure riflessioni, che la rivoltavano come un calzino senza che potesse opporre alcun tipo di resistenza.
 
«Ma cosa stai dicendo?»
 
Sofia non riusciva a capire il significato di quell’affermazione o forse non voleva realizzare quanto la sofferenza fisica fosse stata nulla se confrontata con il dolore emotivo che la stava stravolgendo.
 
«Sono cattiva, sono un mostro. Non merito il vostro affetto.»
 
Sarebbe stata capace di ferire gli altri senza nemmeno impegnarsi, a causa di una volontà che non poteva controllare. Quell’idea la terrorizzava a tal punto da prendere e nascondere tutti i proiettili che venivano sparati contro di lei, perché se qualcuno se ne fosse accorto le avrebbe fatto da scudo con il proprio corpo pur di proteggerla ed Ella non avrebbe permesso che ciò accadesse.
 
Sentiva in sé una forza oscura e cattiva, perché una persona non dovrebbe essere una minaccia per coloro che si amava, invece lei lo era.
 
«Ella, basta. Non iniziare a imbottirti il cervello di pensieri autodistruttivi.»
 
Sofia posò la sua mano destra sul ginocchio sinistro di Ella, per richiamare la sua attenzione e strapparla dall’oscuro abbraccio della sua mente straripante di pensieri sbagliati.
 
«Ho ferito Gabriele, ho rovinato la serata, Matteo non mi lascia, tutti mi odiano, il mondo intero mi odia. Forse me lo merito, forse sono una persona così orribile e cattiva che dalla vita può sperare di ottenere solo dolore.»
 
Lui la stava consumando, ma perché avrebbe dovuto preoccuparsi della sofferenza di Ella dal momento che non era anche la sua.
 
Se in questo modo avesse potuto ottenere ciò che desiderava, perché avrebbe dovuto chiedersi se le sue azioni fossero giuste per lei.
 
L’amore rendeva ciechi, ma l’ossessione bruciava ogni terminazione nervosa, fino al punto in cui anche un semplice profumo avrebbe potuto fungere da innesco per un incendio che avrebbe continuato a divorare ogni cosa, estinguendosi solo quando avrebbe annientato l’oggetto del proprio tormento, la causa del proprio male.
 
«È solo la stanchezza che ti fa dire queste cose. Domani, a mente fredda, ti renderai conto di tutta l’autocommiserazione che ti sei buttata addosso e vorrai prenderti a schiaffi.»
 
Anche in quel momento si rendeva conto di quanto fosse patetica, non sarebbe stato necessario aspettare che il sole del nuovo giorno sorgesse, eppure era appena entrata in un meccanismo che sembrava inarrestabile.
 
Più stava male, più si compativa e più cedeva a quei sentimenti ostili, più sentiva il bisogno di punirsi con altra negatività.
 
«Sofia, ho paura.» Quel tono supplichevole e carico di angoscia, fece tremare il cuore di Sofia che, per qualche istante, non seppe cosa rispondere.
 
«Lo so, Ella. Vedrai che si risolverà tutto.»
 
«Quando? Io non ce la faccio più, sto morendo. Guardami negli occhi e dimmi cosa vedi.» Vide ciò che mai avrebbe pensato di poter trovare riflesso nel suo sguardo, l’unica emozione che non credeva possibile Ella potesse provare.
 
Rassegnazione.
 
Era lì assieme alle crepe che l’avevano resa così fragile e indifesa, così sensibile da sentirsi in colpa per azioni che non aveva compiuto, per errori che non aveva commesso, ma che era certa avesse compiuto.
 
«Sono spenti, lo sento.» Ella diede la risposta che Sofia non aveva avuto il coraggio di pronunciare.
 
«Lo sono solamente perché hai passato una serata terribile e adesso sei a pezzi.»
 
«Mi sta portando via tutto e, nonostante i miei sforzi per impedirglielo, presto non rimarrà più nulla. Mi sta portando via anche Gabriele, adesso mi odia anche lui.»
 
