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Autore: Blackberry23    27/01/2020    3 recensioni
Ichigo aveva capito che poteva farcela benissimo da sola e che non aveva bisogno di lui. Non le serviva un uomo che decidesse ogni aspetto della sua vita, non voleva diventare una semplice casalinga come sua madre. Così, il “per sempre” le era sembrato una minaccia. E aveva osato: aveva rifiutato la sua proposta di matrimonio, lasciandolo. A nulla erano valse le sue proteste, lei era stata irremovibile. Era cresciuta. E aveva voglia di ricominciare a vivere.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Ichigo Momomiya/Strawberry, Kisshu Ikisatashi/Ghish
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Scomparsa.
Trascinata via.
Sparita nel nulla.
Dispersa.


Le parole le ronzavano confusamente in testa. Ronzavano, ronzavano e ronzavano.

Scomparsa.
Trascinata via.
Sparita nel nulla.
Dispersa.


Alla vista dei cadaveri di tre membri del commando, Mew Minto aveva sussultato. Qualche istante dopo, il portale aveva scaraventato rumorosamente Kisshu e Ichigo nella sala 21.

Scomparsa.
Trascinata via.
Sparita nel nulla.
Dispersa.


– Ma sei fuori ad aggeggiare con la tua arma? Che diamine ti è saltato in testa?
– Cosa? Guarda che è successo tutto a causa tua! Non dovevi permetterle di seguirci nella base! Non dovevi! Tu non dovevi, maledizione! Dovevi farla restare nella capanna!

Scomparsa.
Trascinata via.
Sparita nel nulla.
Dispersa.


Mew Minto aveva atteso.
Aveva atteso, atteso e atteso.
Era rimasta ad attendere in silenzio mentre gli ultimi due arrivati continuavano a litigare, addossandosi la colpa a vicenda. Non aveva smesso di attendere neanche quando le sue amiche, gli scienziati e i militari alieni avevano finalmente ricevuto le necessarie risposte.

Scomparsa.
Trascinata via.
Sparita nel nulla.
Dispersa.


Sbattere le ali era diventato di colpo doloroso.
Le parole continuavano a ronzarle confusamente in testa. Ronzavano, ronzavano e ronzavano.

Scomparsa.
Trascinata via.
Sparita nel nulla.
Dispersa.


Alla fine, il portale si era chiuso.
Ichigo era scoppiata a piangere.

Scomparsa.
Trascinata via.
Sparita nel nulla.
Dispersa.


La maggior parte degli alieni era già andata via. Peccato, perché adesso c’erano tante immagini colorate che volteggiavano come in un girotondo impazzito intorno alla sala 21.

Scomparsa.
Trascinata via.
Sparita nel nulla.
Dispersa.


La trasformazione doveva essersi annullata da sola.
Le ali non sbattevano più.
E le parole ronzavano, ronzavano e ronzavano...

Poi, il buio.

***​

– Sei una giraffa, sei una giraffa, na na na na na na!
– Sei una di noi!
– Noi aspetteremo sempre il tuo ritorno a casa...
– Fatti sotto!
– Voglio vederti ballare!
– Signorina Fujiwara!


