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Autore: LazySoul    16/03/2020    1 recensioni
Trama:
Diana ha 17 anni, è la secondogenita dell'Alpha ed è trattata da tutti come una bambina.
Nel tentativo di dimostrare di essere grande abbastanza per combattere e difendersi da sola, chiederà aiuto alla persona che più la confonde, suscitando in lei sentimenti contrastanti, Xavier O'Bryen.
Tra uno spasimante indesiderato, una migliore amica adorabilmente pazza e un assassino in circolazione, riuscirà Diana ad accettare i sentimenti che prova per Xavier?
Estratto:
«Sei giovane, ancora non hai imparato che spesso gli odori celano delle emozioni», spiegò, appoggiandosi al materasso con le mani e avvicinando il viso pericolosamente al mio: «E sai cosa mi sta urlando il tuo odore in questo preciso istante?», mi chiese, anche se era palese che non si aspettasse una risposta.
«Prendimi», sussurrò ad un soffio dalle mie labbra.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XV: Visite inaspettate

 

Edith era andata avanti per tutta la durata della cena a riempire i silenzi con la sua vocetta squillante e odiosa, informando tutti di come la settimana successiva ci sarebbe stata l'inaugurazione di un nuovo parco giochi a pochi passi dalla scuola elementare che frequentava.

Mamma, per un incontro organizzativo con l'associazione di beneficenza per aiutare i senzatetto (della quale era l'orgogliosa vicesegretaria), non ci sarebbe potuta andare, mio papà lavorava fino a tardi il martedì e Kyle aveva già preso impegni per quel pomeriggio. 

Io e nonna ci guardammo per qualche istante, rassegnate; a nessuna delle due piaceva socializzare e l'apertura di un nuovo parco giochi equivaleva a dover intrattenere tediose conversazioni con madri sigle disperate e signore ammogliate altrettanto scontente della loro vita.

«Io mi vedo con Laurel martedì», disse nonna, facendo cadere l'intera tavolata in un silenzio di tomba.

«Laurie?», chiese papà, nello stesso istante in cui Kyle chiedeva: «Zia Laurel?»

Ero delusa da nonna, che mi stava tradendo, lasciandomi da sola all'inaugurazione del parco giochi, ma allo stesso tempo non potevo fare a meno di essere emozionata all'idea di rivedere, dopo tantissimo tempo, zia Laurel.

«Ha preso una stanza nella pensione della signora Jackson, si fermerà pochi giorni», spiegò nonna, prima di spostare lo sguardo su di me: «Ha detto che per il tuo diciottesimo compleanno non potrà esserci e che quindi ha deciso di anticipare la visita per farti gli auguri di persona».

«Davvero?!», esclamai, non riuscendo a stare ferma sulla sedia da tanta era l'emozione.

Mamma si alzò da tavola, attirando la mia attenzione; aveva in volto un'espressione a dir poco contrariata che non riuscivo a capire.

«Tesoro», la chiamò papà, seguendola in salotto e successivamente in corridoio.

Mi guardai intorno, confusa, notando il medesimo stupore nello sguardo di mia sorella e mio fratello.

Nonna sospirò e si alzò a sua volta, recuperando dalla credenza un bicchiere che riempì con dell'acqua fresca: «Vieni con me, Diana».

Abbandonai, a malincuore, lo spezzatino mangiato solo per metà e la seguii in corridoio.

Sentivo indistintamente mamma e papà discutere in camera loro, il loro tono di voce era però basso e mi impediva di capire effettivamente cosa si stessero dicendo.

Lanciai a nonna uno sguardo indagatore, ma lei scosse la testa, lasciandomi intendere che non mi avrebbe spifferato nulla — o almeno, non in quel momento.

Quando mi resi conto che stavamo salendo le scale, dirette alla mansarda mi bloccai, rischiando di mettere un piede in fallo e cadere. Mi appesi alla ringhiera per non rotolare giù per le scale e guardai con un misto di stupore e contrarietà nonna Diana.

«Non so se quello che ha disegnato Edith sia successo veramente o meno, ma tu e quel giovanotto dovete parlare e chiarirvi», disse nonna, mettendomi tra le mani il bicchiere: «Andare a dormire con i sensi di colpa o arrabbiati con qualcuno non è bello, fidati».

