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Autore: Zoe__    08/12/2019    1 recensioni
"Guarda, sembra che sia sempre pronta a spiccare il volo, Harry.” Tornò a voltarsi e lo avvicinò a sé, stringendogli la mano.
“Ha le ali per farlo, forse ha solamente paura.” Sussurrò accanto al suo orecchio. Livia sollevò per un attimo gli occhi nei suoi, poi li allontanò e raggiunse il suo sguardo sulla maestosa statua di marmo che li vegliava dall’alto.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I giorni newyorkesi si erano rivelati più stressanti delle sue precedenti previsioni: le registrazioni di alcune esibizioni erano state rimandate e riorganizzate in orari impensabili, quando il suo unico desiderio era quello di rilassarsi e resettare la mente prima del nuovo anno. Harry non aveva mai amato particolarmente New York, ne era attratto, ma la guardava con diffidenza. Era ostile al suo animo londinese, allo stesso tempo lo accoglieva sempre soleggiata, seppur fredda. Aveva registrato delle esibizioni durante la sua prima settimana, alcuni sketch per la città, lasciando trapelare al di là della telecamera sorrisi e serenità. Cercava di abituarsi all’idea che sarebbe dovuto rimanere lì fino alla fine dell’anno, fino all’inizio di quello nuovo, ed al fatto che gran parte di quel tempo lo avesse trascorso da solo. Era stata totalmente sua la decisione di ospitare amici, parenti e colleghi per l’ultimo giorno dell’anno e non poteva pentirsene due settimane prima. Aveva organizzato la cena nei mesi precedenti, liberi dal tour, lasciando ai suoi segretari indicazioni specifiche, rivelandosi più intransigente del solito. Odiava sbagliare, così perfezionista detestava che un evento da lui organizzato potesse finire in prima pagina come un fallimento, che passasse come una noia mortale nei salotti newyorkesi. Non si trattava più della sua fama da cantante, negli ultimi anni molte volte era stata messa in discussione la sua personalità ed Harry non poteva accettarlo. Aveva un unico obbiettivo: voleva rendere un’immagine quanto più chiara e sincera di se stesso, senza vergogna o ripensamenti – almeno in quello, si era detto, niente ripensamenti e più sicurezza. 
A Livia pensava occasionalmente, quando la sera prima di dormire ricordava quanto fossero lontani, a quanto lei lo avesse voluto allontanare. Si chiedeva perché lei non avesse mai affrontato le paure che si erano intromesse fra di loro, perché così poca intraprendenza? Si rispondeva che forse per lei non ne valeva la pena, per Livia non era necessario lottare per loro due, superare le sue paure per cosa? Allo stesso tempo interrogava se stesso e si chiedeva se mai avesse superato i suoi muri, cercato di abbatterli facendosi forza sul forte sentimento che provava nei suoi confronti e che irrimediabilmente ed incondizionatamente a lei lo legava. Conosceva tante donne, aveva avuto modo di conoscerne talmente tante che forse aveva perso il conto, dimenticato i loro volti. Livia rimaneva vivida nella sua memoria ed ogni volta che se ne andava, lasciandolo solo, la sua immagine si coloriva ulteriormente e lui non riusciva a spiegarselo. 
 
Entrata nella sua casa newyorkese – affittata – solamente due giorni prima, Livia aveva trascorso le sue prime ore fra quelle mura in cerca di decorazioni natalizie con cui trasformarla. Cosa ne sarebbe stato di tutte quelle, quando lei sarebbe tornata a Londra? Aveva pensato di donarle, per questo i sensi di colpa erano diminuiti quando si era resa conto di aver esagerato con le lucine e le ghirlande. L’appartamento, situato nel cuore della città, l’aveva accolta calorosamente. I colori pastello delle pareti e degli arredi la invitavano ad entrare senza paura e la facevano sentire a casa, ricordandole le tinte chiare del suo piccolo studio londinese. La stanza che preferiva era il salotto, non troppo grande, ma arredato come lei avrebbe fatto. Un’intera parete era occupata da librerie, colme e pesanti: non sarebbe riuscita a leggere neanche uno di quei libri lì disposti ordinatamente, ma adorava osservarli durante le pause dal lavoro. La lontananza non le impediva di contribuire alla fitta mole lavorativa che aveva lasciato a casa e nel suo ufficio, cercava di tenere tutto sotto controllo, la sua mente occupata. C’erano momenti, durante la giornata, in cui d’improvviso veniva assalita dalla consapevolezza che Harry fosse lì, forse poco distante da lei, ma nella sua stesa città. Voleva correre via, si sentiva prendere dal malessere in quella casa tanto grande e si diceva che non poteva succedere, non ancora, almeno non a ancora per lui. 
