Serie TV > Elisa di Rivombrosa
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Autore: Crudelia 2_0    17/12/2019    3 recensioni
Bussa alla tua porta dopo quelli che ti sono sembrati secondi troppo, troppo brevi.
Vi scambiate saluti e formalità privi di importanza, inudibili sotto il rombo nelle tue orecchie. Poi un’affermazione infrange quel vetro, l’ultima tua protezione.
“Dovreste togliervi la veste.”
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Ristori, Antonio Ceppi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aggiornamento anticipato: la prossima settimana, sorpresa di Natale!
In cambio, fate voi un bel regalo a me: una recensione.
Crudelia
 
 
 
Capitolo 7
 
 
 
Si sapeva.

Generico.

Lo sapevano tutti.

Più specifico.

Lo sapevi tu, che lo vedevi morire ogni giorno.

Lo sapeva lui, che ha fatto chiamare l'avvocato.

Lo sapeva vostra figlia, che ti chiedeva se e come doveva salutare il padre.

Anche conosciuto è il motivo.

Inutile, allora, fingere dispiacere e rammarico. Non ci sono buone azioni da ricordare, bei gesti da rimpiangere.

Alvise non era una brava persona. Non era un brav'uomo, un bravo marito, un bravo padre. Nemmeno era un bravo padrone o un bravo amministratore per la tenuta.

Difficile che le parole del curato non suonino vuote e prive di significato nella navata gremita di gentiluomini e nobildonne vestiti di nero.

Due cose sapeva fare: tradirti e sperperare al gioco d'azzardo.

Tutti in quella chiesa lo sanno, tutti ti porgeranno condoglianze volte a nascondere il sollievo che la sua morte ha procurato.

Sollievo tuo e loro.

Ma soprattutto tuo.
 
 
 
Hai tergiversato abbastanza, ma ora ne sei sicura.

Due mesi sono sufficienti per capirlo, ma, nel tuo profondo, lo sapevi già da parecchio.

Una donna, come sempre ti ha detto tua madre, queste cose le sente.

Dovresti allora deciderti ad uscire dalla stanza nella quale continui a camminare e affrontare tuo marito. Che poi era tutto ciò che voleva da te, quindi cosa temi?

Non lo sai.

O meglio, lo sai, ma hai troppa paura per ammetterlo anche a te stessa.

Ti fermi davanti alla porta. Poggi la mano sul pomolo dorato e prendi un respiro.

Ti convinci che quando avrai finito di espirare uscirai.

Ma i respiri diventano due, tre, quattro, sempre più profondi, lenti, lunghi.

L'ansia che senti in fondo allo stomaco non si sta placando, per questo, quando esci infine con il mantello già sulle spalle, hai cambiato destinazione.

La carrozza non è pronta, ma dai ordine che lo sia il prima possibile.

"Anzi, lo deve essere subito." Anche l'inchino con cui Maria si congeda è il più frettoloso possibile.

Scendi le varie scalinate con calma, godendo dell'eco dei tacchi nei grandi corridoi vuoti.

Quando arrivi all'ingresso la carrozza ti sta già attendendo e un'ondata di sollievo ti invade.

Ti affretti a salire e sei quasi sicura di avercela fatta quando il piede sale sul gradino per essere seguito dal resto del corpo.

"Dove state andando?"

Ecco, appunto.

Torni a terra e incroci le mani tra loro in una posa più decorosa, imponendo al tuo viso di non assumere un'espressione colpevole perché non hai alcun motivo per esserlo.

"Da mia madre, a Rivombrosa." Rispondi, calma.

"Di nuovo? Ci siete andata la settimana scorsa!"

L'unica tua risposta al suo tono già infuriato è alzare le sopracciglia con aria di sufficienza.

"Pensavo di essere libera di lasciare casa mia per un paio d'ore." Dici quando il silenzio è già durato troppo. E tu hai fretta di andartene.

Arrossisce di rabbia, conscio di non potertelo impedire. "E va bene, andate. Andate, di grazia!"

