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Autore: Sheep01    13/01/2020    1 recensioni
[IT, Fix-It fic]
Aveva fatto i conti con la possibilità che avrebbe potuto restare intrappolato in quelle fogne per sempre. Il suo corpo, le sue ossa, a sgretolarsi nel ventre di Derry. Per sempre.
Ma non era stata Beverly a metterli al corrente che chi moriva a Derry era destinato a non morire mai veramente? Doveva essere vero perché, in qualche universo alternativo a quello, nessun Eddie avrebbe mai potuto sopravvivere a una ferita del genere...
Eppure... eppure...
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 2
 

Eddie e Myra si erano lasciati.

Non se l'era immaginato, non se l'era sognato.

Eddie aveva appena sganciato la bomba e non poteva nemmeno fingere di aver capito male, perché la musica del locale era decisamente troppo bassa. E le poche persone attorno a loro non facevano altro che sussurrare.

Perché non parlavano in modo normale? Che cosa stupida sussurrare. Lo si fa in chiesa, nei musei, lo fanno gli amanti, di certo non chi esce per bere qualcosa, che diamine!

Perciò, tutto quello che uscì dalle labbra di Richie fu un interdetto borbottio di sorpresa, che lo avrebbe fatto sembrare meno ottuso se qualcuno si fosse degnato almeno di cacciare un rutto.

Perché aveva scelto quello stupidissimo locale?

Sembrava un luogo di incontri clandestini!

«Già...» si limitò a sottolineare Eddie che sembrò non dare troppo peso al suo sconcerto. O quantomeno ebbe la delicatezza di non farglielo pesare.

Che si aspettava che facesse? Che si alzasse in piedi sul tavolo con un grido liberatorio, intimandolo di fare altrettanto, di gioire di essersi liberato della sua carceriera? Forse un Richie più giovane lo avrebbe fatto, forse era quello che Eddie sperava; in fondo ancora non aveva avuto modo di conoscere il Richie adulto, che differiva da quello giovane solo per gli occhiali nuovi e la consapevolezza che non tutto gli era concesso. Alla maggiore età rischiavi il carcere per qualsiasi stronzata. Lo aveva provato sulla propria pelle, sfortunatamente o meno. Ne era nato uno sketch carino per i suoi spettacoli, a riprova che non tutto il male viene per nuocere. In ogni caso l'alba dei suoi quarant'anni gli aveva insegnato ad essere un tantino meno impulsivo.

«Posso cevcare di intevpvetare il suo stato t'animo, ja, se mi dà qualche intizio un po' più concveto, herr Edward», enunciò, interpretando la voce di quello che voleva essere uno psicologo tedesco.

Lo vide rivolgergli uno sguardo perplesso.

Dio, avrebbe davvero dovuto saltare su quel cazzo di tavolo.

«Ah, va tutto bene», lo rassicurò l'amico con un gesto noncurante, «era solo questione di tempo. Magari se non avessi rischiato di morire l'attesa sarebbe stata molto più lunga... diciamo fino ai miei novantacinque anni.»

«Novantacinque anni sono una previsione ottimistica per chiunque...»

«Appunto.»

Richie sollevò il bicchiere.

«Allora dobbiamo festeggiare!» esclamò, cercando di riprendere le fila del discorso, di deviare l'attenzione sul fatto che la cosa lo rendesse davvero più euforico di quanto avrebbe dovuto. Che diamine gliene sarebbe venuto in tasca, dopotutto?

«Festeggiare il fatto che dovrò cominciare a sborsare assegni di mantenimento?»

«Festeggiare il fatto che ti sei liberato di un peso, in più di un senso, se me lo permetti», fece un cenno al cameriere di fare un secondo giro, anche se Eddie a malapena aveva toccato il suo primo drink, «perché sei stato tu a lasciarla, vero? Dimmi che non è stata lei.»

Era inequivocabilmente stato lui, perché riusciva a leggergli addosso tutto il senso di colpa di quella decisione.

«E allora in alto i calici. E levati di dosso quella faccia da Kaspbrak bastonato. È arrivato il momento di prendere per le palle la tua vita per una volta tanto, senza che ci sia una donna a strizzartele per bene.»

Lo vide esitare per un istante, prima di scuotere la testa e afferrare il suo calice di birra.

«Però...»

