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Autore: Ksyl    04/03/2020    3 recensioni
PREQUEL di "Surprise Surprise"
Kate Beckett decide di accettare, a sorpresa, di trascorrere il week end negli Hamptons, nella 2x24, e Gina non è mai stata invitata.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
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9

Scesero in strada e iniziarono a camminare senza meta.
Il cielo era plumbeo e il vento faceva volare foglie e cartacce, sferzando i muri degli edifici e scompigliandole i capelli che Kate tentava senza successo di allontanare dal viso.
Castle avrebbe voluto dirle che andava bene così.
"Va bene così, cosa?", chiese lei di punto in bianco.
L'aveva detto ad alta voce?
"I capelli. Sciolti. Ribelli".
"Ribelli?"
"Sono uno scrittore. È il mio lavoro usare aggettivi ispirati".
"Lo so benissimo, Castle. Come dimenticare 'Il vento le raccolse i capelli'? Una delle tue immagini più ispirate", lo prese in giro, ricordandogli la volta che l'aveva sorpreso presentandosi con un abito imprevisto a una lettura pubblica a cui aveva partecipato.
"È tutta questione di creatività. E di arte", rispose con tono superiore, scherzando a sua volta.
"L'arte, certo", annuì dandogli corda. "Perdonami, artista, se non so cogliere i significati misteriosi dei miei capelli ribelli".
"È solo perché non ti vedi come ti vedo io", le rispose improvvisamente serio, guardandola intensamente.
Kate sorvolò sul commento, anche se a lui parve di scorgere un piccolo sorriso che si affrettò a dissimulare.

Camminarono a lungo, sfiorandosi le spalle, parlando di cose di nessuna importanza, ridendo, fermandosi di tanto in tanto mentre la gente li superava di fretta, incuranti delle occhiate di rimprovero che venivano loro rivolte, ignari di ciò che avevano intorno.
Castle si scoprì spesso ad allungare un braccio d'istinto per aiutarla a evitare un ostacolo di cui non si era accorta o a fermarla prima che attraversasse con il rosso, divertito da questa Beckett con la testa tra le nuvole, che gli permetteva di essere gentile senza respingerlo e che accettava il contatto fisico senza ritrarsi.
"Sai dove mi piacerebbe continuare a fare questo, Castle?", gli chiese all'improvviso, bloccandosi.
"Potresti specificare meglio cosa intendi con questo?", rispose lui mettendole un braccio intorno ai fianchi. Lo faceva solo per la sua incolumità.
"Camminare. Sai che mi piace camminare", spiegò.
"Sì, me nei sono accorto", replicò facendo finta di essere stanco morto. "E, sentiamo, dove vorresti continuare la nostra maratona? Sono aperto a tutte le possibilità".
"No, non adesso. È troppo lontano", precisò.
"Niente è troppo lontano", la informò con aria solenne.
"È di nuovo la tua personalità artistica a parlare?", lo stuzzicò, mettendogli una mano sul petto, così vicini da sentire l'uno il respiro dell'altra.
"No, ma tu uccidi i miei tentativi di essere carino".
"Non hai bisogno di essere carino", sussurrò senza incontrare il suo sguardo.
Lui sentì una stretta al cuore. Era... speranza?
"Dove sarebbe questo posto irraggiungibile?"
"In spiaggia. Negli Hamptons. Non abbiamo avuto tempo per farlo".
La guardò stupito. Aveva capito giusto? Era la risposta a quello che lui le aveva detto nel suo appartamento, prima che lo costringesse a uscire e cambiasse discorso, facendo finta di niente? Poteva crederci?
"Davvero? Ti informo che la costa va avanti per chilometri. Dovremmo chiamare qualcuno per venire a recuperarci. Me di sicuro".
Riprese, cambiando tono: "E, comunque, no, non è troppo lontano. Quando vuoi...". Lei gli fece un sorriso dolce e si staccò da lui. Non era un sì, ma non era nemmeno un rifiuto categorico.

"Andiamo al parco", gli propose.
"Lo sai, vero, che quando c'è il temporale si deve stare lontani dagli alberi? Non te lo hanno insegnato a scuola? Non sei andata al campeggio estivo da piccola?"
"Non sta nemmeno piovendo. Che cosa vuoi che succeda?"
Poteva succedere di tutto, ma non se la sentì di rifiutare.
Si fermarono vicino alla statua di Balto e Castle ne approfittò per raccontarle di quando Alexis, da piccola, voleva vedere e rivedere quel cartone animato fino alla nausea e lo obbligava a portarla lì tutti i giorni, facendogli venire voglia di far sparire quel maledetto lupo dalla faccia della terra.
"Non è un lupo. E non è nemmeno un cane. È un eroe", protestò Beckett, imitando l'accento russo di uno di personaggi del cartone animato.
"Ti ho già detto quanto sei sexy quando parli russo?"
Finse di non aver sentito, forse c'erano ancora dei limiti alla loro ritrovata vicinanza. Sempre che si potesse definirla così. Preferiva andarci cauto.