Ti fa sgarbatamente segno con la mano di andare e sei svelta ad ubbidire, per una volta.

Sei di nuovo a metà strada dal salire nell'abitacolo che la sua voce ti ferma.

"È così che salutate vostro marito?"

Chiudi gli occhi e respiri, esasperata, prima di voltarti.

È più vicino di quanto vorresti, ma non opponi resistenza né lo assecondi, neanche quando la sua bocca è sulla tua e le sue dita schiacciano le guance per farti aprire le labbra che tu continui a tenere chiuse, testarda, anche se le dita scavano nella carne tenera fino a lasciarci il segno.

"Andate, allora!" Com'è iniziato finisce, e già ti volta le spalle mentre sali.

Ti appoggi allo schienale e ti accarezzi il grembo, ancora piatto sotto la complicata trama del bustino, e adesso che sei sola, cullata dal moto ondeggiante dato dai cavalli lanciati al trotto, non riesci ad impedirti di pensarlo: speri che sia femmina, perché se dovesse essere maschio, e assomigliare ad Alvise, non riusciresti ad amarlo come una madre dovrebbe.
 
 
 
"A mia moglie Anna Ristori Radicati, poiché a me legata dal sacro vincolo del matrimonio, concedo la possibilità di continuare a risiedere a Palazzo Radicati, purché venga rispettata la sua condizione di vedova: che nessun altro possa godere dei beni che per secoli e generazioni sono appartenuti alla famiglia Radicati di Magliano.
A mia figlia, Emilia Agnese Sofia Radicati Ristori, lascio ogni mio bene."

Anche nella morte ha trovato il modo di umiliarti, ma almeno una tua volontà l'ha rispettata.
 
 
 
L'unico suono che si sente è quello delle posate contro la ceramica, l'occasionale gorgoglio delle bevande, le saltuarie domande della servitù.

Pochi mesi di matrimonio sono bastati per trovare il modo più veloce e indolore per superare le poche occasioni in cui dovete stare a contatto.

La cena, ad esempio.  
      

"Sono incinta." Esordisci all'improvviso.

Avresti almeno potuto prepararlo, tenere un discorso, ma ogni tentativo che hai fatto nella tua mente ti sembrava sciocco e futile.

"Cosa?"

"Aspetto un bambino." Alzi gli occhi dal piatto, dal cibo con cui distrattamente giocavi, e lo trovi a fissarti, la forchetta a metà strada tra la bocca e il piatto.

Potrebbe sembrare quasi comico, se i suoi occhi non avessero sempre, costantemente, traccia di quella sua rabbia latente che rischia di sfociare nella pazzia.

"È mio?"

Tocca a te essere stupita, adesso.

Sbatti le palpebre, confusa. "Come?"

"È mio questo figlio? Non mi avete tradito?"

"Come osate-"

"In una delle vostre frequenti visite a Rivombrosa non siete stata con quel dottoruncolo che tanto amavate e che ha addirittura avuto l'ardire di venire al nostro matrimonio?"

Lo guardi stupefatta, le labbra dischiuse. Dovresti ribattere, difenderti, ma l'ultima sua frase ti ha lasciata senza parole.

Se dovessi trovare un pregio a tua marito sarebbe senz'altro la capacità di individuare le debolezze altrui e affondare la lama finché le ferite diventano così profonde da non rimarginarsi.

"Non rispondete! Dunque ho ragione, voi-"

"Basta!" La cristalleria tintinna per la violenza con cui hai colpito il tavolo. "Non osate pronunciare un'altra parola."

Ti guarda dal basso e puoi quasi scorgere una scintilla di ammirazione nei suoi occhi. Forse perché hai trovato il coraggio di ribellarti, forse perché per zittirlo ti è bastato usare un tono deciso e non sbraitare come lui è solito fare.

"Questo figlio è vostro." Inizi dopo un attimo di silenzio assoluto. "Voi lo riconoscerete come vostro erede, crescerà in questa casa, gli garantirete la migliore educazione e farete in modo che tutto questo, alla vostra morte, rimanga suo e suo soltanto." Non hai mai distolto gli occhi dai suoi, decisa e caparbia.