Mew Zakuro aprì gli occhi di scatto.
Era sdraiata prona sul pavimento di pietra.
L’aria era intrisa di un penetrante odore acre.
La testa continuava a farle male. Per non parlare della pelle della schiena: le bruciava terribilmente.
Dove si trovava? Cosa era successo, dopo che Kisshu aveva ucciso l’energumeno che l’aveva colpita?
Lentamente, cercò di rimettersi in piedi.
Sussultò.
Qualcuno le aveva tolto il bracciale.
Si guardò in giro.
C’erano... c’erano delle sbarre di metallo davanti... dietro... ai lati... e sopra di lei. 
Era in gabbia.
– Cosa... cosa...
Si trattava di uno scherzo? Non era affatto divertente.
Raccogliendo le forze, afferrò le sbarre con le mani e gridò.
– Hey! Dico a voi, alieni dei miei stivali, dove siete? Fatevi vedere, buffoni! Hey!
Nessuno le rispose.
Sapeva che potevano capirla: aveva ancora indosso il dispositivo di traduzione simultanea.
Sbatté ripetutamente il proprio corpo contro la prigione, facendo più rumore possibile.
– HEY!!! LO SO CHE MI SENTITE! HEY!
Niente. Nessuna risposta. Solo un’altra fitta lancinante alla testa, l’ennesima.
Ad un tratto, ricordò: aveva visto... aveva visto... aveva visto Shirogane! Non se l’era sognato, lui...
D’improvviso, una porta cigolante si aprì di scatto.
Sulla soglia, apparvero quattro losche figure. Una di esse era l’Alto Sacerdote e in mano... in mano aveva la sua frusta di luce.
– Ladro! – ringhiò la ragazza. Un’ondata di nausea la fece piegare in due. 
Ridacchiando e flettendo la frusta tra le mani, il guru alieno si avvicinò lentamente alla gabbia.
– È un vero piacere sapere che il campione c) 83 funziona. Non ci aspettavamo che anche tu ti aggregassi al commando del traditore Kisshu Ikisatashi. Eh già, nemmeno io ero al corrente della tua partecipazione... – disse l’extraterrestre, sfoderano un orribile sorriso giallastro.
Ma certo: qualcuno ad Antea stava facendo il doppio gioco, sabotando gli esperimenti e informando i ribelli.
– Siete dei mostri. Di questo ne eri al corrente?
L’Alto Sacerdote schioccò la frusta e la punta le lacerò la guancia destra.
– Perché ci costringi a queste spiacevolezze, Umana? Dovresti sapere che non è il caso di perorare la causa dei traditori Ikisatashi. Oh, ma tu lo hai già fatto dieci anni fa, non è così? E vuoi farlo anche ora, giusto? Tsk. Sei solo una spregevole assassina, usurpatrice dei pianeti altrui. Non temere: la profezia del Luminoso Crepuscolo si realizzerà presto!
Dopo essersi toccata il viso, Mew Zakuro guardò a lungo il sangue sulle dita.
– Il vostro virus non ha una cura. Morirete tutti. Arrendetevi, per il bene della vostra stessa gente. Deep Blue non vi aiuterà. 
L’Alto Sacerdote scoppiò a ridere, seguito dai suoi scagnozzi. Ma un attimo più tardi, fece abbattere con forza la frusta sulle gambe della ragazza, che gemette di dolore.
– Ah, la menzogna! La menzogna che continuate a diffondere! – esclamò, scuotendo la testa. Poi proseguì, mettendosi esattamente davanti a lei e guardandola fisso negli occhi: – Il nostro Signore Deep Blue sarà vendicato dai suoi umili servitori. Come ricompensa, noi rinasceremo sul Pianeta Azzurro. Tu, invece, morirai soffrendo, così come le tue amichette, gli altri traditori e tutti i miscredenti! 
– Rinascerete all’inferno! – sibilò la Mew viola, sputandogli in faccia.
Senza distogliere lo sguardo, l’alieno si pulì con la manica della tunica. Con fare gentile, le scostò i capelli dagli occhi e li sistemò lascivamente dietro l’orecchio, sussurrandole con voce suadente: – Sei mia prigioniera. Per essere un’Umana, sei anche molto bella. Posso farti fuori in meno di dieci secondi, se necessario. Veloce e indolore. Ma sai com’è, mi piace essere implorato...
– Scordatelo. Non mi fai paura. Mi fai solo schifo! 
– Come preferisci. Sappi, però, che te ne pentirai amaramente... – disse lui a denti stretti.
Usando l’impugnatura della frusta, l’Alto Sacerdote assestò a Mew Zakuro un potente colpo alla testa, facendole perdere immediatamente i sensi.

