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Autore: heliodor    08/03/2020    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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I morti non vincono
 
“Oggi morirai, principessa dorata” disse Klarisa senza alcun entusiasmo. Sedeva sulla sedia di legno imbottita al centro della tenda. Ai suoi piedi da un focolare spento salivano sottili volute di fumo.
La principessa di Malinor le porse una coppa di vino mezza piena. “Prendila, su” la esortò.
Bryce fissò il bicchiere come se fosse trasparente. “Bere di primo mattino non è prudente.”
“Che male ti può fare?”
“Voglio essere lucida per quando faremo lo scambio.”
Klarisa fece spallucce e trangugiò il vino fino all’ultima goccia. “Lucida o meno, non ne uscirai viva, lo capisci anche tu, vero? Non sei così stupida.”
Bryce rimase in silenzio.
“Andiamo, Bryce” disse Klarisa con voce impastata. “Non volevo che finisse così. Ho cercato di proteggerti, per quanto ho potuto.”
“So proteggermi da sola” disse con una punta di orgoglio.
Klarisa ghignò. “Ora capisco perché tuo padre ti ha lasciata andare senza mandarti qualcuno dietro per riportarti a nord.”
Quella frase colpì Bryce. Durante la fuga con Igar aveva temuto che suo padre avrebbe inviato qualcuno sulle sue tracce. Ne era così certa che aveva deviato parecchio dalla consueta strada, finendo nella trappola che le era stata tesa.
“Se lo avesse fatto” disse cercando le parole giuste. “Li avrei convinti a desistere.”
“Non ne ho alcun dubbio, sai essere molto convincente” disse Klarisa accarezzando il calice ora vuoto. “Ma resta il fatto che re Andew ha preferito lasciarti andare via piuttosto che rischiare forze preziose per riportarti indietro. Sembra quasi che si sia arreso all’idea di non poterti domare.” Fece una pausa. “O forse non ti considera così preziosa, dopotutto. Gressen e io abbiamo raccolto delle voci, mentre eravamo a Malinor, prima dell’attacco.”
Bryce attese che proseguisse.
“Voci che parlano di una giovane strega molto forte che ti avrebbe fatto visita mentre eri nostra ospite e che ti avrebbe battuta in un duello. Una strega che poi è andata a nord. Sono vere queste voci, principessa dorata?”
“Sì, tranne il fatto che sono stata battuta a duello da quella giovane strega.”
In effetti lo scontro con Eryen era stato poco più di una schermaglia. Bryce si era detta che voleva solo saggiarne le forze e che non l’aveva impegnata davvero, ma la verità era che Eryen non era mai sembrata in difficoltà e più di una volta era sembrata lei sul punto di affondare il colpo decisivo e poi trattenersi.
Se fosse tornata a nord l’avrebbe sfidata di nuovo e stavolta in un duello serio.
Se tornerò a nord, si disse.
Klarisa annuì. “Giovani streghe sorgono e quelle vecchie cadono.”
Io non sono così vecchia, pensò Bryce. Tra me ed Eryen ci sono solo poche Lune di differenza.
“Come i regni e i loro governanti” proseguì Klarisa. “Proprio come Malinor.”
“Ricostruirete.”
“La domanda è chi lo farà, principessa dorata. Tu pensi di stare agendo per il meglio, col tuo sacrificio. Speri che così facendo otterrai riconoscenza e lealtà da chi fino a oggi è stato ingrato e sleale con te.”
“La guerra a nord è tutto ciò che conta per me.”
“Eppure hai tradito i tuoi alleati per il tuo personale interesse.”
“Lo so e me ne vergogno.”
“È per questo che vuoi morire? Per alleviarti la coscienza? Vuoi ottenere la redenzione?”
“Voglio vincere la guerra.”
“I morti non vincono” disse Klarisa con tono sommesso.
Bryce strinse i pugni. “In qualche modo ne usciremo vincitori.”
“Lui non ti sarà riconoscente. Ha portato alla rovina Malinor, nonostante avesse la più grande armata di tutti i tempi al suo comando. Pensi che si senta colpevole? Che abbia imparato la lezione?”
“A volte succede. Gli uomini imparano dai loro errori.”
A lei era successo. Aveva imparato la lezione e non intendeva fare lo stesso errore.
Forse farò errori diversi, si disse, ma non questa volta.
 “Non lui” disse Klarisa. “Io lo conosco bene.”
Dall’esterno udirono le campane in lontananza.
“La festa di Skeli sta iniziando” disse Klarisa alzandosi. “Andiamo a unirci alla cerimonia. Sei pronta?”
Bryce annuì decisa.
Fuori dalla tenda li attendeva un picchetto di venti soldati, dieci mantelli e Gressen in posa impettita.
Lo stregone le scoccò un’occhiata perplessa e rimase in silenzio.
“Gres” disse Klarisa.
Lui fece un passo avanti.
“Scorterai tu la principessa Bryce fino alla piazza davanti al palazzo di Skeli. È lì che avverrà lo scambio.”
“Chi ci assicura che la regina maiale non cercherà di attaccarci?”
Klarisa gli scoccò un’occhiataccia. “Tieni a freno la lingua, idiota. Skeli sa bene che non può sbagliare. Se lo facesse, noi attaccheremmo in forze e raderemmo al suolo la sua dannata città.”
Gressen non sembrò soddisfatto da quella risposta ma si limitò a un veloce inchino e fece un passo indietro.
Bryce si domandò se non fosse solo preoccupato per la sua vita. Se Skeli avesse violato il patto, subito dopo di lei sarebbe stato lui a cadere.