Aprii bocca, pronta a smentire le sue parole e a dirle che non era il mio caso, ma le parole mi rimasero incastrate in gola.

Nonna mi poggiò una mano sulla spalla: «Fai quello che pensi sia giusto», poi scese le scale e tornò in cucina.

Mamma e papà in camera loro continuavano a discutere, sentivo il brusio delle loro voci nelle orecchie, come una colonna sonora indesiderata, mentre io ero bloccata in mezzo alla rampa di scale con un bicchiere in una mano e un'espressione a dir poco combattuta in volto.

"Salgo o non salgo?"

Guardai i gradini, li contai — erano 12.

"Hai intenzione di rimanere impalata in mezzo alle scale ancora per molto?", mi chiesi infine, scuotendomi dalla mia immobilità.

Salii i gradini con passi decisi, quando in realtà avrei voluto soltanto correre in camera mia e nascondermi sotto il letto per una decina di anni.

Xavier mi stava aspettando — la spalla non era più insanguinata, ma era avvolta da uno strato di garza immacolata — e i suoi occhi chiari mi scrutavano con quella che sembrava indifferenza.

Aprii bocca, poi la richiusi e distolsi lo sguardo, cercando di elaborare una frase di senso compiuto.

«Ti ho portato dell'acqua», dissi.

Xavier chiuse gli occhi e distolse lo sguardo.

Non disse niente, ma non ne aveva bisogno. Era palese che portargli un bicchiere di acqua non sarebbe bastato per farmi perdonare. Potevo leggere chiaramente la delusione sul suo viso. Persino il suo odore aveva una punta di amarezza che non avevo mai percepito.

"... gli odori celano delle emozioni".

Finalmente le parole che mi aveva detto Xavier pochi giorni prima assumevano un significato.

Un fastidioso senso di nausea mi strinse lo stomaco in una morsa e percepii chiaramente il poco spezzatino che ero riuscita a mangiare, tentare di compiere il percorso inverso e risalire fino alla gola.

Appoggiai il bicchiere sul comodino, così da poter nascondere alla sua vista le mani che mi tremavano, portandomele dietro alla schiena. Presi un profondo respiro, e mi avvicinai, fino a quando il suo odore fu talmente forte e intossicante da farmi perdere contatto con la realtà.

«Mi dispiace», dissi, con un filo di voce.

Xavier prese un profondo respiro, muovendo il capo verso di me.

Quando i nostri occhi s'incontrarono capii di esser stata perdonata.

«Non ho intenzione di arrendermi», mormorò, l'intensità del suo sguardo era tale da farmi tremare dal desiderio e dal timore. 

«Lo so».

Rimanemmo a scrutarci per qualche istante, entrambi in silenzio.

Ricordandomi del bicchiere d'acqua, feci per porgerglielo, ma lui mi bloccò: «Non ho sete, berrò dopo».

Feci un passo indietro, pronta a fuggire, ma non riuscii a resistere e mi sporsi su di lui per dargli un bacio sulla fronte: «Buonanotte».

«Buonanotte, Diana», mormorò, contro la pelle della mia guancia.

Con lo stomaco stretto in una morsa dolorosa e piacevole allo stesso tempo, uscii dalla mansarda, chiudendomi la porta alle spalle.

Con un sorriso radioso scesi le scale, decisa a tornare in cucina e finire lo spezzatino che avevo abbandonato poco prima.

In corridoio incrociai Kyle, che stava fuggendo nella sua stanza con il piatto colmo di cibo.

«Non si mangia in camera», dissi, citando una delle regole di mamma, beccandomi come risposta un'occhiataccia e la linguaccia.

«Lo dico a mamma», gli dissi.

Ricordai solo in quell'istante — quando la nebbia mentale provocata dall'odore di Xavier si dissipò — la reazione di mamma alle parole di nonna e mi resi conto che non si sentivano più voci provenire dalla camera dei miei genitori.

Andai in cucina, curiosa di capire cosa fosse successo e trovai papà seduto a tavola, mentre Edith e nonna guardavano la tv in salotto.

Mi sedetti a tavola, scrutando il volto teso di papà per qualche sitante, prima di chiedergli dove fosse finita mamma, ricevendo come risposta un sospiro a dir poco tormentato.