***​

Minto era svenuta. Cadendo aveva sbattuto forte la testa, ma grazie all’intervento di Cardamome aveva ripreso conoscenza. Adesso era assistita amorevolmente da Purin nella loro stanza.
Ichigo e Kisshu non avevano fatto altro che litigare dal loro rientro. Erano volate parole grosse, sia da una parte che dall’altra.
Retasu sbuffò, rigirandosi nel letto per l’ennesima volta.
Gli scienziati alieni le avevano detto di andare a dormire, ma dopo tutto quello che era successo non riusciva proprio a prendere sonno. Ichigo si era addormentata da poco, tra un singhiozzo e l’altro: su di lei, la stanchezza aveva avuto la meglio.
Retasu sbuffò di nuovo e si alzò di scatto, noncurante del groviglio di coperte che era appena caduto a terra.
Decise di andare nella sala relax: aveva bisogno di muoversi un po’. Non aveva paura di incrociare qualche guardia: nel caso, si sarebbe semplicemente fatta riaccompagnare in camera. Si vestì quindi velocemente, impostò Mash come navigatore e, in silenzio, si incamminò verso la sua destinazione.
Stando al racconto di Ichigo, Zakuro aveva detto “Shirogane” poco prima di sparire. L’aveva forse visto nella base dei ribelli? Aveva sentito la sua voce? 
Retasu si morse le labbra.
Se l’aveva visto, allora... allora lui era... era... e quindi anche Keiichiro... loro... potevano essere ancora vivi. 
Ma Zakuro? Dov’era adesso? Dov’erano adesso tutti e tre? 
Ad un tratto, sentì qualcosa che le si strusciava contro le gambe. Quel contatto inaspettato la fece sobbalzare.
– Eh? Cosa...?
La ragazza si trovò improvvisamente faccia a faccia con una piccola palla di pelo bianco che la guardava fissa.
– Hey! Io ti conosco! Tu sei il bianconigl... cioè no... oh, insomma! Sei tu! – fece sorridendo.
La creatura extraterrestre sbatté gli occhi.
– Scusami tanto! Ti sei fatto male? – chiese Retasu, chinandosi per prendere in braccio l’animaletto.
Lo accarezzò dolcemente e lui le si strofinò affettuosamente contro il petto. Era così morbido! Avrebbe potuto coccolarlo per ore. Forse poteva portarlo con sé in camera...
Prima che Retasu potesse fare qualcosa, l’ewu sgusciò dalle sue braccia con un balzo.
– Hey, dove vai? Aspetta!
L’animale saltellò velocemente di qua e di là, lasciandosi inseguire dalla ragazza per gran parte dell’edificio governativo extraterrestre. Retasu cercò di stargli dietro, ma ben presto...
– Oh no! L’ho perso!
– Alieni, alieni! 
– Grazie, Mash, ma siamo sul Pianeta degli alieni e...
– E tu che cosa ci fai qui?
Retasu si voltò di scatto.
– Pai-san! Io... ecco, io...
– Non sei autorizzata a girare da sola. Specialmente quando è notte, quando sei obbligata a restare su un altro pianeta dove c’è un’epidemia mortale e quando qualcuno sta facendo la spia. Andiamo, seguimi. Ti scorto fino alla tua camera – disse Pai, con un tono che non ammetteva repliche. 
I due iniziarono a camminare rapidamente.
L’atmosfera era elettrica.
– Grazie per... grazie. Per accompagnarmi. Sono... sono desolata...
– Non farlo più, intesi? È pericoloso.
La ragazza corrugò la fronte, pensierosa.
Lui non era più il generale Pai che aveva visto qualche ora fa. C’era... c’era qualcosa di diverso nei suoi occhi. Qualcosa di estremamente vulnerabile. 
– Va... va tutto bene?
Il giovane non rispose e continuò a camminare. 
Retasu ebbe subito una strana sensazione: qualunque cosa fosse, quel qualcosa di lui stava per arrivare a travolgerla come una marea devastatrice.
– Pai... – provò di nuovo, con più dolcezza, – Pai, che è successo?
Silenzio.
Lui si fermò in mezzo al corridoio deserto.
I loro sguardi si incontrarono ancora una volta.
Oh. Ora aveva capito.
Era dolore quello che c’era nei suoi occhi.
– Taruto. È peggiorato. Hanno dovuto... hanno provato... lo hanno operato d’urgenza. È in coma.
Eccola là, la marea.
Era arrivata.
L’acqua era salita e aveva sommerso tutto.
Le onde cariche di schiuma bianca e luccicante si erano schiantate con violenza sulla riva del suo cuore.
– La tua amica... il portale...
– ... è stato concepito perché non ci si può teletrasportare all’interno di questo edificio. E anche perché fuori in città possono essere nascosti dei nemici.
– Mi dispiace – mormorò, mentre lacrime salate e silenziose gli rigavano il volto.
Retasu allungò la mano destra e gli sfiorò le guance, lasciandosi finalmente andare al proprio pianto.

