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Autore: Crudelia 2_0    03/01/2020    1 recensioni
Bussa alla tua porta dopo quelli che ti sono sembrati secondi troppo, troppo brevi.
Vi scambiate saluti e formalità privi di importanza, inudibili sotto il rombo nelle tue orecchie. Poi un’affermazione infrange quel vetro, l’ultima tua protezione.
“Dovreste togliervi la veste.”
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Ristori, Antonio Ceppi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nuovo anno, nuovo capitolo!
Avevo detto che sarei tornata ad aggiornare puntuale al giovedì, chiedo scusa per il ritardo: purtroppo la febbre post Capodanno mi ha colpita (certo è che uscire con le sole calze velate quando fuori ci sono -4 gradi non è una grande idea,
mea culpa).
Mi farò perdonare con questo capitolo lungo e, purtroppo, l'ultima prima dell'epilogo.
In ogni caso, come sempre, il vostro parere è più che gradito.
Crudelia




 

Capitolo 9
 


 
La preoccupazione stringe lo stomaco e blocca la gola.

Deglutire è un compito che sembra occupare ore, un boccone amaro che ostruisce la trachea e impedisce all'ossigeno di raggiungere i polmoni.

Il cuore batte contro le ossa in virtù del suo essere involontario e ad ogni palpito fa male, male, male perché potrebbe spezzarsi, se solo la notte decidesse di finire posando il suo drappo nero sul suo corpo, per sempre.

E il sole sorgerebbe sui suoi occhi spenti, vacui, vuoti. Morti.
 


Bussano alla porta.

I vestiti ancora ad asciugare davanti al fuoco, bagnati testimoni del loro incontro.

"Dottore, siete in casa?"

È l'urgenza nella voce a fargli aprire la porta -forse l'intestino già sapeva, per questo si contorceva.

"Angelo."

Capelli appiccicati alla fronte, occhi sgranati.

"Dottore, dovete venire. La Marchesa sta male."

Subito non capisce: non è mai stata marchesa, per lui. Nonostante suo marito, nonostante la fede sul dito, nonostante l'evidenza.

Le guance perdono colore, l'aria manca.

"Dottore?"

"Arrivo." Ma forse l'ha detto troppo piano e il ragazzo non l'ha sentito, per questo lo guarda interrogativo.

"Arrivo." Ripete, schiarendosi la gola.

Già non riesce a respirare.
 


Intreccia le dita con le sue e le sente gelide, sotto il sudore.

Prima erano bollenti, ha fatto di tutto perché quel calore malsano l'abbandonasse, ma non era questo ciò che voleva ottenere.

Sarebbe impazzito, se l'avesse persa. Ora come mai prima sente tutti gli errori commessi pesargli sulle spalle, il destino ridere e farsi beffe del suo dolore.

Donna amata, donna perduta, donna ritrovata.

Quante donne dovevano ancora pagare per le sue colpe, quanto dolore prima che scontasse la sua pena?

"Ti prego, Anna." Un sussurro perso tra i deliri malati, una supplica sbocciata nello spazio tra labbra e pelle bollente.
 


"Aprite le finestre." La voce ha quella sfumatura accademica che trova risposta nel rispetto della gente.

"Portatemi acqua fredda." Le scosta le coperte con un'urgenza che mai le avrebbe rivolto. "E riempite la vasca."

Al suo fianco Amelia si torce le mani, le labbra livide e i capelli in disordine.

"Stava bene, quando è tornata."

Quasi non la sente, impegnato a tastare la fronte e la gola ingrossata della donna.

"Si è cambiata ed è scesa a cena."

Sant'Iddio, l'aveva lasciata andare. E sì che casa sua era più vicina.

Un altro errore, un'altra mancanza.

"Ecco l'acqua, dottore."

Gesti frettolosi per togliere la giacca, rimboccare le maniche.

"Fredda, come avete chiesto."

