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Autore: Crudelia 2_0    12/12/2019    3 recensioni
Bussa alla tua porta dopo quelli che ti sono sembrati secondi troppo, troppo brevi.
Vi scambiate saluti e formalità privi di importanza, inudibili sotto il rombo nelle tue orecchie. Poi un’affermazione infrange quel vetro, l’ultima tua protezione.
“Dovreste togliervi la veste.”
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Ristori, Antonio Ceppi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo breve e di passaggio, ma ogni tanto bisogna tirare una boccata d’aria.
Spero vi piaccia ugualmente,
 
Crudelia
 
 
 
 
 
 
Capitolo 6
 
 
 
 

La ceramica tintinna quando posi la tazza sul tavolo.

Non sai bene come sei arrivata in biblioteca, ma avevi la tazza tra le mani e intorno a te parlano tranquillamente, quindi presumi di esserci arrivata con le tue gambe, semplicemente troppo assorta per essertene accorta.

Una parte di te sta iniziando a preoccuparsi per questi continui momenti di buio dell'ultimo periodo, l'altra ti ricorda che ti sei sempre estraniata per fuggire dalla realtà che ti circonda, dalla tua vita, da tuo marito.

Ti alzi ed avvicini alla finestra, anche se sai che non vedrai nessuno: Angelo è andato a Torino a chiamare l'avvocato, ma non arriverà prima di sera. Non sai se l'intenzione di Alvise sia fare testamento, anche se lo pensi. In ogni caso non ti preoccupa: come vedova sai che dovrebbe essere tenuto a lasciarti qualcosa, ma speri soltanto si ricordi di Emilia.

"Stai bene?" Antonio ti si accosta e parla con naturalezza. È incredibile come ogni barriera- titoli, formalità, anni di rancore- tra voi sia caduta, lasciando semplicemente Anna e Antonio.

"Mi fate tutti la stessa domanda." Quasi sbuffi, sminuendo la situazione. Puoi vedere la ruga tra le sue sopracciglia farsi più profonda.

"Sei pallida."

"Lo sono sempre." Riporti lo sguardo all'esterno, come se privarlo dei tuoi occhi potesse farlo desistere o non fargli comprendere i tuoi pensieri.

Ti volti, di scatto e un po' sorpresa, quando lo senti ridacchiare.

Incapace di trattenerti sorridi. "Perché ridi?"

Già è strano vederlo al tuo fianco, figurarsi vederlo al tuo fianco ridere.

"Stavo pensando..." Si interrompe distogliendo lo sguardo, forse pensa che non guardandoti sarà più facile smettere di ridere. "Ti ricordi la prima volta che ci siamo abbracciati?"

E allora capisci, e ridi anche tu.
 



Scuoti le sbarre e loro si limitano a cigolare, deridendoti.

"Fabrizio, torna subito indietro!" L'unica risposta è la sua risata, sempre più lontana.

"Fabrizio!" Incurante delle scarpe di lusso tiri un calcio all'inferriata, frustrata, e adesso al cigolio si unisce il tuo gemito dolorante.

"È insopportabile." Constati, sbattendo un piede a terra. Non ti interessa di sembrare una bambina viziata.

"È solo uno scherzo, non vi arrabbiate." Schiudi le labbra e lo guardi con esasperato stupore.

"Oh, dimenticavo che voi siete suo amico, lo difendete." Fai in fretta a riprenderti.

Lui non risponde, incrocia le braccia al petto e sorride. Sorride.

Imiti il suo gesto stringendo le labbra e voltandoti. Stai iniziando ad odiare quel sorriso, sempre così inopportuno, così saccente, così ostinatamente accattivante.

In ogni caso, vuoi solo uscire da lì. Di come tuo fratello si sia procurato le chiavi delle cantine ti preoccuperai di scoprirlo quando sarai tornata in un ambiente più abitabile, magari a cena, magari in compagnia dei vostri genitori.

"Avevo lezione di francese, mia madre mi ucciderà." Il veleno ha lasciato la tua voce, lasciando posto ad una pacata rassegnazione.

"State tranquilla, non lo farà."

"Dite così perché non conoscete mia madre."

"E perché non ho lezione di francese."

