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Autore: MaikoxMilo    27/01/2020    5 recensioni
Atene, fine XX secolo.
Sono passati oltre duecento anni dalla fine della Guerra Sacra che sconquassò i destini di Shion dell'Ariete e di Dohko della Bilancia, unici sopravvissuti al conflitto. Il mondo è andato avanti, tutto è cambiato, nulla è come prima, eppure qualcosa forse è rimasto, un'impronta, una parvenza. Nulla sarà più come prima, eppure i nuovi Cavalieri d'Oro sono finalmente riuniti al Santuario di Grecia, le anime liberate dal Lost Canvas dopo la distruzione di Hades hanno finalmente trovato un nuovo corpo in cui reincarnarsi e tornare a vivere. Ancora una volta uniti. Ancora una volta come paladini della giustizia. Eppure... l'ombra è in agguato, un'ombra scura e malvagia, che attaccherà il Santuario dall'interno, forse proprio per mano di uno dei più potenti Cavalieri d'Oro.
Questa storia, pur appartenendo alla mia serie principale "Passato... presente... futuro!" è fruibile a tutti, essa vede come protagonisti i futuri Cavalieri d'Oro, che crescono, imparano a conoscersi, a sviluppare il cosmo, e che dovranno affrontare i timori, le paure e i doveri a metà strada tra il mondo della fanciullezza a cui ancora appartengono, e il sacro compito a cui sono destinati ad assurgere.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Gold Saints, Leo Aiolia, Scorpion Milo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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Capitolo 3: Il ciclamino

 

 

“Uuuuuuh…. Urgh!”

“Stai tranquillo, Camus, hanno quasi finito, resisti ancora un po’!”

Il piccolo si girò nella direzione della voce gentile, andando oltre con lo sguardo e soffermandosi a scrutare il volto e il sorriso di Aiolos, seduto a suo fianco, le dita strette sulla sua manina, in quel momento ferocemente serrata nel palmo del Cavaliere.

Erano arrivati i guaritori, chiamati dallo stesso Shion, per visitarlo, e lui si era trovato costretto a farglielo fare, non avendo altre alternative.

Il fatto era che Camus non voleva.

Non voleva essere toccato. Non voleva che a farlo fossero degli estranei. Ma non aveva avuto scelta alcuna.

Lo avevano adagiato sul letto dell’undicesima casa e si erano chinati per toccarlo, ma lui, lesto, si era ribellato, prendendo a calci in faccia quello più vicino. Era intervenuto Aiolos a calmarlo, sussurrandogli parole di conforto e dicendo che quelle persone, che venivano per lui, erano lì solo per aiutarlo. Il piccolino era molto forte, nonostante il corpicino in apparenza così fragile, sferrava calci potenti e si dibatteva con tutto sé stesso, ma l’ematoma doveva essere trattato, in un modo nell’altro, per questo serviva la mano esperta dei curatori.

Il secondo tentativo era andato meglio, grazie alle rassicurazioni di Aiolos, che gli aveva preso la manina tra le sue, Camus si era calmato, permettendo così la visita preliminare. Gli avevano sollevato la maglietta fino al petto, mentre, con lo stetoscopio, uno dei due auscultava il cuore, che in quel frangente batteva all’impazzata, l’altro girovagava sul suo corpo. Il piccolo tremava, riflesso incondizionato forse del trauma che aveva subito prima di giungere lì, faceva tenerezza a vedersi e Aiolos percepì nitidamente il disagio dietro quei due occhioni spaventati.

“Sembra davvero così fragile, ma ha una forza… ahi! Vorrei fare di più per lui, che trema come una foglia, ma cosa si può fare? Noi vorremmo solo aiutarlo, ma non riesce a fidarsi, si irrigidisce al minimo tocco!” disse uno dei due curatori, quello che si era preso il calcio in faccia, tornando a chinarsi su di lui. Gli toccò lo stomaco e la pancia, applicando una leggera pressione nelle zone al di fuori dell’ematoma, non trovando rigonfiamenti o altro. Camus era teso come una corda di violino, provava dolore e, per celarlo, tentava di voltarsi dall’altra parte. Doveva pensare a qualcos’altro, a qualcosa di bello, con tutte le sue forze.

“Il cuoricino va bene, i battiti sono regolari, anche se veloci! - disse l’altro, tastando poi la zona un poco sotto con lo stetoscopio – Ora, Camus, prendi un profondo respiro e poi butta fuori tutta l’aria che puoi” gli disse con dolcezza. Aiolos ripeté lo stesso in italiano. Il piccolo fece quanto chiesto, rimanendo girato dall’altra parte sempre nel tentativo di nascondersi.

“Bravo così, piccolino!” si complimentò ancora il curatore, posando poi lo strumento lì di fianco e tirando fuori una crema a base di erbe.

“P-posso tirarmi giù la maglietta?” chiese quasi supplichevole Camus ad Aiolos, giacché gli altri due non parlavano italiano, vedendo che avevano smesso di visitarlo. Si sentiva a disagio, avrebbe voluto nascondersi, coprirsi, perché stare così, a pancia scoperta lo faceva sentire vulnerabile sopra ogni dire.

“No, piccolino, devi resistere ancora un po’ perché ti devono passare l’unguento sull’ematoma. Coraggio, sei bravissimo!” lo provò ad incoraggiare Aiolos, accarezzandogli la testolina.

“Non mi piace… non mi piace stare così! Qu-questi mi toccano la pancia, il petto, e schiacciano… fanno male!”

“Lo so, piccolino, ma è per il tuo bene!”

Camus sospirò, cercando di mettersi comodo, che tanto di alternative non ne aveva. Strinse ancora più forte la mano di Aiolos, unico appiglio in quella situazione, il Cavaliere non si ritrasse, anzi gli accarezzò la fronte e i capelli con gesto gentile, facendogli sentire la sua vicinanza. A quel punto il piccolo chiuse gli occhi, cercando, ancora più intensamente, di immaginarsi qualcosa che potesse distrarlo e non fargli percepire la vergogna crescente. Mani gentili gli passavano sulla pelle, distribuendo l’unguento che avrebbe dovuto accelerare il processo di guarigione. Camus capiva che erano lì per lui, per fargli del bene, ma non gli piaceva, proprio non gli piaceva essere toccato in quel modo, non gli piaceva quella posizione, quel senso di essere in balia di forze esterne che potessero disporre di lui. Impotente. Totalmente impotente. Gemette più volte, singhiozzando, ma non versò neanche una lacrima, gli si erano congelate nel petto nel momento esatto in cui era stato separato dalla sua famiglia.

Le mani smisero di passare sulla pelle, forse aspettando che la crema venisse assorbita. Qualcuno parlò in quella lingua strana che il piccolo non riusciva a comprendere, prima di udire la voce gentile di Aiolos.

“Camus, puoi girarti sul fianco destro? - gli chiese dolcemente, passandogli un dito di piuma sulla guancia – In questa maniera possono spalmarti la crema anche dietro, poi hanno finito!”

Il piccolo fece quanto chiesto, voltandosi e rannicchiandosi su sé stesso in posizione fetale, come a voler proteggere il pancino da ingerenze esterne. Si sentiva fragile.

“Sei davvero bravo, Camus!” si congratulò ancora Aiolos, non smettendo di accarezzarlo, prima di sollevargli la maglietta dietro per scoprirgli interamente la schiena, ancora vessata da quei fastidiosi lividi che però non gli facevano male come l’altro, erano solo fastidiosi. Il procedimento impiegò più tempo del previsto. Camus si rannicchiò ancora di più, incurvandosi su sé stesso, avvertì di nuovo il tondino freddo sulla schiena, per auscultargli gli organi vitali, gli fu nuovamente chiesto di prendere un profondo respiro, inspirare e poi buttare fuori l’aria. Fece quanto chiesto, sperando che fosse l’ultima, poco prima di sentire le loro mani passare sulla schiena quel solito unguento che profumava di selvatico. Li udì dirsi qualcosa fra loro, mentre, con le manine, si copriva il pancino, ancora scoperto in seguito alla visita. Quella posizione era persino peggiore della precedente, perché gli metteva in mostra sia l’intera schiena che la maggior parte del petto e dell’addome. Sembrava una vera e propria tortura cinese. Il suo respiro accelerò, frenetico.

“Può bastare così… - disse Aiolos, ad un certo punto, capendo il suo stato emotivo – sei stato bravissimo, piccolo!”

Camus non se lo fece ripetere due volte, liberato dalle mani dei curatori, si alzò subito, precipitandosi ad abbracciare Aiolos e stringersi così a lui, le palpebre chiuse. Era tutto tremante.

“E’ tutto finito per stamattina, guarirai presto!” lo incoraggiò ancora Aiolos, sistemandogli meglio la maglia, che era ancora stropicciata, poco prima di accarezzargli i capelli.

Camus non rispose, si limitò a stringersi ancora di più a lui, sollevato che tutto fosse finito. Si sentiva nuovamente stanco e fragile, cosa che non gli piaceva per niente. Sapeva che quel procedimento si sarebbe ripetuto, Aiolos lo aveva avvertito: non sarebbe bastata una seduta, ma almeno sei nell’arco di tre giorni per vedere dei vistosi miglioramenti. Tremò a quel pensiero, tornando a concentrarsi sul fatto che, almeno per quella mattinata, aveva finito.

“Il grosso ematoma e i lividi sono chiaramente causati da un grosso pestaggio. Chiunque lo abbia colpito, ha infierito su di lui più e più volte, doveva avercelo in odio, o essere infuriato, solo che non mi spiego come sia possibile che un esserino così minuscolo provochi una reazione così brutale. Si sa niente del passato del piccolo?” chiese intanto uno dei due curatori ad Aiolos. Parlavano in greco, pertanto Camus non li capì.

“Il nobile Shion ha detto che non può rivelare nulla circa il suo passato, che è troppo prematuro… quindi, no, non so assolutamente niente, ma mi fido del giudizio del Grande Sacerdote! Se ha valutato di non rivelarci niente, non posso che attenermi pedissequamente” rispose Aiolos, continuando ad accarezzare il piccolo per tranquillizzarlo.

“Avete pienamente ragione: probabilmente non venire a conoscenza di quello che gli è successo è meglio per tutti, soprattutto per il piccolo!”