«Niente però! Un brindisi e poi alla goccia», lo rimarcò con entusiasmo.

«No, è che...»

«Cosa? Per l'amor del cielo Eddie Spaghetti, cosa?».

«È che sono intollerante al glutine!»

Richie rimase così, fermo a mezzo brindisi.

«E che cazzo, Kaspbrak... VODKA!» chiamò a gran voce.

 

***

 

Richie lanciò il borsone a terra, non appena varcata la soglia della porta di casa.

Un luogo irreale, che sapeva ormai di chiuso. Silenzioso e solitario.

Non era in programma restare tanto tempo a Derry, ma viste le condizioni di Eddie, tutti i membri dell'ormai ex Club dei Perdenti avevano prolungato la loro permanenza per restargli accanto, almeno finché i dottori non lo avessero definitivamente chiamato fuori pericolo.

Ma ora che Eddie era ormai a un passo dalle dimissioni, non c'era più alcuna ragione perché restassero e Myra non era sembrata affatto contraria ad augurar tutti loro buona vita e a mai più arrivederci.

Non avevano potuto far altro che recuperare i bagagli e scappare di nuovo, una volta per tutte, da quella città maledetta, con la promessa di mantenere i contatti e di rivedersi, di certo in circostanze più felici.

Di non dimenticare.

Per tutto il viaggio di ritorno Richie aveva avuto il terrore di dimenticare. Non ricordava esattamente le dinamiche di come fosse successo l'ultima volta. Solo che dopo il trasloco, lontano da Derry, durante gli anni della sua adolescenza faticava a ricordare i volti degli amici della sua infanzia. Fino poi a scordarsi completamente come era stata, quella sua travagliata infanzia.

Per quello, ad ogni tappa che aveva toccato al suo rientro, aveva controllato almeno un centinaio di volte la rubrica del cellulare sulla quale aveva salvato i numeri dei suoi amici. Pronunciando i loro nomi ad alta voce, facendo scorrere le fotografie fatte solo qualche giorno prima.

Aveva chiamato Mike un paio di volte, aveva mandato messaggi a Beverly, Ben e Bill. E in qualche modo si era ripromesso di farlo anche con Eddie non appena sua moglie avesse dismesso il monopolio del suo cellulare. Inoltre, nel portafoglio, aveva una copia di una vecchia, sbiadita fotografia, fatta alle macchinette della sala giochi con tutti loro, da ragazzini, il volto di Stan a ricordargli che c'era ben più di un passato recente da ricordare.

Una volta conquistata una vaga certezza che forse... non tutto sarebbe stato perduto di nuovo, era ormai rientrato a Los Angeles.

Rilasciò un sospiro pesante, spossato, come se la gravità dei giorni passati gli si fosse abbattuta addosso con tutto il suo peso.

Aveva avuto modo di pensare a tante cose in quegli ultimi giorni, di ripercorrere la sua vita, passo passo, ogni decisione presa, ogni maschera indossata, ogni segreto inconfessato. A detta di molti aveva avuto modo di vivere una buona vita, ma a che prezzo? E sopratutto sotto le mentite spoglie di quale Richie? Doveva qualcosa al Richie ragazzino. Lo doveva a tutta la sofferenza provata nel nascondersi, per rispetto a tutti quei sentimenti inespressi. Lo doveva a quel Richie che, un giorno di ventisette anni prima, aveva coraggiosamente inciso le lettere della prima persona che avesse mai veramente amato, lì, sul ponte dei baci. E di quanto in seguito si fosse sempre impedito di amar chiunque.

Aveva imparato la lezione. Pennywise si era preoccupato di impartirgliela, in modo affatto convenzionale ma dannatamente efficace.

Una vita dominata dalla paura ti rende una preda facile e Richie non voleva più rischiare di farsi divorare. Da niente. E nessuno.

Avrebbe sfondato quella barricata di omertà nell'unico modo in cui sapeva di avere completo controllo.

Perciò finì per recuperare una bottiglia di whisky dal suo armadietto degli alcolici, versarsene un corposo bicchiere e chiamare il suo agente.

«Neil... ciao. Sì, sono appena rientrato a Los Angeles. Ho un nuovo monologo per la prossima stagione teatrale. Sarà una bomba, in tutti i sensi.»

