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Autore: Shadow writer    08/02/2020    12 recensioni
Tridell è una moderna metropoli in cui nessuno è estraneo a scandali e corruzioni. Una giovane donna, abile nell'uso delle vie più o meno lecite, si è fatta strada fino alla vetta di questo mondo decadente.
Dalla storia:
“La duchessa viveva in periferia.
Il suo era un palazzo dall’esterno modesto, circondato da una striscia di giardino prima del grande cancello metallico. Chiunque avesse avuto l’onore di entrarvi, parlava di stanze suntuose, pareti affrescate, una grande corte interna, in cui si innalzava una fontana zampillante decorata da statue di marmo bianco. […]
Chi lei fosse veramente, non si sapeva. Che non avesse davvero il sangue blu, questo era quasi certo, ma nessuno osava contestarlo.
La verità sul suo conto, qualunque fosse, non era nota al pubblico, e alla gente piaceva guardare a questa donna enigmatica nel costante sforzo di capire chi fosse, senza mai riuscirci.”
[Storia partecipante al contest “Il Lago dei Cigni” indetto da molang sul forum di Efp.]
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La duchessa '
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4. NOSTRO FIGLIO 
(pt. 2)
 
 



Sedevano a tavola da più di mezz’ora e Alexander non aveva aperto bocca. Stava a capotavola, con Camille al suo fianco e il signor Fairbanks di fronte. L’uomo che aveva portato via suo figlio.
Alex non riusciva a pensare ad altro e a stento si tratteneva dal continuare a guardare Emily, che sedeva al suo altro lato e come lui era stata in silenzio nei precedenti trenta minuti.
A condurre la conversazione erano soprattutto Camille e Roman, che cercavano di coinvolgere l’altra coppia. Noah sedeva tra i signori Fairbanks, rialzato da un paio di cuscini per poter mangiare da solo.
Alexander continuava a fissarlo, incredulo, incapace di credere che quello, proprio quello, era suo figlio. Qualcosa dentro di lui tremava se pensava di essere l’artefice di quel corpicino, se si soffermava sull’idea che dentro le sue piccole vene, scorreva il suo stesso sangue. Più lo guardava, più si convinceva che certo, era logico, che quello fosse suo figlio. Aveva i suoi stessi occhi ambrati. E le stesse lentiggini che spuntavano ad Emily quando prendeva il sole. Di lei aveva anche quelle labbra color ciliegia, ma aveva preso da lui i capelli chiari. 
«Alex?»
Camille dovette chiamare il suo nome una seconda volta per attirare la sua attenzione.
«Scusatemi, ero sovrappensiero.»
Lei accarezzò il suo braccio, sorridendogli dolcemente: «Robert ha chiesto come hai conosciuto Roman e Cassandra.»
Alexander spostò lo sguardo verso il signor Fairbanks, che attendeva la sua risposta.
«Collaboriamo per la campagna elettorale» replicò lui. «A quanto pare abbiamo interessi in comune.»
Sentì Emily trattenere il fiato.
«Mi stupisce che persone così diverse possano avere punti di contatto» replicò quello.
Alex serrò la mascella, ma prima di poter replicare, sentì qualcuno tirargli un calcio sotto il tavolo. 
Emily. 
Incrociò il suo sguardo di ghiaccio.
“L’ira non ti dona affatto”.
Prese un respiro profondo e deglutì.
«Camille, perché non mostri ai signori Fairbanks la vista che abbiamo dal nostro terrazzo prima del dolce? Ricordo che ne abbiamo parlato in uno dei nostri incontri.»
La donna non se lo fece ripetere due volte e invitò i due ospiti a seguirla.
«Non preoccupatevi per Noah» aggiunse Alex, «lo controllo io».
La signora Fairbanks non riuscì a trattenersi dal lanciare uno sguardo incerto ad Emily, che subito disse: «Nel frattempo userò il bagno, scusatemi.»
Si alzò in piedi e uscì dalla sala da pranzo, seguendo la direzione indicata da Camille.
Come rincuorati dalla sua assenza, i signori si convinsero a seguire la padrona di casa verso la terrazza, a cui si accedeva da un’altra stanza. Roman si aggiunse a loro e lasciò il salotto.