“Lo penso anche io...”

“Bene, nobile Aiolos, qui noi, per stamattina, abbiamo finito, torneremo stasera per la seconda medicazione. Il frugoletto è molto forte, pensiamo che, con le giuste cure, nel giro di tre giorni, possa sentirsi meglio!” intervenne il curatore più anziano, inchinandosi in segno di ossequio prima di uscire con l’altro. Aiolos gli sorrise gentilmente, aspettando che se ne andassero prima di rivolgersi a Camus.

“Fra tre giorni starai meglio, piccolo! So che non ti piace essere toccato, ma se seguirai le cure, non sarà più necessario!” lo incoraggiò dolcemente, guardandolo in faccia e accorgendosi che si stava stropicciando gli occhi, stanco.

“Cosa ti succede, Camus, stai male?” gli chiese, scostandogli un ciuffo di capelli dalla fronte.

“Ho… ho sonno… - biascicò il bimbo, con un’espressione esausta e tirata a solcargli il visetto di cera – A-Aiolos, ho… ho tanto sonno, posso… posso dormire?” gli chiese timidamente, chiedendogli il permesso. Era impossibile non affezionarsi a quel piccoletto, era inconcepibile pensare che qualcuno, invece, là fuori, lo volesse morto.

Il Cavaliere di Sagitter sorrise in un moto di tenerezza, permettendo al piccolo di adagiarsi sulla spalla in posizione comoda.

“Ma certo, non c’è bisogno che mi chiedi il permesso, se hai sonno chiudi gli occhi e riposa, ci penso io a te!” lo rassicurò, vezzeggiandogli il viso.

Camus non se lo fece ripetere due volte e, nell’arco di appena una manciata di secondi, piombò istantaneamente in un sonno profondo, del tutto inconsapevole dell’ambiente intorno.

 

 

* * *

 

 

Quel pomeriggio, complice gli allenamenti intensi del fratello, Aiolia riuscì a raggiungere gli altri solo quando il sole cominciava già a calare, irradiando i dintorni con una luce arancione-rossiccia. Del resto, era la fine di novembre, le giornate erano corte e tutti i piccoli, futuri, Cavalieri d’Oro, avevano l’obbligo di rientrare a presiedere i propri templi, o le zone di pertinenza, entro un’ora esatta dopo il calare del sole. Nonostante questo, aveva ottenuto il permesso dal fratello di incontrarsi con gli altri per avere un po’ di svago, cosa che non si era fatto assolutamente ripetere.

Quando arrivò nella radura che era stata adibita a luogo di incontro dopo gli allenamenti, percepì già da distante che Milo stava litigando con Shaka, cosa non affatto rara, visto i due tipetti, mentre Mu e Aldebaran facevano come sempre da paciere, anche questo assai frequente. Era ancora distante per udirli, ma accelerò il suo suo moto, entrando di prepotenza nel discorso.

“… non ti è bastata la gomitata che ti ha dato Camus l’altra sera, ne vuoi guadagnare un’altra?! Sei proprio come quei cani che non capiscono gli ordini e continuano a ripetere gli stessi errori!” stava dicendo Shaka, sbuffando.

“No! No! E no! D’accordo, ho sbagliato approccio… UNA VOLTA! Ma ciò non toglie che Camus mi abbia avvertito, in qualche maniera, perché ha riaperto gli occhi per me! Io lo so! Non posso arrendermi per nessuna ragione al mondo!” aveva esclamato Milo, categorico, sempre più testardo. Era sicuro di quello che diceva, lo si poteva leggere negli occhi.

“Lo stavi SPOGLIANDO, Milo! Si è ritrovato con la pancia scoperta davanti ad una marmaglia di estranei! Sei stato indelicato sopra ogni dire, grazie che Camus si è svegliato, cos’altro poteva fare?! Ancora che ti ha dato solo una gomitata!” lo rimproverò ancora Shaka, aprendo improvvisamente entrambi gli occhi e facendo prendere un colpo a Milo che all’improvviso si sentì piccolo piccolo e tutto vergognoso.

“Ciao! Cosa succede?” intervenne finalmente Aiolia, desideroso di recuperare il filo della matassa di quel discorso.

“Shaka sta sgridando Milo, e di riflesso noi, per ciò che abbiamo fatto a Camus, mentre Milo continua ottusamente a dire che aveva sentito il suo richiamo di aiuto, e che non poteva in alcun modo lasciarlo solo...” sciolinò velocemente Aldebaran, dubbioso.

“Ah… un visionario! Milo è sempre stato un po’ così!” la prese sul ridere Aiolia, ridacchiando sommessamente.

Nel frattempo il battibecco tra la futura Vergine e il futuro Scorpione, si era di molto attenuato, perché Milo, sfoggiando la sua migliore espressione da cane bastonato, si era messo a piangere.

“I-io… io volevo solo… aiutarlo!” pigolò Milo, gli occhioni lucidi, il naso incerottato e le labbra frementi, come se fosse sul punto di singhiozzare.

“E lo hai fatto nel modo sbagliato, Milo...”

Ma… ma le mie erano… buone intenzioni...”

“Che non sono state capite, però… Milo, dovresti aver imparato che non tutti ragionano come te!”

Shaka gli continuava a rispondere prontamente, ma la lenta e graduale opera di addolcimento stava facendo il suo fatale effetto, imbrigliando anche uno della personalità del biondino.

Sigh… T-ti prego… aiutami a fare breccia nel suo cuore...

“Ma io non lo conosco! Come faccio a…?”

Daaaaaai, ti pregooooooo, io gli voglio bene, è mio amico e...

“Ma come puoi voler bene ad un bimbo che hai appena visto?!? E poi l’amicizia non esiste, se non è equamente distribuita tra due individui, e da quello che hai detto Camus non prova lo stesso!” gli fece notare Shaka, pratico.

“Siamo destinati, io e lui!” riprese Milo con nuovo slancio, ricacciando indietro le lacrime.

“Ma senti questo!” commentò Shaka, tornando ad essere esasperato.

“Oh, ne è proprio convinto, eh!” sogghigno Aiolia, furbo, sicuro che se Milo avesse davvero conosciuto quel Camus, in tutta la sua antipatia, i pensieri positivi sarebbero stati ritrattati.

“Mi chiedo se… se ci sia un fondo di verità nelle parole di Milo...” prese parola Mu, vagliando una nuova ipotesi.

“Cosa intendi?” lo interrogò lesto Aldebaran, curioso del suo punto di vista.

“Che il Sommo Shion è reduce della scorsa Guerra Sacra, ogni tanto mi racconta delle sue convinzioni che i suoi precedenti compagni, ad eccezione del Vecchio Maestro Dohko, possano essere, in qualche modo, la stessa essenza di questi...”

“Reincarnazione? - le parole di Mu destarono l’interesse di Shaka, ora attento più che mai a scrutarlo con quegli occhi azzurro cielo limpido che si ritrovava – Saremmo reincarnazioni?”

“Qualcosa di simile...”

“Mu… - di colpo Shaka si fece ancora più serio di quanto già non fosse di suo – esiste la reincarnazione nel Buddismo, ma ha tutt’altri connotati rispetto a quello che mi stai...”

“Chissenefrega delle rincornozioni! Io voglio diventare amico di Camus!” si fece sentire Milo, furioso che la sua richiesta di aiuto fosse stata messa da parte. Quella parola era troppo complicata per lui ed era ininfluente rispetto ai suoi pensieri. Lui e Camus avrebbero potuto essere chiamati con qualsiasi nome, non aveva la benché minima importanza, solo una cosa contava: recuperare il suo cuore smarrito.

“Al solito un citrullo ragiona come citrullo… Mu, l’argomento mi interessa, ne parleremo a a parte io e te, ok?” commentò Shaka, chiudendo nuovamente gli occhi e isolandosi, che tanto con quello sciocco di Milo il fiato si perdeva e basta.

Fu il turno di Aiolia di prendere parola, accorgendosi che non aveva ancora avvertito gli amici di un fatto molto importante. Sorrise contento, presagendo già che il suo migliore amico si sarebbe eroso dall’invidia.

“Piuttosto, ho un annuncio da fare...” incominciò, strofinandosi sornione il nasino. Tutti gli occhi furono puntati su di lui, tranne ovviamente Shaka nuovamente intento a meditare.

“Cosacosacosacosa???” lo incentivò Milo, saltando come una molla.

“Camus è a casa mia e di mio fratello!”

“Davvero, Lia? Come...” iniziò Aldebaran, incuriosito, ma fu interrotto dalla lippa Milo che, prendendo la rincorsa, balzò addosso ad Aiolia, facendolo finire a terra.

“Lia! Lia! Lia! Ti prego, ti prego, ti prego! Fammelo vedere!!! Chiedi ad Aiolos se posso… no, aspetta! Gli farò io una sorpresa, uno di questi giorni! Posso? Posso? Posso?!?”

Aiolia tentò di mettersi quanto meno seduto, giacché Milo dondolava euforico e pendeva dalle sue labbra. Lo guardava con adorazione ed era iperattivo, pensando già alle tremila e una sorprese che avrebbe potuto riservare al nuovo arrivato.

“Dopo i fatti dell’altra sera… non è una buona idea, Milo!” gli consigliò invece Mu, dispiaciuto.

Milo fece per aprire bocca e cominciare a parlare a macchinetta, ma fu intercettato da Aiolia.

“Questa volta devo dare ragione a Mu, e poi Camus sta ancora male… dorme un sacco!”

“COSA?!?”

“Il piccolino prova ancora così tanto dolore?” chiese a sua volta Aldebaran, superando lo schiamazzo di Milo che si era impietrito sul posto.

“Non lo so bene… ci sta dietro Aiolos...” mormorò il leoncino, non nascondendo un certo disappunto. Lui non voleva avere nulla a che farci con quello, in tutta franchezza era anche geloso delle attenzioni che il fratello maggiore riversava su di lui, che era un estraneo, ma tentò di essere più sincero possibile.

“Come mai è da voi?” chiese Mu, avvicinandosi.

“Glielo ha affidato il Grande Sacerdote in persona… pare che stiano trattando i lividi. Stamattina sono andati dai curatori, quando sono tornati Camus stava dormendo, non si è più svegliato da allora...” spiegò Aiolia, rimuginandoci sopra.