Matteo era sempre stato quel pezzo di puzzle i cui bordi non avevano mai combaciato con quelli di Ella, ma che aveva continuato a forzare nella vana speranza che prima o poi sarebbe diventato la sua metà perfetta.
 
Solo dopo troppo tempo, Ella capì che ciò si sarebbe verificato solo se i confini di uno dei due pezzi fossero stati smussati, rimpiccioliti, cambiati per potersi adeguare alle esigenze dell’altro, fino al punto in cui quello stesso pezzo non sarebbe più stato lo stesso e lo avrebbe rimpianto per il resto della propria infelice esistenza.
 
Ella si era chiesta spesso se fosse giusto cambiare per gli altri, ma la risposta era sempre la stessa, sempre negativa.
 
Evolversi, maturare solo per soddisfare le proprie idee e ambizioni, mentre con il resto del mondo si poteva giungere a compromessi, ma mai arrivare a dimenticare di esistere solo per compiacere i bisogni altrui.
 
«Ella, nessuno lo allontanerà da te e non ti odia. Ha capito più di quanto pensi, non devi preoccuparti anche di questo.»
 
Era un guscio sottile che era stato gettato nella spazzatura, in quella melma informe di pensieri che Sofia avrebbe dovuto buttare al posto di Ella, poiché non riusciva più a distinguere la verità dalla menzogna.
 
Faceva terribilmente male vedere la sua Ella tanto forte e coraggiosa, sopraffatta dal mondo e dalle persone che lo popolavano.
 
In quanti pezzi si poteva rompere l’anima di una persona? Quelli di una tazza o di un vaso di vetro potevano essere contati con uno scarto minimo di errore, ma i danni che aveva subito Ella sembravano incalcolabili e impossibili da quantificare e ciò la terrorizzava.
 
«Dovrebbe andarsene invece, il più lontano possibile. Non può avvicinarsi a me, sono crudele e sadica e sociopatica e stasera lo ha visto. L’ho salvato, ma mi fa male il cuore Sofia. Mi fa così male.»
 
Ella si chiese se non fosse stata meglio quando aveva creduto di toccare il fondo del baratro in cui era caduta, ma a quel punto si rese conto che la caduta era ancora molto lunga e che nemmeno quel duro pavimento “distruggi fondoschiena” era quanto di peggio avesse vissuto.
 
Sentiva che nulla era finito, ma la battaglia, a meno che lei non si fosse arresa, era ancora tutta da combattere.
 
«Non sei nulla di tutto ciò e Gabriele lo sa. Sa di essere fortunato ad averti incontrata, sa quanto amore tu abbia da dare, sa quanto un tuo sorriso o una battuta sarcastica riescano a farti stare meglio dopo una lunga giornata.»
 
Sofia cercava di rassicurarla nel miglior modo possibile, ma era come chiedere a un neonato di smetterla di piangere. Era un dolore che non poteva essere né spiegato né capito, necessitava solo di spazio per espandersi, lasciare il segno e poi scomparire con la promessa che prima o poi quella cicatrice rimasta non sarebbe stata sola troppo a lungo.
 
«Non ho più nulla da dare. Sto svanendo. Sofia, non voglio svanire, non voglio sentirmi così, non voglio ferirvi, non voglio…»
 
Più ci rifletteva e più non si capacitava di come si fosse trovata in quella situazione. Da più di un anno era stata bloccata in un posto nuovo dal quale avrebbe voluto fuggire per non ritornarci più, perché era buio e freddo, troppo per una ragazza dal carattere incandescente.
 
La sua fiamma stava rischiando di spegnersi.
 
«Ciò che ci ferisce non sei tu, ma il dolore che vediamo riflesso nei tuoi occhi, perché ci rendiamo conto di essere impotenti.»
 
Nessuno di loro la riteneva responsabile, nemmeno Gabriele che si era visto scaricare addosso colpe che non gli appartenevano.
 
