Capitolo 10
Sigyn
era diventata cieca.
La consapevolezza gli attraversò la mente con lucida
precisione. Comprendendo
che lei non lo vedeva davvero, si concesse di scrutarla soffermandosi
sulle
nocche che si aggrappavano convulse alla grata, sul respiro corto e
nervoso, sulle
labbra tremanti e, infine, sugli occhi velati di lacrime fiere, ma
fissi e
senza luce. Si domandò come avesse fatto a perdere la vista
e decise che fosse
colpa di Kalfr o che si trattasse di un qualche tipo di sacrificio
volto a
espiare la sua presunta colpa. Una sorta di bieco contrappasso che gli
fece
storcere la bocca in una smorfia carica di disprezzo. Oppure.
Il
pensiero lo gelò, caricandolo al contempo di una furia
fredda. L’eco di un
ricordo vago, sepolto da qualche parte nella sua testa, camuffato dal
rancore e
dal desiderio, prese a pungolarlo con insistenza. Pensò agli
incubi che avevano
tormentato entrambi e che ancora non lasciavano andare lui. Alla
scintilla
si erano spenti gli occhi. Sembrava l’inizio di un
poema composto da un
buon bardo – c’era un’antica profezia su
una luce che smetteva di brillare, da
qualche parte, sì, ma dove, anzi
perché?
In fondo,
si ripeté, lei aveva scelto, preferendo essere una delle
serve di Kalfr che.
Il
pensiero si interruppe dolorosamente a metà,
perché Loki non aveva mai voluto definire
cosa fosse, anzi, fosse stata per lui Sigyn; ogni
termine gli era sempre
parso inadatto – e alcuni, come certi incantesimi proibiti,
erano semplicemente
impronunciabili.
E
poi, lei avrebbe dovuto essere sincera in nome di quello che avevano
trascorso,
della lotta contro il tempo e il destino combattuta da entrambi. Invece
era
evidente come si stesse trattenendo, soffocando la verità
con l’ostinazione che
le era propria – quella sì, non
gliel’avevano ancora portata via. Ad Asgard lo
avrebbe affrontato sfidandolo come aveva fatto troppe volte, certa che
lui non
sarebbe riuscito a farle del male – ma una volta,
per le Norne, una
volta l’aveva fatto. E ancora non riusciva a
pentirsi per quel gesto, come
non avrebbe provato alcun rimorso all’idea di quello che
stava per farle.
Era
un inganno lecito, dopotutto: doveva sapere cosa si
celasse dietro la
maschera che lei, incauta, incantevole, perduta, gli stava mostrando.
Gli
serviva una conferma, una che desse un senso alla fuga di lei, alla
decisione
di trascorrere il resto della propria vita sfruttata dentro le quattro
mura
marcite e affrescate di un tempio.
Le
rivolse un sorriso breve e mesto, uno che l’ancella non
poté cogliere, non privo
di una punta di velenosa ironia. “Che i tuoi antenati ti
proteggano, allora.”
Sigyn
s’irrigidì e rispose al commiato con un cenno
lieve del capo, ma i suoi occhi
erano puntati verso il basso, in direzione del pavimento di pietra su
cui,
presto, avrebbero cominciato a rimbombare i passi, sempre
più distanti, dell’Ase.
O, almeno, così lei avrebbe creduto.
Il
seiðr era una forza capace di alterare la realtà, di
acuire le percezioni, di
sanare e disfare in egual misura. Ma, soprattutto, infiammava le vene
del
figlio cadetto di Odino, sinistramente portato a ogni arte che ne
prevedesse
l’uso.
Sigyn
non vide Loki andar via. Non poteva più. Rimase in ascolto
dei suoi passi che
si allontanavano, riconoscendo la cadenza tipica degli stivali
dell’ingannatore,
secca e decisa come il principe che era. Lo amava ancora e non avrebbe
smesso
mai. Poggiando la fronte sulla grata metallica, rimpianse i baci
ansiosi
scambiati di nascosto, il corpo tonico e scattante contro cui si era
stretta
per troppe notti, i sospiri rotti che li avevano traditi. E poi
l’odore, il
profumo inebriante e ritrovato della sua pelle misto al cuoio
dell’armatura
intrecciata, che l’aveva ferita riportando a galla tutto
questo e molto altro
ancora.