Avrei voluto insistere, ma sapevo che papà, essendo una persona molto riflessiva — diversamente da me — aveva bisogno di qualche minuto per elaborare una frase.

Mentre attendevo mi dedicai allo spezzatino, ignorando il fatto che si fosse raffreddato; ero troppo affamata per curarmene.

«Laurie e tua mamma non sono mai andate particolarmente d'accordo», disse papà, posando le posate: «Sono entrambe orgogliose e testarde e faticano a trovare un punto d'incontro. Tua madre in questo momento è andata a fare una corsa nel bosco, aveva bisogno di stare un po' da sola». 

«Kyle è andato a mangiare in camera sua», feci la spia: «Mamma non vuole che...»

In quell'istante qualcuno suonò il campanello, sovrastando per pochi secondi il suono della mia voce.

Con la bocca piena di cibo mi alzai da tavola, seguendo papà in corridoio: «Chi potrebbe essere?», chiesi, rischiando di spargere bocconi di spezzatino ovunque: «Aspettiamo qualcuno?»

Papà aprì la porta, mostrando la figura incappottata e infreddolita della signora Jackson, accanto a lei si trovava Ann.

«Cora, a cosa dobbiamo questa visita?», chiese mio padre, facendosi da parte per permettere a madre e figlia di entrare. 

La zia e la cugina di Isabel sembravano entrambe sconvolte; tremavano per il freddo e avevano gli occhi sbarrati e i visi particolarmente pallidi.

«Mi dispiace disturbare a quest'ora», disse Cora Jackson, stringendosi nel cappotto: «Ann», chiamò la donna, facendo segno alla figlia di togliersi il cappotto.

La prima cosa che notai, appena mi concentrai sulla figura minuta della cugina di Sab, fu l'odore. Non aveva più la fragranza delicata e floreale che aveva sempre avuto, simile a quella di un semplice umano; ora il suo odore era forte e molto più simile a quello di una ragazza lupo. 

La signora Jackson aveva le lacrime agli occhi mentre fissava mio padre e annuiva con vigore: «É successo un paio di ore fa».

«É una bellissima notizia», disse papà, scortando le nostre ospiti in salotto e facendole accomodare: «Com'è successo?»

«Stavamo facendo una passeggiata nel bosco, solo io e Ann», iniziò il racconto la signora Jackson, la mano stretta intorno alla spalla della figlia, quasi volesse assicurarsi costantemente di averla accanto: «Mi sono fermata a raccogliere dei funghi lungo il cammino, mentre Ann è andata avanti, seguendo il sentiero. Quando l'ho sentita urlare pensavo fosse stata attaccata da qualcuno; ho pensato...», la voce le si spezzo, lo sguardo perso nel vuoto: «Ho temuto fosse stato quel randagio, l'assassino», disse con tono spaventato, spostando lo sguardo da me a mio padre: «Invece, quando l'ho raggiunta mi sono resa conto che in realtà stava avendo la sua prima trasformazione».

«Sabato, durante il plenilunio, verrà presentata a tutti gli effetti come nuovo membro del nostro branco», disse papà, con il tono solenne che utilizzava sempre quando prendeva il sopravvento l'Alpha che era in lui.

Nonna arrivò in quell'istante, dopo aver portato Edith a letto, e si unì a noi, scrutando Ann con occhi curiosi: «Ti preparo una tisana che ti rimetterà in forze, devi essere stanca».

«Grazie», mormorò Ann, voltando il capo verso il corridoio.

Kyle entrò in salotto con la bocca piena e il piatto vuoto tra le mani, aveva i capelli disordinatamente legati in uno chignon e le guance sporche di cioccolato.

Guardò confuso le nostre ospiti e, con sommo imbarazzo di tutti, rimase a bocca aperta, mostrandone il contenuto, a fissare la figura minuta di Ann per quelli che parvero secoli.

«Fai schifo», gli dissi, lanciandogli contro uno dei pennelli che Edith aveva lasciato sul tavolo del salotto, intorno al quale eravamo tutti seduti.

Le mie parole e il pennello — che gli arrivò contro la spalla — lo riscossero abbastanza da chiudere le fauci e mostrarsi imbarazzato: «Scusate, non sapevo avessimo ospiti».

