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Autore: Hilda Polaris    15/12/2019    1 recensioni
- 2019, ATTO I rimaneggiato e corretto. ATTO II revisionato e aggiunta scena V! -
Il Silenzio dei ghiacci, la maestosità dei monti, l'infinito fulgore dei cieli... Le Alfe, fate del gelo, si riuniscono in una radura tra gli abeti durante un'abbondante nevicata, e iniziano, a turno, a raccontarsi una favola.
What If strutturata come un'opera teatrale per chi ama il mondo di Asgard, vorrebbe sapere di più sul passato, presente e futuro dei protagonisti e, soprattutto, vorrebbe che la storia non fosse finita così.
Grazie in anticipo a chi vorrà leggere e commentare.
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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SCENA V

 

(Racconta Eis)

 

"I giorni si susseguirono e finalmente l'inverno cedette il passo alla timida, breve e attesa primavera asgardiana. Da molto tempo Hilda non vedeva il sole, e il primo giorno in cui il cielo fu sgombro da nuvole e il tepore dell'astro fu così intenso da riscaldare, attraverso i vetri, le tende della sua stanza, la fanciulla saltò letteralmente fuori dal proprio letto e spalancò subito ogni finestra che trovava sul proprio cammino. Si fermò accanto alla più grande e la luce e il calore del sole di bella stagione le scesero sul viso come una carezza materna. Un miracolo breve e lontano, quando l'inverno batteva alle porte con la furia della neve.
Non restava che goderne per il tempo in cui era concesso.
Hilda, che pure avrebbe rinunciato a tutto fuorché alla sua neve e alle sue montagne di roccia e conifere, si sentiva così presa dalla luce del sole da avvertire quasi una stretta al cuore. C'erano alcuni spettacoli naturali che la inebriavano a tal punto da poter essere paragonati ad emozioni di natura umana. Nessuno era lì per causarle di proposito, quelle emozioni... Ma tali spettacoli esistevano e basta, come esisteva il mondo, come esisteva il cielo da tempo immemore, e il loro effetto riusciva ad essere così forte pur se privo di causa, e così totalizzante, che qualsiasi animo sensibile ne sarebbe stato scosso fin nel profondo.
Anche se avvertiva il fascino magico della notte, la luce la metteva sempre di buon umore.
Pensando a ciò che l'attendeva, a cuor leggero accolse Suzanne che, come ogni mattina, arrivava a portarle la colazione. A dire il vero lei non glielo aveva mai chiesto; ma l'anziana domestica, che era stata la sua balia e molto di più fin dalla più tenera età, continuava a viziarla come fosse una figlia, e protestava quando lei, imbarazzata, cercava di prendere le distanze.

Suzanne notò subito il suo buon umore:

- Ti vedo in ottima forma, piccola. É la primavera? Un miracolo concatenato ad un altro... C'è quasi da andare ad innalzare un nuovo altare a Balder.

Hilda si strinse nelle spalle con fare fanciullesco. Balder era il giovane dio della vegetazione e della luce, e molte delle grazie della bella stagione erano dovute a lui, secondo il popolo di Asgard.

- Oh, ci sono svariati motivi per cui essere di ottimo umore. - Rispose, traendo a sé la ciotola del porridge.

Suzanne si sedette accanto a lei, incrociando sul tavolo le braccia grassocce. Non l'aveva mai trattata come una regina se non dal punto di vista affettivo, e quindi era una delle poche persone che non si rivolgeva a lei con appellativi formali. Hilda gliene era profondamente grata.

- Sentiamoli, allora! -

- La primavera e il sole... - Accennò alla finestra aperta con un movimento del capo, da cui proveniva, attutito dalla brezza e dalla distanza, un suono di violini, - le feste in onore del risveglio della vita... Hmm... Qualcosa di simile alla Beltane dei Celti, non è vero?

- Sarà qualche strascico popolare delle celebrazioni druidiche. Non erano così lontane dalle nostre. Nonostante i secoli, sono tradizioni che tardano a morire, finché il popolo ci crede.

- Non c'è nulla di male nel festeggiare la primavera...

- Beltane non era un tranquillo festeggiamento di campagna, piccola mia... - aggiunse Suzanne lievemente imbarazzata - ... Ma non è male che ne siano rimasti gli echi più... consoni alla morale.