“Non si è più… svegliato? Non è un buon segno, è indizio di debolezza...” sussurrò invece Aldeberan, desiderando aiutare quel piccoletto così fragile.

“Aiolos lo ha cambiato oggi pomeriggio… gli ha pure comprato un pigiama nuovo, cioè, vi rendete conto?! Sono io il suo fratellino!” si lamentò tuttavia, sbuffando, desiderando condividere con gli amici il suo disappunto, che però non fu accolto, perché gli altri erano concentrati sulle condizioni di salute dell’ultimo arrivato.

“Si fa… toccare da Aiolos?” chiese Milo, geloso, continuando a muoversi come una molla appena usata.

“Sì… ma del resto il mio fratellone è il più puro e nobile del Santuario, non c’è da meravigliarsi!” disse il leoncino, orgoglioso, crogiolandosi in quella verità.

Sa avesse potuto, il piccolo Scorpione, si sarebbe morso le mani: Camus aveva concesso ad Aiolos, e non a lui, di essere toccato, si sentiva ferito e deluso senza saperne il reale motivo. Ancora di più però era il suo malessere a preoccuparlo notevolmente, doveva fare qualcosa, a tutti i costi, forse così anche il nuovo arrivato si sarebbe accorto di lui, concedendogli così la sua fiducia.

“Hai detto che dorme… da stamattina? E’ così grave?” gli chiese, sforzandosi di ricacciare indietro la gelosia per Aiolos, che aveva un così alto privilegio. Aiolia tornò a grattarsi la testa a disagio, dopo l’exploit sulla grandiosa destrezza e grandezza di suo fratello non aveva altri argomenti per far pendere Milo dalle sue labbra, e il suo amico si era fissato con quel Camus, provò un velato fastidio.

“Quando me ne sono andato, dormiva ancora tra le coperte. Come vi ho detto, non si è più svegliato da stamattina, ma stasera dovrà tornare dai curatori, quindi presumo che sarà vigile...” biascicò il leoncino, discostando lo sguardo.

“Devo aiutarlo, poverino! - si raddrizzò Milo, una nuova luce negli occhi, si fissò sul futuro Ariete, ricercando il suo sostegno – Mu, tu dici spesso che esistono erbe curative, dove poss...”

“Che cosa hai intenzione di fare, Milo?” lo fermò immediatamente Shaka, facendo saettare i suoi occhi nella sua direzione, assottigliandoli.

“Niente che ti riguarda! - gli fece linguaccia l’altro, tornando a concentrarsi sull’amico, rimasto perplesso – Allora, Mu? Sei allievo del Grande Shion, vero? Tu saprai senz’altro...”

“Forse non hai ben capito… - si oppose ancora Shaka, alzandosi in piedi, gesto alquanto raro per lui, che non presagiva nulla di buono – I curatori si stanno già occupando dei lividi, cosa pensi di poter fare tu? Non sai nulla di rimedi e...”

“Mu, ti prego, dammi una pista da seguire, ed io...”

“Guardami quando ti parlo e non fare finta di non vedermi!” esclamò il biondo, stizzito più che mai dall’atteggiamento del compagno, tremava per la rabbia, Milo era riuscito a farlo spazientire, dote non da tutti.

“Non ti guardo e non ti considero, sei solo una mosca fastidiosa adesso!”

“Ma tu guarda questo!” ripeté, cercando di ricomporsi, che doveva elevarsi sopra le umani pulsioni, invece di scendere al livello di Milo, ma era impossibile allo stato attuale della sua esperienza.

“M-Milo… - prese in fine parola Mu, un poco più insicuro ma consapevole della sua posizione – Forse per una volta dovresti ascoltare Shaka, non possiamo fare nulla di più dei curatori, aspettiamo fiduciosi, vedrai che Camus starà meglio!” gli fece notare, ma si morse subito le labbra quando vide l’espressione ferita dell’amico.

“Mu, pure tu… non ci posso credere!” biascicò, apparentemente rassegnato, incassando la testa tra le spalle e scrollando la testa.

“M-Milo, io...”

Ma l’attenzione non era più su di lui. Il più piccolo scattò davanti ad Aldebaran, guardandolo supplichevole e con occhi lucidi.

“Aldy, tu almeno mi aiuterai? Sei buono come il pane, lo so! Aiutami, ti prego!”

“Lo… lo farei, Milo, se fosse davvero necessario, ma c’è già chi, molto più esperto di noi, si sta occupando di lui. Non è solo, dobbiamo solo confidare...”

“UFF, MA COSA VI STA SUCCEDENDO A TUTTI?!?” urlo ad un certo punto il bimbo, sempre più offeso dalle parole degli amici.

“Non sta succedendo niente, Milo, semplicemente ragionano, cosa che a te è ancora oscura!” affermò risoluto Shaka, sempre con gli occhi profondi rivolti verso di lui, era quasi spietato, forse più del necessario, ma doveva fermarlo. Uscire dal tempio per un motivo così futile era pericoloso e rischioso, doveva dissuaderlo con ogni mezzo in suo possesso, ma conosceva bene la sua testardaggine senza freni.

“Siete tutti così senza cuore, ma io non mi arrenderò, troverò un modo per farlo stare meglio!” disse, sicuro di sé, poco prima di fuggire via.

Le esclamazioni dietro di lui, prodotte dai suoi giovani compagni, svanirono in un lampo, lasciando la sua mente libera di ragionare, come diceva Shaka. Si recò al suo tempio, si cambiò, senza neppure mangiare, e si buttò a letto dopo aver fatto pipi, il suo cervello libero di funzionare e indirizzarsi su una possibile soluzione. Si addormentò così, dopo un’oretta, rannicchiato sul fianco sinistro, la mente ancora in fibrillazione e perennemente in funzione. Fu una notte agitata, fatta di risvegli e di sogni strani, passò lentamente, ma, una volta terminata, lo lasciò carico di idee e nuovi spunti.

Il giorno seguente gli aspettavano gli allenamenti. Non ci andò, sicuro che i suoi amici non si sarebbero nemmeno preoccupati per lui, visto il trattamento che gli avevano riservato (offeso era offeso, eccome se lo era!), recandosi invece nel bosco nelle vicinanze del tempio.

“Se loro non mi aiutano seguirò il mio cuore, non ho bisogno di loro!” si disse, inerpicandosi per il sentierino.

Era un bosco fatto di saliscendi, scuro, profondo, copriva tutto il versante a sud del Santuario e, in certi tratti, assumeva pendenze considerevoli, soprattutto per un bambino di 5 anni. Milo non si diede per vinto, proseguendo guidato dal cuore, e solo da esso. Non conosceva erbe medicinali, non conosceva quel luogo, così estraneo all’isola che gli aveva dato i natali, ma aveva tutte le intenzioni di proseguire, di non demordere, una intuizione gli sarebbe venuta prima o poi, lo sapeva.

Lo pensò intensamente per una un’ora, prima di ritrovarsi a vagare smarrito per quel bosco tutto uguale, i lacrimoni agli occhi. Si era perso, gli alberi non davano presenze sicure, anzi, sembravano minacciosi. I rumori del sottobosco erano a volte intensi e prolungati, altre repentini. Lo spaventavano. Lo terrorizzavano. Ogni tanto, un fruscio a poca distanza da lui, gli faceva prendere le rincorse, totalmente in panico, ciò gli faceva perdere ancora di più l’orientamento, confondendolo maggiormente. Gli sembrò di camminare per ore e ore, la stanchezza cominciava a farsi sentire. Si accasciò infine vicino ad una roccia, esausto. Cominciava davvero a sentire la mancanza dei suoi amici, persino di quella piattola di Shaka che voleva avere sempre ragione su tutto. Li avrebbe voluti lì, tutti, nessuno escluso, odiava stare da solo, poiché lo era già stato nel momento in cui si era formato il suo primo ricordo nella sua giovane mente. Solo…

Non aveva ricordi suoi propri genitori Milo, il futuro Scorpio, non conosceva le sembianze dei loro visi, né il delinearsi del loro sorriso, l’unica cosa che rammentava era un profumo di latte e un calore vivo e sincero, che tuttavia si era spezzato, lasciando lui in un buio perpetuo. Morti, gli avevano detto così. Suoni e contorni indefiniti si era succeduti, fino a quando, forse a due anni abbondanti, o addirittura a tre, era stato colto dalle mani di un signore e della propria figlioccia, se così si poteva definire quella giovane ragazzina dalla pelle ombrosa e i lineamenti slanciati, e loro lo avevano portato al tempio, dove aveva conosciuto Aiolia, subito diventato amico intimo e, mano a mano che arrivavano anche gli altri piccoli futuri Cavalieri d’Oro, si era finalmente ricreato un prototipo di famiglia. Li vedeva tutti come fratelli sinceri, di sangue, non acquisiti, e gli voleva bene, un bene dell’anima. A tutti. Nessuno escluso.

Tirò su con il naso, rannicchiato vicino ad un sasso, infreddolito e tremante. Si sentiva solo e abbandonato, cominciò a pensare che avrebbe dovuto ascoltare Shaka, o fidarsi di Mu, invece di precipitarsi in quel luogo sinistro senza dire niente a nessuno. Ora era lì, perso, non sapeva quanto fosse passato, ma era consapevole che le giornate, in novembre, erano corte; se non avesse trovato il coraggio di muoversi sarebbe rimasto lì e poi morto di freddo. Lo avrebbero trovato congelato il giorno dopo, o forse anni... e lui odiava il ghiaccio.

Era quasi sul punto di scoppiare a piangere a squarciagola, spaventatissimo, quando una brezza leggera, non fredda, ma fresca, gli solleticò la fronte e i capelli ribelli. Sbatté più volte le palpebre e la seguì, fiducioso, recuperando nuovo vigore. Sembrava quasi palpabile, quella brezza, come se appartenesse a qualcuno di famigliare. Non ne perse più la traccia, ed essa lo guidò fino ad una cascatella nella roccia che formava un piccolo laghetto cristallino. Milo era incredulo per ciò che vedeva, si diede due pizzicotti sulle guance, ma quel posto incredibile non scompariva, era ben nitido davanti a sé. Si guardò comunque intorno, confuso, non vedendo più quel ragazzo dai lunghi capelli verdi che lo aveva accompagnato fin lì tramite quella brezza fresca. Aveva assistito a quel prodigioso che si era inginocchiato in un punto ben definito, dandogli le spalle, per indicargli poi un qualcosa di molto importante che stava a terra, sotto ad un tronco, prima di… PUFF, sparire del nulla. Non vi era più traccia di lui, eppure il piccolo Milo giurò di udire una voce risuonargli melodiosamente in testa.