Forse dovrei dirgli di restare qui, si disse. Potrei andare da sola allo scambio. No, non funzionerebbe e otterrei solo di offendere i malinoriani, rendendo inutile tutto quello che sto facendo.
“Addio principessa dorata.”
“Proprio non riesci a chiamarmi Bryce, Klarisa di Malinor?”
Lei le scoccò un’occhiata di traverso. “Credo che Bryce sia morta da tempo. Mi hanno detto delle cicatrici che hai sul corpo. Non chiedermi come lo so, puoi intuirlo da sola. Non so come te le sei procurate, ma credo siano uno dei motivi per cui stai facendo tutto questo.”
“È stata Skeli” disse Bryce. “Ha ordinato ai suoi di uccidermi, in un agguato.”
Klarisa annuì. “Grazie per essere stata sincera. Ora vai, non facciamo attendere oltre la regina di Orfar.”
Gressen e la scorta l’attesero mentre montava in sella. Quando fu pronta afferrò salda le redini e diede un piccolo colpo ai fianchi del cavallo.
La bestia, docile, si mise in marcia.
“Non ti invidio affatto” disse Gressen mentre uscivano dal campo e si inoltravano nella pianura che circondava la città. “Potevi rifiutare e invece hai deciso di consegnarti alla regina maiale.”
La mente di Bryce era altrove, il pensiero rivolto a quello che sarebbe accaduto una volta oltrepassate le mura di Orfar.
Potrebbe accadermi di tutto, si disse.
Non aveva paura, era pronta a morire, se necessario. L’avrebbe fatto per l’alleanza, affinché potesse sopravvivere e ricevere l’aiuto dei malinoriani. Solo l’Unico sapeva se ne avessero bisogno, ora che Persym e i colossi stavano andando a nord, forse per unirsi a Malag o per combattere la loro guerra.
Non le importava. Suo padre aveva bisogno di tutto l’aiuto possibile. Glielo aveva detto in ogni modo possibile e lei aveva ignorato quella richiesta, scegliendo di seguire il proprio capriccio piuttosto che fare il suo dovere.
Non poteva tornare indietro ma poteva fare qualcosa lì, in quel momento.
Le porte della città si aprirono quando si trovarono a metà strada nella pianura. I soldati di Orfar uscirono in file ordinate e si allinearono in due file compatte, tagliando a metà la città di tende e catapecchie che era sorta sotto le mura cittadine.
Erano abitate dai profughi fuggiti da Malinor, disperati che avevano perso ogni cosa e si erano diretti qui in cerca di aiuto.
Skeli li aveva trattati come topi. Dopo l’arrivo dell’armata di Klarisa molti di quei profughi si erano recati da lei per riferirle delle angherie subite dalla regina, pregandola di radere al suolo la città.
Klarisa aveva ascoltato le loro lamentele e poi li aveva fatti giustiziare.
“Agitatori” le aveva spiegato. “Non posso tollerarlo proprio adesso che dobbiamo fare lo scambio, ma non posso assicurarti che non ce ne siano altri che si tengono nascosti. Gressen ha inviato diverse spie tra le baracche. Non vorrei che uno dei gruppi che si sono formati rendessero inutile tutto il lavoro che abbiamo fatto.”
I soldati di Orfar allontanarono con le lance e gli scudi i profughi di Malinor. Mentre si avvicinava, Bryce raddrizzò la schiena e rivolse a loro una lunga occhiata.
Sperò che ricambiassero quello sguardo.
Devono vedermi, si disse. Devono capire che mi sto sacrificando anche per loro. Solo così saranno riconoscenti alla causa dell’alleanza.
“Se speri nella riconoscenza” le diceva spesso suo padre. “Non andai da nessuna parte. Possiamo contare solo sulla forza del nostro circolo e dei nostri soldati.”
“E i nostri alleati?” aveva domandato Bryce, all’epoca dodicenne.
Suo padre aveva sorriso. “Di loro dobbiamo fidarci il meno possibile, diceva mio padre. Perché solo la forza e il denaro li tengono legati a noi, non certo la lealtà o la riconoscenza.”
Il corteo proseguì fin oltre l’ingresso di Orfar. Era già stata lì, Lune prima, anche se adesso le sembravano passati anni.
Con Vyncent, Bardhian e gli altri.
Vyncent.
Cercava di pensare a lui il meno possibile, per non impazzire.
Se non lo avessi abbandonato a Malinor, pensò. Se fossi rimasta. Se avessi insistito per portarlo con noi, tutto questo non sarebbe successo.
Oltre i cancelli di Orfar, i soldati di Skeli formarono due ali lungo le vie strette della città. A differenza dei malinoriani, gli abitanti del posto non si erano scomodati per venire a guardarla.
Orfar era irriconoscibile. La metà delle case era bruciata o crollata, le strade erano ancora ingombre di macerie provocate dalla battaglia precedente.
Skeli non aveva fatto molto per il suo popolo. Il castello dove risiedeva era l’unico edificio che sembrava nuovo, in mezzo a quella rovina.
Si voltò verso Gressen. “Pensavo che lo scambio avvenisse fuori.”
“Skeli ha voluto così” rispose lo stregone.
“Da quando è lei a comandare?”
Gressen indicò un punto davanti a loro, dove sorgevano i resti di una statua che una volta doveva aver raffigurato un cavaliere sul suo destriero. Tutto ciò che ne restava erano le zampe dell’animale.
Il corpo del cavaliere, il braccio alzato al cielo che brandiva una spada, giaceva al suolo. Il resto era sparpagliato.
“Lo scambio avverrà lì” disse Gressen.