Hilda scoppiò a ridere. Suzanne parlava proprio come una mamma.
Le feste in onore della primavera erano consuetudini comuni a molti popoli antichi, con scopi medesimi anche se avevano nomi diversi. Lei conosceva benissimo gli esiti di Beltane, secoli addietro: la celebrazione dell'unione del Re Cervo con la Vergine Primavera e le feste in onore della vita e dell'amore non erano soltanto simboliche, ma anche fisiche. Ma progressivamente, almeno nell'ufficialità e nel pubblico, si erano ridotte a danze popolari e giochi nei boschi. Nulla che potesse offendere la morale di Suzanne, insomma.
Superato l'attimo di disagio, la donna la invitò a proseguire nell'elenco dei motivi per cui era così allegra, e Hilda, solitamente molto restìa a parlare di sé, quel giorno si sentiva particolarmente loquace. Iniziò a contare sulle dita, come una bambina e come faceva da piccola, ricordò Suzanne con un moto di commozione.

- Dunque... Astrid è totalmente guarita dalle ferite, e sembra anche aver superato il trauma dei lupi; le giornate saranno sempre più lunghe, e posso smettere di ricoprirmi di strati di vestiario infiniti... -

- ...Per non parlare di qualcun altro, che ricomincerà ad andare in giro non ricoperto da strati di vestiario. - soggiunse Suzanne, fintamente sovrappensiero, facendole l'occhiolino.

Hilda arrossì, colta in fallo, ma non fece alcun commento.

Invece si alzò, prese qualcosa da una scrivania, e lo sventolò sotto il naso della donna. Era un biglietto.

- Cos'è questo? - Chiese Suzanne.

- É una lettera di Saori. Saori Kido, la giovane reincarnazione di Atena che venne qui con i suoi cavalieri, dal Sud... Mi ha invitata in Grecia.

- In Grecia? Ma è un viaggio lunghissimo...

- Suzanne, è da un bel po' di decenni che hanno inventato gli aerei; ce la farò. E ci riuscirò persino in giornata, sembra.

- Spiritosa. E tu hai intenzione di andarci?

- Non so... Ma perché no, in fondo? Non ci sono mai stata.

- Ma così lasci tutto... - obiettò Suzanne.

- Non si tratta di partire immediatamente, né di star via molto: Suzanne, conosco i miei doveri. Appurerò l'opportunità di questo viaggio, mi assicurerò di ogni cosa, e infine deciderò. - rispose Hilda con risolutezza.

- Ad ogni modo, sembri proprio decisa... Perché?

Hilda le voltò le spalle, e, sempre con la lettera in mano, si avvicinò ad una finestra. I suoi capelli e le tende semitrasparenti sembravano fondersi nel muoversi al ritmo della brezza e nel rifrangere i raggi del sole. Abbassò la testa.

- Saori vorrebbe ospitarmi e parlarmi, ma non mi scrive solo per se stessa... Lei... Lei scrive anche da parte di Julian Solo.

- E chi sarebbe questo Solo?

Hilda strinse convulsamente la lettera fra le mani: - É la reincarnazione di Poseidone, dio greco dei mari. Il dio era nel suo corpo, quando è successo tutto. La mano e la voce che mi hanno imprigionata nel gorgo nero dell'Anello del Nibelungo erano le sue.

Suzanne si alzò di scatto e urlò: - Per tutti gli dei del Walhalla! Cosa può volere ancora da te?!

- Vuole chiedermi scusa.

Suzanne non credeva alle proprie orecchie. Il minimo che quel Julian/Poseidone avrebbe meritato, a suo giudizio, era la morte più atroce, per tutte le disgrazie di cui era stato causa... Con quale forma di insanità mentale poteva pensare che delle scuse verbali sarebbero state sufficienti?

- Chiederti scusa? Ridicolo. Assolutamente ridicolo.