 

***

 

Le luci del mattino avevano invaso la stanza d'albergo da un bel pezzo. Una suite fin troppo spaziosa, provvista di salottino e un mega televisore a schermo piatto, acceso su un notiziario, a volume sommesso.

Richie sfogliava un quotidiano con noncuranza, poco interessato, in realtà, alle notizie fresche di giornata, tanto meno alle critiche o le lodi sul suo spettacolo della sera precedente: articoli del tutto trascurabili che il suo agente si era preoccupato di sottolineare con un evidenziatore rosa.

Una premura che gli riservava da qualche mese, dopo il boom del suo coming out pubblico, giunto a tutta sorpresa da uno sketch da palcoscenico.

Anche in quel caso erano giunti pareri favorevoli e contrari, come se persino la sua vita privata fosse uno spettacolo da recensire. Lo aveva messo in conto certo, ma sperava fosse chiaro a tutti che lo aveva fatto solo ed esclusivamente per smetterla di nascondersi. Per togliersi il dente, il dolore e tutto il resto. Rapidamente.

Richiuse bruscamente il giornale e recuperò la sua tazza di caffè ancora fumante dal carrellino della colazione. Ma quasi si ingozzò quando alzò lo sguardo e una sagoma dall'aria spettrale entrò nel suo campo visivo.

«Cristo santo...» allontanò la tazza dalle labbra, prima di combinare un disastro e spargere caffè in ogni dove, «non solo hai l'aria di un fantasma... sei persino silenzioso come un fantasma.»

Eddie lo fissava come se non avesse la più pallida idea di chi fosse o dove si trovasse. Infagottato in un accappatoio di almeno un paio di taglie più grande, la faccia gonfia di sonno e i capelli che sfidavano la forza di gravità.

Richie non avrebbe potuto trovarlo più adorabile. Per una volta tanto non si preoccupò di censurare il pensiero.

«Dove... cazzo siamo?» fu tutto ciò che ebbe da dire, ma a Richie non sfuggì il vago sollievo che doveva aver provato nel vederlo. Era piuttosto sicuro che Eddie non ricordasse un accidenti di niente della serata appena trascorsa.

«Nella mia suite d'albergo.»

«Eravamo in un bar... ieri sera...» gli uscì con voce roca, strascicata, le sinapsi che cominciavano a connettere.

«Intuizione geniale, dottor Watson. Dai, siediti, prendi qualcosa da mangiare, un caffè?» Richie si era rimesso in piedi per cedergli la sua sedia e scoprire un paio di vassoi, carichi di croissant freschi, pane bianco e marmellate.

«Se mangio qualcosa do di stomaco», si portò una mano alla testa e l'altra a schermarsi da quella vista o dal sole, a scelta, ma si sedette più che volentieri, dando le spalle alla finestra illuminata.

«Un'aspirina allora.»

«Ah no... sto cercando di smettere.»

Per tutta risposta gli passò una tazza di caffè nero, fumante.

«Per i postumi della sbornia è la soluzione naturale più efficace che io conosca, dottore.»

Eddie raccolse l'offerta senza fiatare, scrutandolo solo un istante, circospetto.

«Quanto ho bevuto, ieri sera?»

«Abbastanza da non riuscire nemmeno a ricordare dove fosse il tuo hotel», gli rispose, mettendosi seduto su una poltroncina, di buon umore «ho provato ad estorcertelo ma poi hai cominciato a vomitare a spruzzo e ho pensato di tapparti la bocca con un nastro adesivo.»

«Balle.»

«Secondo te perché non hai addossi i tuoi vestiti?»

L'uomo si passò una mano sul petto, sul tessuto ruvido dell'accappatoio.

«Mi hai spogliato tu?» gli chiese, qualcosa che assomigliava improvvisamente a del turbamento nello sguardo.

«No, il mio agente», rispose rapidamente, per non dover indagare troppo sulla sua reazione, «poi abbiamo chiamato due tizi della sicurezza, quello grosso della reception e abbiamo messo in piedi la sessione di gang bang più folle della storia. Non ti ho mai visto tanto scatenato!»

«Va' al diavolo, Rich.»

Gli venne da ridere.

«Non preoccuparti, i tuoi vestiti li ho mandati in lavanderia per una rinfrescata. Mi hanno detto che saranno pronti in un paio d'ore.»

«Grazie.»