 

So che, in qualche modo, il tuo cuore lo ricorderà, sei sempre stato più abile di me… a perseverare!

 

Ricordare, d’accordo, ma cosa doveva ricordare? Milo si diresse, ballonzolando, verso la direzione indicata, la testa che gli doleva e un raro senso di vertigini, ritrovandosi così davanti ad una manciata di fiori di forma strana color lilla, tendenti all’ingiù. Ne fu sinceramente sorpreso, non avrebbe mai pensato che quella stagione così fredda e apparentemente priva di vita, contenesse, dentro di sé, l’impronta della vita stessa, al punto tale da permettere ai fiori di sbocciare. Rimase una serie di minuti a guardarli, come carpito dalle loro sembianze, prima di ridestarsi di nuovo pienamente e rendersi conto che, vicino al laghetto e alla cascata rocciosa, vi era un prato immenso di trifogli di un bel colore verde scuro. Immediatamente si ricordò che il quadrifoglio, più raro, poteva trovarsi lì in mezzo, e che da sempre portava fortuna. Si illuminò: ecco di cosa aveva bisogno Camus, di tanta, tanta fortuna, da quel momento in avanti, visto quello che aveva patito, e lui gliela avrebbe portata a secchielli, cosicché sarebbe guarito subito! La speranza fece battere all’impazzata il cuore del giovane Scorpione che, tutto frenetico, prese a ricercare la rara piantina nei dintorni. Ne voleva una tonnellata, perché serviva una tonnellata di fortuna per il piccolo nuovo arrivato, non ne poteva fare a meno. Tuttavia poco dopo si rese conto che l’impresa era più ardua del previsto, perché gli esemplari erano una minoranza rispetto al trifoglio. Decise quindi di raccogliere anche quest’ultimo, forse aveva meno efficacia che il quadrifoglio, ma gli avrebbe portato fortuna comunque e i suoi forzi sarebbero stati ricompensati.

Si attardò non poco in quel compito, terminandolo solo quando si rese conto che la luce del sole, già fioca a seguito della boscaglia, decresceva sempre di più. A quel punto si ritenne più che soddisfatto, riprendendo a seguire il venticello fresco, anche se non più visibile, e ritrovando, grazie a lui, la strada di casa, uscendo così nella radura. Le ombre si allungavano sempre più, ma il suo dovere lo aveva fatto, ora non restava che trovare un modo per avvicinarsi a Camus e consegnarglielo, sapeva che quella sarebbe stata la parte più difficile, ma non si sarebbe arreso e lo avrebbe raggiunto, lo aveva promesso quel lontano giorno.

 

Se il tuo cuore si smarrirà, dovunque esso si smarrirà, non devi preoccuparti! Ci sarò io, ti raggiungerò, dovunque sarai, e ti riporterò a casa…

 

Annuì fiero, tutto gongolante tra sé e sé, tanto che non si accorse che in quella radura non era il solo, e che l’altro era piuttosto infastidito di vederlo. Gli si posizionò davanti, mettendo le mani sui fianchi e sfoderando il suo miglior sorriso canzonatorio, ma il piccolo Scorpione non lo calcolò e, intravedendo un ostacolo senza darci il giusto peso, ancora intento ad osservare il mazzetto di trifogli e quadrifogli nella sacca, semplicemente si spostò di lato, come se nulla fosse. Un affronto che non era tollerabile.

L’attenzione di Milo era tutta concentrata a non danneggiare il grande tesoro che portava in grembo, tanto da non rendersi conto di niente, se non quando, colpito vilmente sul fianco, si accasciò a terra, perdendo la presa sulle piantine. Per non schiacciarle le aveva sollevate con le braccine, facendosi male lui.

“Finalmente, moccioso! E ringrazia che non rincaro la dose, non si passa senza degnare di uno sguardo il grande Death Mask!” affermò il bambino più grande, sovrastandolo di mole. Milo non gli diede retta, tornando a guardare il pacchettino nel timore che si potesse essere danneggiato. Fortunatamente ciò non sembrava essere successo.

“Menomale… per fortuna!”

“Ehi, ancora non mi guardi?!”

“Ti ho… ti ho visto, Death Mask, ma ho faccende più urgenti che darti attenzioni ora, scusami...” gli disse distrattamente, alzandosi in piedi e proseguendo il cammino come se niente fosse.

Qualunque cosa avrebbe potuto essere quell’affare, sarebbe stato necessario toglierglielo per avere una reazione alle sue provocazioni. Se c’era una cosa che Death Mask del Cancro non digeriva, era la mancanza di rispetto nei suoi confronti, una questione su cui era necessario educare i più piccoli, o meglio rieducare. Sbuffò contrariato, apprestandosi a strappargli di mano quella sacca per lui così tanto importante. Fu un gioco da ragazzi, Milo era più piccolo e più basso di lui, che invece era ben più alto e massiccio: in un lampo gli balzò davanti, afferrando la sacca, spintonandolo con foga. Il bambino si ritrovò di nuovo per terra, stavolta sbatté la schiena, mugolando per il dolore.

“Si può sapere cosa è ‘sto aggeggio?” lo scrutò Cancer, pensandolo un qualche tipo di tesoro che il moccioso aveva avuto la fortuna di trovare.

“Ridammelo, bruto!!!” urlò l’altro, una volta capito che glielo aveva rubato. Si alzò velocemente in piedi, tutto intento ad attaccarlo ma Death Mask, come di consueto, lo fermò con un’unica mano.

“Ma che minchia sono queste?! Foglie?!” continuò, scurrile, quasi disgustato e deluso da quella scoperta. Milo non lo aveva calcolato per un mucchio di piantine rinsecchite. Peggio! Si era allontanato dal Tempio, in subbuglio, per un motivo simile, cosa aveva nella testa, carciofi?!

“Di’, ma quanto sei stupido?!? E’ da stamattina che il futuro montone e il gattino spelacchiato ti stanno cercando, preoccupati per la tua assenza! Quei due hanno mandato a soqquadro l’intero Santuario per te, e tu vai a raccogliere foglie inutili per tutto il giorno?! Ok, che sei scemo, ma così hai raggiunto un nuovo livello!”

Ma Milo non lo stava ascoltando, sempre più arrabbiato dell’intromissione di quell’essere spregevole. Si dimenò ancora ma non riusciva a raggiungerlo, sebbene il suo intento fosse quello di graffiare la faccia affilata di Death Mask che aveva osato mettere le mani su un tesoro sacro che lui doveva consegnare a Camus.

“Lasciami!!! Lascialo!!! Non è mio! E’ per Camus, lascialo!!!” ripeté più volte, facendo roteare i pugni, del tutto vano.

“Per l’ameba, eh? Immagino che sarà commosso, guarda! - lo lusingò falsamente, sorridendo meschinamente, prima di proseguire – Li butterà nella prima pattumiera e tanti saluti, ahahahah!!!”

“Non osare!!! Non osare, grrrrrr!!!” ringhiò la piccola furia, sempre più furente. Errore mortale mettersi tra lui e i suoi propositi.

Death Mask intanto si era lasciato andare ad una sonora risata.

“Sei talmente scemo che pensi che qualcuno possa apprezzare il tuo regalo fatto di foglie rinsecchite che marceranno da qui a breve, sei un vero spas... AAAARGH!!!”

Non riuscì a terminare la frase, Milo lo aveva morso con violenza, non trovando altro modo per opporsi, cosa che lo fece imbestialire e perdere il controllo.

“Ma-maledetto!!!” ululò, indignato, dandogli un sonoro affondo tra le costole che lo fece cadere per terra come un sacco di patate. Poco dopo si buttò sopra di lui, bloccandolo con la sua mole per impartirgli una sonora lezione, di quelle che non si dimenticano. Il pacchetto insulso cadde ai suoi piedi, ormai non più oggetto dei suoi interessi. Cominciò quindi a tirare pugni con l’intento di colpire quel bambino arrogante e presuntuoso che gli aveva mancato di rispetto, non una volta, ma tre in un colpo solo e che, solo per quello, meritava il suo disprezzo. Milo era in posizione di forte svantaggio, ma parava alla ben meglio i pugni, proteggendosi il volto visibilmente sofferente. Death Mask decise quindi di cambiare tattica. Gli affondò una veloce gomitata precisamente nello sterno, abbastanza intensa da mozzargli il respiro di netto e portare le sue manine a coprirsi lo stomaco, in preda al dolore. Era il momento giusto per arrivare al viso, ormai privo di protezione.

“Mettiti comodo, questo è solo l’inizio della lezione, pagherai sulla tua pelle cosa significa mancare di rispetto al grandioso...”

Ma si rese conto che entrambe le braccia erano bloccate e infreddolite, tanto da impedirgli ogni più piccolo movimento. Per un solo istante pensò a Saga, o qualche altro Cavaliere d’Oro più grande di lui che aveva visto la scena ed era intervenuto. Effettivamente si era lasciato un po’ troppo andare, forse aveva esagerato a prendersela con quel bamboccio arrogante, gli capitava spesso di perdere il controllo per l’ira e, quando succedeva, si comportava come il suo schifosissimo padre, l’essere che odiava di più al mondo e che gli aveva insegnato a reagire in un unico modo: picchiando fino ad eliminare il nemico. Perché il più forte vinceva. Sempre. Accadeva in natura. Accadeva tra gli umani.

Per un secondo si pentì di quanto aveva fatto, liberando la presa su Milo il quale, affannato, tentava disperatamente di recuperare l’ossigeno che gli era stato sottratto con la forza.

Arrete, froussard!”

Un suono di una voce mai udita lo raggiunse, portandolo ad alzarsi in piedi. Non lo aveva riconosciuto, ma aveva identificato la lingua, il che gli fece comprendere subito chi fosse intervenuto. In quel momento avrebbe avuto a che fare, non con uno, ma ben due pusillanimi.

