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Autore: Shadow writer    22/02/2020    10 recensioni
Tridell è una moderna metropoli in cui nessuno è estraneo a scandali e corruzioni. Una giovane donna, abile nell'uso delle vie più o meno lecite, si è fatta strada fino alla vetta di questo mondo decadente.
Dalla storia:
“La duchessa viveva in periferia.
Il suo era un palazzo dall’esterno modesto, circondato da una striscia di giardino prima del grande cancello metallico. Chiunque avesse avuto l’onore di entrarvi, parlava di stanze suntuose, pareti affrescate, una grande corte interna, in cui si innalzava una fontana zampillante decorata da statue di marmo bianco. […]
Chi lei fosse veramente, non si sapeva. Che non avesse davvero il sangue blu, questo era quasi certo, ma nessuno osava contestarlo.
La verità sul suo conto, qualunque fosse, non era nota al pubblico, e alla gente piaceva guardare a questa donna enigmatica nel costante sforzo di capire chi fosse, senza mai riuscirci.”
[Storia partecipante al contest “Il Lago dei Cigni” indetto da molang sul forum di Efp.]
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La duchessa '
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Fiori d’arancio
 
 



La luce del mattino filtrava calda attraverso le tende della stanza di Emily e sullo specchio della toeletta facendolo risplendere. Dalla finestra appena socchiusa s’infilava un filo d’aria che faceva gonfiare e ondeggiare il tessuto.
Emily finì di indossare il suo abito e si guardò allo specchio, proprio mentre Roman faceva il suo ingresso nella stanza. Aveva l’abitudine di non bussare mai e lei ormai ci era abituata.
Si voltò a guardarlo, mentre lui la sondava a fondo.
«Sei bellissima» le disse infine. «Ruberai la scena alla sposa».
Emily sorrise. «Ne dubito» rispose, ma tornò a controllarsi nello specchio.
Indossava un semplice abito rosa pallido – così pericolosamente simile al bianco – e si era fatta raccogliere i capelli, che di solito portava sciolti, decorandoli con alcuni fiorellini rosa infilati tra le ciocche. 
Quando ebbe finito di ammirarsi, si avvicinò a Roman e gli infilò nel taschino della giacca azzurra un paio di piccole rose, poi gli sistemò il colletto della camicia.
«Ora sei perfetto» gli sussurrò.
Lui le sorrise e posò le sue mani sulle spalle di lei. 
Emily si lasciò accogliere dai suoi occhi color nocciola, porto sicuro in tutti quegli anni. Roman aveva lo straordinario dono di essere calmo anche nelle situazioni più disperate ed Emily aveva apprezzato più volte questa sua capacità.
«Andrà tutto bene» le disse. «Hai detto tu stessa che la famiglia di Alex non sa che faccia tu abbia e io sarò al tuo fianco tutto il tempo.»
Lei strinse i pugni, nervosa.
«La madre della sposa conosce te» gli disse e vide il volto di lui contrarsi impercettibilmente. Non voleva ricordarlo e sapeva quanto costasse a Roman accompagnarla.
«Non è un problema. È meglio per lei fingere di non conoscermi».
Emily si alzò sulle punte dei piedi, appoggiò il mento sulla spalla di Roman e lo abbracciò. Entrambi ne avevano bisogno.
 
 
Il matrimonio si teneva nel grande parco della villa di proprietà di un qualche parente degli sposi. 
Per la cerimonia era stato allestito un enorme gazebo sulla cima della collinetta artificiale che dominava il parco. Il sole splendeva nel cielo e scintillava sugli abiti degli invitati che si inerpicavano lungo il sentiero segnato da un tappeto lilla nel prato. 
Per i meno volenterosi, uno stuolo di golf cart faceva avanti e indietro dall’ingresso al gazebo, caricando e scaricando uomini in completi lucenti e donne in abiti lunghi e tacchi alti.
Emily e Roman sedevano accanto alla navata, in seconda fila come era stato loro assegnato. Chi arrivava lanciava loro un’occhiata incuriosita, talvolta perplessa, ma nessuno si era ancora avvicinato a parlare.
«Credi sappiano che non facciamo parte del loro gruppo sociale?» stava chiedendo Roman, guardando impassibile la gente intorno.
«Credo che il nostro aspetto li inganni.»
«Secondo me riescono a fiutarli, i non aristocratici».
Emily trattenne un sorriso: «Non c’è nulla di più falso di un gruppo che si proclama aristocratico. Ognuno di loro nasconde dei piccoli sporchi segreti e sarebbe pronto a morire per non rivelarli».