L'hai assecondato fin troppo, fin'ora, ma non sarà così ora che dalle tue battaglie dipende anche la vita di un bambino. 

Lasci il tavolo senza aggiungere altro e senza dargli la possibilità di ribattere.

Hai sacrificato la tua vita, ma non permetterai che venga rovinata quella di tuo figlio.
 
 
 
Antonio, amore mio,
non sai che gioia e malinconia mi da il poter scrivere queste parole. Mi riporta ad anni addietro, a giorni più felici in cui consideravamo scambiarci lettere la prova del nostro amore, sotterfugi per dirci parole che avrebbero fatto impallidire mia madre e rendere rosso di rabbia mio padre.

E con quale trepidazione aspettavo le tue risposte!

Ma ora molte cose sono cambiate. Questa lettera non dovrà davvero correre il rischio di essere trovata, per questo cercherò di fartela arrivare dalle mani di qualcuno che sia più che fidato. Non solo per la mia improvvisa condizione di vedova, ma non c'è bisogno che te lo ricordi.

Mi sono accorta di quanto, in mancanza di una malattia o un malore, sia difficile per noi due incontrarci. O, almeno, fingere un incontro casuale.

Eccomi, quindi, giunta al fulcro della questione: vorrei vederti.

Spero non ci sia bisogno di ricordarti dove eravamo soliti nasconderci, confido che tu abbia serbato quei momenti nel cuore, così come ho fatto io. Ti aspetterò là, domani pomeriggio.

Con tutto il mio amore,

Anna
 
 
 
Il pomeriggio si presenta plumbeo e gravido di pioggia, ciononostante non riescono a dissuaderti dal partire per una passeggiata a cavallo. Hai assicurato di avere con te il tuo mantello più pesante, quindi perché preoccuparsi.

Sono anni che non cavalchi e subito sei un po' impacciata a causa dell'ingombrante abito nero, ma fai presto ad abituarti.

Arrivi al luogo dell'incontro mettendoci più tempo di quando eri ragazza, ma riesci a smontare con relativa disinvoltura.

Leghi il cavallo ad un albero vicino, troppo timorosa per lasciarlo libero a pascolare, e inizi a guardarti attorno. Non è molto cambiato: forse qualche cespuglio ha vinto la battaglia contro la radura guadagnando terreno, ma il grande cespuglio di rose è rimasto lo stesso.

Ti siedi su un masso piatto e apri il libro che ti eri portata per ingannare l'attesa. Non riesci a leggere molto, comunque, troppo intenta a osservare il paesaggio e a rincorrere ricordi. Ti sei appunto alzata per osservare le rose che tanto ami quanto uno scalpiccio di zoccoli ti fa voltare.

È quasi una settimana che non vi vedete e appena incroci il suo sguardo senti un sorriso nascerti sulle labbra, subito ricambiato.

Lo osservi smontare e legare il cavallo con più agilità di quanta tu ne abbia avuta ed è subito al tuo fianco.

Sentirti avvolta dalle sue braccia e dalle sue labbra è come rinascere.

Ti godi il suo abbraccio finché lui non ti scosta quel che basta per guardarti negli occhi.

"Come stai?" Hai sempre amato il modo in cui te lo chiede: mai per cortesia o educazione, ma vero interesse e premura.

Non rispondi, muovendo il capo fra un diniego e un assenso. "Hai saputo?"

Scuote la testa, stringendo le labbra. "In paese si dice solo quanto sia strano che tu non sia ancora tornata a Torino."

"Oh, e dovrò andarci." Sbuffi, la gioia dell'averlo rivisto già evaporata.

Senti il suo palmo sulla guancia e torni a guardarlo.

"Ti ho mai detto che con il nero sei ancora più bella?"

"Non dire sciocchezze." Però sorridi.