"Altre pezze."

Ha già immerso le mani in quel gelo bagnato e le terge il sudore dalle ciocche madide. Le pupille si muovono frenetiche sotto le palpebre chiuse, mentre mormorii e fiati spezzati le aprono le labbra screpolate.

Gocce le scendono per le tempie e per un folle momento prova l'impulso di chinarsi e baciarle via dalla sua pelle.

Bagna un'altra volta il fazzoletto prima di posarglielo con delicatezza sulla fronte, poi ripete l'operazione con altre pezzuole poco più bianche della sua pelle a rinfrescarle polsi e caviglie. 

Torna al suo viso, a tergerle collo e petto con lente carezze. Sarebbe facile perdersi tra quelle cure e cedere al richiamo delle sue curve.

"La vasca è piena, dottore."

"Bene."

Le braccia scivolano sotto le spalle e le ginocchia per avvicinarla al petto, cullarla, sentire il dolce peso della sua testa contro la spalla mentre, frettoloso, cammina verso il bagno.

E non gli importa delle convenzioni infrante, barriere valicate, protocollo infangato e occhiate sconvolte, è pronto a scansare di lato chiunque e qualsiasi cosa si interponga fra lui e quella vasca. Troppo consapevole del tempo nemico, consapevole di quella malattia invisibile, consapevole delle vite che aveva già stroncato e di quella troppo importante che sta tenendo tra le braccia.

La immerge -quasi la butta- nella vasca di ottone e osserva con occhi sgranati e iniettati di ansia la sua bocca aprirsi in un muto urlo e il petto alzarsi in un respiro tanto improvviso quanto doloroso.

"Dio, Anna." Le parole sfuggono dalla bocca nello stesso momento in cui le ginocchia colpiscono il morbido tappeto in un tonfo. 

Un gemito.

Forse è il suo nome o forse un sospiro rotto, la mano artiglia il bordo della vasca con uno spasmo che ha il sapore del panico.

Mai grande quanto il suo -terrore di perderla.

Prende la sua mano e la sente fredda.

"Antonio." Questa volta non si è sbagliato, è il suo nome la prima parola che, rauca, ha pronunciato, ancora vittima dei fumi influenzali.

"Anna." Serra i denti con violenza per impedirsi di aggiungere altro. Dirle che la ama, adesso, supplicarla di non lasciarlo, suonerebbe patetico, disperato, perfino per lui.

"Fa freddo." Le palpebre calano a celare gli occhi, il capo reclinato indietro.

"Devo abbassare la temperatura." Una giustificazione, una scusa per quell'ulteriore dolore che continua ad infliggerle.

"È piacevole." Ma non sa più se si riferisce alla carezza dell'acqua che le bagna il corpo e rende trasparente -troppo troppo- la sottile camicia da notte oppure alle sue mani che hanno ripreso a rinfrescarle il viso congestionato.

"Cambiate le lenzuola." Sa che l'hanno sentito perché le sente iniziare ad affaccendarsi intorno a loro, ma l'attenzione rimane per la donna che ha di fronte: continua a fissare le sue labbra sperando che il fiato non smetta di uscire.
 


Errori che continuano a far male, pulsare, vomitare sangue senza mai rimarginarsi, senza mai dare un po' di tregua a quel tormento che toglie il sonno e la speranza.

Lei era sale su quelle ferite, lama implacabile che affondava con occhi carichi di rancore e parole amare di orgoglio ferito.

Lei era cura, medicina, balsamo per quelle piaghe: mani che accarezzavano con dolcezza infinita, bocca che baciava fino a far perdere il senno, braccia che stringevano da togliere il respiro, corpo da amare, venerare, toccare con devozione.

Le gambe cedono, la testa tra le mani.
"Non me lo perdonerò mai e non pretendo che tu lo faccia, ma se dovessi andartene..."
"Se dovessi andartene non sopporterei l'idea di non aver colto l'occasione di amarti."