***​

–  Sei una giraffa, sei una giraffa, na na na na na na!

Mew Zakuro si svegliò di soprassalto.
Si guardò attorno. Era... era ancora nella sua gabbia, prigioniera dei seguaci di Deep Blue. Un dolore lancinante alla testa le confermò che stava ancora male.
– Dannazione! – imprecò. Aveva di nuovo sognato le loro voci. Voci che ancora le rimbombavano nella mente.

–  Sei una giraffa, sei una giraffa, na na na na na na!

Tsk. Maschi. Prima l’avevano presa in giro perché era troppo alta, ma poi a tredici anni volevano diventare tutti suoi amici. Patetici. 
Come dimenticare tutte le angherie subite? Ovvio che non aveva mai dato loro una chance. Da piccoli, i suoi compagni di scuola non si erano fermati nemmeno quando suo padre...

– Sei una giraffa, sei una giraffa, na na na na na na!

Ma perché adesso sentiva le loro voci? Che cosa stava succedendo?
Non ce la faceva più. Troppe voci. Troppi ricordi. Troppi pensieri. Stava scoppiando.

– Sei una giraffa, sei una giraffa!

– Bastaaaaaaaaaaaa! – urlò disperata, portandosi le mani ai lati della testa.

– Na na na na na na!

***​

– Ecco il mio pulitore di bagni preferito!
– Piantala, Gingembre. Non è per niente divertente! – protestò Cardamome, entrando in laboratorio con il secchio e lo spazzolone che aveva usato.
– Non è divertente? Ma come, hai anche un pezzo di carta igienica attaccato alla scarpa!
Cardamome sospirò. 
Per pulire tutti i bagni dell’edificio ci avrebbe messo un’eternità. Quella punizione avrebbe rallentato terribilmente il suo lavoro.
Gingembre attirò la sua attenzione: – Dai, guarda qua! Non è fantastico?
Il monitor a cui faceva riferimento lo scienziato mostrava i dati del Progetto Mew.
– È... è pazzesco. Quel Terrestre...
– Ti rendi conto di cosa potremmo fare sul nostro Pianeta? Ci sono molti più animali che sulla Terra. Te lo immagini?
– Non... non voglio immaginarmelo. È... è... è troppo. È così potente che mi fa paura. E poi non... non... non abbiamo il raggio.
Il suo collega si grattò il cranio pelato.
– A quello in teoria si rimedia... una siringa speciale... o qualcosa di simile. Accidenti! È geniale! Folle, ma geniale! Se finisce tutto in mani sbagliate...
– No. Non deve.
– No. Non deve... – ripeté Gingembre, spegnendo il computer e tornando ai suoi preparati chimici.
Anche Cardamome si recò alla sua postazione, ma non iniziò subito a svolgere le sue ordinarie mansioni. Cliccando un pulsante azzurro, fece apparire un ologramma dello scheletro umano.
– Mmmmmm...