“Il nuovo venuto, suppongo, eh?” si ritrovò a dire, producendo un suono gutturale. La sua attenzione si spostò da Milo, ancora intento a recuperare fiato, al secondo bambino, a piedi a poca distanza da lui che lo scrutava con aria indignata e seria. Cosa ci facesse lì era un mistero, ma Death Mask decise di procedere con educazione come primo approccio.

“Non parli la mia lingua? Hai un bel livido qui!” gli disse, nel suo dialetto di origine, indicandosi la guancia per fargli comprendere il messaggio. L’interpellato, dopo la prima esternazione chiaramente minacciosa, anche se il futuro Cancer non aveva capito un’acca, non parlava più, limitandosi a guardarlo torvamente con espressione sempre più disgustata.

“Andiamo bene, manco parla, quest’altro scemo...” sospirò teatralmente, studiandolo a sua volta. Era pallido in volto come la prima volta che lo aveva visto di sfuggita, il corpo gracile, la statura assai più bassa della sua. Non era e non poteva essere una minaccia, né un aiuto, visto che nella sua combriccola di agile e veloce c’era già Aphrodite, e bastava. Tentò nuovamente di farlo parlare, ponendogli delle domande.

“Ti chiami Camus, giusto?”

“...”

“Ma sai articolare vocalizzi al di là delle parole che hai usato prima?!?”

“...”

“Minchia, oh, sei handicappato, forse?!”

“...”

“Autistico?!”

“...”

Sospirò, affranto e spazientito al tempo stesso. Le aveva provate tutte, gesticolando come un matto, ma quello lì non comunicava, rimanendo a fissarlo con quei due occhi di ghiaccio che si ritrovava. Caso perso. Malato mentale. O qualcosa di simile.

“Camus!!! Vai via di qui, Death Mask è un bimbo cattivo e tu sei già ferito!!!” aveva preso a schiamazzare intanto Milo, appena ripresosi. Ovviamente parlava in greco e quello non lo comprendeva, oltre ad essere un vero e proprio afasico. A stare con loro ci si rincretiniva, meglio perderli che trovarli!

Lo sdegno e la faccia schifata del bambino dagli occhi blu, poi, erano degni del popolo di merda a cui apparteneva, il futuro Cancer non riuscì più a trattenersi.

“Che palle! Ecco perché odio i francesi, tutti con il naso all’insù e la puzza sotto il naso, quando invece siete degli schifosissimi mangialumache!” esclamò, sputando per terra per esemplificare il rigetto verso quel popolo di presuntuosi.

A quelle parole Camus inarcò un sopracciglio, decidendo finalmente di parlare.

“Che combinazione! Io invece non sopporto i bulli come te!”

Death Mask sgranò gli occhi, incredulo. Quell’essere lo aveva ingannato fino a quel momento, fingendo un mutismo che invece non possedeva. Era francese, sì, ma era anche italiano, vista la straordinaria padronanza lessicale che aveva in entrambe le lingue, quindi, prima, non gli rispondeva intenzionalmente, pur comprendendolo pienamente, il che lo fece indignare ancora di più.

“Un franco-italiano? Da che famiglia discendi?”

“Non sono cose che ti riguardano!”

Irritante era dire poco, a Death Mask prudevano le mani, desiderando spaccargli quel bel faccino e al diavolo il fatto che fosse già ferito, ma provò a giocare ancora un’ultima carta diplomatica.

“Perché sei venuto qui? Ti sei messo anche tu a cercare questo bambino, oppure…?”

“Neanche questo ti riguarda!”

“Perfetto… - biascicò, in apparente tono tranquillo, prima di gettarsi addosso a Milo, ancora per terra, afferrarlo malamente con le braccia fino a sollevarlo da terra, e schiacciargli volutamente il collo per fargli mancare il respiro – Neanche a te riguardano le sorti di questo moccioso, dico male?!” sbottò, quasi sadico, ben consapevole di averlo in suo potere. A Milo mancò il fiato e tossì, ricercando assiduamente la poca aria che aveva a disposizione. Non poteva fare niente in quella posizione, i piedi erano sollevati da terra, le braccine arpionavo con tutte le forze le vesti di Death Mask, che tuttavia avvertiva meno di un prurito. Lui conduceva il gioco contro quei due nanerottoli, lui solo.

Camus nel frattempo aveva incrinato irrimediabilmente la sua espressione contenuta in una di muta sorpresa e sconcerto, cominciando invece a provare una certa, quanto strana, preoccupazione crescente. Qualcosa nel vedere la sofferenza di quel bambino aveva fatto scemare il suo contegno, rompendo così la sua calma. Non ne comprendeva il motivo, come non comprendeva la ragione che lo aveva spinto lì nell’udire un dolce richiamo in quel luogo sconosciuto ma assurdamente famigliare. C’era già stato lì, ne era sempre più convinto e… e quel Milo era con lui. Erano stati amici… un tempo... ma non era solo quello...

Di nuovo guardò l’altro bambino, del tutto in balia degli eventi. Vederlo così fragile, preda di un essere più forte di lui, che infieriva senza pietà, dava continue scariche di adrenalina al suo corpo. Immagini sfocate, sensazioni spiacevoli… il non poter fare nulla per aiutare chi voleva bene… e, tra tutti, quei… quei due occhi neri e spietati che si affacciavano alla sua mente, facendolo tremare di paura. Era spaventato, non per sé stesso, non per la situazione di Deja vù, ma per l’altro, per Milo,e non si spiegava perché. Non era riuscito a proteggere la sorellina da quegli occhi scuri e diabolici, in quel momento era nella stessa situazione, si sentiva sempre più frenetico, sempre più fuori controllo…

“La-lascialo stare, è innocente!” biascicò, livido, alzando una mano tremante nella sua direzione. Bastava volerlo, e il colpo sarebbe partito.

“Non sono cose che ti riguardano, giusto?! - fece linguaccia quel verme, tronfio di avere la situazione a suo vantaggio – Oppure lo sono?! Perché, se così fosse, devi rispondere prima alle due domande che ho fatto! Io sono il Grande Death Mask, chiunque mi manchi di rispetto finirà come questo insignificante botolo!” lo squadrò poi, sorridendo sinistramente, aumentando la stretta e facendo uggiolare Milo da dolore.

“La-lascialo, ho detto!”

“Non sento, moccioso! Ti ricordo che mi dev...”

Ma si bloccò, vedendo passare qualcosa di piccolo e bianco davanti alle sue iridi, poi un altro, e un altro ancora, era sempre più fitto. Si guardò spaesato intorno, rendendosi conto che non era una illusione, stava davvero… nevicando, il terreno sotto di sé stava già ghiacciando, investito da una gelata improvvisa e distruttiva. Sbatté più volte le palpebre, incredulo, riconoscendo davanti a sé un cosmo piuttosto potente in piena espansione. Era il nuovo arrivato a produrre quel fenomeno… realizzò infine, lui che, ad appena 5 anni, aveva già un potere pienamente sviluppato ma potenzialmente fuori controllo. Un microbo.. in possesso di una forza simile!Fremette, ma non indietreggiò, non ne era degno.

“E… e così sei un piccolo miracolo, a quanto pare… sei il primo a venire qui potendo usufruire già del proprio potere, per noi altri c’è voluto più tempo, e tu… tu sei autodidatta!” lo elogiò comunque morbidamente, stringendo i denti. Non era solito fare apprezzamenti, ma quella pulce schifosa aveva tutte le ragioni per aver attirato l’interesse di Shion ed essere sotto la sua protezione.

Camus tuttavia non lo ascoltava, non sembrava nemmeno in sé, così assorto nel creare quei meravigliosi, quanto spietati, cristalli di ghiaccio. La mano era sempre protratta verso l’avversario, che teneva ancora il bambino in ostaggio, emanava una luce azzurrina sempre più intensa. Avrebbe potuto creare qualcosa, qualsiasi cosa, da una lancia, ad un pugnale, ad un animale feroce formato dal gelo che lo avrebbe poi attaccato, o fatto scappare, liberando così Milo.

Era del tutto concentrato a pensare a cosa dare forma, dove colpire… perché limitarsi a spaventarlo quando avrebbe potuto colpirlo e ferirlo?! Perché trattenersi?! Quell’essere non aveva avuto pietà alcuna di una creatura più debole di lui, meritava una lezione e lui poteva dargliela, eccome se poteva… avrebbe potuto trafiggerlo, fargli uscire il sangue. Decise.

La luce azzurrina traballò nuovamente, destando l’interesse del futuro Cancer, che non si spiegava cosa avesse in testa quello scemo che, non contento di aver fatto nevicare, faceva pure ondeggiare quella luce. Dall’alto dei suoi 8 anni era totalmente incapace di comprendere il pericolo che pendeva su di lui, era totalmente inconcepibile che una mezza tacca come quella potesse anche solo toccarlo, così gracile e minuto, eppure… eppure aveva dimenticato una cosa, la più importante: non era solo la capacità fisica a decretare la propria sorte in una battaglia… Errore madornale in guerra, ma, in fondo, persino Death Mask era ancora un bambino inesperto.

Camus infine aveva deciso, gli avrebbe dato una lezione, lo avrebbe fatto con tutti i suoi poteri misteriosi e incontrollabili… avrebbe protetto Milo, come, sempre grazie a quella dote naturale, aveva protetto la sorella da…

Ma si fermò a quell’ultimo pensiero, un vuoto improvviso nella sua mente, al quale si accostò una sensazione di smarrimento, panico e poi paura. Rimase lì, sgomento, il respiro ad un tratto rotto. Tentennò. Se avesse sbagliato la direzione del colpo avrebbe colpito l’altro bambino, ferendolo, o peggio, uccidendolo. Non aveva fatto il controllo dalla sua parte, solo un potere viscerale, di difficile padronanza, che ancora una volta si sarebbe rivelato ben più forte di lui. Non poteva rischiare.

Non ebbe comunque il tempo per starci a pensare ancora, perché, percependo appena un fascio insostenibilmente luminoso, si trovò schiacciato a terra subito dopo, la faccia nella neve, la presa ferrea sopra di lui, che lo opprimeva ancora di più, non gridò, tentando invece di girarsi per vedere chi fosse intervenuto, invano. Rispose Death Mask al posto suo.