Un posto vale l’altro, si disse Bryce.
Ma non era così. Aveva sperato almeno di poter rivedere il tempio dove lei e Vyncent si erano giurati eterno amore.
Come nei romanzi amati da Joyce, si disse. Lì ci sono sempre cavalieri e principesse che si promettono amore eterno e imperituro. Che sciocchezza. Vyncent è morto, Joyce è morta e tra poco anche io lo sarò.
Gressen fece cenno ai soldati di fermarsi.
Dall’altra parte della piazza erano apparsi dei cavalieri. Vide mantelli e lance allineati su tre file, davanti alle quali vi erano tre figure.
Due indossavano il mantello di Orfar, di un rosso e giallo ocra ormai stinti dal tempo. La terza invece aveva il mantello rosso scuro.
Rosso come il sangue, pensò Bryce. No, troppo scontato. Dove ho già visto quel colore?
Una delle figure si staccò dalle altre e avanzò. Solo allora Bryce vide il carro che sostava sul lato destro della piazza.
“Una gabbia” disse Gressen. “Tipico di Skeli. Non avevamo idea che avesse in mente una cosa del genere, devi credermi.”
“Ti credo” disse Bryce. “Se Skeli mi vuole in gabbia, l’accontenterò pur di fare lo scambio.”
Ma non ci resterò molto, in quella gabbia, si disse. Skeli non mi vuole come animale da compagnia. Mi vuole morta.
La figura col mantello rosso avanzò fino al centro della piazza, dove smontò dalla sella e proseguì a piedi.
Bryce guardò Gressen e lui si strinse nelle spalle.
Saltò giù con un gesto agile e con passo sicuro si avviò verso la figura che si avvicinava.
La figura in rosso rallentò e sembrò quasi attendere che la raggiungesse. Da quella distanza, ora poteva guardarla bene.
Vide i capelli fluidi e castani, appena screziati da qualche filo bianco. L’espressione severa, le sopracciglia folte e curate e il fisico slanciato.
Bryce accelerò il passo per raggiungerla e quando arrivò a una decina di passi si fermò. “Io ti saluto, inquisitrice” disse con tono neutro.
Gladia di Taloras serrò la mascella. “Io saluto te, Bryce di Valonde.”
“Quindi ti sei schierata con Skeli?” le domandò Bryce.
“Il mio ordine non si schiera con nessuno” rispose Gladia dura. “Noi siamo i difensori della legge e della stregoneria.”
“Mi sembra che tu stia difendendo la persona sbagliata.”
“Sono qui per prenderti in consegna, Bryce di Valonde.”
“Perché proprio tu e non qualcun altro?”
“Perché sei una rinnegata.”
“Skeli è una spergiura e assassina” disse Bryce. “Ha cercato di uccidermi, ha barattato il suo regno e i suoi sudditi per salvarsi la vita e ha dato ordine di saccheggiare Malinor e uccidere i sopravvissuti. E nonostante questo la rinnegata sono io. È interessante, non trovi?”
“E come spieghi il fatto che sei qui invece di essere a nord, a combattere per l’alleanza?”
“Io sto combattendo per l’alleanza” disse Bryce. “Anche in questo momento.”
Gladia scosse la testa. “La tua battaglia finisce qui, Bryce di Valonde. Ora verrai con me e io ti prenderò in consegna a nome del mio ordine.”
Bryce si accigliò. “Non lo farai per conto di Skeli?”
“Ho mai detto questo, Bryce di Valonde?”
Gressen si schiarì la gola. “Prima di prendere la strega dorata, dovete darci il prigioniero.”
“Mi sembra giusto” disse Gladia. Fece un cenno con la testa ai soldati di guardia alla gabbia. “È vostro. Fatene buon uso.”
“Ringrazia la regina da parte nostra” disse Gressen.
“Skeli si augura che da questo momento in poi si possano instaurare buoni rapporti con Malinor.”
“Vedremo.” Gressen rivolse un leggero inchino a Bryce. “Che la tua via sia dritta, Bryce di Valonde.”
“Anche la tua” rispose. Guardò l’inquisitrice, che era in attesa.
Bryce fece per fare un passo avanti e in quel momento il carro con la gabbia dove si trovava il prigioniero esplose in una palla di fuoco.
 
***
 
Marq si svegliò di soprassalto, una mano che gli scuoteva la spalla.
“In piedi” sussurrò una voce.
È quella di Jamar, pensò.
“Che succede?”
“Siamo stati scoperti.”
“Da chi?”
Jamar grugnì qualcosa. “Da tutti. Da chi non doveva scoprirci.”
“Come?”
“Belyen. Devono averla presa quando è andata al palazzo di Skeli.”
“Perché l’avete mandata lì?”
“Doveva portare un messaggio a Gladia.”
Gladia, pensò Marq. Anche lei era a Orfar, Jamar glielo aveva detto.
“Quella dannata donna può esserci utile” aveva detto la notte precedente. “Ma dobbiamo sapere se si schiererà dalla nostra parte o no.”
“Gli inquisitori non si schierano” aveva risposto Marq.
“Dovrà farlo.”
“L’inquisitrice deve aver scelto da che parte stare” disse Jamar.
“Credi che abbia tradito Belyen?”
“Spero di no. Ora andiamo, questo posto non è sicuro. I soldati di Skeli stanno per arrivare.”
Marq lo seguì fuori dalla tenda, al buio. Mentre si muovevano silenziosi tra le baracche e le tende, i suoi occhi si abituarono all’oscurità e poté andare meno alla cieca.