Trascorreva le giornate secondo una routine che aveva prefissato appena arrivata, cercando di unire la giusta produttività all’organizzazione ed al riposo. Un po’ come un automa, Livia cercava di focalizzarsi sull’arrivo della sua famiglia, sulla cena di Natale che avrebbe voluto organizzare da sempre. A questo alternava il lavoro e le chiamate con Londra, raramente ascoltava la radio, la musica o la televisione. Era tutto un sottofondo ai suoi giorni d’impegno e solitudine, che tuttavia cercava di mascherare, solamente per se stessa e per le sue e solamente sue convinzioni. Non cercava Harry quando passeggiava, ma sperava silenziosamente e di nascosto dalla sua mente, di incontrarlo per caso, di invitarlo per un caffè e di parlare con lui come se nulla fosse successo. La sua codardia la stupiva, la consapevolezza la assaliva ogni sera, mentre cenava da sola e leggeva le notizie. Inciampava nelle sue foto per la città, lo vedeva felice, sembrava rilassato e nuovamente tornava a desiderare di non incontrarlo, sperava di poter fuggire. Si interrogava e chiedeva a se stessa quanto in realtà valesse la pena sentire simili sensazioni, provare tali emozioni da dover mentire alla sua stessa persona. Perché la paura, perché lo spavento, perché le corse ed i pianti in taxi. Tutto la tormentava e le domande la assalivano. 
Preferiva camminare in casa a piedi scalzi, profumava ancora delle pulizie effettuate prima del suo arrivo e del diffusore che aveva comprato il primo giorno e posto all’ingresso. Quando saliva le scale, le piaceva immaginare di accedere ad un piano sempre nuovo, in quella casa così grade ogni giorno poteva scoprire delle novità interessanti che quotidianamente la rallegravano. Quando scendeva le scale, lo faceva in punta di piedi ed in quel suo modo di fare rivedeva la bambina che era in sé, lontana da lei da molto tempo. Amava la nuova cucina, le pareti gialle ed i mobili in legno, le rifiniture delicate e precise che avrebbe osservato per ore. Si aggirava tra quelle mura curiosa e sempre pronta a scoprire dell’altro, perché incredibilmente c’era qualcosa ad aspettarla ogni volta, cogliendola di sorpresa. 
Aveva lasciato alcune delle sue valigie ancora chiuse, decidendo di vivere con il solo ausilio del borsone in quei primi giorni nell’Upper East Side – suonava così Blair Waldorf quando ne parlava ai suoi amici, lo riconosceva ed un po’ se ne vergognava. Si rese conto di poter utilizzare quei vestiti per molto più a lungo e si domandò il motivo per cui avesse portato con sé altre due valigie. “Non hai la lavatrice, Livia, e non sei in grado di stirare senza bruciare un panno.” Ricordava a se stessa. 
Decise di aprirle e svuotarle per riempire l’armadio, affascinata dall’idea che per più di due settimane quella sarebbe stata la sua casa. Se i suoi vestiti erano nell’armadio, era automaticamente e senza alcun dubbio casa sua: era una regola che aveva stabilito negli anni, trasferendosi continuamente. Ripose ordinatamente le sue Louboutin sul pavimento, accanto al tappeto posto ai piedi del letto. Decise di lasciarle lì per contemplarle ogni tanto – le scarpe erano una sua personalissima debolezza e per quelle decolleté nere Livia aveva un noto batticuore. Tristemente non trovò il suo abito rosso, quello era stato riconsegnato all’atelier che glielo aveva lasciato in prestito per la cena, con tanto di bigliettino di ringraziamento. Sistemò ordinatamente ogni cosa, trascorse tre quarti d’ora impegnata in quell’attività terapeutica e rilassante. 
Trovò il maglione natalizio di Harry sul fondo della sua seconda valigia. Perse un battito, fu a disagio con se stessa per diversi minuti, tutti quelli trascorsi ad osservarlo senza muoversi, non ascoltandosi e cercando di annullarsi. Non voleva sentire nulla, ma quel maglione le aveva ricordato molto più di quello che volesse. In pochi istanti le tornò in mente il Natale passato, trascorso con Harry nella sua casa materna. Anne gli aveva confessato quanto le mancasse e lui l’aveva convinta a raggiungerli per pochi giorni. Il maglione sedeva indisturbato sul fondo della valigia, guardava Livia timidamente e lei ricambiava allo stesso modo il suo sguardo. Non era di certo intimorito, era Livia ad essere spaventata. Sollevò lo sguardo dal pavimento, prese il cellulare e lo fece voltare fra le sue mani, vi picchiettò un ritmo immaginario con le dita mentre a piccoli passi percorreva la camera. 
Scattò una foto, l’allegò ad un messaggio ed al suo indirizzo, col suo nome. Inviò, senza ripensamenti. 
   
 
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