E adesso rischiava di impazzire, sapeva fin troppo bene che il destino non offre una terza occasione.
 
 

"Quel porco si è portato via tutto lasciandomi solo debiti, non si porterà via anche mia sorella."
"Calmati, Fabrizio. Fare così non-"

"Calmarmi? Calmarmi!? Betta Maffei se n'è andata in una notte e tu non sei stato in grado di fare nulla per lei, cosa ti fa pensare che ades-"

"Fabrizio, stai esagerando." La mano della futura contessa a stringere il polso con le dita sottili.

Determinazione in occhi cerchiati, disperati.
 
 
"Antonio, a cosa stai pensando?"
"Lucia... Non ti avevo sentita rientrare."
"Ti tremano le mani."
"Sono solo stanco, è stata una mattina... intensa."
"Non ce l'ha fatta?"
"Aveva solo dodici anni."
"Non è colpa tua."
"Era troppo giovane, troppo magra, troppo fragile, tropp-"
"Antonio..."
"Non sono riuscito a fare nulla."
"Non è colpa tua..."
"Se non fossi l'uomo che sono..."
"Cosa?"
"Tutte le donne che tocco non sarebbero condannate a soffrire."
"Antonio, cosa stai dicendo?"
"Nulla... Nulla, sono solo stanco."
 



Le candele gettano i loro aloni sulla pelle pallida e i ricci disordinati della donna addormentata, conferendole una bellezza quasi eterea, ma nessuno la coglierà mai.

L'uomo, al suo fianco, tiene il capo chino, la fronte appoggiata alle loro dita intrecciate. Le labbra si muovono piano, scandendo parole mute e serrandosi per trattenere singhiozzi.

Forse prega, forse le parla o forse, ormai disilluso, si sta arrendendo.

Oppure, ancora, ricorda.
 


La guarda meravigliato mentre scende le scale, il modo in cui le pietre che le impreziosiscono il vestito catturano la luce delle candele facendola risplendere. Ha un sorriso lieve sulle labbra, quasi imbarazzato, ma sembra nascondere impazienza.

Sono passati molti anni da quando l'ha vista per la prima volta. Otto, se non ricorda male. E la bambina con gli occhi che brillavano per la corsa in biblioteca è diventata una giovane donna che sa calarsi perfettamente in società, si muove con disinvoltura tra sorrisi e broccato intrattenendo ospiti e dame.

Continua ad osservarla mentre un nobile la invita a ballare, si riscuote quando la scorge a pochi passi, un’eco cristallina della sua risata causata dalle giravolte veloci.

Il prossimo giro sarebbe stato suo.

Si avvicina che lei ha ancora il fiato corto.

"Contessina Ristori." Un baciamano galante, cortese, educato. Distaccato.

"Conte Ceppi." C'è una sfumatura sorpresa in quel sorriso.

"Vi ricordate." La mano scivola sul corpetto rigido avvicinando i corpi che rimangono alla distanza imposta dal buon costume.

"Certamente." Un lampo negli occhi, troppo veloce perché si possa riconoscere.

Il primo giro di valzer passa pressoché in silenzio. Dovrebbe obbligarsi di smettere di far cadere gli occhi su quelle labbra atteggiate a sorriso e parlarle.

Quello che le dice, infine, è di una banalità disarmante. "Dove siete stata? Fabrizio mi ha accennato ai vostri studi."

Annuisce leggermente. "A Parigi." Distoglie gli occhi, evasiva, spostando leggermente la mano sulla spalla. "E voi?" Sembra l'abbia chiesto più per dovere che reale interesse.

"Studio medicina."

"Volete diventare medico!" Gli occhi sono tornati ai suoi, le sopracciglia inarcate con sorpresa. "Andrete a corte?"

La sua ingenuità gli provoca un sorriso dolce in risposta, trova posto nel petto, una bolla che si sta gonfiando.