Rimasto solo con Noah, Alex si alzò e gli si avvicinò, per controllarlo. Il bimbo pareva ignaro della tensione che lo aveva circondato e si dedicava con grande attenzione a seguire i disegni argentati sulla tovaglia.
Alex si voltò verso il corridoio in cui era scomparsa Emily e la vide riaffacciarsi, circospetta.
«Se ne sono andati» le disse Alex e lei lo raggiunse. I suoi occhi, pieni di lacrime, erano fissi sul bambino.
«Ciao Noah» gli sussurrò, abbassandosi per poterlo guardare in viso. 
«Ciao» le rispose lui sorridendo.
Emily tremava, mentre allungava una mano e gli sfiorava una guancia. Il suo volto era contratto in una smorfia di dolore, nonostante si sforzasse di apparire serena.
«Ti ricordi di me?» gli chiese.
Alex le posò una mano sulla spalla e la sentì trasalire.
«Non lo so» rispose Noah, inclinando il capo. «Eri al compleanno di Sam?»
Emily scosse il capo: «No, ma non importa. Come stai?»
«Bene, oggi ho mangiato due caramelle» le mostrò sulle dita il numero.
Lei gli prese la mano: «Davvero? Erano buone?»
Noah annuì entusiasta, poi il suo volto si rabbuiò: «Però la mamma dice che non fanno bene e di solito non mi lascia mangiarle.»
Emily tirò su con il naso e si voltò verso Alexander, che se ne stava in silenzio al suo fianco.
L’uomo vide che una lacrima stava scivolando sulla sua guancia, così, quasi involontariamente, gliel’asciugò con un dito.
«Non piangere, Em» mormorò.
Lei strinse i denti e tornò a guardare il bambino.
«Posso abbracciarti, Noah?»
Lui le rivolse un’espressione perplessa, ma infine acconsentì.
Mentre li guardava, Alex ripensò alla cena, a quando Emily aveva parlato di Medea. Aveva creduto fosse un modo indiretto per pugnalarlo, per farlo sentire in colpa per aver scelto un partito migliore. Lui era una copia di Giasone, ne era consapevole, ma stava cominciando a chiedersi se non fosse stata una tecnica per fargli sapere del bambino. 
Una cosa era certa e Emily lo aveva detto lei stessa: c’erano cose che era disposta a fare per ottenere ciò che voleva e nulla l’avrebbe fermata. Alexander ebbe come la sensazione che il racconto mitico si fosse invertito. Pur di riavere suo figlio, Emily ne avrebbe anche ucciso il padre.
Un rumore di passi segnalò che gli altri stavano tornando, così la ragazza tornò al suo posto e Alexander rimase insieme a Noah. 
Mangiarono il dolce, simulando nonchalance e tenendo la conversazione su argomenti generali.
Alexander percepì che tutti stavano cercando di nascondere qualcosa agli altri. Tutti tranne Camille.
La padrona di casa pareva rallegrata dalla presenza di ospiti e si divertiva a conversare con loro, cercando di coinvolgere tutti i presenti.
Quando venne il momento di congedarsi, Noah si era addormentato e la signora Fairbanks lo teneva tra le braccia, sotto lo sguardo tagliente di Emily. 
Alex si offrì di accompagnarli fino all’ingresso del loro palazzo, ma Camille insistette per farlo al suo posto, per poterli salutare al meglio, e lo lasciò solo con Emily e Roman.
Emily se ne stava vicino alla finestra del salotto e guardava in basso, verso la strada che scorreva sotto di loro.
«Ho apprezzato il tentativo di lasciarmi sola con lui» gli disse, quando Alex le si avvicinò.
L’uomo vedeva il suo riflesso contro il vetro, gli occhi persi e le ciglia che quasi sfioravano la superficie trasparente. Le sue labbra, leggermente dischiuse, lasciavano uscire un filo d’aria che appannava la finestra.
«Era il minimo» le rispose.
Era sempre consapevole della presenza di Roman all’interno della stanza – lo scorgeva girovagare intorno alla libreria – ma riteneva che Emily si fidasse abbastanza di lui da non avere nulla da nascondergli.