Jamar sembrava sapere bene come muoversi. Ogni tanto incrociavano una figura umana e si fermavano. L’uomo emetteva un verso o un fischio e questa rispondeva con un verso analogo.
“Chi sei?”
“Mave.”
“Dove stai andando?”
“Al cancello sud.”
“Non è sicuro” disse Jamar. “Trova Azen e unisciti a lui.”
“Come tu comandi.”
Mave si allontanò sparendo tra le ombre.
“Dove stiamo andando?” gli domandò Marq dopo qualche minuto.
“Al cancello sud” rispose Jamar.
“Ma hai appena detto a Mave che non è sicuro.”
“Infatti. Non è sicuro per le guardie di Orfar.”
“Immagino che nemmeno Azen sia al sicuro.”
“Immagini bene. Ciò che non immagini è che tra meno di un’ora potrebbero essere tutti morti.”
“Ma è uno dei tuoi.”
“Occhi Blu, so quello che faccio. Ti ripugna che abbia mandato a morire uno dei miei guerrieri?”
Se sacrifichi senza esitare i tuoi, pensò Marq, cosa ti trattiene dal sacrificare anche me?
“Spero sia stato per un buon motivo.”
“La loro morte non sarà invano” disse Jamar. “E cercheremo di vendicarla, per quanto sarà nelle nostre forze.”
Il cancello sud era presidiato da una dozzina di stregoni e una ventina di guerrieri. A differenza delle altre entrate della città era piccola e chiusa da un semplice portone di legno che in quel momento era socchiuso.
Una decina di cadaveri era disseminata a terra, metà dei quali indossavano i colori di Orfar.
Rossim emerse dalle ombre, l’espressione turbata.
“A quanto vedo” disse Jamar. “Ci siamo persi la parte migliore.”
“Quella deve ancora venire” disse Rossim indicando il portone. “Lì dietro potrebbero essercene altri trecento ad attenderci.”
Jamar ghignò. “Verifichiamo di persona.” Andò al portone e lo spalancò come se pesasse la metà.
Persino io, con la forza aumentata, avrei difficoltà a riuscirci, si disse Marq. Chi è quest’uomo? E che cosa è?
Jamar si voltò verso di loro. “Mi sembrano molto meno di trecento” disse indicando la piazza oltre il cancello.
Gli occhi di Marq videro solo uno spiazzo vuoto.
“Devono essere tutti al lato orientale” disse Rossim superandolo.
“Azen e i suoi hanno attirato lì la maggior parte delle forze di Skeli” disse Jamar.
Rossim scosse la testa. “Azen, Dalkin, Merival e quanti altri?”
“Anche Meva e Paden” disse Jamar.
“Paden è solo un ragazzino.”
Jamar grugnì qualcosa e si girò verso gli altri in attesa. “Sapete che cosa dovete fare e dove dovete andare. Sparpagliatevi, create confusione tra le file del nemico e cercate di sopravvivere, ma se siete in trappola e con le spalle al muro, rendete gloriosa la vostra morte, è chiaro?”
“Per una morte gloriosa” disse uno dei soldati.
Gli altri si limitarono ad annuire e dividersi per le strade di Orfar.
“Metà di loro sarà morta prima dell’alba” disse Rossim cupo.
Jamar ghignò. “Vorresti essere uno di loro?”
“Vorrei non essere quello che li ha mandati a morire” rispose l’altro.
Marq decise che quello era il momento adatto per inserirsi in quel discorso. “Che cosa facciamo adesso? Che cosa possiamo fare? Abbiamo contro tutto l’esercito di Orfar.” Iniziava a dubitare di sopravvivere a tutto quello che stava accadendo.
“Per ora dobbiamo restare nascosti” disse Jamar. “Almeno fino a domani, quando ci sarà lo scambio. Sarà allora che agiremo.”
“Come?” domandò Marq.
“Ci riprenderemo il prigioniero prima che venga consegnato a Klarisa.”
“Così, sotto gli occhi di tutti? Andremo lì e ce lo riprenderemo?”
“Sì, se sarà necessario” disse Jamar con sicurezza. “Ma conoscendo Klarisa, penso che ci darà una bella mano.”
“Lei vuole uccidere il prigioniero” obiettò Marq.
“Infatti è così.”
“Perché allora dovrebbe aiutarci?”
“Non lo so, ma per farlo dovrà creare scompiglio al momento dello scambio.”
“Non può prenderlo e portarlo al campo?”
“Se lo facesse” disse Rossim. “Dovrebbe ucciderlo davanti alla sua armata. Come assassina non diventerebbe mai regina. Il prigioniero dovrà morire qui, domani, al momento dello scambio e dovrà sembrare che siano stati gli orfariani a causarne la morte.”
“Mi sembra un piano complicato” disse Marq.
“Nessuno ha detto che sarà semplice o facile” disse Jamar. “Vuoi tirarti indietro?”
“No” disse Marq. “Ma non potremmo fare in un altro modo?”
“Sentiamo” lo esortò Jamar.
“Se provassimo a liberare il prigioniero prima dello scambio, mentre è ancora nella prigione?”
“No” rispose il malinoriano. “E per due buoni motivi.”
Marq rimase in attesa.
“Il primo è che non sappiamo come entrare nella fortezza.”
“Belyen c’è riuscita.”
“Ed è morta” rispose Jamar. “Non ci possiamo presentare ai cancelli e chiedere di entrare. Secondo, non abbiamo idea di dove si trovi adesso il prigioniero. Sappiamo solo che si trova in uno dei livelli della prigione sotterranea, ma quel posto è intricato e se non sai muoverti rischi di passarci interi giorni prima di trovare la cella giusta.”