"Cosa farete adesso?" La mano è scivolata lungo il braccio, intrecciando le dita alle tue. Iniziate a passeggiare.

"Elisa e Fabrizio aspetteranno che finisca il lutto e poi si sposeranno. Non possono aspettare troppo o la pancia inizierà a vedersi."

"Capisco."

Continuate a camminare in silenzio mentre tu cerchi le giuste parole.

"Antonio." Ti fermi, iniziando a giocare nervosamente con le mani. "È stato letto il testamento di Alvise, ieri."

Ti guarda in silenzio, aspettando che continui. Paziente, non ti mette fretta.

"Posso vivere a Palazzo Radicati, purché sia sola."

Aggrotta le sopracciglia. "Che significa?"

"Che io non-" Sospiri. "Che non posso risposarmi."

Puoi contare i battiti del tuo cuore nel silenzio che segue.

"Non può essere, non può farlo."

"Non lo so..." Ti passi una mano sulla fronte, ad un tratto stanca. "Non lo so, è tutto così confuso."

"Troveremo una soluzione." Ti si avvicina, ma lo respingi.

"E come? Dovrei chiudere Palazzo Radicati per vivere alla tenuta, oppure tu vivrai con me come mio amante?"

Sai che più che le parole è stato il tono sarcastico a ferirlo.

"Lo farei, Anna." Ti risponde, serio.

E la cosa peggiore è che lo sai.

Lo sai che getterebbe le sue battaglie giovanili, i suoi ideali, la sua dignità per stare al tuo fianco come amante, consapevole che ad uscirne nel modo peggiore sarebbe lui. In fondo, la corte è piena di nobildonne annoiate che vivono fugaci passioni alle spalle dei mariti, tu saresti addirittura tutelata dalla tua vedovanza.

Sospiri, chinando il capo, perché non potresti mai chiederglielo.

"Non posso." Mormori. “Non possiamo.”

Non che non vuoi, ma non puoi fargli questo. Se potessi essere certa che per lui non ci sarebbero conseguenze non esiteresti un attimo a salire su quei cavalli, partire per Torino e dar finalmente il via alla vostra vita insieme.

"Troveremo una soluzione." Ripete. Ti sposta una ciocca di capelli con una dolcezza che ti fa commuovere. "Aspetteremo il matrimonio di Fabrizio ed Elisa, poi decideremo."

Annuisci, confrontata dal suo tono pacato. Appoggi la fronte alla sua spalla, beandoti ancora una volta del suo profumo e calore.

"Antonio." Chiudi gli occhi per prepararti a fare la domanda che hai dentro da un po'. "E se fossi malata?"

Avresti voluto chiederglielo prima, prima che vi spingeste troppo oltre e ti fosse impossibile tornare indietro, convincerti ancora una volta che puoi vivere senza di lui.

Senti il suo naso percorrere la linea del tuo collo prima di baciarti nel tuo punto più sensibile. "Un modo per scoprirlo ci sarebbe."

"Non scherzare." Ma i brividi e il sorriso tradiscono il tuo intento compassato.

Apre la bocca per ribattere, forse baciarti per come si protende verso di te, ma un tuono esplode sulle vostre teste subito seguito da gocce gelate che iniziano implacabili a colpirvi.

Ridi, mentre ti prende per mano e correte.

Ridi, quando arrivate ai cavalli e ti aiuta a slegare le briglie.

Ridi, quando ti bacia, capelli e abiti fradici e incollati alla pelle.

Ridi, quando ti aiuta a salire, ma ti aggrappi alle sue spalle per avere un altro bacio.

"Vai a casa, amore mio, o ti ammaler-" Ma premi la tua bocca sulla sua e non lo fai finire. Senti il suo sorriso contro il tuo e vorresti non finisse mai.

Vi staccate e ti tuffi nei suoi occhi prima che lui sproni il cavallo e lo lanci al galoppo.

Arrivi alla tenuta in compagnia delle ultime gocce, la loro freschezza fin dentro gli abiti, il sorriso sulle labbra.








 
   
 
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