«Non voglio giustificarmi, Em, ma se la cosa può esserti di consolazione, quando mio padre è venuto a prendermi, credevo mi avrebbe riportato a casa nel giro di qualche ora».
Lei non rispose né cambiò espressione e lui lo prese come un permesso di continuare.
«Forse penserai che sono stato ingenuo, ma speravo di riuscire a convincerlo a lasciarmi vivere la vita che volevo. Capii che mi stava portando via da te solo quando arrivammo all’aeroporto. Ci vollero due uomini per tenermi fermo e comunque non sarebbero riusciti a farmi salire sull’aereo se mio padre non mi avesse fatto una promessa: ti avrebbe recapitato abbastanza denaro per condurre una buona vita e mi avrebbe permesso di rimanere in contatto con te mentre finivo i miei studi, a patto che io salissi su quell’aereo di mia spontanea volontà. Sapevo che era pronto a tramortirmi pur di farmi andare con lui, così accettai convinto di fare la cosa migliore per te.»
Un rumore lo fece voltare verso la porta d’ingresso, ma era solo Roman che sfogliava un libro. Tornò a guardare Emily.
«Una volta in Inghilterra, mi disse che non poteva permettermi di chiamarti o mandarti messaggi per questioni di sicurezza, ma ti avrebbe recapitato le mie lettere. Ci credetti davvero e mi spezzò il cuore constatare che non ricevevo mai alcuna risposta. Sono stato uno stupido Em, e lo so, ma in quel periodo ero così sconvolto da non riuscire a ragionare lucidamente.»
Le si avvicinò e appoggiò una mano sul braccio della ragazza, ma lei si sottrasse di scatto, rivolgendogli uno sguardo duro.
«Non è stato mio padre a scegliere Camille, sono stato io. Dopo quasi due anni ero certo che tu avessi voltato pagina e io ero pronto a fare altrettanto.»
La guardò, in silenzio, cercando di decifrare il suo volto. Emily lo stava fissando impassibile, poi fece una smorfia.
«Appoggio la tua campagna perché rivoglio mio figlio, ma credo che saresti un pessimo sindaco. Sei così avventato e imprudente da rasentare la stupidità.»
Si guardò attorno e fece un cenno a Roman, poi tornò a guardare Alexander: «Grazie per la cena.»
Senza dire altro, si diresse verso l’ingresso.
Roman si trattenne per salutare il padrone di casa, prima di seguirla a ruota. Alexander pensò che sembrava un cane che seguiva il padrone.
Cercò il suo cellulare e mandò un messaggio a Jefferson. Emily gli aveva appena detto che non sarebbe stata un’alleata affidabile e lui doveva agire di conseguenza.
 
 
 
***
 
 
Emily guardava la città scorrere fuori dal suo finestrino. Sapeva che avrebbe impiegato un’ora a tornare a casa, ma nelle sue vene scorreva una leggera adrenalina che la teneva sveglia. Davanti agli occhi aveva ancora il volto tenero di Noah che la guardava con i suoi grandi occhi ambrati. L’idea che fosse così vicino e allo stesso tempo così intoccabile le provocava un dolore fisico.
Ogni fibra del suo corpo le aveva gridato di stringerlo al petto e portarlo via. Lontano da tutti loro, lontano da quel mondo in cui era entrata solo per far uscire lui.
Prese un respiro profondo e trattenne l’aria nel suo corpo. Quando la fece uscire, immaginò che insieme se ne andasse anche tutta la sua tensione. Doveva tornare ad essere lucida ed efficiente. 
«Chiamata in arrivo» la avvisò Roman, seduto al suo fianco, indicandole lo schermo davanti a loro che recitava “Arthur Lowe”.
Emily chiuse la finestra che le permetteva di comunicare con l’autista e accettò la chiamata.
«Buona sera Arthur» rispose, voltandosi verso Roman, per assicurarsi che fosse attento. Il giovane teneva gli occhi su di lei, concentrato.
«Cassandra!» le rispose Lowe in tono gioviale. «Buona sera.»
«A cosa devo questa chiamata?»