Kyle continuava a tenere lo sguardo fisso su Ann, sembrava vederla per la prima volta.

L'avevo guardata anche io così quando avevo sentito poco fa il suo nuovo odore da lupo?

«Ciao», disse mio fratello, guardando Ann dritto negli occhi, poi spostò il capo verso Cora Jackson, gli occhi ancora incollati a quelli di Ann: «Buonasera».

«Il piatto va nella lavastoviglie», gli feci notare, beccandomi come risposta un'occhiataccia.

Kyle scomparve in cucina per qualche secondo, portando con sé l'imbarazzo che era calato in salotto. 

«Diana», attirò la mia attenzione papà: «Ti dispiacerebbe aiutare Ann nei prossimi giorni, nel caso dovessi vederla in difficoltà? Magari potreste vedervi fuori scuola».

«Se non ricordo male sono in punizione e non posso invitare amiche a casa», gli ricordai, aggrottando le sopracciglia. 

Perché glielo avevo ricordato?

"Perché sei stupida, ecco perché".

«Posso pensarci io!», esclamò Kyle, sedendosi a tavola accanto a me, un sorriso radioso a illuminargli il volto e alcune ciocche di capelli a incorniciargli il volto. 

Aprii bocca per fargli notare le macchie di cioccolato sulle guance, ma in quell'istante capii cosa stava probabilmente succedendo e un sorriso crudele mi increspò le labbra: «Non penso sia una buona idea. Forse Isabel è la persona più adatta per questo compito».

Papà annuì: «Sono d'accordo. Cosa ne pensi Cora?»

Kyle mi conficcò il gomito nelle costole, mostrandomi quanto avesse gradito il mio intervento.

La donna annuì, spostando lo sguardo sui presenti con aria smarrita: «Cominciavo a temere che questo giorno non sarebbe mai arrivato», disse, gli occhi traboccanti di lacrime non versate.

Mio padre scosse la testa, il volto colmo di compassione, mentre io mi massaggiavo il fianco dolorante e nascondevo il sorriso crudele dietro alla mano. 

Era palese che mio fratello fosse interessato a lei, probabilmente era stato il suo odore da lupa, diverso da quello che aveva avuto fino al giorno prima, ad attirare la sua attenzione. O forse c'era sempre stata dell'intesa tra loro due e io non me n'ero mai resa conto?

«Alla piccola Ann serviva solo un po' di tempo in più», disse nonna, portando con sé un vassoio con due tazze di tè fumanti; una per la signora Jackson e l'altra per la figlia: «Come ti senti cara?»

La ragazzina aveva le guance arrossate, forse per l'imbarazzo o forse a causa della timidezza: «Bene, credo».

Nonna annuì: «I primi tempi saranno i più duri», fece una breve pausa, guardando Kyle e me per qualche secondo: «Prendi mio nipote ad esempio; era terrorizzato all'idea di far del male ad altre persone o alla sua sorellina».

Mio fratello sfoggiò un sorriso imbarazzato: «Ah, sì? Non ricordo».

«Oh», dissi, gettandogli un braccio intorno al collo: «Che tenerone che sei!»

Le guance di Kyle si fecero incandescenti, mentre cercava — con scarsi risultati — di liberarsi dalla mia presa ferrea.

«Levati!», esclamò a fior di labbra, facendo scoppiare a ridere nostro padre: «Quand'è che crescerete, voi due?»

«Forse sarebbe meglio organizzare, magari per domani pomeriggio, un breve incontro con il branco. Così da informarli, prima del plenilunio di sabato, della lieta notizia», disse papà, tornando a sfoggiare la sua espressione seria da Alpha.

Un sorriso radioso mi illuminò il volto. Adoravo le riunioni con il branco; spesso e volentieri volevano dire lunghissimi pomeriggi passati a chiacchierare con Sab, in camera mia, mentre i grandi discutevano di cose serie e — la maggior parte delle volte — noiose. In quel caso la mia adorazione era a dir poco raddoppiata perché quella riunione sarebbe stata la scusa perfetta per passare un pomeriggio con la mia migliore amica malgrado la punizione impostami dai miei genitori.