***​

Era ufficiale: sentiva delle voci.
Maledetti test di laboratorio.
Si era accasciata sul pavimento da quanto si sentiva frastornata.
Mew Zakuro si passò una mano sulla fronte madida di sudore. 
Faceva molto caldo o era lei che stava sudando in modo incontrollabile?
Non osava annullare la trasformazione per via delle ferite che il suo corpo aveva ricevuto. 
Adesso aveva anche sete.
La ragazza chiuse gli occhi, chiedendosi quanto potesse resistere un essere umano senza bere.
Non voleva quella fine. Non la voleva.
Voleva tornare a casa sua.
Voleva tornare a recitare nei film.
Voleva tornare a sfilare.
Guardò il suo costume da Mew Mew.
Le piaceva tanto, ma avrebbe fatto volentieri a meno di indossarlo. 
Perché la Terra l’aveva scelta?
All’epoca, era solo una modella...
Che tempi, quelli. 
Quando aveva mosso i primi passi nel mondo della moda, aveva avuto occasione di rivalutare e di recuperare la fiducia negli individui di sesso maschile, incontrando tanta gente in gamba. Ma aveva capito ben presto di non esservi interessata: durante uno shooting fotografico, aveva conosciuto Olivia, un’altissima, bellissima e biondissima modella statunitense. 
Olivia... Liv... la sua Liv... 
Liv aveva stravolto la sua esistenza. 
Era così felice quando stava insieme a lei.
La prima volta che si erano baciate, aveva sentito in lontananza le campane di una chiesa suonare a festa.
Suo padre... suo padre l’avrebbe capita. Ma sua madre e il suo compagno l’avevano umiliata, facendola piangere e stare male per tante, troppe volte. La situazione era diventata così insostenibile che era stata costretta a fare le valigie e a chiedere l’emancipazione. Poi un giorno, dopo tanto tempo, aveva ricevuto una lettera: sua madre implorava perdono. L’aveva letta e riletta, anche al porto. Aveva quasi lasciato la squadra per il dolore dei ricordi.
Liv... 
Liv non apparteneva al suo branco. Il giorno del suo sedicesimo compleanno, l’aveva beccata avvinghiata a Stella, la giovane fotografa australiana che aveva realizzato la sua prima cover. Che storia: aveva ottenuto in un colpo solo la prima copertina e la prima delusione d’amore. 
Liv...
Non aveva più avuto una storia così.
Si era fidata ed era stata tradita. Era stata solo colpa sua, si era lasciata andare come una sciocca. Aveva sofferto. Non aveva voglia di riprovare quel dolore. 
Negli anni che si erano susseguiti, aveva avuto brevissime relazioni. Lo aveva sempre messo in chiaro sin dall’inizio con tutte le sue conquiste: non voleva legami. Non voleva soffrire di nuovo. Non voleva più una compagna vera e propria. Non poteva permettersi di lasciarsi andare ancora una volta. Aveva già dato tutta se stessa.
Ora non si fidava più di nessuno.
Liv non faceva parte del suo branco. Non ne aveva mai fatto parte. I lupi sono fedeli al proprio partner, non tradiscono.
Mew Zakuro si prese tristemente la coda tra le mani.
Ma lei stessa non era un lupo, vero? Era solo un ibrido. Era solo un dannato ibrido.

– I’m sorry, I’m so sorry!

Maledetti test di laboratorio.
Sentiva le voci. 

