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Autore: Sarah_lilith    17/03/2020    2 recensioni
"Lo sai cosa fa male? Il pensiero che miliardi di persone vivano un'esistenza triste e solitaria solo per morire e finire seppellite in un buco nella terra, completamente dimenticate dal resto del mondo. Questo, bello, mi spaventa da impazzire. Pensaci: il non valere niente ora, significa non valere niente mai"
"Non tutti hanno una visione così pessimistica"
"Risparmiami le tue cazzate, gioia. Il fumo, la droga, i libri, il sesso, l'amore... tutte queste distrazioni, malsane o no, servono a farci dimenticare in che buco orribile ci hanno incastrati"
"Cioè?"
"La vita stessa. É questa, la prigione"
"Anche tu sei intrappolato, allora. Eppure sembri libero di fare ciò che vuoi"
"Sai, mia madre, quella stronza, ha detto una sola cosa giusta, nella sua inutile vita: Uccello in gabbia non canta per amore, ma per rabbia"
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Jiang Wanyin/Jiang Cheng, Lan Wangji/Lan Zhan, Lan XiChen/Lan Huan, Wei Ying/Wei WuXian, Wen Ning/Ghost general
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Premessa importante: in questa fanfiction ci sono scene di violenza su se stessi, cosa che io non ho mai sperimentato personalmente, ma che ho potuto vivere attraverso un amico che aveva questa… abitudine. Non so se riuscirò a trattare bene l’argomento, ma spero di non offendere, anche perché parlo per sentito dire da una sola esperienza.
Vi prego, non sto facendo la predica a nessuno, autolesionista o meno.
Buona lettura.

 

 

 

And I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand
(…)
Yes, you bleed just to know you’re alive


(Goo goo dolls - Iris)

 

 

 

C’era un fascino travolgente che lo aveva sempre attirato, nel fare del male a se stesso. 

Cose come colpire un muro fino a vedere le proprie nocche diventare blu o prendere a calci il terreno ripetutamente era la migliore punizione che si poteva infliggere quando si sentiva in colpa. 

Grattarsi la pelle fino alle ossa e ricoprirsi di tagli con una lametta era venuto dopo. Prima c’era stato solo dolore terapeutico.

All’inizio esclusivamente per cose importanti, poi sempre più spesso. Come la marea che, col passare del tempo, ruba pezzi di roccia dalla spiaggia, creando cumuli di sabbia altrove.

Si sentiva così, in certi momenti bui. Come sassi consumati che, con gli anni, diventavano polvere in luoghi diversi, lontani. Si disperdeva nel vento e non sapeva più come fermarsi.

Non si trattava di autolesionismo, o almeno, lui non l’aveva mai vista in questo modo. Aveva un problema, certo, ma era sempre stato facile da gestire, quindi lo considerava più che altro un vizio, come mangiassi le unghie o fumare dopo il sesso.

Poteva tenere a bada molte cose, con la giusta pazienza. Aveva il controllo.

La prima volta, ad ogni modo, era capitato per sbaglio; una casualità che poi era diventata più facile da ripetere che da evitare. Come tutte le cose, era nata da un’incomprensione.

Rifare gli stessi errori aspettandosi un risultato diverso, diceva Einstein, è questa la follia.

Dopo una litigata particolarmente cruenta con Jiang Cheng, Wei Ying era uscito di casa senza nemmeno prendere il telefono o le chiavi, correndo verso nessun luogo preciso con le lacrime ai lati degli occhi e le labbra che tremavano di furia e qualcos’altro.

Non sei nemmeno il mio vero fratello, gli aveva gridato Jiang WanYin, incurante di quanto facesse male, di quanto gli bruciasse il cuore a sentirselo dire, a ricordare che non era sua, quella famiglia. 

Non per davvero. 

Se n’era pentito subito, Wei WuXian glielo aveva letto negli occhi come se ce l’avesse scritto in faccia. Suo “fratello” aveva stretto la bocca in una linea sottile e aveva evitato il suo sguardo lacrimoso, stringendo le mani sul tavolo.

Voleva ritirare quella frase scomoda tra di loro, ma l’orgoglio glielo impediva. Pensava a quanto sarebbe stato bello non dirla, evitare anche solo di pescarla dagli oscuri meandri della mente, quelli in cui si celano le parole cattive, perfidia gratuita che non aiuta nessuno.