«Così all'ultimo minuto dubito che riusciremo ad esserci tutti», fece notare nonna, mentre prendeva posto sul divano, dove l'attendeva il suo lavoro all'uncinetto.

«Hai ragione, ma qualcuno ci sarà, almeno un rappresentante per famiglia», borbottò papà, mentre si grattava la barba con fare pensieroso: «Armand, Daisy e Timothy dovrebbero esserci...»

«Io sono ancora dell'opinione che creare un gruppo whatsapp del branco sia una buona idea», disse Kyle, che era riuscito a liberarsi dalla mia presa intorno al collo, e ora stava scrutando con occhi incuriositi Ann, la quale teneva lo sguardo basso.

«Non tutti sono tecnologici come voi delle nuova generazione», gli fece notare papà: «Non penso che al signor Montgomery l'idea piacerebbe».

Cora sorrise tristemente: «Saranno un paio di pleniluni che non si fa vedere, come sta?»

Papà scosse il capo: «Tira avanti».

Robert Montgomery aveva perso la moglie una settimana prima di Natale, da quel momento si era fatto vedere una sola volta, durante la cerimonia organizzata per dire addio alla moglie defunta, poi aveva ignorato i pleniluni successivi, preferendo rimanere in casa da solo.

In quel momento la porta sul retro si aprì.

Mamma era sulla soglia, la fronte aggrottata e i capelli umidi che le incorniciavano il volto: «Sta iniziando a piovere», disse, prima di notare Cora e Ann e sorridere agli ospiti: «Ciao, Cora! Tutto bene? A cosa dobbiamo questa visita?»

«Ann, questo pomeriggio, si è trasformata per la sua prima volta», disse papà.

Il sorriso di mamma si allargò ulteriormente: «Questa è una bellissima notizia».

I cinque minuti successivi furono riempiti dalla voce di mio padre che faceva un riepilogo di quanto accaduto, così da aggiornare mamma.

«Penso che Cora sia la persona più indicata per aiutare Ann a comprendere cosa voglia dire essere parte di questo branco e come comportarsi d'ora in avanti per non farci scoprire. Isabel, Diana e Francine saranno di supporto all'interno dell'ambiente scolastico», disse mamma, sedendosi alla destra di papà. Quando i suoi occhi si posarono su Kyle e me, notai nel suo sguardo una tristezza che non scorgevo da molto tempo.

Mi chiesi cosa fosse successo con zia Laurel di così terribile da portare mamma a reagire in modo così strano alla notizia di una sua breve visita.

«Kyle, sei sporco di cioccolato», gli fece notare mamma, facendo ridere me e papà sotto i baffi, mentre mio fratello correva in bagno a lavarsi.

«É tardi, ne parleremo poi domani pomeriggio, quando ci saremo riuniti», disse papà, alzandosi — seguito da Cora, Ann e Kyle.

«Domani? Prima della cena da Rice?», chiese mamma, con la fronte aggrottata.

«Oh, mi ero completamente dimenticato della cena!», ammise papà, portandosi una mano alla fronte.

«Prima del plenilunio sarà dura incontrarci tutti, direi di rimandare a sabato, quando saremo sicuri che tutto il branco sarà presente per la luna piena, dubito che qualcuno si lamenterà di non averlo saputo prima», disse mamma, alzandosi in piedi e seguendo gli altri che si stavano dirigendo verso l'ingresso: «Cora, nel caso dovessi aver bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, sai benissimo che puoi contare su di noi, non ti fare scrupoli», aggiunse mamma, baciando la donna sulla guancia destra e sorridendole con affetto.

«Grazie, Rachel, sei molto gentile», disse la mamma di Ann, prima di salutare e augurare la buona notte a tutti, seguita a ruota da Ann. Kyle era a due passi dalla ragazza e approfittò dell'istante di confusione dovuto ai saluti finali e ai baci e abbracci per avvicinarsi ulteriormente e annusare il nuovo e particolare odore di Ann.

Decisi che gli avrei parlato al più presto; non poteva fare il maniaco in quel modo e poi non aspettarsi di spaventare qualcuno — per esempio Ann. 

Appena le nostre ospiti se ne furono andate, mamma sospirò.