"Ancora non lo so."

Ma i suoi occhi sono già distanti. "Dev'essere bello." La mente persa in sogni ancora giovanili, lucenti speranze e utopiche realtà.

La musica sfuma nel brusio della nobiltà prima che lui fosse pronto a lasciarla.

"Permettete?" Ma le ha già sistemato la mano nell'incavo del gomito e la sta conducendo all'esterno.

Lei non risponde, tuttavia lo segue docile.
Che la docilità non facesse parte
 di lei l'avrebbe scoperto tempo dopo.
 
"Avete dei giardini splendidi."

"Lo sono." Asserisce con tono leggero. "Quando sono in Francia sono la cosa che più mi manca."

"Non vi piace Parigi?" La musica giunge dalla finestra aperta sopra le loro teste, sfondo alla loro prima conversazione spezzata dai passi sulla ghiaia.

"Parigi è una bella città, ma un piccolo convento non offre queste viste." I suoi occhi spaziano sulle siepi curate e i boccioli in fiore, le fontane zampillanti e le lanterne che ondeggiano nella tiepida brezza estiva. C'è rammarico, nella sua voce.

Il ragazzo continua a guardarla rapito, chiedendosi quali pensieri si stanno schiudendo dietro i grandi occhi chiusi, se mai lei l'avrebbe messo a parte di quei segreti.

Si ritrova a desiderare di conoscere la sua opinione tanto sui giardini quanto la letteratura, i pettegolezzi da salotto e l'amministrazione di una tenuta.

Si morde le labbra per impedirsi di dirle quant'è bella.

"E i vostri studi?" Pare riscuotersi sotto il peso del silenzio che lui non ha avuto il coraggio di infrangere. "Devono occuparvi molto tempo."

"Non molto, veramente." Adesso che il discorso verge su di lui è molto più restio a parlare. "Studio al mattino, il pomeriggio mi alleno." Un breve sospiro trattenuto. "Mio padre non ha ancora rinunciato all'idea che mi faccia soldato."

"Ecco come avete conosciuto Fabrizio." Non una domanda.

"Esatto." La sua mano lascia il braccio per sistemarsi un angolo dello scialle, forse sceso a causa del vento, forse solo per staccarsi.

"Mi chiedevo come aveste incontrato quello scapestrato di mio fratello." Gli angoli delle labbra incurvati, un'occhiata complice che ha il potere di fargli tremare il cuore.

"Vostro fratello è un ottimo spadaccino."

"Lo sarà quando imparerà che la guerra si vince con l'intelligenza e non con la sola forza."

Continua a camminare, ma lui si è fermato, colpito da quella frase che nasconde molta più conoscenza di quanta le vuote chiacchiere da salotto possano offrire. 

Si volta, accorgendosi di essere rimasta sola, e alza le sopracciglia in quel gesto che lui ha già imparato a riconoscerle come proprio.

"Non venite?"

"Siete bellissima, questa sera."

Non pensava di vederla arrossire, ma le guance rosate mettono in risalto i grandi occhi e le labbra schiuse.

Sarebbe affondato, in quella bocca, se solo avesse potuto.
 


"Antonio." Appena un sussurro, ma risuona come un urlo nel silenzio profondo di quella notte eterna.

"Anna." La testa si alza di scatto, quasi preoccupata che fosse un'illusione. "Come ti senti?"

Prende un respiro profondo, la mano libera si alza lentamente. Tutto il peso del mondo attaccato a quelle dita.

"La testa..." Gli occhi a coprire le palpebre chiuse. "Mi fa male."

Pare riscuotersi e si alza dalla sedia che lo ospita da ore, si alza senza mai lasciarle la mano, come se quel contatto la tenesse ancorata a lui, alla vita, alla flebile speranza in un futuro in comune.

"Bevi." Le accosta con dolcezza un bicchiere alle labbra, inclinandolo appena perché riuscisse a bere.