Ella sapeva gli avrebbe dovuto dare delle spiegazioni, ne sentiva la necessità, ma prima avrebbe dovuto capire quali fossero i suoi desideri e aspettare la quiete dopo la tempesta sarebbe stato un’ottima idea per ragionare a mente lucida così da evitare ulteriori danni.
 
«È colpa mia, tutta colpa mia. Se non lo avessi fatto entrare nella mia vita, se vi avessi ascoltata, se non fossi stata così egoista, adesso saremmo tutti felici.»
 
«Ella, assolutamente non ti permetto di entrare in questa spirale di pensieri distruttivi, quindi ascoltami bene. L’unica persona su cui devi riversare questi pensieri è Matteo. Non è tua la colpa, ma sua; non sei cattiva, lui lo è; non stai morendo né svanendo, ma ben presto lo sarà lui se non slega il cappio che ha avvolto attorno al tuo collo. Ti prometto che lo ripeterò fino a perdere la voce quando ne avrai bisogno.»
 
Lasciarlo le aveva concesso l’opportunità di ritrovarsi e amarsi con una maggiore consapevolezza circa il proprio valore e la propria forza, ma d’altro canto la stava anche uccidendo lentamente.
 
Caro era il prezzo della libertà ed Ella lo stava scontando tutto come una condanna a morte.
 
Aveva schivato un proiettile, ma si chiedeva per quanto tempo avrebbe potuto schivare la fossa con inciso il suo nome.
 
«Come farei se un giorno vi doveste stancare di me, dei miei problemi, della mia faccia, del mio carattere? Chi mi dirà queste parole per farmi stare meglio? Sono così arrogante e scostante con gli altri che finirò con il rimanere sola e per quanto mi piaccia dire che non ho bisogno di nessuno, tu non sei nessuno. Quando sono sola io intendo che ci sei tu, che sono con te, quindi non lo sono mai, ma se tu te ne dovessi andare… Dio, adesso non te ne andresti mai perché ti sto facendo pena e ti sentiresti in colpa. Non voglio che rimani solo perché ti ho impietosita.»
 
Parlava senza sosta, senza riprendere fiato, forse perché spaventata dalle sue stesse parole o dalla reazione che avrebbero suscitato.
 
Era difficile per Sofia starle dietro, anche se il senso generale del suo discorso lo aveva afferrato.
 
«Ella, cosa stai dicendo?» chiese confusa, non tanto per il significato, quanto per l’incredulità che tutto il suo monologo le aveva suscitato.
 
«Non lo so, ma spero tu abbia capito vagamente cosa intendo.»
 
Ella si era rannicchiata così tanto, che a momenti sarebbe davvero scomparsa.
 
Viveva con il terrore di perdere tutti loro, perché aveva rischiato che accadesse e adesso tremava al solo pensiero di poter commettere un altro passo falso che però li avrebbe realmente allontanati.
 
Li spingeva via perché sentiva di doverli proteggere, ma li desiderava così tanto da essere egoista e legarseli al dito per non lasciarli andare.
 
Una lotta con sé stessa che non avrebbe mai potuto vincere.
 
«Nessuno di noi si stancherà mai di te e non sarai mai sola, perché anche se tutti gli altri ti dovessero lasciare, io sarò sempre qui con te a raccoglierti da terra quando sarai troppo stanca per rialzarti. Noi siamo questo Ella, lo siamo sempre state, ci proteggiamo quando siamo troppo vulnerabili. Molte persone vanno e vengono nelle nostre vite, ma noi siamo il punto fermo l’una dell’altra, noi restiamo sempre.»
 
«Forse, risentire ciò che hai detto prima mi farebbe stare un pochino meglio.»
 
«Non è colpa tua, non rimarrai sola perché io non me ne andrò, non svanirai né morirai e ti assicuro che qualcosa più potente del karma farà scontare a Matteo tutto ciò che ti sta facendo soffrire.»
 