Si
odiò per la sua debolezza, per ogni singolo momento perduto
che avrebbe voluto
di nuovo afferrare, prezioso perché effimero, breve,
irripetibile. Il rumore si
affievolì sempre di più fino a diventare
indistinguibile o, forse, era Sigyn
stessa che non riusciva a concentrarsi tanto da sentirlo.
L’incontro con Loki,
inaspettato e doloroso, era riuscito a spiazzarla,
a spezzarla. L’aveva
detestato con tutte le sue forze, evitando ogni contatto, convincendosi
che
anche lui la disprezzasse. Era stata ingannata dal suo stesso cuore che
aveva
confuso il fastidio con l’amore. I passi sicuri di Loki ormai
erano spariti;
l’ancella lasciò il reticolato di ferro per
tornare dalle sue consorelle
immobili, silenziose e certamente giudicanti, che l’avrebbero
guidata fino nella
sua stanzetta. Un compito che senz’altro consideravano
ingrato – che valore
poteva avere, per loro, occuparsi di un’ancella impura, ai
loro occhi
doppiamente colpevole? Decise che non le interessava.
L’importante era che Loki
se ne fosse andato. Tutto il resto rappresentava il male minore.
Raggiunse la
sua cella e finalmente si ritrovò da sola con i suoi
pensieri.
Nella
voce dell’ingannatore aveva rintracciato una punta
d’amarezza che l’aveva
colpita, incuneandosi in mezzo al petto, lì, dove credeva
che le preghiere e le
mortificazioni avessero seccato ogni cosa. Per un momento, di fronte
alle sue
frasi taglienti, Sigyn si era convinta che il principe avrebbe commesso
qualcosa di così irreparabile e sciocco da distruggere ogni
suo – loro –
sacrificio. Invece, per fortuna, era troppo orgoglioso e sicuro di
sé per
portarla via. Ad Asgard l’aveva avvertita che non sarebbe mai
più corso
a salvarla ed era riuscito a mantenere la promessa, lui che tendeva fin
troppo
spesso a ingannare le Norne e gli Æsir grazie alle reti
infide dei suoi
ragionamenti. Sì, nel tono beffardo e secco di Loki
c’era rancore. Si era
allontanato da lei una volta per tutte – per sempre.
Si chiese perché
facesse ancora così male, ma non fece in
tempo a cercare alcuna
risposta. Qualcosa – qualcuno l’afferrò
per la vita e le tappò la bocca prima
che potesse anche solo gridare, immobilizzandola. Annaspò,
immersa com’era in
un mondo fatto d’indefinite ombre grigie, finché
non avvertì una bocca
sfiorarle l’orecchio. Il suo corpo rispose a quel tocco con
un sussulto.
“Come
mai adesso sei cieca, Sigyn?”
Era
lui. Sentì le sue dita sfiorarle le labbra e smise di
opporre qualsiasi
resistenza. Loki la sostenne, trattenendola contro di sé,
come se lei avesse
potuto sfuggirgli o cadere. Erano stati amanti, un tempo, e ora si
trovavano
vicini, senza barriere o sguardi indiscreti a proteggerli da loro
stessi,
dall’impulso antico che li aveva traditi, condannandoli. E di
fronte a una
verità inammissibile. Si domandò se anche lui
provasse un brivido intriso di
nostalgia, al ricordo, se l’improvvisa vicinanza fosse
dolorosa come lo era per
lei. Avrebbe dovuto immaginare o intuire che incontrarla non gli
sarebbe
bastato; astuto com’era, si era senz’altro accorto
della maledizione e voleva
saperne di più, perché nessuna cosa poteva
rimanere celata al furbo dio
dell’inganno. Fuggire, alla fine, non era bastato,
pensò con orrore, perché la
scelta di lasciare Asgard era stata fatta per mille ragioni, certo, non
ultima
quella, egoistica, di proteggere lui. E questo, il fiero principe di
Asgard non
lo avrebbe mai tollerato. Scelse di eludere del tutto la domanda e si
sforzò di
riprendere l’antico contegno di un tempo. “Mi hai
teso un agguato. Perché?”
Immaginò
l’espressione di Loki: una smorfia breve e laterale.
“Lì non eravamo soli. Lì
hai mentito.”
“Va’
via. Ti prego.”