***​

Il giorno dopo, il Consiglio decretò la prosecuzione degli esperimenti. 
Minto non si trasformò. 
Alcune guardie, su ordine di quella con l’occhio destro bendato, la trasportarono lo stesso nel laboratorio.
L’espressione che aveva sul viso fece desistere gli scienziati dal chiederle di trasformarsi.
Quegli inutili esperimenti... che senso aveva continuarli, se gli alieni non erano in grado di proteggere la loro base dall’azione delle spie nemiche?
Minto si guardò attorno.
Le boccette con dentro i campioni del giorno erano state messe in fila sotto una teca protettiva di vetro. Da quanto erano lì? Erano già state alterate? 
Minto alzò la testa: in galleria, c’erano pochi ufficiali militari di alto rango. Non c’era nessuno del Consiglio degli Anziani. Evidentemente, lo spettacolo era diventato noioso. Poverini, non dovevano annoiarsi: dovevano divertirsi.
Guardò le sue amiche. 
Lei non c’era.
Non c’era.
Forse non c’era proprio più.
Un istante dopo, la ragazza si trasformò in Mew Minto. Si alzò in volo e spinse lontano la sedia a rotelle. Velocemente, chiamò a sé il suo arco. Mirando in direzione della teca, scoccò una freccia di luce che ruppe il vetro e trafisse tutte le boccette, mandandole in frantumi. Il loro contenuto si riversò sul pavimento e gli schizzi finirono ovunque, anche addosso a lei. Le guardie comparvero immediatamente, puntandole contro le loro armi e sfere di energia, ma la giovane aveva già pronta una seconda freccia nell’arco e non aveva paura di usarla.
– Mew Minto! – esclamò spaventata Mew Ichigo.
– Fermatevi, vi prego! – supplicò Mew Retasu.
– Umana, scendi subito da lì! Primo ed ultimo avvertimento! – disse un militare alieno con un orecchino rosso.
– Ah sì? Altrimenti cosa? Siamo rimaste in quattro a testare le vostre schifezze, volete veramente che restino in tre?
– Basta, per favore! – gridò Mew Purin. 
Cardamome tentò di intervenire.
– Cal... calm... calmiamoci tutti, non... non c... c... c’è bisogno di...
– Tu chiudi il becco! – sbraitò il militare con la benda sull’occhio. Poi proseguì: – E tu, razza di pennuta fabbricata male, tu! Chi ti credi di essere? Io ti...
– Non continueremo con la forza, se posi subito quell’arco e torni a terra! – lo interruppe il militare che aveva parlato per primo.
– Signore, quella è...
– Silenzio, Sergente! Lei non è autorizzato! – lo zittì.
– No, Tenente Betterave – fece in tono sommesso l’alieno con la benda.
– Ti prego, fa’ quello che ti dicono! Lei non avrebbe voluto questo... – disse Mew Ichigo.
Mew Minto digrignò i denti.
Con un fruscio d’ali, si abbassò leggermente verso terra.
La corda del suo arco era sempre tesa.
– Metti giù quell’arco. Da brava, mettilo giù! 
Mew Minto guardò tutti gli alieni presenti. Poi finalmente esclamò: – Siete degli stupidi. Stupidi che continuano ad illudersi. Siete solo degli stupidi! 
Fece scomparire la propria arma in un battito d’ali.
– L’Acqua Cristallo è finita. È finita! Fi-ni-ta! Fatevene una ragione!
– Mew Minto...
– Quello che state facendo non è la soluzione giusta. Dovete mettervelo in testa. State sbagliando!
– Mew Minto...
– Non potete ricreare in laboratorio una sostanza il cui segreto è perso nel tempo! È finita, non ce n’è più! Concentratevi sul vero presente! Non potete lasciare che la vostra gente muoia senza tentare di trovare un vaccino al virus dei...
– Mew Minto!
– Che cosa c’è di così importante? – gridò esasperata Mew Minto a Mew Ichigo.
Con una mano tremante, l’amica le indicò qualcosa in basso.
La ragazza abbassò lo sguardo. 
Era atterrata senza rendersene conto.
Le ali non sbattevano più.
Era... era in piedi... da sola.
Barcollò in avanti.
Fece due passi.
Li sentì.
Poi perse l’equilibrio e cadde giù come un sacco di patate. 
Nel laboratorio regnava il silenzio più assoluto. 
– Che... che cosa... è successo?
   
 
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