“Sa-Saga di Gemini!” esclamò, stavolta indietreggiando non di poco.

“Death Mask, libera Milo! Le vostre baruffe sono uscite fuori dagli schermi consentiti, così lo rischi di soffocare...” lo avvertì, alzando lo sguardo penetrante e aguzzo su di luì.

“A-agli ordini, mio signore!” gli disse, affrettandosi a fare quanto chiesto. Milo cadde per terra e annaspò, cercando per l’ennesima volta di recuperare ossigeno.

“Per quanto concerne te, Camus… sei nuovo qui, non conosci ancora le regole, ma ne hai infrante almeno un paio, penso sia necessaria una lezione per farti ben capire dove ti trovi, perché non sei più a casa tua, non puoi fare come credi!” lo ammonì, squadrandolo con sdegno. Il piccolo si costrinse a guardarlo negli occhi, malgrado il dolore crescente al fianco e alla schiena, non c’era esitazione in lui, i suoi occhi blu lo sfidavano temerari, la sicurezza di chi era convinto di essere nel giusto.

Il futuro Aquarius era allegramente fottuto prima di diventare Cavaliere… questo pensò Death Mask mentre, indietreggiando ancora, si preparava a pregustarsi la scena. Nessuno poteva mettersi contro Saga di Gemini, il Cavaliere d’Oro più forte, il dio sceso in terra, la benevolenza e la malevolenza fatta persona. Tutti gli portavano rispetto, lui compreso, era impossibile non farlo, dato i suoi muscoli ben delineati, il temperamento sublime in tutto, e la fierezza impersonificata che lo contraddistingueva. Era da pazzi opporsi, persino con un semplice sguardo, poteva farlo giusto Camus perché ignaro e appena giunto lì, farlo equivaleva ad una condanna a morte.

“Ti sei allontanato dal Tempio senza permesso e hai ingaggiato battaglia con un tuo pari al di fuori degli allenamenti, non so se ne saggi la gravità, futuro Aquarius!” lo rimproverò ancora Saga, dandogli una occhiata d’avvertimento, più torva che mai.

Camus non comprese cosa avesse detto nello specifico, ma capì che aveva infranto una qualche regola e che il Cavaliere di Gemini era intervenuto contro di lui. Rimase comunque sulle sue posizioni, continuando a sfidarlo con lo sguardo. Non aveva paura. Non cedeva. Era il primo, tra i bambini e gli adulti, a farlo.

“Ho agito come meglio credevo, ben consapevole della legge morale in me, non mi importa delle vostre regole!” gli buttò lì, con altrettanta fierezza. A Saga non piacque per niente quella reazione.

“Cosa ha detto?” chiese delucidazioni a Death Mask in greco, consapevole che parlassero la stessa lingua.

“Che in sostanza fa quello che vuole perché segue il suo cervello e non sciocchi regolamenti o ordini al di fuori di lui e che non comprende!” disse, esemplificando anche ciò che il piccolo aveva sottinteso tramite il suo tono aspro. Di fegato ne aveva, e neanche poco, di questo il futuro Cancer gli doveva dare atto, ma non lo aiutava nella sua posizione, anzi, la peggiorava...

“Molto bene...” sbuffò, falsamente indulgente, poco prima di schiacciarlo ancora di più a terra, in mezzo a quella neve che lui stesso aveva creato. Camus non riuscì più a trattenere un gemito a quel gesto, stringendo gli occhi a causa del dolore crescente.

Milo si stava cominciando a riprendere, anche se ancora non riusciva ad alzarsi in piedi. Voleva intervenire per aiutarlo con tutte le sue forze, ma le gambine non lo reggevano affatto, le sentiva molli, deboli, ma non poteva comunque permettere che gli facesse male, anche se non sapeva come agire. Fortunatamente intervenne una quarta forza.

“Saga, stai esagerando! Ti ricordo che Camus è ancora ferito ed è sotto la protezione del Nobile Shion!” affermò una voce gentile ma al contempo decisa, mentre alcuni passi nella neve si avvicinavano sempre di più. Milo accolse i nuovi arrivati con gli occhi brillanti e una nuova speranza nel cuore.

“Aiolos… sei troppo indulgente, non finirò mai di ripeterlo...” commentò Saga, allentando la presa su quel corpicino fragile per poi alzarsi in piedi. Gli occhi puntati sul terzetto appena sopraggiunto: il Cavaliere di Sagitter, suo fratello Aiolia e il piccolo Mu.

Aiolos non disse più niente, ma, lasciati indietro gli altri due bambini, si diresse verso Camus, ancora steso per terra con gli occhi serrati, posandogli una mano sulle spalle.

“Va meglio?”gli chiese dolcemente, sfoggiando il solito sorriso in grado di tranquillizzare il piccolo.

“S-sì, grazie a te...” riuscì a dire Camus, riaprendo faticosamente gli occhi e facendosi prendere docilmente in braccio. Rimase lì, le mani in grembo, ad aspettare che il dolore passasse. Era esausto. Di nuovo. Si arrabbiò solo a quel pensiero.

“Aiolos… Camus ha infranto almeno due regole importantissime del Santuario, capisco sia qui da poco, ma...”

“Non è forse lo stesso che ha fatto Death Mask?!” ribatté subito Sagitter, serio in volto. Il nominato si grattò la testa, a disagio, mentre Saga serrò la mascella, infastidito, riprendendosi subito dopo.

“E’ anche quello che ha fatto Milo, se per questo… ma l’unico che stava attaccando, con quel cosmo offensivo, era Camus. Sono sopraggiunto prima che accadesse l’imponderabile!”

“Camus è dotato di poteri già ampi che non riesce ancora a controllare, è qui solo da pochi giorni, inoltre dubito che, senza una ragione apparente, sia intervenuto in maniera così ostile, un motivo deve esserci stato… Concedigli il perdono, per una volta, Saga, non si ripeterà più, garantisco io con la mia vita! Non sapeva delle leggi del Santuario, il Nobile Shion deve ancora parlargli, ma non sta molto bene da quando è tornato al Tempio con il piccolo!” spiegò Aiolos, guardando intensamente il compagno. Non indietreggiava di un solo passo per difendere quel bambino, eppure, persino lì, sembrava servizievole come un qualunque soldato semplice, del tutto dimentico del suo importantissimo ruolo, disposto all’estremo sacrifico per difendere i più deboli, come uno qualsiasi.

 

Ma tu non sei uno qualsiasi, Aiolos! Quando smetterai di metterti in secondo piano?! Quando finirai di essere così umile?! Sei uno dei Dodici Custodi del Tempio, la tua sudditanza agli altri, malgrado il tuo status, mi ripugna e mi affascina allo stesso tempo. Anche io… anche io vorrei essere in grado di esercitare la giustizia come fai tu…

 

Saga sospirò, ricacciando indietro quei pensieri e distogliendo l’attenzione dal compagno d’armi e dal bambino che portava in braccio. Si avviò verso Milo, proferendo comunque un’ultima frase rivolta all’amico.

“D’accordo, Aiolos! Confido che renderai questo bambino indisciplinato un vero difensore della giustizia!” acconsentì, intento a risolvere l’ultima questione in sospeso.

Death Mask si prese male nel vederselo arrivare lì, cominciò a tremare a più non posso, cercando in fretta delle spiegazioni al suo comportamento. Ne andava della sua pelle, Saga avrebbe potuto uccidere chiunque con uno schiocco di dita, persino una dea come Atena, che invece avrebbero poi dovuto scioccamente proteggere. Si rilassò solo quando vive che la sua attenzione non era su di lui ma su quell’altro nanerottolo.

“E tu, Milo? Che motivazioni hai per tua fuga? Hai mandato il Santuario in subbuglio con la tua scomparsa… quando Aiolia e Mu sono venuti ad avvertirci che eri sparito, non eri più rintracciabile, perché fuori dai confini sacri del Santuario… dovresti sapere che è vietato uscirne senza permesso, ciò equivale a tradimento, ed è punibile con la morte!” asserì, senza pietà, né mezzi termini, inginocchiandosi proprio davanti a lui.

Era imponente a confronto del piccolo Milo, che infatti si fece piccolo piccolo e si acquattò, spaventato. Ingoiò a vuoto, tutto tremante. Anche lui avrebbe avuto il coraggio di dire al Cavaliere di Gemini che aveva solo seguito, nel suo caso, non la propria legge interiore, bensì il proprio cuore?! Lo avrebbe avuto?! Camus lo aveva espresso senza esitare, affrontandolo anche visivamente, ci sarebbe riuscito anche lui?!

“Uhm, io...”

“Lo ha fatto per Camus!!!” intervenne lesto Aiolia, frapponendosi tra il piccolo e il Cavaliere, seguito a ruota da Mu, che si affiancò al lato in modo da fare fronte comune per difendere il futuro Scorpione. A Milo vennero i lacrimoni agli occhi.

“A-amici...”

“Per Camus? Cosa intendete?” volle sapere ancora Saga, inarcando un sopracciglio.

“Ha letto su un libro che esistono delle erbe medicinali che accelerano il processo di guarigione e ha provato a cercarle nel bosco!” spiegò Aiolia, apprensivo, alzando le braccia per esemplificare la sua volontà di difendere l’amico.

“E’ così, Nobile Saga, dovete crederci! Milo ha un cuore grande, voleva solo aiutare, per farlo è andato contro le regole, è vero, ma non lo ha fatto intenzionalmente. Non ci ha proprio pensato perché era preoccupato per le condizioni di Camus!” continuò Mu, pacato come sempre, ma ugualmente desideroso di difenderlo a spada tratta.

Saga gli regalò un’occhiata indecifrabile, che fece atterrire tutti e tre in un colpo solo, poi alzò le braccia in alto, come a voler attaccare. Aiolia e Mu si strinsero l’un l’altro, non retrocedendo di un passo, ma erano visibilmente spaventati e chiusero gli occhi, intimiditi dalle conseguenze che avrebbero potuto subire. Tuttavia l’unica cosa che avvertirono, furono le ampie mani di Saga, un poco rudi, accarezzargli con forza i capelli. Riaprirono gli occhi, increduli.