Come poteva non pensare a tutto il male che aveva causato, che le era stato restituito e che Ella continuava a provocare anche a chi la amava, ma non avrebbe potuto vivere nella paura per il resto della sua vita, perché non ci sarebbe spazio per la speranza e senza essa non ci sarebbe vita.
 
«Grazie, So.» la ringraziò, accennando un piccolo fugace sorriso.
 
«Adesso, come va?»
 
Avrebbe dovuto compiere una scelta: rimanere chiusa dentro a marcire o aprirsi al mondo, cadere ancora e alzarsi di nuovo?
 
Si sarebbe aggrappata alle persone vere che le dimostravano rispetto e amore incondizionato attraverso le parole, gli sguardi e i gesti. Avrebbe avuto fiducia, perché solo in questo modo avrebbe potuto alleggerire le sofferenze che sapeva sarebbero ritornate a soffocarla.
 
Nulla era semplice e scontato, tutto, invece, era un salto nel vuoto, un’incertezza che la spingeva nel vuoto, allora Ella avrebbe preso le sue poche certezze e ne avrebbe fatto un paracadute.
 
Crederci fino alla fine; crederci fino in fondo nelle proprie idee e nel proprio valore.
 
È così che voleva vivere e così avrebbe superato il dolore.
 
«Uno schifo, ma almeno in questo modo mi addormenterò all’istante.»
 
«Bisogna sempre guardare il lato positivo delle cose. Se vai a letto, ti porto una camomilla.»
 
Sofia con lei si comportava come una mamma affettuosa. Era il suo angelo custode e, sebbene consciamente sapesse l’avrebbe sempre protetta, si ripeteva spesso di quanto fosse stata fortunata ad averla accanto.
 
«No. Voglio solo chiudere gli occhi e sperare di non svegliarmi con il mal di testa domani, cosa piuttosto improbabile» rispose, alzandosi e poggiandosi alla porta per mantenersi in equilibrio.
 
Non era molto stabile, per cui si vide costretta a percorrere la breve distanza, che la separava dal suo morbido materasso, appoggiandosi al braccio di Sofia.
 
«Domani penseremo ai postumi di questa serata devastante, ma ora pensa solo a riposare.»
 
«Saluti tu Biancaneve da parte mia? Sono troppo stanca» chiese Ella, mentre si infilava maldestramente sotto le lenzuola, aggrovigliandosi in esse prima di trovare la giusta posizione.
 
«Certo. Non dovrei impiegare molto tempo, ma per qualunque cosa chiamami» la avvertì Sofia, timorosa di lasciarla sola con i suoi pensieri instabili.
 
«Stai tranquilla. Buonanotte, So» sussurrò, chiudendo gli occhi per lasciarsi cullare dal calore verso un sonno profondo, che sperò fosse privo di incubi.
 
«Sogni d’oro, El» rispose, chiudendosi la porta alle spalle per dirigersi in cucina.
 
«Come sta?» domandò Cristina, mentre Sofia sprofondava sul divano accanto a lei.
 
«Devastata» commentò, espirando profondamente prima di continuare. «È in lotta con sé stessa, divisa tra il senso di colpa e la paura.»
 
«Credi che domani starà meglio?»
 
«Sarà anche peggio. Sorriderà e fingerà che questa serata non sia mai esistita e nel frattempo si corroderà nuovamente lo stomaco per essere stata così patetica e vulnerabile. Rivivrà nella sua testa tutte le sue parole e vorrà solo sbattere la testa contro il muro fino a dimenticarle.»
 
«Un circolo vizioso.»
 
La risposta di Sofia non era molto rassicurante, ma non avrebbe potuto cambiare i fatti con le parole.
 
«E noi dobbiamo aiutarla a uscirne, anche se farà di tutto per allontanarci.»
 
«È così testarda» mormorò Cristina, scuotendo la testa.
 
Se Sofia era in difficoltà sul da farsi ed era la sua migliore amica, Cristina si sentiva ancora più inutile, tuttavia avrebbe in ogni caso provato a risollevarle il morale.
 