«Ma figurati, sono cinquanta dollari, prego», gli allungò la mano che venne prontamente schiaffeggiata. Lo guardò indugiare un istante, prima di vederlo cedere a un lungo sorso di caffè e puntare distrattamente lo sguardo sul televisore: stavano passando le previsioni meteo.

Si prese del tempo a osservarlo, godendosi la tranquillità statica del momento.

Non si ingannava il suo stomaco, prima, con quel sussulto sorpreso, a ritrovarselo di fronte. Così vulnerabile e confuso. Si rese conto che tutti quei mesi trascorsi lontano da Derry, lontano da tutti gli altri, non avevano cambiato di una virgola quello che provava per loro. Non avevano cambiato di una virgola quello che provava per Eddie.

Non che si aspettasse che la sensazione inespressa che aveva rincorso per una vita evaporasse nel nulla, dopo la sua confessione liberatoria, ma nemmeno che sentisse lo stomaco contorcersi ancora come fosse un ragazzino alla sua prima cotta.

Eppure eccolo lì, ad osservare l'amico di sempre con curiosità. Ad indagare su tutti quei mutamenti che si era perso nel corso di quei ventisette anni, che non aveva potuto esaminare durante il loro soggiorno a Derry, alla vigilia di eventi più urgenti da affrontare.

Eddie, i cui tratti del viso si erano irrigiditi con gli anni. Eddie che dopo un solo giorno trascorso senza radesi aveva già un accenno di barba. Eddie e quella cicatrice sul viso che sarebbe rimasta lì, per sempre, a sbiadirsi, come il ricordo dei tragici giorni passati. Così diverso eppure così identico a se stesso, nel modo in cui si muoveva, nel modo in cui parlava, nel modo in cui osservava le cose, con quell'aria sempre mediamente preoccupata o sinceramente, candidamente sorpresa.

Eddie che lui stesso si era preoccupato di svestire quella notte, dopo un'intera serata a raccogliere le sue frustrazioni e preoccupazioni sul futuro, che aveva sistemato a letto, cercando disperatamente di ignorare quello sfregio orribile che si riusciva a malapena a intravedere sotto la canottiera.

Ma ad ignorare, sopratutto, il fatto che colui che si era sconsideratamente soffermato ad osservare mentre dormiva non avrebbe mai potuto essere suo. Non nel modo in cui avrebbe desiderato.

Cercò di scacciare quella struggente malinconia, quel senso di rassegnata impotenza. Non si sarebbe mai perdonato se Eddie avesse capito come si sentiva nei suoi confronti o che (Dio non voglia!), percependo il suo tormento, provasse pena per lui.

Era riuscito a impedirglielo i giorni che erano seguiti la sua confessione: avrebbe fatto di tutto per non farlo sentire a disagio. Teneva più alla loro amicizia, al fatto che potesse ancora sentirlo parlare e respirare, piuttosto che perdere tutto quanto per un sogno irrealizzabile.

«Se continui a fissarmi a quel modo ti chiederò di pagarmi i diritti d'immagine.»

Richie sbatté le palpebre a più riprese, come destandosi da un sogno.

«Mi stavo accertando che...» balbettò, incerto.

«Sto bene», concluse per lui, puntandogli addosso uno sguardo carico di divertita perplessità, «non vomiterò sul tappeto della tua suite. Magari però ti scrocco una doccia, penso di averne davvero bisogno, prima di andarmene.»

«Andartene?»

Dove pensava di andarsene? Così, su due piedi.

Eddie lo guardò un po' confuso, come se non capisse affatto il tono della sua domanda o il suo sincero allarmismo.

«Bè, sì... credo di averti creato già sufficiente disturbo con questa stronzata della sbronza.»

«Oh, sì, in effetti sei un ospite piuttosto rumoroso», gli era uscito in modo forse troppo... stizzito? «Non ho mai sentito russare nessuno a quel modo. Per non parlare del fatto che mi hai praticamente spodestato del letto e ho dovuto dormire sul divano. La regola dei dieci minuti conta solo su una stupida amaca, mh?» lo apostrofò con finto risentimento. «Ma di che cazzo stai parlando, Eddie? Lo sai che puoi restare quanto ti pare. Lo hai detto tu stesso che ancora dovevi decidere la tua prossima meta, dopo Philadelphia.»

«Non ho mai detto una cosa simile.»