Emily vedeva il volto di Roman perplesso tanto quanto il suo.
«Ci sono voci, in giro, che dicono che stai allargando la tua cerchia di amici» rispose l’uomo.
Lei scelse con cura le parole: «Come sai, le mie scelte sono sempre molto selezionate, quindi potrai capire da solo se le voci sono vere o false.»
Roman le fece un cenno di assenso. Approvava le sue parole.
«Le voci riguardano Alexander Henderson, il giovane candidato» continuò Lowe.
«In questo caso allora sono vere».
Emily si appoggiò allo schienale e allungò le gambe davanti a sé, tenendo gli occhi sullo schermo che segnalava la durata della chiamata.
«Credi abbia buone probabilità di vincere?»
La ragazza si voltò verso Roman e si scambiarono un sorriso, poi cercò di mantenere un tono neutrale.
«Credo vincerà. Sai che i perdenti non mi interessano.»
Sentiva le proprie labbra tendersi verso l’alto per la soddisfazione. I primi pesci stavano cominciando ad abboccare. Presto tutti avrebbero saputo che lei appoggiava Alexander e sarebbero accorsi per guadagnarsi un posto dalla parte del vincitore.
«Voglio conoscerlo, pensi di poter organizzare un incontro?» le domandò l’uomo.
«Mi offende che tu abbia dovuto chiederlo» gli rispose. «Ti farò sapere una data.»
Si congedarono e la conversazione si chiuse.
Quando Emily si voltò verso Roman, vide che anche lui aveva un’espressione compiaciuta. 
«Arthur Lowe si aspetta sempre di stringere patti con i suoi “amici”, credi che Alexander accetterà?» le domandò.
Lei strinse le labbra e non rispose subito, pensierosa.
«Il suo senso di giustizia gli provocherà tanti rimorsi, ma non avrà scelta.»
Emily tornò a rilassarsi sul sedile, con gli occhi fuori dal finestrino.
«Non mi hai mai raccontato come vi siete incontrati.»
Non si voltò verso Roman, ma replicò: «Perché vuoi saperlo ora?»
«So tutta la storia tranne il suo inizio. Mi sembra incompleta, non credi? Ma possiamo fare un’altra volta, è stata una lunga serata.»
Intorno a loro i grattacieli avevano lasciato il posto a palazzi più bassi e modesti, segno che si stavano allontanando dal centro. Le luci erano più soffuse e rade, le vie meno affollate.
«È una storia piuttosto breve in realtà» rispose Emily. «Si era appena trasferito nel palazzo di fronte al mio, dove vivevo dalla morte di mia nonna. Lo avevo notato perché spiccava come un pesce fuor d’acqua: con quei suoi capelli biondi e l’aspetto di un attore di Hollywood non apparteneva certo alla periferia in cui vivevamo.»
Emily socchiuse gli occhi e fu come se il tempo la riportasse indietro sei anni prima.
«Quella sera pioveva a dirotto e io stavo tornando a casa dal lavoro. Lui corse sul marciapiede per fermarmi. Sembrava un pulcino bagnato abbandonato dalla mamma, i capelli attaccati al volto e il maglione fradicio. Mi disse che era rimasto chiuso fuori dal palazzo e non sapeva come rientrare.»
Roman ridacchiò e commentò: «Questi ragazzi ricchi non sanno vivere senza un portiere.»
Emily sorrise dolcemente: «Era così disperato, ma la cosa si risolse in pochi secondi. Conoscevo la signora che viveva al primo piano: suonai e le spiegai la situazione. Lei ci aprì e ci invitò in casa a bere un tè.»
«La dama salva il cavaliere in pericolo» disse Roman. «Sembra l’inizio di una grande storia.»
Emily sospirò: «E lo è stata. Ho passato questi anni esercitandomi ad odiarlo e solo stasera mi sono accorta di non aver mai smesso di amarlo.»
Si voltò verso Roman e vide il volto di lui ondeggiare al di là delle lacrime che le offuscavano gli occhi.
Senza parlare lui allungò un braccio e la strinse a sé. Emily affondò il volto sul suo petto, lasciandosi cullare da quell’abbraccio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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