«Il pensiero di essere una persona cattiva la spingerà chiudersi in sé stessa per proteggerci. Noi dobbiamo ricordarle chi è la nostra Ella, solo così ritornerà la ragazza combattiva e irriverente che conosciamo.»
 
«Hai già un’idea su cosa fare?» chiese, incuriosita da quella sua determinazione.
 
«Forse.»
 
L’attenzione di Cristina fu catturata dall’oggetto che Sofia stringeva tra le mani e che era sicura non le appartenesse.
 
«Perché hai il cellulare di Ella?»
 
Uno scambio di sguardi bastò a farle intuire le sue intenzioni ed erano sbagliate sotto ogni punto di vista.
 
«Sofia non fare stupidaggini, potresti peggiorare la situazione.»
 
«Peggio di così? Sul serio? Ma tu l’hai vista in che condizioni stava in quel bagno, prima che ci cacciasse?» sbottò innervosita.
 
Il dolore che aveva assorbito da Ella avrebbe dovuto necessariamente scaricarlo sulla causa principale di tutta quella sofferenza.
 
«Non sei abbastanza lucida per poterlo affrontare. Capisco la tua rabbia, ma non sai come potrebbe prendere le tue parole. È un pazzo schizzato, se gli dicessi la cosa sbagliata potrebbe reagire d’impulso e presentarsi qui. Come pensi la prenderebbe Ella?»
 
Cristina stava cercando di farla ragionare in ogni modo possibile. Era convinta che una strigliata gli avrebbe fatto più che bene, ma Matteo sembrava imprevedibile e la situazione avrebbe potuto ritorcersi contro di loro e chi avrebbe subito di più sarebbe stata Ella, che era troppo fragile per poter sopportare altro dolore.
 
«Quindi pensi che continuare a non fare nulla e restare a guardare mentre la logora lentamente sia la scelta migliore?»
 
«Non lo so. Dio che situazione!» esclamò esasperata e sconfitta, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
 
«Nessuna scelta è giusta o sbagliata in queste circostanze. L’importante è fare qualcosa perché, se perdiamo altro tempo ad aspettare, Ella, per quanto sia forte e coraggiosa, soccomberà.»
 
«Cerca solo di non istigarlo troppo» si raccomandò Cristina, pregando in tutte le lingue del mondo affinché tutta quella situazione non le sfuggisse di mano.
 
«Sentirà solo ciò che si merita, nulla di più nulla di meno.»
 
Nonostante la sua risposta non fosse rassicurante, era impossibile pensare di poterla fermare, così smise di opporsi e lasciò che componesse il numero di cellulare.
 
«Speriamo che non sia troppo» commentò sospirando.
 
«Ella, finalmente. Perché non rispondevi? Mi hai fatto preoccupare, ho pensato fosse successo qualcosa.»
 
Aveva dimenticato quanto fosse nauseante la sua voce, un pugno nello stomaco sarebbe stato di gran lunga più piacevole e meno deprimente dell’avere una discussione con un essere simile.
 
«Sono Sofia. Per fortuna Ella ha sufficiente buon senso da decidere di ignorarti fino alla morte.»
 
Non gli era mai piaciuto, sin da quando Ella glielo aveva presentato per la prima volta. Le sensazioni che le aveva trasmesso non erano state positive e il suo sguardo nascondeva qualcosa che non le aveva mai permesso di essere tranquilla e gli innumerevoli litigi tra lui ed Ella per cose futili e allucinanti avevano solo confermato i suoi sospetti.
 
«Perché mi chiami tu? Sta bene?»
 
Quella domanda la fece ridere sguaiatamente, senza preoccuparsi minimamente del ragazzo all’altro capo del telefono che sospirava spazientito.
 
«Non puoi capire quanto è ironica questa domanda. Tu vuoi sapere se Ella sta bene?»
 
«Si. Che ci trovi di strano?»
 