- Lo so... - Rispose Hilda con un piccolo sospiro - Ma io voglio guardarlo negli occhi. Voglio che lui guardi me quando gli riverserò addosso tutto il male che mi ha fatto. Voglio sapere come pensa di architettare la sua sceneggiata di scuse. -

Il suo sguardo divenne gelido, con una sfumatura di crudeltà repressa che spaventò l'anziana domestica. Poche volte l'aveva vista così tranquillamente decisa a fare e pensare qualcosa di male. Ne ebbe quasi paura. Ma l'ombra sul viso di Hilda scomparve dopo pochi secondi, lasciando il posto ad uno sguardo più calmo e deciso. Ripose con movimenti sicuri il biglietto di Saori Kido in un cassetto, poi aiutò Suzanne con il vassoio della colazione. La donna capì che nessun altro tentativo di dissuasione avrebbe avuto successo, quindi non osò parlare. Capì anche di essere stata congedata, e che la regina aveva adesso preso il posto della figlia adottiva.
Gli occhi di Hilda le dicevano che non ci sarebbe stato più posto per dubbi o ripensamenti. Avrebbe incontrato quella Saori, avrebbe ripreso contatti con elementi di un periodo della sua vita che avrebbe dovuto invece dimenticare; e avrebbe assistito alla patetica recita di scuse di questo Julian Solo, che dava ennesima dimostrazione del proprio valore lasciando ad altri la trasmissione della propria richiesta.
Fosse stato per lei, l'unico modo utile di recarsi a tale riunione sarebbe stato armati di pugnali assortiti. Ci pensava ancora quando più tardi, nelle cucine, riponeva la zuccheriera nell'unico posto che avrebbe, come al solito, suscitato le ire della cuoca.

***

Hilda, per parte sua, corse da Astrid e le raccontò dell'invito.

- É proprio essenziale che tu ci vada? - , commentò lei, dopo aver letto e riletto le parole della Kido, - Non potresti richiedere una formale lettera di scuse a quest'uomo ed archiviare la faccenda?

- No. Io devo guardarlo negli occhi.- risposte Hilda.

Astrid alzò lo sguardo al cielo; poi prese per mano la sorella e iniziò letteralmente a trascinarla.
- Vieni con me. Ho bisogno di un po' d'aria. -

Non era necessario, questa mossa era sbagliata, e sua sorella ne avrebbe di nuovo sofferto. Glielo disse, con tono accorato, una volta che furono giunte all'esterno e che l'aria frizzante del mattino di inizio primavera le ebbe fatte rabbrividire.
Proprio ora che stava riacquistando un po' di serenità! Per un attimo, aveva avuto voglia di strappare quel foglietto in mille pezzi. Sbuffò leggermente, poi carezzò piano la guancia di Hilda, con gli occhi lucidi, ma non aggiunse altro.
Il cielo era splendidamente terso, i raggi del sole sembravano d'oro e d'argento, e l'ultima neve si scioglieva tutto intorno, rendendo l'intera Asgard porcellana disseminata di diamanti. Le due giovani donne camminarono in silenzio per un po', fianco a fianco, in uno dei terrazzi giardino del palazzo. Hilda era grata alla sua neo sorella di quell'atteggiamento; dopo l'ansia materna di Suzanne, e dopo quella che, ne era sicura, sarebbe diventata una crisi di pianto o supplica d'enormi occhioni spauriti da parte di Freya, aveva bisogno di una... disapprovazione più tacita e meno invasiva. Più adulta. Né di mamma verso figlia, né di figlia verso mamma. Astrid trasmetteva sicurezza ad ogni cadenzato, lento, elegante passo che faceva, e l'avere una sorella maggiore così... “sorella maggiore” piaceva enormemente alla regina. Finalmente qualcuno con cui confidarsi da pari a pari, finalmente qualcuno con cui dividere il peso delle sue preoccupazioni, del regno. Chissà, magari un giorno avrebbe persino racimolato da qualche parte il coraggio di parlarle di Siegfried.

Quando giunsero al parapetto del terrazzo, che garantiva una vista mozzafiato sull'intera città immersa nella luce in cui il sole e la neve la avvolgevano, restarono ancora un po' in silenzio a bearsi del suono del vento.

Astrid sapeva benissimo che Hilda avrebbe parlato per prima.

- Sai - iniziò infatti questa, girandosi e appoggiandosi con i gomiti al parapetto di marmo bluastro mentre il suo sguardo si fermava su una fontana sormontata da una statua, al centro del terrazzo, come a cercare in quell'immagine ricordi lontani, – In questo giardino ho sempre preso decisioni importanti. Fu qui che Hagen venne a chiedermi di entrare nel corpo d'élite dei Guerrieri Divini insieme a Siegfried. A dire il vero avevo deciso di accoglierli già da tempo, e Odino aveva mandato I suoi segni per suffragare la mia scelta, ma mi divertii ad ascoltare Hagen che parlava di quanto meravigliosamente due guerrieri audaci e coraggiosi come loro avrebbero protetto me e Freya dai pericoli... -