«Sì, lo hai detto, ieri sera, o i fumi dell'alcool ti hanno definitivamente fritto quella testa bacata che ti ritrovi sul collo, Spaghetti?»

«Bè, di certo non intendevo...»

«Invece intendevi: sai, Rich, ho preso un periodo di aspettativa da lavoro, bla bla, avevo bisogno di sistemare alcune cose, bla bla, ma non ho intenzione di tornare a casa, di tornare a New York, non subito», gli uscì in una forzatissima imitazione di Eddie, «a seguire occhioni da cerbiatto spaurito in cerca di suggerimenti: avanti chiedimelo.»

«Cosa?»

«Ho detto: chiedimelo.»

«Ma chiederti che cosa?»

Lo stava facendo arrabbiare, poteva dirlo dal modo in cui il suo pallore stava svanendo per lasciare spazio a una deliziosa sfumatura rosea su quelle guance. E il modo in cui muoveva nervosamente il piedi? O serrava le dita sulla tazza?

Forse doveva smetterla, placare gli animi, evitare che esplodesse.

«Chiedimi: Richard, posso venire con te a Los Angeles?»

«Non ti chiederò una cosa simile.»

«Hai paura di un rifiuto? Potrei mai farti questo, mio bel bocconcino di rosa?»

«Piantala Richie.»

«Chiedimelo: posso venire con te e diventare la tua più fedele e lasciva groupie?»

«No!» lo vide rimettersi in piedi, rosso in volto, la tazza abbandonata sul carrello, «adesso me ne vado! Perché cazzo non riesci a essere, per un minuto, meno insopportabile di così?»

Ora sì che era offeso. Incredibilmente offeso. E qualcosa che Richie non riuscì proprio a identificare. Avrebbe insistito se non gli avesse letto quella scintilla imbarazzata nello sguardo ma, al contrario, si vide costretto a frenarlo e afferrargli il braccio per impedirgli di uscire dalla stanza in ciabatte, accappatoio e boxer, conciato come uno scappato di casa.

«Ti becchi una denuncia per atti osceni in luogo pubblico, se esci svestito a quel modo», cercò di farlo ragionare.

Eddie si voltò con uno scatto, puntandogli addosso, finalmente, quello sguardo infiammato che riservava sempre ed esclusivamente a lui.

«Se non ne hai mai presa una tu, uscendo di casa ogni giorno con quella faccia!» lo apostrofò senza ritegno.

Un trionfo.

Richie cercò in tutti i modi di restare impassibile, di mantenere la furiosa solennità del momento, ma l'ilarità ebbe la meglio. L'istante successivo erano entrambi piegati in due dal ridere, ancora mano nella mano, come se solo l'idea di lasciarsi andare li avrebbe privati dell'equilibrio.

Ci volle qualche istante per riprendere fiato e ricordarsi della discussione in corso, quella stupida discussione che aveva scatenato la polemica.

«Resta», mormorò, una volta che gli spasmi di risa si furono placati del tutto. Un'affermazione, più che una domanda.

Eddie si calmò a sua volta, passandosi una mano sul viso, sugli occhi, prendendosi tutto il tempo per imbastire la sua risposta.

«Solo perché ancora mi viene da vomitare...»

«Dovrò farti bere in continuazione per convincerti a fare le cose? Buono a sapersi.»

«Non ci provare. Erano anni che non mi ubriacavo in questo modo. È colpa tua.»

«Oh, è sempre colpa mia, vivaddio! Richie Tozier è qui per accompagnarti passo passo sulla via della perdizione!» Un inchino e le mani che si scioglievano dalla stretta spasmodica.

«Adesso posso andare a farmi quella doccia?»

«Vuoi che ti accompagni?»

Eddie soffocò un verso stizzito e lo spintonò appena per superarlo.

Lo seguì con lo sguardo, finché non lo vide sparire dietro la porta del bagno e sentì il rumore dell'acqua nella doccia che scorreva.

Una sensazione di familiarità tanto vivace, quanto... inattesa.

Sentì qualcuno bussare alla porta. Doveva essere la lavanderia.

 

***

 

Non riusciva a prendere sonno quella notte. Forse per l'adrenalina ancora in circolo, forse l'alcool, forse i troppi pensieri che gli si affollavano in testa, sempre nelle ore più impensate... erano le quattro del mattino ed era convinto di non aver chiuso occhio nemmeno per un istante da quando era crollato sul materasso. L'indomani sarebbe stata una giornata piuttosto complessa, e un paio d'ore di sonno, almeno, gli sarebbero state di grande aiuto.