“La collaborazione e la lealtà tra compagni d’armi è un’altra delle doti indispensabili per diventare protettori della giustizia! - affermò, soddisfatto, sorridendogli, anche se un poco forzatamente – Ma non dimenticate, futuri Cavalieri, che le regole vanno rispettate sempre e comunque. Voi combatterete per un ideale, la vostra vita verterà su quello, non scordatelo mai!” gli regalò parole sincere, ma dense di rammarico. Poco dopo si allontanò senza dire più niente. Death Mask, non desiderando più rimanere in quell’atmosfera per lui soffocante, si affrettò a seguirlo senza dire nient’altro.

Milo, finalmente liberato da tutto, scoppiò in lacrime per sfogare la tensione accumulata.

“Buaaaaaaah!!! MUUUUU!!! LIAAAAAA!!! - li chiamò, disperato, abbarbicandosi a loro nella sua solita morsa scorpionifera – Ho avuto tanta paura!!! Pensavo che mi aveste abbandonato, dopo ieri, invece… invece… Sigh!”

“Tu non ragioni mai, Milo, dovresti pensare un po’ di più, eviteresti un sacco di guai! - lo redarguì teneramente Mu, abbracciandolo a sua volta – Ma sono felice che ti abbiamo ritrovato e che tutto si sia sistemato!”

“Sei uno sciocco, Milo, ma hai un cuore grande, non ti abbandoneremmo per nessuna ragione al mondo!” gli fece eco Aiolia, regalandogli un largo sorriso e chiudendo gli occhi per assaporare meglio quella stretta.

“Vi voglio bene… vi voglio così tanto bene!!!” esclamò ancora, strusciandosi su di loro.

“Sì, ehm, Milo, però così...” tentò di spiegare Mu, sempre gentilmente, profondamente a disagio. Fortunatamente Aiolia fu più diretto.

“MA CHE SCHIFO, MILO, MI ATTACCHI IL TUO MOCCICO COSI’, BLEAH!!!”

E scoppiarono tutti a ridere, teneramente ricongiunti.

Aiolos sorrise a quella scena, vedendoli così affiatati. Gli sarebbe piaciuto che anche Camus potesse unirsi a loro, anche il piccolo aveva un buon cuore, sebbene quasi totalmente congelato, lo percepiva, eppure non riusciva ad amalgamarsi a quel gruppo, così refrattario al contatto e alle relazioni interpersonali. Gli ci sarebbe voluto tempo. Tanto tempo.

“Camus, come ti senti? Vuoi che ti faccia scendere, così puoi raggiungere gli altri?” gli chiese, guardandolo negli occhi. Sembrava molto stanco e nuovamente assonnato ma non voleva cedere al sonno.

“Sto meglio. Il peggio è passato, non c’è bisogno che io mi unisca a loro, va bene così!” disse, socchiudendo gli occhi e appoggiandosi al petto di Aiolos, non potendo più resistere alla stanchezza, ma un nuovo urlo di Milo, lo fece ridestare con uno scossone, spingendolo a guardare nella sua direzione.

“GIUSTO! STAVO QUASI PER DIMENTICARMELO!”

L’esagitato futuro Scorpio, cercò per terra quanto aveva perso nella colluttazione con Death Mask. Trovandolo a poca distanza, lo prese con le manine, lo guardò, trasse un sospiro di sollievo nel vederlo intatto, poi si recò in corsa davanti ad Aiolos, il quale lo fissò sorpreso, lo stesso fece Camus, con quel suo solito cipiglio di apparente impassibilità.

“Ca-Camus… - lo chiamò, tutto emozionato, arrossendo – Qu-questo è per te, scusami per il mio comportamento dell’altro giorno e… spero guarirai presto!” balbettò, porgendo il pacchetto. Il futuro Aquarius non lo prese subito, esitò, non comprendendo quelle parole, ma percependo l’imbarazzo in lui, lo fece Aiolos al suo posto.

“Grazie, Milo, quando starà meglio glielo darò, non ti preoccupare, vedrai che, grazie ai curatori, si rimetterà presto e potrete diventare amici!” gli sorrise, gentile, afferrando l’oggetto con la mano libera.

Milo annuì e abbassò lo sguardo, le labbra tremanti, poi corse via, seguito a ruota da Mu e Aiolia, il quale dopo un “ci vediamo a casa, fratellone!” sparì in un lampo.

Non dissero più niente per un po’, Aiolos intento a passeggiare nella luce morente del giorno che languiva (il sole ormai era già per metà sotto l’orizzonte!), Camus confuso dalla reazione di quel Milo e, ancora di più, dal suo istinto di proteggerlo, malgrado i rapporti fra loro non fossero partiti in maniera eccelsa.

“Aiolos… - trovò infine il coraggio di chiedere, corrucciato – Cosa ti ha detto quel bambino?”

“Che si scusa per il suo comportamento dell’altro giorno e che si augura che tu possa guarire presto!” gli tradusse in italiano, sempre in tono affabile.

“Oh… - sussurrò, ammutolito, prima di una lunga pausa, poi continuò – Posso… posso vederlo?”

Aiolos acconsentì, passandoglielo tra manine ancora terribilmente fredde. La tempesta di neve era passata veloce come era venuta, il giovane Cavaliere sapeva che era stato Camus a crearla, il come però era oscuro. Non era solo una dote del suo cosmo, era molto di più, una benedizione… nonché maledizione! Tutti al Tempio e nei suoi dintorni, si erano accorti di quell’improvviso evento, occorreva allenare in fretta il piccolo e renderlo padrone di quel potere troppo incontrollabile per quel corpicino in apparenza fragile. Si ritrovò a pensare a Shion, al suo tacere sulle circostanze che lo avevano condotto al Santuario, ma ora sapeva, Aiolos, che parte di quelle circostanze erano sicuramente causate da quell’energia che sembrava scaturirgli in maniera innata.

Camus nel frattempo frugava in quel regalo strano che gli aveva dato quel bambino altrettanto strano, e più comprendeva cosa fosse più provava disappunto. Sospirò teatralmente, continuando ad accarezzare con la manina quelle foglie verde scuro che presto sarebbero diventate gialle.

“Quello… quello è proprio scemo!” commentò, sbuffando, sempre più infastidito. Aiolos rise di gusto: non sarebbe stato facile per Milo fare breccia nel suo cuore, non con quel temperamento assolutamente inflessibile.

“Non ti aggrada il regalo?” gli chiese, non vedendo con gli occhi cosa fosse.

“Non è che non mi aggrada, è che ha estirpato dal terreno una grande quantità di trifogli e quadrifogli che potevano continuare a vivere liberamente nel bosco. Non era necessario!”

“Li preferisci vedere nel loro ambiente naturale?”domandò ancora Aiolos, sempre più interessato.

“Sì, stanno bene dove sono… tutti gli esseri viventi meritano di vivere in piena libertà, piante, animali, umani… non voglio che tocchi a loro il destino che è toccato a me, ognuno dovrebbe avere il diritto di scegliere della propria vita! Queste piantine avevano scelto quel bosco, poi è arrivato Milo, e le ha private della loro scelta. Non è giusto!” confessò, avvertendosi molto affine a quei piccoli trifogli che sentiva palpabili sotto le dita: anche lui aveva scelto chi proteggere, ma gli era stato impedito.

Aiolos sorrise, meravigliandosi solo un po’. Camus era un bimbo speciale, non c’era dubbio, aveva pensieri profondi per uno della sua età. Era molto sensibile nei confronti di piante e animali, nonché di cosa considerasse delicato e bisognoso della sua protezione.

“Camus, Milo non lo ha fatto con cattiveria… sai che, si dice, portino fortuna, i quadrifogli, vero? Probabilmente era il suo modo per augurarti di guarire presto!” provò a difenderlo, intenerito. Camus non rispose.

“Sai, ogni essere vivente agisce a suo modo, il tuo pensiero è rispettabile e rivela il bimbo meraviglioso e prodigioso che sei, ma non tutti vedono le cose come le vedi tu. Gli altri pensieri sono comunque degni di essere ascoltati...”

Camus continuò a non rispondere, sembrava paralizzato. La sua attenzione era tutta concentrata su un qualcosa che agli occhi di Aiolos sfuggiva ancora una volta, Quel qualcosa era tenuto tra le due manine e accarezzato con il doppio della delicatezza e dell’intensità.

“Piccolo, cosa c’è adesso?”

Camus continuò a non rispondere, ma tirò fuori dal pacchetto un grazioso fiore rosa, meraviglioso, un piccolo gioiello di bosco.

“Oh, quello è un ciclamino, un fiore invernale raro per questi posti! E’ un peccato averlo preso, è una specie protetta, ma il piccolo Milo non lo poteva sapere! - lo riconobbe Aiolos, affascinato – Stai attento, Camus, maneggialo con attenzione, è...”

“…è velenoso, lo so… - biascicò il bimbo, sinceramente emozionato, la voce gli usciva a fatica, le labbra tremavano, si riprese giusto per farfugliare ancora qualcosa che il giovane Cavaliere non capì pienamente – Il ciclamino è velenoso, sì, soprattutto le radici… glielo avevo già detto, ma…”

“Ma?”

Il cuore del piccolo Camus perse un battito, un mare di emozioni lo invase, spietate, stremandolo ancora di più.

“Mi aveva detto che gli si confaceva… lui, il veleno, il fatto che nascesse in inverno… era…” non disse più niente perché crollò addormentato, il fiore ancora in mano, la testa reclinata sulla spalla del Cavaliere, l’altro braccio a penzoloni nel vuoto, le dita semi aperte. Avrebbe dormito per una serie di ore ininterrottamente, preda di sogni che al risveglio non avrebbe più ricordato. La sua mente non avrebbe potuto ricordarlo in alcun modo. Non il suo cuore, appena ritrovato e palpitante nel petto di una nuova energia...

 

 

Ma porca di quella…!”

Era ruzzolato giù dalla cascata e si era fatto male, del tutto impossibilitato a rialzarsi nell’immediato, complice il suo cuore malfunzionante. Si sentiva le gambe deboli, non lo avrebbero sorretto e lo sapeva, e ciò era perennemente irritante, come le sue condizioni.

Era quindi rimasto lì, stremato ma vigile, le chiappe nell’acqua e la sensazione di bagnato. Attese. Attese di riprendersi, ma il suo cuore non ne voleva sapere di recuperare, continuando a dibattersi irregolarmente, procurandogli un male intenso al petto.