Quando torna a posarlo sul comodino la donna stringe gli occhi al lieve tintinnio del vetro contro il marmo.

Le sfiora i capelli, toccando la fronte che continua a scottare.
"Dovresti pregare, Antonio."
"Sono un uomo di scienza, io non prego."
 
Parole vuote che gli tornano alla mente. Forse solo Dio, se c'era, le avrebbe permesso di superare quella notte e dissipare finalmente l'ombra della malattia dalle loro vite.

"Ho freddo." Gli occhi della donna, così grandi e profondi, brillano offuscati mentre alza lo sguardo sul medico.

Fa in fretta ad alzare le coperte, ma lei lo ferma.

"No." Deglutisce, anche poche parole sono faticose. "Vieni qui."

Resta immobile, le mani al fianco del suo corpo. "Non posso."

Corruga la fronte. "Abbracciami." Non una richiesta, un ordine con quel tono da bambina viziata che in gioventù le strappava a
forza di baci.

Le si corica al fianco con circospezione. Per farla contenta, si dice, esaudire quel desiderio che potrebbe essere l'ultimo.

La verità, nel profondo, è che vuole bearsi di quel corpo come un assetato alla fonte.

Le passa un braccio attorno alle spalle mentre lei appoggia la guancia alla sua spalla, sospirando come chi dalla vita ha ottenuto tutto ciò che desiderava.

"Antonio." Occhi chiusi, sorriso lieve.

"Sono qui." Le accarezza i capelli per impedirsi di stringerla a sé fino a farle male.

"Non lasciarmi."

"Non potrei mai."

Ma non lo sente, sta già dormendo.


 
La vede e già da lontano il cuore inizia a battere poi forte.

Sono mesi che non la incontra. Potrebbe -vorrebbe- chiederle di scambiarsi corrispondenza, ma il loro rapporto non è niente più che una conoscenza: amico del fratello, timido corteggiatore.

"Contessina Ristori." Un cenno formale con il capo che viene ignorato.

Deve aspettare che gli occhi, pigri, arrivino al punto prima che si alzino nei suoi per offrirgli una risposta. "Conte Ceppi."

Si siede al suo fianco, entrando nella fresca ombra del gazebo, e le prende la mano per posarci le labbra.

"Mi ha detto vostra madre che vi trovavate qui." Sente sempre il bisogno di giustificarsi davanti ai suoi modi impeccabili.

"È un posto tranquillo, perfetto per leggere." Abbraccia con lo sguardo la distesa d'erba pianeggiante fino all'intrico di siepi all'ingresso, il pioppo che getta la sua ombra placida in quell'angolo di giardino che sa essere il suo preferito.

"Quando siete tornata?"                                             

"Due giorni fa."

"Non lo sapevo."

Non risponde, come sempre quando pensa che aggiungere parole non abbia significato. Si limita a riportare tranquilla gli occhi al libro che tiene ancora in grembo.

"Se me l'aveste detto sarei venuto prima."

Riporta l'attenzione su di lui e lo guarda a lungo prima di parlare.

"E perché avrei dovuto?" Il tono educato si scontra con la durezza delle parole come uno schiaffo.

"E perché non dovreste?" Non le ha mai mancato di rispetto, ma l'impazienza adesso si fa strada nella sua bocca e nei suoi occhi.

"Se volete scusarmi, sono molto stanca." Si alza senza degnarlo di uno sguardo in più e inizia ad allontanarsi mentre lui, attonito, la guarda ancora seduto.

"Come?" Poche falcate ed è già al suo fianco nonostante lei si sforzi di camminare in fretta.

"Devo ancora riprendermi, è stato un lungo viaggio."

"Siete tornata da due giorni!"

"Sono molto stanca."

Non avrebbe accettato ancora una volta che scappasse. Non si da il tempo di pensare, la mano si allunga verso il suo gomito per fermarla, farla voltare.