Alzi gli occhi al cielo e rimani in silenzio, ingoiando l'unica possibile replica a quella risposta, ovvero che è insopportabile.

Ma già lo sai, in fondo ci sarà un motivo se è così amico di tuo fratello.

In mancanza d'altro inizi a guardarti attorno: non c'è neanche una finestra, l'aria è umida e pregna dell'odore di muffa che emanano mobili e cianfrusaglie ammassate alle pareti.

Rabbrividisci, nonostante siate lì da pochi minuti.

Finito il tuo esame rimani ferma al centro della stanza, le braccia attorno al busto mentre continui a cambiare peso da un piede all'altro senza sapere cosa fare. Così inizi ad osservare l'unico altro essere vivente oltre a te: Antonio.

"Cosa state facendo?" Quasi lo dici contro la tua volontà non appena sfiori la sua figura con gli occhi.

"Se dobbiamo aspettare tanto vale farlo comodi." Allunga le gambe il più possibile, sistemandosi sulla poltrona polverosa.

Lo fissi allibita. Incredula.

"State scherzando." Era una domanda? Il tono strozzato non da certezze neanche a te. Eppure sei stata tu a parlare.

"E cos'altro dovrei fare?" Chiede, ingenuo.

Ingenuità del tutto fittizia, la costante ombra di sorriso agli angoli delle labbra.

"Non so." Alzi le sopracciglia, saccente. "Forse trovare un modo per farci uscire."

"La serratura è troppo arrugginita per forzarla."

"Allora cercate qualcosa con cui romperla."

"Non c'è nulla, qui, in condizioni così buone da rompere del ferro."

"Avete già visto tutti gli oggetti presenti?"

"No, ma lo so." Un lampo negli occhi. "Se non vi fidate, comunque, accomodatevi, cercate qualcosa voi stessa."

Apri la bocca per ribattere, ma la richiudi, a corto di parole. Apri le braccia e le lasci ricadere lungo i fianchi, esasperata. "Siete insopportabile."

"E voi siete bellissima, specialmente quando siete arrabbiata."

Senti le guance avvampare e gli volti le spalle, sperando che non se ne accorga.

Sei quasi sicura sia una speranza vana, nonostante la semioscurità della stanza.

Ti ritrovi ad osservare un vecchio quadro che rappresenta la tenuta. Lo studi a lungo, soffermandoti su ogni dettaglio per combattere il lento protrarsi dei minuti. Ad ogni dettaglio che cogli, tuttavia, capisci perché è stato rilegato in una cantina e non esposto in uno dei molti corridoi. Foss'anche uno in disuso.

"Avete freddo?" La sua voce ti arriva vicino all'orecchio. Quasi sussulti, non ha fatto un solo rumore nel muoversi.

Hai la pelle d'oca, ma ti scosti. "No."

"Non siate offesa." Ti si avvicina e ti poggia la sua giacca sulle spalle.

Mastichi un ringraziamento tra i denti, troppo imbarazzata per parlare. Senti il calore del tessuto avvolgerti, insieme al suo profumo.

"Non voglio che vi ammaliate per colpa mia."

"Non è colpa vostra." Alzi lo sguardo e sgrani gli occhi nel vederlo così vicino.

Deglutisci. E lui sorride.

"Io..." Ti dimentichi immediatamente cosa volevi dire quando le sue mani si avvicinano al tuo collo per avvicinare i lembi del suo colletto tra loro, un ulteriore tentativo per scaldarti. Scuoti impercettibilmente il capo. "Volevo scusarmi. Non lo penso davvero, non siete insopportabile."

Che scuse goffe. Il tuo precettore di buone maniere sarebbe inorridito da tanta mancanza di controllo, lo puoi vedere stringere le labbra e guardarti con disappunto.

"Io ero serio, invece." La sua voce non tentenna. "Siete bellissima." Non sai come siete arrivati a sussurrare con i volti a così pochi centimetri di distanza.

E adesso non sai dove nasconderti per mascherare l'improvviso affluire di sangue alle tue guance, che senti bollenti. Infatti se ne accorge.

"Scusate." Fa un passo indietro, alzando le mani come se volesse dichiararsi innocente. "Sono stato inopportuno."