Ma io sono qui per salvare Brun, pensò Marq.
“So a cosa stai pensando” disse Jamar. “Ti preoccupi per il tuo amico prigioniero nell’ultimo livello. Penseremo anche a lui.”
“Come?”
“Faremo qualcosa” disse Jamar. “Quando Klarisa farà la sua mossa e noi avremo liberato il prigioniero, ci sarà parecchia confusione in giro. Allora avrai la tua occasione di entrare nel palazzo e liberare il tuo amico. Non prima.”
“Mi sembra un pessimo piano” disse Marq. “E mi vengono in mente almeno cento motivi per cui potrebbe non funzionare.”
“Come tutti i piani ha i suoi pregi e i suoi difetti” disse Jamar. “Starà a te fare in modo che funzioni. Ma ti avverto. Voltaci le spalle nel momento del bisogno e farò in modo che né tu, né il rinnegato che hai tanto a cuore usciate vivi da questa città. Hai compreso bene le mie parole, Occhi Blu?”
“Comprendo che mi conviene aiutarvi, per il momento.”
Jamar ghignò. “Siamo arrivati.”
Davanti a loro c’era ciò che restava di un tempio dell’Unico. Il tetto era crollato, forse per un incendio e restava solo la lunga navata, al termine della quale un altare si innalzava al culmine di una scalinata.
Marq sedette sui gradini mentre Jamar e Rossim parlottavano tra di loro vicini all’arco che delimitava l’entrata.
Una statua raffigurante un uomo dall’espressione severa e solenne lo fissava con occhi privi di vita, in una nicchia posta dietro l’altare.
Marq aveva già visto quella raffigurazione, in alcuni templi sia dell’antico che del grande continente.
Ritraeva padre Zelyas, un predicatore che aveva diffuso il culto all’epoca dei maghi supremi e che era diventata una figura leggendaria.
Zelyas era sfuggito a numerose persecuzioni a causa delle sue idee radicali sulla magia in un’epoca dominata dai maghi. Harak ne aveva fatto un simbolo, innalzandolo a eroe e fonte d’ispirazione per la sua lotta contro i maghi.
Almeno così dicevano le leggende.
Zelyas era vissuto secoli prima del Re Stregone e la sua storia era andata perduta nel tempo per poi essere riscoperta dopo la ribellione.
Marq si chiese come fosse stata la vita a quel tempo, in un’era dominata dai maghi. Harak era considerato un ribelle e un rinnegato, proprio come lui.
E Malag.
I rinnegati di oggi saranno gli eroi leggendari di domani? Si domandò.
“Stai pregando o sei solo distratto?” gli chiese Jamar spezzando il filo di quei pensieri.
Marq scosse la testa. “Né l’una, né l’altra cosa. Mi chiedevo solo se tutto questo ha un senso.”
Jamar si accigliò. “Cercare di impedire un regicidio per te non ha senso?”
“I sovrani muoiono ogni giorno da secoli” disse Marq. “Uno in più o uno in meno che differenza vuoi che faccia?”
“Il re di cui parliamo non è uno qualsiasi. È il sovrano della nazione più potente al mondo.”
“Nazione che non esiste più” disse Marq mettendo da parte la prudenza. “Spazzata via per colpa sua.”
Jamar assunse un’espressione grave. “Malinor risorgerà. Come al tempo dei tiranni di Berger, quando il regno era solo la metà di quello che è adesso. E come al tempo della prima guerra contro Malag, quando eravamo i soli a combatterlo.”
“Non c’era un’alleanza anche allora?”
“Più di una, ma tutte fallirono nell’impresa. Solo Malinor ebbe successo.”
“Strano” disse Marq. “A me hanno sempre raccontato una storia diversa. Fu Bellir a sconfiggere Malag.”
Jamar ghignò. “Quella è una storia inventata dai nostri alleati invidiosi. Hai conosciuto Malag di persona, immagino che tu gli abbia chiesto come ha fatto a tornare nonostante Bellir lo avesse sconfitto. Che cosa ti ha risposto?”
“Non lo conosco così bene come credi” ammise Marq. “Ho parlato con lui solo due volte e non gli ho mai fatto questa domanda.”
“La prossima volta che lo vedrai, fagliela.”
“Farò di meglio. Gli chiederò come ha fatto a tornare dopo che è stato sconfitto dai malinoriani.”
Il ghigno di Jamar si allargò. “Il nostro re può aver commesso degli errori, ma è pur sempre il nostro re. Klarisa è solo una intrigante che cerca di approfittarne senza avere alcuna legittimazione. Non sarebbe una buona regina per Malinor.”
“Potrebbe essere la regina che vi meritate” disse Marq.
“Questo dovrà essere il legittimo re a deciderlo, come si usa fare da secoli. Ora riposati. Non ci sarà molto da fare prima dello scambio e sarà meglio restare nascosti fino a quel momento. Le strade sono piene di soldati della guardia e non voglio sprecare forze con loro.”
Le ore passarono e il sole, prima basso sull’orizzonte, ora occupava la parte alta del cielo. Un paio di malinoriani, staffette che si muovevano tra le strade di Orfar, giunsero al tempio portando notizie.
Rossim le riassunse per loro. “C’è agitazione vicino al castello. Centinaia di soldati si stanno riunendo per creare un corridoio fino all’ingresso.”
“Skeli ha davvero paura della strega dorata” disse Jamar.
“In fondo ha cercato di ucciderla” disse Marq. Aveva raccontato quell’episodio per convincerlo che Bryce poteva essere una loro alleata e che valeva la pena cercare di salvarla.