Per questo, quando il cellulare prese a illuminarsi nell'oscurità della stanza, con una chiamata in arrivo, Richie fu rapido ad allungare una mano per raggiungerlo dal comodino e leggere il nome sullo schermo.

'Spaghetti'

Si tirò su, dritto, con uno scatto rapido, nemmeno fosse stato morso da un ragno velenoso.

Altrettanto velocemente si rimise in piedi per uscire dalla sua camera da letto, finendo per inciampare nel tappeto, senza distogliere, per un solo istante, lo sguardo da quel nome che lampeggiava sul display.

«Forse non te l'hanno detto, Eds, ma qui a Los Angeles è ancora ora da lupi mannari», rispose.

Dall'altro lato solo un brusio indistinto e poi un'imprecazione soffocata.

«Cazzo... Richie?»

«Cazzo, no. Sono il dottor Gilbert, quello che sta ad Avonlea.»

«Ah, questo maledetto cellulare nuovo. Ho fatto partire per sbaglio la chiamata, mi dispiace...»

«Significa che non stavi pensando a me e mi hai buttato giù dal letto, alle quattro del mattino, solo per via di una triste coincidenza?»

«Bè... precisamente.»

«Wow... lo senti questo rumore?» fece una pausa, sentendolo respirare in attesa, dall'altra parte «è il mio cuore che si spezza.»

«Ah, ti riprenderai, Richie, ne sono sicuro.»

Si trovò a sorridere come un imbecille nel corridoio di casa. Decise di andare a prendersi qualcosa da bere, per non restarsene con le mani in mano.

«Ti lascio tornare ai tuoi sogni d'oro, così ti riprendi prima.»

«Nah... non stavo comunque dormendo», aprì il frigorifero alla ricerca di qualcosa di fresco, trovò solo della birra (poca) e un succo d'ananas. Odiava il succo d'ananas. Lo prese lo stesso.

«Ore piccole?»

«Minuscole.»

«Sai che dormire poco favorisce l'invecchiamento precoce?» la voce petulante di Eddie gli era mancata. Erano settimane che non si sentivano. Aveva sempre in mente di telefonargli ma ogni volta, per un motivo o per un altro, non riusciva a farlo. In parte era convinto fosse solo dovuto a pura e semplice vigliaccheria. E se avesse risposto Myra? Se non gli avesse fatto piacere? Se fosse stato a fare quelle sue terapie riabilitative? Se, se, se... ?

Eddie, di contro, lo chiamava con regolarità. Ed era stato molto presente i giorni successivi al suo coming out pubblico. Lui e tutti gli altri, certo, ma Eddie sembrava sempre cercare di capire se andava tutto bene. Se andava veramente tutto bene.

«Allora tu devi soffrire d'insonnia dagli anni ottanta, Eddie caro, perché non mi ricordo di averti mai conosciuto da giovane.»

«Vaffanculo, Richie.»

Scoppiò a ridere e prese una corposa sorsata di succo d'ananas. Non fosse stato un pensiero melenso, avrebbe detto che persino il succo d'ananas con la voce di Eddie in sottofondo poteva diventare qualcosa di gradevole.

«Che si dice a New York? Non sono tipo le sette del mattino?»

«Ah sì... ho un po' di appuntamenti oggi, avevo la sveglia presto.»

«E quando hai intenzione di passare a Los Angeles?»

«Divertente. E tu quando hai intenzione di venire a New York?» gli ritorse, «ho visto Bill, un paio di settimane fa.»

Bill. Anche il solo pensiero degli altri Perdenti gli scatenava dentro la voglia matta di prendere il primo volo per raggiungerli, uno per uno.

«Ah, lo sai che comincio un nuovo tour la prossima settimana. Ti farò sapere se sarò dalle tue parti.»

«Magnanimo. Fatti sentire più spesso, piuttosto, o comincerò a pensare che fai troppo il divo, anche per i tuoi vecchi amici.»

«Ma che stai dicendo? Io sono sempre stato un divo, sopratutto per i miei migliori amici.»

«Torna a dormire Boccaccia, ne hai bisogno.»