«Certo che spicchi di intelligenza. Secondo te dopo gli ottocento messaggi e le duecento chiamate a cui non ha risposto, come può stare la tua tanto amata Ella? Rispondi, vediamo se ti si accende la lampadina scarica che hai in quella testa bacata.»
 
Era così arrabbiata che le era stato praticamente impossibile trattenersi.
 
Come poteva un essere umano essere tanto cieco e ottuso?
 
«Ti avviso che sto perdendo la pazienza.»
 
Era sempre stato molto irascibile. Lo aveva constatato anche dal vivo, quando Ella lo contraddiceva o lo oscurava con la sua personalità; quando esultava per cose futili e bambinesche; quando rimaneva ferma e irremovibile nelle sue idee perché giuste; quando non chiedeva scusa per errori che non aveva commesso e quando non veniva perdonata per aver detto una parola di troppo o la verità in modo troppo scomodo per essere accettata.
 
Tutti commettevano errori, Ella compresa, ma se non poteva reggere il confronto o sorridere nel vederla esultare per una maglietta con la stampa della Marvel, allora il problema era piuttosto evidente.
 
«Io invece l’ho già persa. Sappi che se non sparirai completamente dalla sua vita farò tutto ciò che è in mio potere per rendere la tua un inferno.»
 
«Credi di spaventarmi?» Il tono fastidiosamente strafottente la costrinse a rispondere più duramente, anche se le probabilità di scalfire quella scatola cranica vuota erano ridotte ai minimi termini.
 
«Non ne avevo intenzione. Il mio era sono un avvertimento, perché se continuerai a perseguitarla, se continuerai a farle del male e se io sarò ancora costretta a raccoglierla dal pavimento del bagno, ti assicuro che conoscerai il vero significato della parola dolore.»
 
«Il pavimento del bagno?» la voce vagamente preoccupata e sconvolta per qualcosa che, invece, avrebbe dovuto immaginare considerate le pene infernali che le stava facendo vivere, innalzarono il suo livello di nervosismo a livelli esponenziali.
 
«Non ti dirò come sta, non saprai più nulla di lei e non mi importa se è il tuo ossigeno o qualche viscida parte del tuo corpo, se vengo a sapere che le hai ancora scritto o telefonato, rimpiangerai di non esserti soffocato prima.»
 
«Non ho mai voluto farle del male.»
 
Era impossibile da commentare il suo livello di stupidità. Rifilava a Ella questa scusa ogni volta lo rimproverava o lo riempiva di insulti, senza comunque ottenere alcun risultato.
 
«Con me non attacca. Questo non è amore, è solo la tua ossessione malata per una persona al di sopra dei tuoi standard. Lei è troppo per te e tu lo sai, per questo la vuoi distruggere. Sei un sadico bastardo.»
 
«Invece per te è la persona giusta, è alla tua altezza, per questo le hai detto di tutto sul mio conto per indurla a lasciarmi.»
 
Sofia rimase interdetta da quel contro attacco. Ella le aveva raccontato che Matteo non riusciva a digerire il loro rapporto e che per tale motivo si era involontariamente allontanata da lei negli ultimi mesi della loro relazione, eppure non aveva mai immaginato che la sua ossessione arrivasse a fargli provare così tanta gelosia.
 
«Ella sa badare a sé stessa e non si è mai lasciata condizionare da nessuno di coloro che le diceva quanto non fossi la persona più adatta a lei, se lo avesse fatto non sareste durati una settimana.»
 
«Con il lavaggio del cervello anche la volontà più forte cederebbe. Adesso scommetto che sei felice perché puoi averla tutta per te.»
 
«Ma che sta dicendo? Tu sei malato.»
 
Considerata la piega che stava prendendo la conversazione, non osava nemmeno immaginare quanti litigi e discussioni Ella era stata costretta ad affrontare solo perché si era messa il pigiama d’avanti alla sua amica lesbica e che quest’ultima l’aveva vista in mutande.
 