Astrid accennò una breve risatina, voltandosi a sua volta.
Hilda proseguì: - ...Era così entusiasta che non ho osato contraddirlo neanche quando parlò di una profezia contenuta negli Annali di Asgard circa una guerra che avrebbe minacciato la nostra città... Non gli credevo, naturalmente. Odino non mi aveva mai mostrato questo rischio. Poi la guerra venne, insieme agli stranieri di Saori Kido. Hagen aveva avuto ragione, e io per mesi pensai di essere divenuta incapace di leggere i segni degli dei... E ovviamente responsabile della fine di quegli stessi due ragazzi cui avevo dato l'investitura e l'armatura quel giorno, sotto quella fontana. - La sua voce si fece più fievole mentre lentamente iniziò a dirigersi verso la fontana di cui si parlava. Astrid la seguì.

- Odino quindi aveva visto giusto, scegliendo Hagen e Siegfried. Ha garantito protezione al regno durante la guerra, no?

Hilda la guardò seria.

- No, ha semplicemente garantito loro la morte. Mandò avvertimenti per spingermi a tutelare in qualche modo il mio regno, ma senza spiegare il motivo delle sue preferenze. Poseidone era un nemico troppo pericoloso, e quando si impadronì dell'Anello del Nibelungo per nessuno di noi ci fu più speranza.

- Raramente gli dei motivano le loro azioni. - replicò Astrid, lo sguardo improvvisamente immoto, fisso sullo zampillo d'acqua della fontana, lontano – C'è chi crede, come me, che non siamo che burattini nelle loro mani. Tu sei più fortunata se riesci in qualche modo a comunicare con essi. Magari, un giorno, Odino risponderà ai tuoi dubbi. -

- Dubito che questo avvenga prima della mia morte. Per questo io devo incontrare Julian Solo. Lui è un dio nel corpo di un uomo. Magari questo insieme di divino e umano renderà più facile, per me, chiedere delle spiegazioni e interpretarle. Parla con voce umana, guarda con occhi umani...- Strinse convulsamente le mani tra loro – Io... Glielo devo, capisci? Lo devo a coloro che sono morti in nome degli dei, a coloro che hanno sofferto. Lo devo ad Hagen, e a Siegfried, e agli altri... Io sono l'unico tramite che hanno! È il mio dovere di regina e di sacerdotessa.-

- Poseidone, però, non è Odino, sorella mia...

- Questo lo so. Cosa vuoi dire?

- ...E non pensi che sia il nostro dio, prima di altri, a doverti fornire delle risposte?

L'affermazione di Astrid colpì Hilda sul vivo. Queste improvvise esigenze suonavano nuove alle sue stesse orecchie. Mai la sua fede aveva vacillato. Mai, fino a quel momento, fino alla guerra, fino alla morte. Alzò lo sguardo al cielo, limpido, azzurro e scevro da nuvole. In fondo, lei non era che un essere umano. Quando il mondo attorno crolla, quando sei spettatore muto di una tragedia che non riesci a spiegarti condizionato dalla tua umanità, e pur tuttavia devi sforzarti di restare una roccia incrollabile per sostenere la fede del tuo popolo... Cosa ne sanno, gli dei, di quanto questo può annientare un, seppur forte, spirito non divino? Davvero non si aspettano mai dubbi, da parte di quelle creature che essi stessi hanno creato prive del loro sguardo che abbraccia tutti i quando e tutti i perché?

- Non sta a me giudicare l'operato e le decisioni di un dio. Che Odino mi punisca, se ravvisa in me un comportamento non idoneo quando uso l'intelletto che lui stesso mi ha donato, o se mi comporto da umana qual sono per mano sua. - Disse Hilda infine, lo sguardo sempre fisso al cielo, in una silenziosa richiesta... O una silenziosa sfida - Ma se gli dei non mi rispondono, andrò a cercarmi le risposte da sola. -

I suoi occhi erano di ghiaccio, quando abbassò lo sguardo dal cielo alla terra.
Un iceberg immobile, ma di cui si avverte la potenza solo osservandolo, con la consapevolezza che la vera immensità della sua mole è nascosta sotto l'acqua.

E Astrid pensò che lo spirito umano della regina di Asgard era ben lungi dall'essere spezzato.”

  
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