"Adesso basta, Anna."

Il libro cade.

"Antonio, ma che fate?"

La gonna sbatte contro le gambe in un fruscio.

"Ma cos-" Non finisce di parlare che le dita, ferme, le tengono il mento per far incontrare i loro occhi.

"Sono stanco, Anna. Prima ti avvicini, poi ti allontani. Ogni passo verso di te me ne costa tre indietro, sono stanco."

"Antonio, mi fate male."

La mano allenta la presa, poi scende lentamente sul collo: sfiora le clavicole accarezzate dai capelli, il leggero ricamo del corsetto che va a perdersi in mille fili rigidi che si tuffano nella gonna. Le strappa un respiro violento quando i polpastrelli toccano la pelle delicata del seno, prima di posarsi sull'altro braccio.

"Se non mi vuoi dillo, lo accetterò, ma non tenermi in questo limbo."

Ma forse l'avrebbe baciata lo stesso, per togliersi almeno una volta la voglia di assaggiare la sua bocca.

"Io..." Deglutisce, il respiro affannato e gli occhi sgranati.

L'aveva spaventata, che stupido.

"Va bene." Le mani scivolano lungo le sua braccia fino ai polsi sottili, poi ricadono abbandonate lungo i fianchi. "Vi chiedo scusa, Contessa."

Un passo indietro, umiliante resa.

"No!" La voce acuta, strozzata. Ricopre la distanza fra loro con le guance che avvampano per l'audacia. "Non andate."

Una supplica mascherata da ordine, ma le mani pregano, ancorate tremanti alla camicia.

"Io..." Abbassa il viso, cercando tra l'erba il coraggio che non possiede. "Io ho paura." Alza gli occhi mentre sputa quelle parole.

"Di me?" Solo un sussurro, più forte sarebbe un'agonia.

"Di quello che provo." Respira in fretta, respiri che rompono il fiato. "L'intensità di quello che provo... fa male. Quando ci siete voi..." Gli occhi vagano al paesaggio attorno senza vederlo, alla ricerca delle parole corrette. "Quando ci siete voi mi manca l'aria. E qui-" Gli prende una mano portandosela al petto. Può sentire il ritmo violento del cuore sotto la pelle calda. "Un dolore sordo, continuo, che mi soffoca. Ma quando andate via..." Deglutisce, imponendosi di finire quello che ha iniziato. "Quando andate via è anche peggio."

Abbassa lo sguardo, incapace di capacitarsi di ciò che ha detto.

"Anna." Un sussurro emozionato, dita che tornano sul mento a pretendere il suo sguardo. "Anche io."

Po, lentamente, finalmente, le loro bocche tremanti, cariche di sospiri violenti e parole spezzate, si incontrano per la prima volta, perdendosi nel sapore dell'altro.
 


La donna borbotta qualcosa mentre si volta su un fianco. Il braccio si allunga verso il fianco dell'uomo al suo fianco che, nonostante i tormenti, ha ceduto al sonno.

La donna strizza gli occhi, prima di socchiudere le palpebre ancora pesanti da ore di malattia. Si sente meglio, ma teme possa essere un'impressione dettata dal risveglio accanto all'uomo che ama e che accarezza.

Sorride quando incontra i suoi occhi azzurri, subito svegli e preoccupati.

"Anna." Si solleva su un gomito per osservarla meglio. "Come ti senti?"

"Bene." Sorride mentre le mani dell'uomo le tastano la fronte e la sentono finalmente fresca.

Lui chiude gli occhi, forse per celarle la commozione che l'ha colpito dritto al cuore. Si china su di lei, sulle labbra che tanto
desidera e la bacia con la meraviglia della prima volta.

Mentre le loro bocche si incontrano un'altra volta e ancora, e ancora, e ancora, un raggio di sole, coraggioso, si fa strada tra tende e persiane, fino a colpire i loro occhi.
 









 
 
   
 
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