"Ci sediamo qui?"
Gli indicò una panchina. Era dunque quella la loro meta? La statua di un lupo?
"Dovrei leggere significati particolari in questa proposta? Devo interpretare Balto come una specie di simbolo? Tipo l'indovinello della Sfinge?"
La sua mente si era già messa in moto.
"No, Castle...", iniziò pazientemente.
"No, non dirmelo! Devo arrivarci da solo".
Lo prese per un braccio e gli impose di sedersi accanto a lei.
"No, lascia in pace il povero Balto. Non nasconde nessun mistero".
"Ok, se lo dici tu", rispose per niente convinto. Lo sapeva che quel lupo era sospetto. L'aveva sempre saputo.

Lei si girò verso di lui, una gamba piegata sotto l'altra e fece un respiro profondo.
"Dobbiamo parlare...", iniziò a fatica. Castle saltò per aria.
"Sei impazzita? Mi hai fatto camminare per chilometri solo per farmi venire un colpo? E quali sono i tuoi successivi programmi? Farmi a pezzi e sotterrarmi?", replicò con autentico orrore.
Lei lo guardò esterrefatta, senza capire.
"La frase, Beckett, 'Dobbiamo parlare'. È la prima causa di morte tra gli esseri umani di sesso maschile. Come fai a non saperlo?", le spiegò con tono di riprovazione.
"Tu dovresti farti vedere da qualcuno, Castle. Seriamente", lo redarguì. "In ogni caso avevo solo intenzione di parlare, senza nessun misterioso complotto sotto. Vorrei dire alcune cose, se mi è concesso farlo senza essere interrotta e senza che tu paventi l'arrivo dell'Apocalisse. Credi ti sia possibile?"
Gli aveva parlato in tono calmo, come se temesse sul serio di trovarsi di fronte a uno squilibrato. La cosa lo divertì immensamente.
Finse di sigillarsi le labbra, annuendo.

"Castle, tu mi piaci davvero, davvero tanto".
"Oddio, sento le campane a morto", si abbatté lui passandosi una mano sulla fronte, rompendo subito la promessa di fare silenzio.
Lei si mise a ridere. "Castle, smettila! Non possiamo stare qui tutta la notte", lo rimproverò, senza riuscire a tornare seria.
"Smettila tu di spaventare così la gente. Ok, ok, scusa. Prego, parla".
Lei appoggiò distrattamente una mano sulla sua gamba, prima di ricominciare il discorso. Lui pensò che non doveva essere un segno infausto. Ma non era ancora del tutto tranquillo.
"Mi piace stare con te e lavorare con te. Mi è piaciuto il nostro week end, almeno fino a prima che finisse in modo precipitoso. Sei divertente, creativo, generoso, tocchi le cose..."
"Come sarebbe 'tocco le cose'?", la interruppe, indignato.
Lei gli lanciò un'occhiata di fuoco, intimandogli di tacere una volta per tutte.
"Ma, più di tutto, mi piace perché fai sembrare tutto, il mondo, la vita, un'avventura. E non so più come potrei farne a meno".

Seguirono silenzio e occhi bassi. "Ma...", continuò a disagio.
"Se dopo quel ma c'è un "non può funzionare", ti informo che il sistema operativo non riconosce il comando".
Lei sorrise, un po' triste. "Dai, smettila di scherzare...".
"Io smetto di scherzare, ma tu smetti di essere pessimista".
"Non sono pessimista! Hai visto anche tu come è andata a finire!", si difese lei.
"Sì, l'ho visto. Ma ho anche visto come siamo stati bene e come potremmo stare bene, in futuro e per sempre".
"Ma se sono bastati due giorni per allontanarci per intere settimane!"
"Perché c'è ancora da mettere a posto qualcosa...", convenne lui, conciliante.
"Castle, non siamo neanche capaci di comunicare", sbottò esasperata. "Continuiamo a imbatterci in incomprensioni perché non sappiamo nemmeno dirci le cose! Guarda che cosa è successo per una frase sbagliata...".

Le scostò una ciocca di capelli dal viso e gliela mise dietro l'orecchio. Stava per iniziare a rispondere, in modo più organico e sensato, e, sperava, convincente, quando iniziarono a cadere le prime grosse gocce di pioggia, proprio come lui aveva previsto.
Si alzarono insieme, gridando mentre lo scroscio di acqua si faceva sempre più violento. In un attimo furono entrambi fradici. Corsero in strada, ed erano quasi fuori dal parco, quando Castle la fermò bruscamente, prendendola per un braccio e ruotandola verso di sé. Non poteva aspettare oltre.
"Kate, vuoi la certezza che funzionerà? Non ce l'abbiamo. E, sì, probabilmente è un follia. Vuoi fare questa follia con me?", le chiese incurante della pioggia che lo stava accecando e delle raffiche di vento che rendevano difficile mantenere un equilibro.
La vide aprirsi in un sorriso irresistibile.
"E se faremo casino?", gli domandò.
"Ma certo che faremo casino. E poi lo rimetteremo a posto. E poi rifaremo casino. E poi... ci troveremo sposati da cinquant'anni".
Forse era azzardato, ma in fondo perché no?
"Per il momento mi basta la promessa di avere pancake a colazione".
"Pancake tutte le mattine. E tutti i caffè che vuoi. Ti lascerò perfino scegliere in quale parte del letto dormire, perché mi aspetto di farlo con te tutte le notti. E basta rose bianche, o qualsiasi cosa bianca..."
Il suo lungo sconclusionato discorso venne presto interrotto dalle labbra di Kate che lo zittirono per molto, molto tempo.

- The End

Grazie a tutti per aver seguito anche questa vecchia storia! Silvia

   
 
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