Peccato che la principessa di Valonde avesse scelto di sacrificarsi lo stesso.
“Spera che così facendo le innalzino una statua?” si era chiesto Rossim.
“È il suo modo di espiare per gli errori commessi” aveva detto Marq.
Jamar aveva annuito grave. “Tutti in fondo cerchiamo il perdono, a modo nostro.”
“Bryce ha fatto tanto per l’alleanza” aveva detto Marq. Anche se non condivideva la sua lotta, l’ammirava per il coraggio e la forza. Era impossibile non restarne affascinato. “Non ha nulla di cui farsi perdonare.”
“Allora cerca di farsi perdonare per non aver fatto abbastanza” aveva detto Jamar.
“Quanti soldati?” chiese Marq a Rossim.
“Tutti quelli che Orfar può schierare, credo.”
“Quindi sono tutti lì? Il resto della città è indifeso?”
“È rimasta solo la milizia cittadina e qualche guardia. Niente di davvero efficace contro un invasore determinato a prendere la città.”
“Ciò vuol dire” disse Jamar. “Che Klarisa sa di avere di fronte un obiettivo facile.”
Marq si accarezzò il mento. Vi era cresciuta una barba rada di peli che trovava fastidiosi al tatto. Sperava di trovare un rasoio per liberarsene, ma fino a quel momento non c’era riuscito. “Perché Klarisa dovrebbe attaccare la città? Una volta morto il prigioniero, lei sarebbe la legittima regina, no?”
“Ha due buoni motivi per farlo” rispose Jamar. “Il primo è per punire Skeli per la morte del prigioniero, che dovrà ricadere sugli orfariani. Il secondo è che le serve una città.”
Marq attese che proseguisse.
“Malinor è in rovina” disse Jamar con tono paziente. “Le altre città dell’altopiano o sono state rase al suolo o si sono schierate con Persym, oppure hanno eserciti e risorse per resistere a un lungo assedio. Klarisa ha fatto bene i suoi conti. Vuole una base da cui ripartire. Con l’esercito che ha e le risorse delle campagne attorno a Orfar, potrà resistere all’inverno molto meglio degli altri e una volta che l’arcistregone e i suoi colossi saranno a nord, lei potrà pensare seriamente a sottomettere le città sopravvissute.”
“Vuole creare il suo impero” disse Rossim. “Fondandolo sul tradimento e l’infamia.”
“Cercheremo di impedirlo” disse Jamar. “È il momento di andare.”
Fecero per uscire dal tempio distrutto e appena in strada le campane iniziarono a suonare.
 
***
 
Alla fine, si disse Marq mentre seguiva Rossim e Jamar, mi ritrovo a combattere al fianco dei malinoriani, dopo che questi mi hanno imprigionato, interrogato e infine esiliato. E, nonostante cerchi di convincermi del contrario, non ci vedo nulla di strano. Perché in fondo la loro lotta è giusta, sostenuta dalla ragione e Klarisa deve essere fermata. E soprattutto Bryce e Brun devono essere salvati. Una lotta giusta è tutto quello che mi serve, non ho bisogno di altro.
Trovava confortante quel pensiero e lo aiutava a non pensare al fatto che erano solo in tre e stavano per affrontare un intero esercito.
“Trecento contro trentamila” disse Jamar. “Potrebbe sembrare sleale, ma come diceva mio zio, non devi mai sottovalutare la stupidità del nemico.”
Nel frattempo, altre staffette li raggiunsero e Rossim diede loro degli ordini secchi e precisi. Dal poco che sapeva delle forze in campo, si stavano schierando lungo il percorso di un corteo.
Mentre si spostavano per le vie di Orfar incrociarono solo una mezza dozzina di abitanti e tutti sembravano avere una gran fretta di raggiungere la propria destinazione, qualsiasi essa fosse.
“Fanno bene e sparire” disse Jamar. “Con Skeli non puoi mai essere sicuro. Non ha alcun interesse per il suo popolo.”
“Come la maggior parte dei sovrani e dei potenti” disse Marq.
“Ho forse detto il contrario, Occhi Blu? Un re o una regina devono badare al bene di tutto il regno, non solo di una parte di essi.”
“Ero convinto che un regno fosse formato dal suo popolo.”
Jamar ghignò. “E dalle sue terre, dagli animali, dai campi coltivati, dalle foreste, dai fiumi, dalle navi e così via. Trascura una di queste cose e ti ritroverai ben presto senza un regno e con migliaia di rivoltosi per le strade.”
“Dunque qualsiasi violenza verso il popolo deve essere giustificata?” chiese Marq con tono polemico.
“Nemmeno questo ho detto, Occhi Blu. Ma immagina di aver avuto un inverno molto rigido e di dover scegliere tra sfamare cento orfani o cento mucche da latte. Tu cosa sceglieresti?”
“I cento orfani” disse sicuro.
“È commetteresti un grosso errore. Quelle cento mucche che lasceresti morire di fame potrebbero sfamarne mille, una volta nutrite e accudite. Hai appena fatto morire di fame novecento orfani.”
Stava per rispondergli che il suo esempio non era leale e che non gli aveva dato tutte le informazioni, quando dall’altro lato della strada apparve un drappello di soldati.
Jamar si bloccò all’istante. “Restate calmi. Siamo solo dei cittadini che stanno andando alle loro case, come tanti altri. I soldati non ci faranno niente. Orfar è grande e non tutti si conoscono di persona.”