«Una buona notizia ogni tanto», disse, prima di andare in cucina: «Grazie per aver sparecchiato, Diana», aggiunse con tono sarcastico, minacciandomi con un mestolo: «Mai una volta che prendiate l'iniziativa per aiutarmi».

«Perché il plurale?», chiese Kyle: «Io che c'entro? Ho messo il mio piatto nella lavastoviglie».

«Sì, ma sei andato a mangiare in camera, e sai che mamma non vuole», dissi, decidendo di vendicarmi per la gomitata che mi aveva tirato poco prima.

«Kyle!», esclamò mamma, puntando il mestolo verso di lui: «Quante volte te lo devo dire?! Non voglio che mangiate in camera!»

Felice di esser riuscita, per una volta, a scampare all'ira di mamma, fuggii — non sentendo cosa avesse da dire Kyle in sua difesa — così da non rischiare di essere ripresa a mia volta o di dover sparecchiare.

Durante la notte dormii poco e male. Continuavo a rigirarmi, non trovando una posizione comoda.

Continuavo a pensare all'imminente arrivo di zia Laurel e al modo in cui aveva reagito mamma alla notizia.

Pensavo inoltre all'interrogazione di spagnolo, che avrei dovuto sostenere nell'arco di pochi giorni ed ero preoccupata all'idea di non riuscire a dare il massimo.

Poi non potevo fare a meno di chiedermi se Xavier, al piano di sopra stesse dormendo. Forse se avessi avuto la sua maglietta sotto il cuscino sarei riuscito ad addormentarmi prima, o forse no.

Quando suonò la sveglia, mi resi conto di essere più stanca di quando lo fossi la sera prima e un grugnito sconsolato mi sfuggì dalle labbra.

«Diana!», urlò la voce di mio fratello dal corridoio: «Ti vuole la nonna!»

Finii di vestirmi in pochi secondi e, corsi in salotto con una scarpa addosso e l'altra tra le mani. Nonna mi aspettava con un vassoio della colazione tra le mani: «Portalo a O'Bryen, io devo correre ad aiutare tua mamma...», borbottò qualcosa che non riuscii a decifrare e con un sospiro rassegnato afferrai il vassoio, abbandonando in salotto la scarpa che dovevo anche indossare. Salii le scale di fretta e bussai lievemente alla porta prima di entrare.

Xavier stava ancora dormendo, era sdraiato sul fianco destro e aveva le labbra leggermente socchiuse.

Cercando di non fare rumore mi avvicinai a lui e appoggiai il vassoio della colazione sul comodino accanto al letto.

«Diana», sussurrò, facendomi sussultare per la sorpresa.

Quando spostai lo sguardo su di lui, incontrai i suoi occhi ancora appannati dal sonno.

«Buongiorno», dissi, sorridendogli: «Ti ho portato la colazione».

Xavier allungò il braccio sinistro e mi avvolse i fianchi, facendomi cadere sul letto accanto a lui: «Grazie, sei stata molto gentile», mormorò, mettendosi a sedere con maggiore scioltezza rispetto al giorno prima.

«Vedo che stai molto meglio», gli dissi, mentre tentavo di divincolarmi dalla sua stretta; più forte di quanto pensassi.

Le sua labbra si appoggiarono sulle mie per un istante, poi si allontanarono, lasciando dietro di sé una dolorosa sensazione di vuoto. Lui rimase a guardarmi, scrutandomi come se volesse studiare ogni mia mossa.

Per quanto volessi colmare le distanze e baciarlo a mia volta non ne ebbi il coraggio e decisi di rimanere immobile, in attesa della sua mossa successiva.

«Posso chiederti un favore?», mi chiese, sfoggiando le sue fossette irresistibili.

«Dipende», risposi, sollevando un sopracciglio, incuriosita dalla sua richiesta.

«Mi passeresti quel borsone, quello accanto all'armadio?», domandò, allentando la presa intorno alla mia vita, così da permettermi libertà di movimento.

«Va bene», acconsentii, zampettando per la stanza in modo impacciato a causa della scarpa mancante.

«Perché sei per metà scalza?», mi chiese Xavier, ridendo della mia goffaggine.

«Ero di fretta e non ho avuto tempo di mettere l'altra scarpa», ammisi, sollevando il borsone.