La loro conversazione si spense quando una concitazione generale segnalò che qualcuno di importante era arrivato. Gran parte degli invitati si spostò sotto al gazebo e alcuni presero posto.
Emily guardò verso l’ingresso della navata e vide sbucare Alexander, nel suo completo nero da sposo. Cercò di mantenersi impassibile, ma il suo cuore saltò un battito e sentì il volto accaldarsi. 
Alex appariva nel suo luogo naturale, perfetto e impeccabile, con i capelli ben pettinati e neanche un velo di barba. Avanzò, lentamente, e parve accorgersi solo alla fine della presenza di lei. 
Emily lo vide sgranare gli occhi e aprire la bocca, senza che ne uscisse alcun suono. L’uomo rallentò, poi smise di camminare e rimasero a fissarsi fino a che lei non distolse lo sguardo, fissando gli occhi verso il parco.
Si sentiva il volto in fiamme e il matrimonio non era ancora iniziato. Così non andava.
Roman si irrigidì al suo fianco e trattenne il respiro. Emily seguì la direzione del suo sguardo e vide una donna sottile, avvolta in un abito color corallo che faceva risaltare i suoi capelli biondi.
L’innegabile somiglianza lasciava intuire che si trattasse della madre di Camille. Camminava verso il gazebo accompagnata da un giovane uomo che doveva essere suo figlio o un altro familiare.
«Oggi è il giorno in cui ci dimentichiamo entrambi di avere un cuore» mormorò Emily al suo compagno. «Perché a volte fa meno male esserne privi.»
Roman cercò la sua mano e gliela strinse. Emily ricambiò la stretta salda e si costrinse a tornare a guardare verso l’interno del gazebo.
Ormai quasi tutti gli invitati avevano preso posto e Alex stava parlando con quello che lei sapeva essere suo padre. Era un uomo alto e austero, dalle spalle larghe e i capelli a spazzola che lo facevano assomigliare a un marine.
Robert Henderson era un avvocato in pensione che aveva fatto la sua fortuna come consulente degli imprenditori più disparati. Seppure fosse nato ricco, nulla gli aveva impedito di incrementare il proprio patrimonio e proporzionalmente anche la propria influenza sugli affari della città. Non faceva segreto di essere un patriarca severo ed esigente, ma gli piaceva proporsi come il tipo di uomo per cui la famiglia era il valore cardine dell’esistenza. Emily disprezzava il modo soffocante con cui ricopriva il ruolo di capo famiglia, senza concepire impulsi divergenti rispetto alla retta via che lui tracciava per gli altri. Se qualcuno tendeva ad uscire da questa direzione, lui lo spegneva come una candela a cui è tolto l’ossigeno.
L’orchestra cominciò a suonare e tutti si zittirono. Le prime damigelle cominciarono a sfilare tra gli invitati, spargendo petali chiari sul tappeto. Dai banchi i colli erano tesi per cogliere una prima impressione della sposa, per riuscire a vederla prima degli altri.
Camille apparve come una dea. Scivolava sul tappeto, seguita dal lungo strascico dell’ampia gonna. L’abito, di un bianco splendente, le copriva le spalle con un tessuto trasparente e scendeva in un corpetto stretto prima di spalancarsi nei molti strati della gonna. 
Gli occhi di tutti erano su di lei, la guardavano come se potessero assaggiarla attraverso le pupille. E la musica pareva seguire lei, non viceversa.
Quando arrivò all’altare, il padre le lasciò il braccio e lei si fermò al fianco di Alexander. Non indossava il velo, ma si fermarono un istante a guardarsi prima di girarsi verso l’officiante. 
L’uomo cominciò a parlare ed Emily si accorse in quel momento di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo. Espirò lentamente e si inclinò verso Roman per cercare il suo sostegno. Chi aveva voluto ingannare? Non c’era modo di fingere di non avere un cuore mentre guardava l’uomo che amava sposare un’altra donna.
Non che non lo odiasse, anzi, sapeva che tutto sarebbe finito nel momento in cui lui le sarebbe stato indifferente. L’odio che provava per lui era sintomo dell’amore non estirpato.
La cerimonia stava andando avanti, ma le parole le giungevano ovattate. Riacquistò consapevolezza mentre l’officiante diceva: «Vuoi tu, Alexander Henderson, accogliere Camille Lefebvre come tua sposa, promettendo di esserle fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarla e onorarla tutti i giorni della tua vita?»  