Marq seguì i due uomini in silenzio e a testa bassa, evitando di incrociare gli sguardi dei soldati. Questi erano disposti su due file di quattro e sembravano piuttosto annoiati. Si limitavano a osservare la strada come se fossero stati messi lì per chissà quale motivo.
Jamar si avvicinò a uno di loro che sembrava il più anziano e gli rivolse un caloroso sorriso. “Viva la regina” disse con tono gioviale. “Sarà una meravigliosa giornata per Orfar.”
Il soldato fece una smorfia di disgusto. “Parla per te, amico mio. A noi toccherà stare qui a sorvegliare la strada per tutto il giorno e ce la perderemo la festa. Ci lasceranno solo le briciole.”
Un paio di soldati annuirono con aria convinta e gli altri si limitarono a borbottare qualcosa.
“Davvero un gran peccato” disse Jamar. “Perdervi una festa così bella. Possiamo fare qualcosa per voi? Potremmo portarvi qualcosa da mangiare.”
“Faresti davvero questo per noi?”
Ma che cosa sta facendo? Si chiese Marq sgomento. Perché non proseguiamo e basta? A quei soldati non importa niente di noi.
“Certo” disse Jamar. “Una festa è una festa e non sarebbe lo stesso se degli amici come voi se la perdessero. Non è vero Rossim?”
Lo stregone annuì. “Dici giusto, amico mio. Oggi deve essere un giorno di festa per tutti.”
“Sentito?” fece Jamar rivolgendosi al soldato. “Il mio amico è d’accordo con me. Giusto per curiosità, come ti chiami?”
“Il mio nome è Alekos, amico” disse il soldato. “E il tuo?”
Jamar non smise di sorridere. “Alekos? Che buffo. Una volta avevo un cane con quel nome. Un bel cane da guardia che un giorno mi morse e sai che cosa feci? Gli presi il collo e glielo tirai così forte da spezzarlo.”
Alekos si accigliò. “Che cosa hai detto, amico?”
Jamar gli sferrò un pugno in pieno petto e Marq sentì lo schianto del metallo dell’armatura che si piegava.
Alekos si piegò in due e Jamar gli afferrò la testa e con un movimento veloce le fece fare mezzo giro sul collo. Il soldato si afflosciò tra le braccia del malinoriano.
Lui sollevò il corpo del soldato sopra la sua testa e lo scagliò verso i due soldati più vicini. Il corpo di Alekos piombò sui due con tale forza da scagliarli contro il muro alle loro spalle.
Gli altri soldati stavano sollevando le lance e gli scudi ma Rossim si era mosso prima di loro e con una pioggia di dardi magici ne uccise due prima che avessero il tempo di muoversi.
Marq evocò lo scudo magico e si lanciò verso uno dei soldati che aveva afferrato la lancia e la stava sollevando per colpire Jamar. Col il raggio colpì il soldato al petto e lo scaraventò a terra. Lui cercò di rialzarsi e Marq evocò i dardi magici. “Fermo” gridò.
Una lancia trafisse il petto del soldato inchiodandolo al suolo. All’altra estremità c’era Jamar.
Rossim, le braccia protese in avanti, stava innaffiando di fiamme uno dei soldati rimasti come se stesse dando dell’acqua a una pianta.
Solo che quella magia non aveva lo scopo di dissetare la pianta, ma di cuocere il soldato nella sua stessa armatura.
Lo sventurato era ancora vivo e cercava di strisciare a quattro zampe mentre le fiamme lo avvolgevano.
Marq gli si avvicinò e con due dardi magici alla testa lo uccise. Quindi si rivolse a Rossim. “Che bisogno c’era? Potevi ucciderlo in fretta.”
“Con gli orfariani devi prenderti tutto il tempo che ti serve” rispose l’altro.
Jamar colpì con un pugno alla testa uno dei soldati che ancora si lamentava e gli sfondò il cranio.
A Marq non sembrò un colpo vibrato con molta forza, ma l’effetto fu superiore a ciò che si aspettava.
Osservò la scena penosa che aveva attorno. “Quei soldati non ci avrebbero atto niente” disse.
“Non puoi saperlo” rispose Jamar. “E a noi servivano le loro armature.”
“Potevi dirmelo che intendevi attaccarli” si lamentò Marq.
“L’ho deciso solo all’ultimo istante” si giustificò l’altro. “Ora dacci una mano a spogliarli. Prendete solo le armature in buono stato. Quelle rovinate lasciatele lì dove si trovano.”
“Qualcuno verrà a indagare” disse Marq mentre sfilava uno spallaccio al comandante.
Alekos, si disse. Così aveva detto di chiamarsi.
“Quando verranno noi saremo già lontani. E forse morti” rispose Jamar.
Ammucchiarono i pezzi in mezzo alla strada.
“Prendete quelli della vostra misura e indossateli.”
Si aiutarono l’un l’altro a legare i vari pezzi dell’armatura.
Marq ricevette una cotta di maglia, i gambali e gli schinieri. Rossim anche degli stivali che sostituì ai suoi perché rovinati. Più difficile fu trovare qualcosa che si adattasse alla figura imponente di Jamar. Con un po’ di pazienza riuscirono a fargli entrare la cotta di maglia.
“Andiamo. Abbiamo già perso abbastanza tempo qui” ordinò il malinoriano.
“Sei stato svelto a reagire Occhi Blu” disse Jamar mentre si rimettevano in marcia. “Ma quasi volevi risparmiare quel soldato. Questa è una guerra, non c’è spazio per la pietà o la lealtà.”
“Ho già combattuto altre volte” disse con una punta di orgoglio.
“Forse in un duello o in qualche scaramuccia, ma non in una battaglia vera.”