Il fatto che se ne rammaricasse non attenuava il dolore, ma era meglio di niente. Wei Ying aveva imparato che, con certi tipi di persone, bisognava accontentarsi. Una cortesia sputata tra i denti, una gentilezza forzata, ruvida all’udito… erano sinonimo di impegno, per uno come Jiang Cheng.

Certa gente, si sa, ha più spine che petali.

Non aveva retto quel silenzio denso come il sangue, quindi era corso fuori dalla cucina, lasciandolo lì coi suoi ripensamenti, ed era schizzato alla porta d’ingresso. Fuori pioveva a dirotto. 

Certo, era ovvio che dovesse piovere. Non c’era stagione migliore per uscire che l’autunno, in quel posto. Ma se n’era andato lo stesso.

Superati i portici delle case si era diretto inconsapevolmente in direzione del molo, nella sua corsa affannata verso un luogo in cui sfogare la sua rabbia in silenzio. 

Al sicuro dagli sguardi di chi l’avrebbe guardato, che avrebbe fatto domande e proposto soluzioni che lui non voleva. Di nascosto anche dal cielo, che gli sembrava giudicasse un pò troppo, di quei tempi.

Non aveva notato lo scalino. Dopo anni che andava nello stesso posto, lo shock del litigio gli aveva fatto dimenticare di quel maledetto scalino, in cima al pontile.

Era caduto, rotolando per la distesa erbosa fino a finire contro il muretto di pietra che divideva acqua e terra. La schiena, all’impatto, gli aveva lanciato una fitta di dolore che gli aveva percorso il corpo fino alle punta delle dita.

E, con sua grande sorpresa, si era sentito più lucido e calmo di prima, quasi la caduta avesse portato via, insieme all’apparenza di pulizia e ordine dei suoi vestiti, anche tutta la rabbia che gli infiammava le vene. 

Disteso sull’erba zuppa di acqua di lago che sapeva di loto, aveva trovato la sua ancora di salvezza.

Dolore.

Era tornato a casa un’ora dopo. Bagnato e sporco come se si fosse buttato in una fogna, aveva oltrepassato l’ingresso con le spalle curve e le dita che raschiavano il fondo delle tasche. Il cappuccio fradicio che gli copriva la fronte gocciolava sul suo naso al ritmo dei suoi passi silenziosi.

Jiang Cheng era seduto sulle scale difronte all’uscio, le mani intrecciate davanti a sé e i gomiti in bilico sulle ginocchia. La testa, fino ad un attimo prima seppellita tra le braccia, si era sollevata di scatto al rumore della porta che si chiudeva alle spalle di Wei Ying.

Non lo aveva guardato davvero. Gli occhi gli erano scivolati addosso come l’acqua che lo ricopriva, ma senza soffermarsi abbastanza da vedere

Gli si era semplicemente accostato e gli aveva sussurrato all’orecchio un borbottio scontroso, Shijie ha fatto la zuppa. Poi gli aveva dato le spalle e si era diretto in soggiorno.

Si erano silenziosamente riappacificati a quel modo.

 

 

 

 

ANGOLINO D’AUTRICE
Prima di tutto, salve. Se questa è una delle prime mie fan fiction che leggi, sappi che io amo la tristezza, quindi Benvenuto nella Valle delle Lacrime. Se invece sei avvezzo ai miei scritti, Bentornato nella Valle delle Lacrime :)
Questa è una storia strana, che si dividerà in quattro capitoli con il titolo di canzoni diverse, ma che sono collegate a delle emozioni particolari. Sta volta è toccato ad Iris, dei Go Go Dolls. Spero sappiate cos’è, perché potrebbe essere una delle mie melodie preferite.
So che l’autolesionismo è un’argomento difficile da trattare, ma spero di riuscirci con una certa… delicatezza. Qui non si vede il vero “autolesionismo”, non nel senso stretto del termine, ma nei prossimi tre aggiornamenti le immagini saranno forti, quindi il bollino arancione ci sta.
In questi giorni sono incasinata con la scrittura, ma ho deciso di provarci lo stesso. Per di più, ho un’altra storia in corso di svolgimento e ho deciso di iniziare quest’altro progetto… non ho il minimo controllo della mia vita, cazzo.
Grazie per aver letto fino a qui, spero vi sia piaciuto. Lo faccio per voi ;3 Deb, hai saputo di questo prima di tutti, quindi sappi che ti amo tantissimo per il supporto che mi dai.

Baci a tutti, Sarah_lilith

   
 
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