Emily riusciva a vedere il suo volto serio fisso su quello della futura sposa. Poi, all’improvviso, gli occhi di Alexander guizzarono via e si posarono su di lei. Emily era abbastanza vicina per capire che non era un’impressione, Alex la stava proprio guardando.
Il suo cuore accelerò improvvisamente, per l’emozione quanto per la paura che qualcuno se ne accorgesse. Cercò di mantenersi impassibile, ma sentiva il volto accendersi. Lui la guardava come se potesse trafiggerla e parlarle da dentro, dirle con quegli occhi ciò che a parole non riusciva. Sembrava chiederle scusa. Scusa per tutto il dolore che le aveva provocato. Scusa per essersene andato senza guardare indietro.
Emily ricordava tutto così bene. La notte fredda, così fredda da pungerle la pelle. Il modo in cui riusciva a percepirlo scomparire all’interno delle stanze e l’eco dei suoi passi ormai lontani che la teneva sveglia. L’aveva tagliata via, gettata e lasciata a marciare come spazzatura. Tutto ciò che lei aveva sempre sperato era che, se mai avesse dovuto deluderla, sarebbe avvenuto lentamente, mostrandole la comprensione di cui aveva bisogno. Sapeva che venivano da due mondi diversi e credere che fossero compatibili era un’illusione non eterna.
Il suo addio era stato un taglio netto che le aveva spezzato per sempre il cuore.
Al matrimonio, Emily si chiese se non stesse travisando il senso di quello sguardo. Le sue emozioni la stavano guidando verso una strada creata dalla sua mente.
«Sì, lo voglio.»
Le parole decise di Alexander furono accolte da un tripudio generale.
La cerimonia si concluse in tono festante e gli sposi furono accolti da una pioggia di petali di rosa e chicchi di riso. Mentre tutti gli invitati li seguivano, Emily si sentì improvvisamente debole e si appoggiò a Roman, con una mano sul suo petto. Lui la strinse a sé, senza parlare.
 
 
Tutto si spostò in un’altra area del parco, dove era stata allestita un’enorme sala da pranzo all’aperto.
Alexander si sentiva travolto da sensazioni troppo forti perché ci fosse posto per la razionalità. Sorrideva, salutava tutti, baciava Camille, posava per le foto, senza essere veramente presente. Era come se guardasse la realtà dall’alto, riusciva quasi a scorgere se stesso, che così ben vestito si lasciava ammirare e corteggiare.
I sorrisi dei genitori di Camille, suo padre gli batteva sulla schiena, gli invitati che facevano a gara per andare a parlargli, tutto era un vortice indistinto.
Durante la pausa tra una portata e l’altra, riuscì a sottrarsi alle attenzioni voraci degli invitati e si rifugiò in bagno.
Si sciacquò il volto con dell’acqua e poi rimase a fissarsi allo specchio per qualche istante. Si sentiva estraniato da quella figura che il riflesso gli restituiva.
Scorse la porta dei bagni aprirsi e si raddrizzò di scatto, ma vide che si trattava di Roman.
«Giornata no?» commentò ironico il nuovo venuto, avvicinandosi.
Alex sospirò: «Lo sai più di me.»
«Questa è la tua festa però, dovresti divertiti. Alla fine, sei stato tu a sceglierlo».
Alex annuì e tornò a guardarsi nello specchio. Non c’era niente di felice nella sua espressione. Eppure, quando aveva chiesto a Camille di sposarlo, lo era stato. Aveva desiderato davvero che lei fosse sua moglie.
«Sai perché ho deciso di portare avanti il matrimonio?» chiese, voltandosi verso Roman. L’altro scrollò le spalle.
«Per il bambino. Ho ragionato a lungo e questo è l’unico modo per assicurarsi che possa tornare a casa.»
Nessuno parlò per qualche istante e Alex vide Roman rimuginare sulle parole, con la fronte aggrottata.
«C’è una pecca nel tuo sistema, Alexander».
Lo guardò, in attesa che continuasse.
«Così facendo il bambino recupererà solo uno dei genitori.»
Alexander strinse i denti.
«Troverò una soluzione, più avanti.»
Roman sorrise e gli si avvicinò, con un sorriso sul volto: «Lo spero per te, perché mi stai simpatico. Se non lo farai, la duchessa ti distruggerà.»
Gli diede una pacca sulla spalla, come un vecchio amico e così si congedò uscendo dal bagno.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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