Lui
non allentò la presa. “Per questo hai sacrificato
ogni cosa, hai lasciato
Asgard? Per vivere in modo miserabile, odiata da tutti per aver osato
guardare
il mondo? No, io dico che c’è di più.
Questa è una punizione di quell’uomo o peggio,”
dedusse tetro. La verità in bocca a Loki aveva un sapore
amarissimo. Era sale
su una ferita aperta. “La tua vocazione ti ha rovinata e tu
vuoi mentirmi
ancora,” concluse gelido. Con la mano libera cedette di nuovo
alla tentazione di
sfiorarle nuovamente la guancia umida e i capelli costretti nella
treccia, come
aveva fatto poco prima nel parlatorio. Li preferiva sciolti, ribelli,
caotici e
non l’aveva dimenticata, ma la stava lasciando –
voleva farlo e bruciare ogni
ricordo di lei, di loro.
“Lasciami
andare,” ribadì Sigyn con una forza che, presto,
le sarebbe venuta meno. “Non è
niente di tutto questo: è una malattia, sarebbe successo
comunque,” cedette.
L’aveva
quasi detto. La voce
dell’Ase s’abbassò, caricandosi di una
promessa oscura. “Dovrei solo usare
l’incantesimo giusto, per scoprire che mi
nascondi,” considerò, alludendo a una
delle arti più crudeli che sapeva usare, quella che
consentiva di leggere nel
cuore e nelle anime delle persone.
Una
violazione brutale e dolorosa per entrambi, lei lo sapeva. “E
io dovrei solo
gridare più forte,” gli mormorò in
risposta.
Loki
si concesse una risata breve e secca. “Se avessi voluto
chiamare qualcuno in
tuo soccorso l’avresti già fatto, mia
scintilla.”
“Non
tua. Di questo posto, degli Antenati. Sua.”
Avvertì
la stretta dell’ingannatore farsi più ferrea;
pensò che fosse un abbraccio feroce,
l’ultimo.
Le
rispose dopo un tempo che le sembrò infinitamente lungo.
“C’è un’antica
profezia,” iniziò infine Loki con voce distante,
carezzandole con le labbra la
fronte. “Che parla dell’oscurità che
calerebbe su Asgard in caso si offuscasse
una luce. Parla di te e tu lo sapevi.”
Era
un’accusa. Sigyn sfiorò la mano
dell’ingannatore che ancora le cingeva la vita
e volse appena il capo verso di lui. Avrebbero potuto baciarsi, se
avessero
voluto. Erano talmente vicini che sarebbe bastato pochissimo
– Loki avrebbe
dovuto cercarle le labbra, lei sollevarsi in punta di piedi. Non
avvenne,
nessuno dei due violò lo spazio proibito.
“Ho
attraversato il cerchio,” ammise Sigyn. “Niente di
tutto questo conta più.”
Il
principe degli Æsir non rispose immediatamente. Se
l’ancella avesse potuto
vederlo, non le sarebbe sfuggito il modo in cui aveva serrato la
mascella
virile, il respiro trattenuto, il lampo che offuscò i suoi
occhi chiari. “Menti
ancora, ma non sul rito,” stabilì. La
lasciò andare con un gesto secco.
“Avresti dovuto dirmelo prima. Se ti fossi fidata, Asgard ti
avrebbe protetta.”
Non si era esposto personalmente, non l’avrebbe mai fatto. E
aveva giurato di
non correre in suo aiuto – ma del resto non poteva, non
più. Lo assalì una
furia gelida, perché tutto quello che aveva rischiato per
lei si era rivelato
vano. L’aveva persa, gli era sfuggita – e Sigyn
aveva preferito rifugiarsi nel
Tempio, anziché metterlo a parte di quanto stava accadendo.
“A
che prezzo, Loki? Tutto quello che potevamo fare è stato
fatto.”
Non
l’hai sconfitto, ma solo ingannato. È una
maledizione, la mia. È la maledizione.
L’Ase
sollevò appena il mento in un gesto di sfida.
“Abbiamo già pagato un prezzo
molto alto.”
“No,”
insistette lei, “tu non hai idea.”
E
quell’ultima affermazione, Sigyn lo sapeva, alludeva solo a
una cosa.