Quanto avrebbe voluto digli che in vacanza al mare l’aveva vista anche a seno scoperto, mentre si cambiava il costume, ma fu costretta a trattenersi altrimenti avrebbe solo peggiorato la situazione già molto precaria.
 
«Non mi è mai piaciuto il vostro rapporto. Il tuo fantasma era una presenza costante nella nostra relazione. Sofia, sempre Sofia. Doveva sempre chiedere la tua opinione per qualunque decisione riguardasse solo me e lei.»
 
«Se mi avesse ascoltata molte stupidaggini non le avrebbe fatte e se tu la conoscessi realmente sapresti che è testarda e che non si lascia condizionare dall’opinione di nessuno, anche se la chiede. Quale persona sana di mente avrebbe da ridire su ciò che la propria ragazza confida alla sua migliore amica?»
 
Ella gli aveva dato più di quanto avrebbe meritato e sopportato più di quanto fosse necessario, per ricevere solo dolore e una completa mancanza di rispetto.
 
«Una persona che vuole proteggere chi ama da chi le fa più male che bene.»
 
Cristina non aveva idea di cosa Matteo le stesse dicendo, ma dall’espressione rabbiosa di Sofia sospettava non fosse nulla di buono.
 
Prepararsi al peggio non sarebbe servito a proteggersi dai danni che era convinta avrebbe causato di lì a poco.
 
«Sei ridicolo. Eri così geloso che l’hai allontanata da tutti, l’avresti rinchiusa in casa per non farla guardare da nessuno e, visto che non hai potuto soddisfare questo tuo malato bisogno, stai cercando altri modi per distruggerla. Quando Ella è entrata nella tua vita con i suoi sogni e la sua ambizione ti sei reso conto che il suo carattere era troppo forte per te, che mai avresti potuto controllare le sue idee e piegare la sua volontà. Hai le palle così piccole che hai sentito la necessità di plagiarla lentamente fino a quando le tue scelte le sembravano essere le sue. Sei come zecca fastidiosa attaccata allo scroto di un maiale, sei il grandissimo pezzo di stronzo che deve uscire dall’ano per eliminare il fastidio, ma di cui non riesci a liberarti perché duro come la pietra, sei l’essere più miserabile che abbia mai avuto il dispiacere di chiamare.»
 
«Sarò anche tutto ciò che dici, ma tu, la persona che le dovrebbe essere più leale, mi stai chiamando per insultami e intimidirmi a sua insaputa, perché Ella non te lo avrebbe mai permesso. Non sono l’unico a dover temere la sua rabbia o peggio, la sua indifferenza.
 
«A differenza tua, Ella mi perdonerà quando capirà che l’ho fatto per il suo bene. Non te lo ripeterò di nuovo, stai lontano da lei perché stai facendo incazzare parecchie persone che la amano e che farebbero di tutto pur di vederla felice. Ti saluto.»
 
Sofia staccò la telefonata, prima che la situazione degenerasse completamente.
 
Nel soggiorno risuonavano ancora i suoi insulti e le sue minacce, erano così forti che non lascavano spazio a nulla che non fossero sospiri di ansia e nervosismo.
 
«Credi che ti darà ascolto?»
 
Il silenzio fu interrotto da Cristina alla ricerca di rassicurazioni che Sofia non era in grado di darle.
 
«Lo spero, altrimenti dovrò subire l’ira di Ella e non sarà piacevole» rispose, scuotendo il capo rassegnata all’inevitabile condanna che pendeva sulla sua testa.
 
«Vedrai che capirà» la rassicurò Cristina, spostandole qualche ciocca di capelli dal viso per posarle un delicato bacio sulla fronte.
 
«Forse o forse ho solo peggiorato la situazione, in ogni caso non ci resta che aspettare.»
 
L’intenso scambio di sguardi che si scambiarono legò insieme tutte le loro domande e preoccupazioni, permettendo loro di alleggerirne il peso. Si preannunciava una lunga notte carica di troppe emozioni lasciate in sospeso.
 
 
   
 
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