«Quanto pesa!», borbottai, lasciandolo cadere sul materasso, alla sua sinistra: «L'hai riempito di pietre?», chiesi, facendolo ridere.

«Di mattoni», rispose, facendomi l'occhiolino: «Riuscirai a sopravvivere?», mormorò con un'espressione seria in volto.

Aggrottai le sopracciglia: «Sopravvivere?»

«Oggi, a scuola, senza di me».

«Penso di potercela fare», risposi, sollevando gli occhi al cielo: «Hai intenzione di aprirlo o no?», chiesi, con tono impaziente, indicando col mento lo zaino.

Sul volto di Xavier comparve un sorriso divertito: «Tu non dovresti correre a prepararti? Rischi di perdere l'autobus».

Aprii bocca per ribattere e fargli notare che avevo ancora tempo, poi però mi resi conto che lo stava facendo apposta; voleva soltanto che io ammettessi di essere curiosa. Voleva che confessassi di voler stare ancora lì con lui. Cosa che non avrei fatto; non avevo intenzione di giocare al suo gioco.

«Hai ragione, devo scappare, buona giornata!», gli dissi, circumnavigando il letto per dirigermi alla porta.

Xavier sembrò inizialmente deluso, poi sorrise: «Buona giornata anche a te, Diana».

Mi pentii di non essere rimasta ancora un po', giusto il tempo di scoprire cosa contenesse lo zaino, appena misi piede fuori dalla stanza. Ero certa che la curiosità mi avrebbe divorata viva tutto il giorno, ma ormai quello che era fatto era fatto, non avrebbe avuto senso tornare indietro. L'avrei tartassato di domande una volta tornata a casa, quel pomeriggio stesso.

Scesi le scale e recuperai la scarpa che avevo abbandonato in salotto, infilandomela in pochi secondi, poi entrai in cucina, dove mamma stava preparando il pranzo al sacco per papà, Kyle stava sorseggiando il suo caffè e papà stava leggendo il giornale.

«Buongiorno a tutti», li salutai distrattamente, con la mente ancora persa a valutare cosa ci sarebbe potuto essere all'interno del borsone di Xavier. Dal peso avrei quasi detto che contenesse libri, ma perché lasciarli nella borsa e non sistemarli sulla scrivania che aveva in camera?

Mamma mi mise di fronte una tazza di caffè fumante e un vassoio colmo di muffin al cioccolato.

Con gli occhi che mi brillavano la ringraziai, addentando il dolce più vicino.

Mamma sembrava più serena rispetto alla sera prima e canticchiava "Jingle Bells" mentre versava nella tazza di papà l'ultimo goccio di caffè.

«L'autobus passa tra cinque minuti», mi avvisò Kyle.

Annuii distrattamente, stregata dalla bontà dei muffin preparati da mamma.

Finii il caffè in pochi secondi, scottandomi la lingua, poi baciai mamma sulla guancia, sporcandola di cioccolato: «Buona giornata», dissi, prima di correre in camera a recuperare giacca e zaino.

Raggiunsi Kyle alla fermata giusto in tempo e mi sedetti accanto a lui al nostro solito posto sull'autobus.

Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, poi con un sorriso malizioso e un sopracciglio sollevato, mi voltai verso di lui: «Ann, eh?»

Kyle chiuse gli occhi e sbuffò: «Non capisco a cosa tu ti stia riferendo».

«Certo, fingerò di crederci», dissi, ridendo sotto i baffi.

Per il resto del viaggio ci ignorammo, fino a quando arrivammo alla sua fermata.

«Divertiti oggi a scuola», mi salutò, scompigliandomi i capelli.

«Saluterò Ann da per tua», gli urlai dietro, facendogli alzare gli occhi al cielo mentre scendeva i gradini del bus.

Sab mi lanciò un'occhiata incuriosita appena prese il posto di Kyle alla mia destra: «Ann mia cugina?»

«Sembra che Kyle sia interessato a lei. Ieri sera Cora e Ann sono venute dopo cena a darci la buona notizia e mio fratello ne ha approfittato per fissare tua cugina per tutto il tempo, peggio di un maniaco», la informai ridacchiando.

«Un po' come fa Xavier O'Bryen con te?»

Sbuffai e colpii Isabel al braccio: «Cretina».

  
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