“Ti
prenderà, non è vero?” Il tono
canzonatorio e la scelta precisa del verbo
lasciavano trapelare, a lei che non poteva più vederlo, la
misura di una collera
tenuta a malapena a bada. Le girò attorno con le mani
incrociate dietro la
schiena, scrutando la verità rivelata Il sarcasmo feroce di
Loki la investì in
pieno. “Sembra che alla fine questa sia stata la tua scelta:
non lottare.
Eppure, come vedi, il tuo destino mi riguarda ancora, in qualche
modo,” sottolineò
perfido. L’ultima frase che le disse bruciava
d’ira. “La mia trappola non ha
funzionato, dico bene? Mio padre lo sapeva?”
inquisì. Rise seccamente. “Certo
che lo sapeva.”
Non
erano domande che attendevano una risposta e l’ingannatore
non attese di riceverne
ulteriori. Gli bastò osservare il viso stravolto
dell’ancella che si mordeva le
labbra per non parlare e quei suoi occhi grigi e vuoti che non potevano
più posarsi
su di lui. Si era preso Sigyn e non aveva potuto averla: non era
riuscito a
strapparla a un destino orrendo, non era stato in grado di spezzare le
catene di
un vincolo ignobile. Se ne andò senza voltarsi, maledicendo
Sigurdr, le Norne, lei
e persino suo padre, così giusto e lungimirante da
nascondergli una verità
tanto orrenda e importante. Non era l’unica e Loki non poteva
immaginare quanto
i segreti di Odino fossero incatenati l’uno
all’altro. Lo avrebbe scoperto,
poi.
♥
Loki
si era preso Sigyn, ma non poteva averla[1].
Era il trofeo intoccabile di una guerra vinta che gli era costata
sangue e un’orrenda
ferita, quasi mortale. Se la situazione in cui era invischiato non lo
avesse
riguardato tanto da vicino, avrebbe trovato tutto molto ironico. Sapeva
esattamente
quali fossero gli spostamenti della ragazza durante la giornata, ma i
molti doveri
di natura politica e militare in cui era costantemente impegnato e la
precisa
volontà di frequentarla il meno possibile facevano
sì che, agli occhi della
mancata ancella, lui fosse una presenza sfuggente, poco più
di un’ombra fugace.
L’osservava da lontano, tuttavia. Era un suo preciso compito
tenerla d’occhio
in virtù del potere che emanava: la scintilla che Sigurdr,
incautamente, aveva
promesso a un abisso di antico terrore senza sapere neanche di averlo
fatto[2].
Prima o poi lo avrebbe scoperto comunque, ma per il momento Padre Tutto
aveva deciso
di tenere nascosta persino alla diretta interessata quella circostanza
sfortunata o magnifica, a seconda dei punti di vista.
Gettando
uno sguardo nel giardino sottostante, Loki la vide passeggiare tenendo
per mano
Balder, l’inconsapevole spia che le aveva messo alle
calcagna. Al fratellino piaceva
moltissimo la compagnia di Sigyn. Con lui la ragazza era gentile e al
più
piccolo dei figli di Odino piacevano i suoi modi dolci e
l’accento musicale di
un altro paese; si divertiva a mostrarle il palazzo e a raccontarle
qualche
aneddoto che finiva inevitabilmente per riguardare Loki, Thor e le loro
bravate,
spesso punite dal re degli Æsir in maniera a volte anche
severa. Ascoltandole,
Sigyn pareva divertirsi moltissimo e spesso scoppiava in risate allegre
e genuine.
Come in quel momento.
L’ingannatore
la vide buttare il capo indietro e coprirsi la bocca col dorso della
mano in un
gesto grazioso che non poté evitare d’osservare
– o ammirare. Era abituato a vederla
tesa, guardinga, ammantata in un contegno che si sposava benissimo col
suo
ruolo di ancella e di ostaggio di rilievo trattenuto contro la sua
volontà ad
Asgard; quella visione rilassata gli apparve come inedita e
interessante, ma
pericolosa. Ecco perché sfruttava Balder: in cambio di un
paio di storie
spaventose e qualche giocattolo in legno il bambino, senza nemmeno
accorgersene
e per vantarsi con lui della sua nuova amicizia, gli raccontava per
filo e per
segno cosa la incuriosiva, le piaceva o detestava.