“Che differenza fa?”
“Molta. In una scaramuccia devi badare solo a te stesso, in una battaglia devi avere visione d’insieme.”
“Sopravvivere non è sufficiente?”
Jamar ghignò. “In una battaglia conta solo vincere. Un comandante che ignora questo fatto e bada solo alla sopravvivenza dei suoi soldati, non vincerà mai.”
A me interessa solo salvare Brun e sopravvivere, si disse. E trovare Sibyl, se è ancora viva.
“Ne terrò conto” disse invece.
La strada che stavano percorrendo confluiva in una più ampia costeggiata da ampi colonnati sotto i quali si aprivano portoni e volte.
“Il mercato” spiegò Rossim. “Il quartiere più importante di Orfar.”
“Niente lezioni di storia” disse Jamar.
Rossim rispose con un’alzata di spalle.
Davanti a loro, circa trecento passi dal punto in cui si trovavano, sostavano una trentina di uomini e donne.
Solo allora Marq si accorse che sopra i tetti delle case c’erano delle vedette che sorvegliavano la zona così come quelli che sembravano semplici cittadini che si attardavano nei vicoli stavano in realtà tenendo d’occhio le strade laterali al mercato.
“Il mercato” disse senza riuscire a nascondere la sorpresa. “È un azzardo.”
Jamar ghignò. “Gli orfariani si aspettano assalti da piccoli gruppi, ma noi gli daremo una bella battaglia. Rossim? Te la senti di prendere il comando?”
L’uomo annuì deciso.
Quelli che si trovavano per strada e non stavano sorvegliando la zona si riunirono attorno a loro.
Marq non riconobbe nessuno di quei visi, ma era certo che avessero riconosciuto il suo. Nessuno lo infastidì né osò rivolgergli la parola.
Jamar li passò in rassegna con una rapida occhiata. “Quanti?” chiese a una giovane strega dai capelli neri raccolti in una treccia.
“Centottantasette, più quelli di guardia sui palazzi.”
“Speravo di più.”
“Mancano i gruppi di Tornik e Kote.”
“Non possiamo aspettarli.”
“Ma saranno almeno in cento” obiettò Rossim.
“Non c’è tempo” tagliò corto Jamar. “Bakur?”
Un ragazzone dalle spalle ampie e il viso squadrato si fece avanti. “Sono qui.”
“Notizie dagli osservatori?”
“I cancelli sono aperti. Lo scambio potrebbe avvenire da un momento all’altro.”
“Sarà a metà strada tra l’ingresso e il palazzo” disse Jamar. “Nella piazza della vittoria.”
“Perché proprio lì e non al sicuro, nella fortezza?” chiese Rossim.
“Perché è così che ragiona Skeli. La piazza è più ampia di quella davanti al suo palazzo e lei vuole che tutti vedano la strega dorata in catene. Inoltre, il palazzo dista un miglio e mezzo dalla piazza. Skeli vorrà godersi lo spettacolo di Bryce trascinata in catene per tutta la strada, attorniata dai suoi soldati. Umiliata.”
Marq sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Quando era stato fatto prigioniero dalla Tigre Bianca, lui lo aveva portato in catene fino al campo di Falgan e Galyon e poi costretto a strisciare per mezzo miglio prima di raggiungere la tenda del comandante. Ricordava bene le risate dei soldati, gli escrementi che gli avevano lanciato addosso, le grida.
“Occhi Blu?”
Scosse la testa. Jamar lo guardava incuriosito.
“Non deve accadere” disse con tono cupo.
L’altro annuì. “Vedremo di rovinare sia la festa di Skeli che quella di Klarisa.”
Marq aveva bisogno di scacciare il ricordo della sua prigionia, perciò decise di concentrare i suoi pensieri su altro. “C’è solo una cosa che ancora non mi convince.”
Rossim lo guardò di sbieco.
“Cosa accadrà dopo?”
“Dopo cosa?” chiese Jamar.
“Supponiamo che voi liberiate il prigioniero. Avrete tutto l’esercito di Orfar contro. E forse anche le forze di Klarisa. Che cosa farete allora?”
“La speranza è che i soldati di Klarisa, dei malinoriani, decidano di combattere per il loro legittimo sovrano.”
“Speranza? Mi sembra un po’ poco.”
“È tutto quello che abbiamo” disse Jamar. “Vuoi tirati indietro, Occhi Blu?”
“A questo punto, se ci provassi, mi faresti uccidere.”
“No” disse l’altro. “Ti ammazzerei con le mie mani. Hai visto di cosa sono capaci, no?”
Marq annuì. “Volevo chiederti proprio questo. Mai visto niente del genere, a parte gli stregoni che sanno usare quel tipo di incantesimo.”
“È solo allenamento” rispose Jamar.
“È una menzogna. Sei più di quanto vuoi far credere.”
Lui ghignò. “Ora andiamo. Izolda.”
La strega dai capelli neri raddrizzò la schiena.
“A te l’avanguardia. Prendi quaranta guerrieri e dieci stregoni. Tutti gli altri con Rossim. Ci rivedremo alla piazza della vittoria.”
Ci fu un silenzioso scambio di saluti e poi i malinoriani sparirono tra i vicoli di Orfar. Marq rimase a guardarli incerto, non sapendo che cosa fare e con chi andare.
“Tu vieni con me, Occhi Blu” disse Jamar.
“Se non andiamo con gli altri, noi cosa faremo?”
“A noi spetterà la parte migliore.”

Note
Da oggi e fino alla fine, capitoli più lunghi e multi-POV
Spero vi faccia piacere :)

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