Ok, forse aveva esagerato a volere da lui così tanto… forse aveva esagerato a pretendere che quello pompasse nella maniera corretta solo quando, il giorno prima, aveva avuto un attacco dei suoi, forse…

CARDIA!”

Una voce famigliare sopra la sua testa gli diede una nuova speranza. Alzò il capo e gli occhi verso le rocce che permettevano al rio di cadere sotto forma di cascata, e vi scorse delle iridi blu dense di preoccupazione.

DEGEL!- urlò di rimando, genuinamente felice – Mio salvatore!” lo prese poi in giro, ridacchiando.

Nel frattempo, la figura ancora impacciata e inesperta di colui che poi sarebbe diventato ‘l’uomo più intelligente che il Grande Tempio avesse mai ospitato’, balzò agilmente giù da quella altura, atterrando al suo fianco con assai pochi schizzi d’acqua, quasi fosse formato lui stesso da quell’elemento.

Cardia gli sorrise raggiante, ma era consapevole di essere ridotto peggio di uno straccio, di sicuro la paternale sarebbe arrivata tra… meno tre… meno due… meno uno…

Cos’hai esattamente nel cervello, le farfalle?!? L’altro giorno sei stato male, Cardia, hai ancora lo scompenso cardiaco, e hai la brillante idea di passeggiare nel bosco e sparire! Non ti abbiamo più trovato al Tempio, siamo tutti in parapiglia, e tu… e tu...”

Che ne dici di darmi una mano, invece di stare lì a recriminare? Hai 13 anni ma brontoli come un vecchio!” lo fermò subito lui, che di essere sgridato non ne aveva voglia.

Dégel sospirò, facendo sfoggio della sua enorme pazienza, poi, coniugando tutte le sue forze per trascinare l’amico fuori dall’acqua, lo prese da sotto le ascelle e riuscì finalmente a farlo sedere all’asciutto, vicino al laghetto, sotto un albero.

Non… non riesci nemmeno a muoverti e sei voluto venire qui da solo… che scriteriato che sei!” si sentì ancora di aggiungere, sedendosi al suo fianco per mascherare il tremore della voce.

Eri preoccupato, eh?!” lo punzecchiò l’altro, ridacchiando. Il Cavaliere dell’Acquario non disse niente, sfortuna per lui, l’amico riusciva benissimo a leggere tra le cose non dette.

Rimasero in silenzio per un po’, i suoni del bosco intorno a loro… Cardia non era ancora in grado di reggersi in piedi da solo, ma dovevano tornare al Tempio in qualche modo, altrimenti anche Dégel sarebbe passato per disperso. Il cocco del Grande Sacerdote che scompariva a sua volta per essersi messo in testa di rimanere al suo fianco… lo Scorpione non lo poteva permettere, pertanto fu quasi tentato di dire all’amico di tornare indietro da solo, che lui se la sarebbe cavata, come sempre, ma l’attenzione di Dégel era verso il terreno indurito dal freddo.

Sei tra le nuvole ora? Non pensare a me, Déggy… - disse quel vezzeggiativo perché sapeva che lo odiava – Io me la posso cavare anche...”

Guarda, Cardia, una pianta di ciclamino...”

Cardia inarcò un sopracciglio e fece una smorfia, di cose strane il compagno ne diceva eccome, ma quella era la prima volta che saltava di palo in frasca a quella maniera, si vedeva che la sua vicinanza lo ammattiva. Decise comunque di seguirlo nel discorso.

Quei… quei fiori a tubero di color lilla?” chiese conferma lui, curioso di vedere dove volesse andare a parare.

Nello stesso momento un tenero sorriso si fece strada sul viso di Dégel, del tutto intento ad accarezzarne i petali come se ne percepisse il senso della vita. Era proprio bizzarro!

Il ciclamino è un fiore invernale e, per quanto splendido, possiede del veleno, soprattutto nelle radici. In tempi antichi, a causa della sua forma che ricorda l’utero femminile, era considerato funzionante per procurare l’innamoramento e atto e facilitare il concepimento nelle donne. Plinio il Vecchio...”

Divento io vecchio qui a sentire i tuoi sproloqui! Per carità, fermati, Dégel, che poi mi parti in quarta con le spiegazioni ed io sto troppo male per ascoltarti… ouch!” lo fermò, esemplificando un malessere che già c’era ma che lui accentuava nella pallida speranza di troncare sul nascere le descrizioni non richieste.

Dégel rimase quindi zitto e infastidito (oh, se era adorabile con quell’espressione di disappunto stampata in viso!) continuando a concentrarsi sul fiore che gli dava molte più soddisfazioni rispetto a lui. Cardia ridacchiò sommessamente, riprendendo parte di quel discorso.

Però… mi piace quel fiore! - gli confidò, approcciandosi a lui con le forze residue. Dégel gli scambiò una occhiata in tralice – Hai detto che nasce nella brutta stagione e che è velenoso, giusto?”

Corretto. Ma se tu mi avessi fatto finire di spiegare, avrei potuto dirti anche...”

Ma Cardia non lo lasciava MAI finire di spiegare, era tempo perso.

Mi si addice. Mi si si addice molto!!!”

Cardia, cosa stai…?”

Quel fiore è in grado di nascere nella stagione più impietosa di tutti, vince il gelo, e ci ricorda che, persino in mezzo al freddo, quando tutto sembra oscuro, privo di luce e i colori non sono più percettibili, qualcosa può nascere, o meglio, rinascere...”

Dégel sbuffò, infastidito.

Interrompi i miei discorsi per parlare di favoleggiamenti, sei davvero uno screanzato, Cardia!”affermò, ma il suo tono era dolce e il sorriso sincero.

Ti ho interrotto per dirti una cosa importante, più importante sicuramente dei tuoi ragionamenti privi di anima e fini a sé stessi!”

Dégel stavolta tacque, volendo vedere dove volesse andare a parare il suo amico. Cardia si concesse una lunga pausa, prima di svelare cosa serbava dentro di sé.

Io sarò questo ciclamino per te… - gli rivelò in un soffio, che era abbastanza imbarazzante dire quelle cose lì, accolse l’occhiata ancora più sbalordita dell’amico, prima di continuare – Se il tuo cuore si smarrirà nella notte più lunga, nel freddo più persistente, ovunque esso si smarrirà, non devi preoccuparti: ci sarò io, ti raggiungerò, dovunque sarai, e ti riporterò a casa, facendoti lentamente rammentare quanto sia bello vivere… esattamente come il ciclamino ricorda all’inverno che, persino nel grembo della stagione più impietosa di tutte, può nascere qualcosa!” concluse, prendendo un profondo respiro. Le forze stavano tornando, presto avrebbe potuto muoversi. Tornò a guardare divertito Dégel, che era arrossito e lo squadrava con espressione sbigottita, di sicuro non aspettandosi quella confessione.

Ca-Cardia, sei proprio… - si ricompose, fingendo nuovamente fastidio - … scemo! Come puoi pensare che il mio cuore si perda, che dimentichi il calore dei sentimenti, o, più in generale, che dimentichi ciò che tu sei per me, ciò che le persone che amo sono per me! E’… è veramente assurdo! SEI assurdo!” farfugliò, sempre più imbarazzato, tornando a concentrarsi sui petali di quel fiore delicato.

Cardia sghignazzò, sempre più divertito dai patetici tentativi dell’amico di mascherare le sue reali emozioni dietro quelle parole pronunciate in un plateale subbuglio che non riusciva a trattenere.

Se dovesse succedere, non hai di che temere: io sarò con te!” affermò ancora, alzandosi finalmente in piedi, anche se con non poca fatica.

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Ed eccoci qui con il terzo capitolo, ben più lungo dei precedenti. Perdonatemi, ma ero parecchio ispirata, c’erano tante cose che volevo raccontare e, alla fine, come di consueto, mi sono lasciata andare. Sono molto soddisfatta! :)

Avevo detto che ci sarebbero stati i riferimenti ai personaggi del Lost Canvas, ed eccoli qui, anche se non saranno certo i soli, sono partita da Dégel e Cardia, personaggi assai importanti nella serie che sto portando avanti. In questo caso ho accostato il ciclamino a Cardia/Milo, sfruttandolo per una promessa che il Cavaliere d’Oro di Scorpio del XVIII secolo aveva fatto all’amico Dégel quando ancora erano molto giovani. Milo ha delle evidenti rimembranze sulla sua vita passata, ma ce le ha anche Camus, in fondo al suo cuore congelato, queste si ridurranno fino a scomparire con la crescita, come dice una leggenda sulle reincarnazioni che mi ha sempre affascinata, ma intanto sono state indispensabili per farli avvicinare almeno un po’.

Per quanto concerne la prima parte, invece, quella della medicazione dei lividi Camus, chi legge, o ha letto, la mia serie principale, avrà forse notato che ci sono delle vere e proprio similitudini con il capitolo 19 de “La guerra per il dominio del mondo”, gli atteggiamenti e le reazioni del Camus di quasi 6 anni non sono molto diverse da quelle che avrà a 22 anni, potrebbe sembrare una quisquilia (per forza, mi direte, è la stessa persona però più grande! XD) ma, in verità la questione è molto più profonda di quanto sembri, ed indica una peculiarità caratteriale che si manterrà con la crescita. Trovo che Camus sia molto delicato come un petalo di un fiore, adoro descriverlo in situazioni simili!

Nel capitolo appaiono anche Saga, quell’attaccabrighe di Death Mask, Aiolia e Mu che fanno fronte comune, e Aiolos. Ognuno di loro ha avuto un ruolo in questo capitolo, spero di averli descritti bene, soprattutto Germini che mi da sempre così tanti problemi e che in questo capitolo, per la prima volta in assoluto, ci regala un excursus sui suoi pensieri su Sagitter.

Dovrei aver detto tutto! Come al solito ringrazio chi segue e/o recensisce e via dicendo, spero possa piacere anche quest’ultimo capitolo! :)

P.s: nel prossimo dovrebbe apparire anche Shura, l’unico Cavaliere di cui non ho ancora trattato, a parte Dohko che però è altrove. Alla prossima! :)

 

 

 

  
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