Mentre
Sigyn rideva ancora, Balder alzò gli occhi verso la terrazza
e lo vide. Immediatamente,
dato che aveva ereditato il difetto di Thor di non sapere quando tenere
la
bocca chiusa, iniziò a sbracciare e a chiamarlo, catturando
anche l’attenzione
di Sigyn, che si voltò verso di lui. Loki
assottigliò le palpebre indispettito.
Non desiderava essere visto, ma ormai tanto valeva scendere da loro e
far finta
di nulla. Maledisse mentalmente quel piccolo impiastro, che non appena
vedeva
lui o il fratello iniziava a perseguitarli con la sua presenza
più pressante e
invadente di un’ombra. Subiva il fascino di entrambi e non
vedeva l’ora di
diventare un guerriero come loro e, nel frattempo, li sfiancava. Gli
corse
incontro trascinando Sigyn per una mano.
“Loki,
Loki! Dille che è vero che hai scommesso con i giganti a chi
mangiava di più!”
saltellò esagitato.
Quella
citata da Balder era una disavventura che veniva raccontata spessissimo
ai
banchetti e suscitava sempre molte risate e battute per via della sua
trivialità, sebbene sul momento fosse stata
un’esperienza a dir poco spaventosa
e agghiacciante.
L’ingannatore
guardò la ragazza: lei lo fissava con occhi ridenti e aveva
le guance rosse, in
attesa che lui confermasse o smentisse la buffa storia; i folti capelli
le
ricadevano sciolti sulle spalle – un intrico color
dell’oro leggermente
ondulato in cui sarebbe stato bello affondare le dita, pensò.
“È
vero,
sì,” ammise tranquillo incrociando le braccia
dietro la schiena.
“Ed
è
vero anche che sei stato tu a proporre una sfida tanto strana? Dovevi
avere
molta fame,” s’interessò Sigyn con un
lampo giocoso nello sguardo. Continuava a
tenere il bambino per mano ed era evidente come la presenza di Balder
accanto a
lei la tranquillizzasse.
Loki rise
brevemente e s’inumidì le labbra, in cerca di una
risposta altrettanto arguta. Lei
cercava di coniugare l’immagine altera e fierissima che aveva
conosciuto a
Vanheim con quella, più scanzonata e allegra, che le
proponevano i racconti del
più giovane dei figli di Odino. Nel suo interessarsi alla
curiosa vicenda c’era
una punta di sfida, la stessa che lo aveva ammaliato e colpito al
banchetto di
Sigurdr, ma velata da una rara quanto preziosa ilarità.
“Io e
Thor non mangiavamo da almeno un giorno. Ci è sembrato un
buon modo per farci
ospitare,” spiegò stirando le labbra sottili in un
ghigno laterale. Anche i
suoi occhi scintillavano divertiti, ma questo, lui, non poteva saperlo.
Sigyn
lo squadrò da capo a piedi e si fece più
seria. “Però hai anche perso,” lo
punzecchiò.
Lo
stava valutando. Aveva messo alla prova la sua pazienza, in cerca dei
limiti
che poteva varcare e di quelli che, invece, era bene non oltrepassare.
E la
vicenda, si rese conto, le interessava unicamente perché
rappresentava una
divertente sconfitta. Balder doveva averla stordita con decine di
racconti
diversi – tutti caratterizzati dalla presenza di
incontrovertibili vittorie –
ma l’unico su cui lei si era soffermata era quello che lo
vedeva uscire
perdente.
“Sì,
ma alla fine ci siamo rifatti. Occorre sempre trarre insegnamento dalle
disavventure,” spiegò affabile, regalandole un
sorriso sbieco e divertito,
affascinante. Sigyn rispose increspando appena le labbra verso
l’alto e
annuendo; evidentemente aveva trovato la sua risposta arguta al punto
giusto. Loki
fece per andarsene, rispondendo brevemente alla raffica di domande di
Balder su
quando si sarebbe allenato con Thor e se poteva venire a vederli e se
voleva
dargli qualche lezione di tiro con l’arco, ma prima che si
allontanasse Sigyn
lo richiamò.
“Avrei
qualcosa anche io da domandarti,” iniziò con un
pizzico di disagio nella voce.
Loki
inarcò un sopracciglio, ma gli venne spontaneo continuare a
comportarsi in maniera
affabile. Gli piaceva essere al centro dell’attenzione e che
lei lo guardasse
come aveva fatto, con un misto di stupito divertimento, piacevole come
il
tagliente occhieggiare di cui lo aveva fatto oggetto nelle ultime
settimane. “Spero
non riguardi qualche altro curioso episodio delle mie gloriose
gesta,”
ironizzò.