Sicuramente, pensi.

Forse, vorresti rispondere.

Invece sorridi. Un po' compiaciuta, un po' lusingata.

"Avete ragione, sono insopportabile." Incrocia i tuoi occhi, le mani abbassate. "Ma la verità è che adoro provocarvi e sentire le vostre risposte piccate, stuzzicarvi per vedervi arrossire e stupirvi per guardare le vostre labbra schiudersi." Abbassa appunto lo sguardo sulla tua bocca, per riportarlo subito a te. "E quando sorridete..." Si passa una mano tra i capelli. "Quando sorridete io... Io non capisco più niente."

Ti guarda di nuovo e ti chiedi se quegli sconfinati occhi blu sanno percepire il battito accelerato dei tuoi palpiti o il vuoto che senti alla bocca dello stomaco o quanto la tua gola sia arida.

Sbatti le palpebre, confusa. Dovresti dire qualcosa prima che il silenzio diventi troppo opprimente e lungo da diventare imbarazzante per entrambi.

È il suo sospiro a scuoterti.

"Non dite nulla." Porta gli occhi a terra, privandoti delle sue iridi come dell'ossigeno. "Avete ragione, scusate, io-"

Non sai dove trovi il coraggio per colmare lo spazio tra i vostri corpi. Un momento lo avevi di fronte e il momento dopo stai appoggiando il capo sul suo petto, che tante volte avevi immaginato, ma non te l'aspettavi così accogliente e caldo.
Senti le sue mani sulla schiena, dapprima esitanti, poi più sicure.

"Va bene così, non scusatevi." Circondi i suoi fianchi con le braccia. Non pensavi che tenere il corpo di un uomo così vicino potesse dare queste sensazioni.

Strofini la guancia contro la camicia soffice e profumata. "Va bene così." Ripeti.

Sa di pulito, di lenzuola stese ad asciugare al sole, di sapone.

Non sai quanto tempo rimanete a combattere il freddo e contare i battiti reciproci tra le braccia dell’altro. Hai gli occhi chiusi, cullata dal suo respiro.

“Sapete cosa vi dico?”

Mugugni in risposta, a metà strada fra la curiosità e l’assecondarlo.

“Penso proprio che vostra madre vi ucciderà per aver saltato la lezione di francese.” Dice con tono serio.

Alzi gli occhi incrociando i suoi- puoi notare anche al buio che stanno brillando- e ridi, consapevole che ad entrambi basterebbe fare un movimento in avanti con la testa per far incontrare le vostre bocche.
 


Ti costringi a sorridere il meno possibile ripensando a quell’episodio, alla vostra goffaggine.

“Se mio padre l’avesse scoperto Fabrizio avrebbe ricevuto una punizione esemplare.” Adotti la sua tecnica: non lo guardi concentrandoti sull’esterno. Sei già fin troppo consapevole delle occhiate stranite che continuano tutti a rivolgervi senza comprendere quale dinamica vi abbia portato dal non poter stare nella stessa casa a non riuscire a stare senza scambiarvi uno sguardo ogni pochi minuti.

“Non gliel’hai mai detto?”

“All’inizio volevo, poi ho pensato a tutto quello che era successo. Non avrei mai potuto spiegarglielo.” Vi scambiate un’occhiata complice, gravida di quel segreto che conoscete voi due soli.

Vi guardate negli occhi in silenzio, mentre lui continua a sorridere e tu a reprimere la voglia che hai di nascondere il viso sul suo petto e riemergere dalle sue braccia quando tutto sarà finito.

Sembra capire i tuoi pensieri perché, lentamente, allunga una mano fino a posarla sulla tua guancia.

Ti lasci andare a quel contatto, chiudendo gli occhi e rilasciando un respiro che ti sembra di aver trattenuto da quando hai lasciato la tua stanza. Poi la mano scende sul collo- il pollice sulla clavicola- sulla spalla, percorre il braccio fino ad arrivare al tuo palmo.

Intreccia le tue dita alle sue, che senti piacevolmente calde.

“Andrà tutto bene.” Ricambi la stretta, sorridendo malinconica.

In cuor tuo vorresti davvero sperarlo.   










 
   
 
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