«Va bene, mamma Kaspbrak.»

Lo sentì ridere e non poté fare a meno di immaginarlo, seduto nel soggiorno di casa sua, la luce del mattino a illuminargli il viso. Gli mancava come non gli era mai mancato in ventisette anni.

Riagganciò dopo aver sussurrato un saluto frettoloso e rovesciò quello che restava del succo d'ananas nel lavandino.

Tornò pigramente sui suoi passi, verso la camera da letto, rendendosi conto solo in quel momento di essere ancora completamente, inesorabilmente nudo.

«Ehi...» nella penombra della stanza, qualcuno si muoveva ancora, sotto le lenzuola, «con chi parlavi al telefono?»

«Un amico che sta a New York», si limitò a rispondere e raggiungere l'uomo dai capelli chiari che si stiracchiava pigramente e lo attirava a sé per un rapido bacio. Lo sentì assaporare le sue labbra.

«Hai bevuto il mio succo d'ananas? Pensavo lo odiassi.»

«Infatti lo odio... ma era l'unica cosa senza alcool che avevo in casa.»

«Dovresti smetterla di bere.»

«E tu dovresti tacere e basta.»

Ora sapeva esattamente cosa fare, per impedirsi di pensare a Eddie Kaspbrak per il resto della nottata.

 

***

 

Richie scese dal taxi per accendersi una sigaretta, mentre aspettava che Eddie uscisse dall'hotel che avevano appena raggiunto.

L'amico si era ricordato il nome del luogo in cui avrebbe dovuto alloggiare, se non si fosse ubriacato come un pirata in erba, la sera precedente. Doveva recuperare i suoi bagagli e poi, una corsa in aeroporto per prendere il primo volo per Los Angeles.

Il suo agente si era preoccupato di prenotare un posto in più per il rientro.

Non era ancora sicuro di come la cosa lo facesse sentire.

Invitare Eddie a casa sua, per un tempo imprecisato, poteva essere la cosa migliore da ventisette anni a quella parte, come la più imbecille. Di certo era euforico come non si sentiva da molto tempo e senza l'aiuto di alcuna sostanza stupefacente.

Cercò solo di tenere bene a mente di restare coi piedi per terra. Di godersi il tempo che avrebbero potuto passare assieme. Come non facevano da anni.

Magari avrebbero finito con l'uccidersi l'un l'altro, conoscendo i precedenti, ma continuavano a tornargli in mente i barlumi della discussione alcolica che avevano avuto la sera prima e non poteva fare a meno di pensare di aver preso la decisione più saggia.

Eddie non era felice.

In certi momenti fu certo di avergli letto dentro una disperazione che aveva rischiato di spezzargli il cuore.

Che non era sicuro sarebbe riuscito a gestire; ma ci avrebbe provato.

Era venuto fino a Philadelphia per vederlo. Aveva detto di voler passare a trovare tutti gli altri, prima o poi, ma nemmeno Bill, che era stato il suo migliore amico di quando erano ragazzini, aveva avuto il primo posto, nei suoi pensieri.

Lo spettacolo, ormai lo aveva capito, era stato solo uno stupido pretesto.

Invitarlo a stare da lui era davvero il minimo che potesse fare. Lo faceva per Eddie. E forse... anche un po' per se stesso.

Sentì il cuore gonfiarsi di nuovo quando lo vide uscire dal portone dell'hotel, brandendo quella che sembrava la valigia più mastodontica che avesse mai visto. Lanciò la sigaretta sul marciapiede, prima di raggiungerlo.

«Se questa è la tua idea di bagaglio per una notte, non voglio sapere che cazzo ti porti in giro quando parti per una vacanza.»

«Piantala e carica in macchina il mio beauty case», disse rifilandogli fra le mani un'altra valigetta, più piccola, ma non meno pesante.

«Stai scherzando? I trucchi potevi anche lasciarli a casa!»

«Ma quali trucchi!»

«Quando dicevi di voler cambiare lavoro non sapevo delle tue aspirazioni da Drag Queen!»

«Tozier...»

«Kaspbrak...»

«Vaffanculo», pronunciarono all'unisono, prima di muoversi in direzione del taxi che aveva già messo in moto.

Sarebbe stata una lunga, travagliata giornata. Richie sperò durasse il più a lungo possibile.

 

Continua...

 

  
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