Lei
scosse il capo. “No, purtroppo. Ho rotto la chiusura di un
bracciale,” spiegò. “È
un regalo di mia madre. Magari sapresti indicarmi un buon
fabbro.”
Lo
sguardo di Sigyn si era velato d’ombre: il riferimento alla
famiglia da cui era
stata strappata cancellò immediatamente
l’atmosfera allegra di poco prima. Aveva
praticamente sempre vissuto rinchiusa in un palazzo assieme alle sue
sorelle e
alle compagne, perlopiù lontana dai genitori, ma
l’ingannatore sapeva che le
ancelle ricevevano frequenti visite dai loro parenti più
prossimi. Immaginò che
la madre di Sigyn venisse in visita almeno una volta al mese per
portarle dolci,
abiti, libri e altri piccoli regali. “Lo hai con te? Fammelo
vedere,” s’interessò.
Lei
tirò
fuori da una tasca della gonna il gioiello e glielo porse, facendo
attenzione che
le loro dita non si sfiorassero. Loki lo esaminò. Era lo
stesso che le aveva
visto tintinnare al braccio la sera in cui aveva deciso di pretenderla
come pagamento
per il proprio sangue versato. Sentì qualcosa agitarsi nel
proprio petto, ma
non si chiese se, tornando indietro, avrebbe ripetuto il gesto di
portarla via.
Una voce dentro di lui gli suggerì che sarebbe caduto
comunque nell’identica
rete, anche sapendo della scintilla e dell’atto orrendo di
Sigurdr – e pensarci
gli fece venire la nausea.
“Posso
riparartelo facilmente io,” si espose dopo un momento.
“Se non hai paura che
possa incantarlo con qualche stregoneria,
s’intende.”
Continua…
L’angolo
di Shilyss
Care
Lettrici e Lettori,
Siamo in
quarantena e, se mi avessero detto due mesi fa che sarebbe successa una
cosa
del genere, non ci avrei mai creduto. Mi sembra di vivere in un film e
credo
che per voi sia lo stesso (tra l’altro essendo una che guarda
tanti, tanti film
anche horror questa situazione mi sa davvero di surreale). Nei primi
giorni
della quarantena, nonostante abbia aderito con forza allo slogan e alle
direttive all’#iorestoacasa sono stata
presa dallo sconforto e neanche i
miei amatissimi Loki e Sigyn
sono riusciti a tirarmi su. Ho il
cuore da un’altra parte, vicino e lontano.
Ma rifugiamoci
ad Asgard: Loki non ha salvato Sigyn nel presente. Aveva detto che non
lo
avrebbe fatto e non lo ha fatto.
Tornano,
invece, i momenti nel passato, che da adesso in poi riprenderanno con
forza
alternandosi al presente. Capiremo, così, a cosa sia stata
promessa Sigyn, i
tentativi di Loki per salvarla e cosa effettivamente rappresenti la
Scintilla,
questa caratteristica di cui Sigurdr era, inizialmente,
all’oscuro, ma che nel
presente conosce. Con la quarantena rileggerò la storia
daccapo, ma v’assicuro
che tutto torna e tornerà. Spero che le mie storie
possano tenervi compagnia
in questi giorni difficili ♥, quanta ne
fate a me quando leggo della
vostra presenza perché vi palesate recensendo o listando.
Per voi un
clic può non essere nulla, ma per un’Autrice
significa tantissimo. Bastano
undici parole o un clic nelle liste per restituire un po’
della magia che la
lettura dovrebbe ispirare a chi scrive.
Parafrasando l’infinita Melania
G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia
di sapere che la
freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri
piedi, ma ha colpito il
cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di
Sigyn e di Tom e
un po’ di divertimento… c’è
la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/. Ah,
mi trovate pure su Twitter ;)
Ricordo che Vanheim e il
personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su
Wikipedia, è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
Penso che il prossimo
aggiornamento sarà “Solo un accordo,”
e vi invito a fare un giro sulla
storia a 4 mani che ho scritto con Miryel: Dove
va l'anima
quando moriamo?
A presto e grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose,
Shilyss