Capitolo 11
Sigyn
lo fissò per un momento di sottecchi. Non si fidava di lui e
schiuse le labbra
per rispondergli a tono, ma poi cambiò idea e scelse una
frase forse
altrettanto pungente, ma più faceta. Dovette pensare che era
prigioniera, un ostaggio
suo: gli porse il braccialetto.
“Se
tu lo incantassi davvero, non faresti altro che confermare
l’opinione che ho su
di te,” l’avvertì.
Gli
occhi di Loki lampeggiarono incuriositi.
“Ma se non lo facessi, di certo non inizieresti a
fidarti,” rise. Stanco di
quella discussione di cui non capiva il senso, Balder gli
tirò un lembo della
casacca. Si annoiava e non capiva il gioco di battute e di sguardi che
intercorreva tra i due. Sigyn con suo fratello era diversa,
più tesa e
controllata. Gli sembrava che provasse antipatia per lui e Loki, dal
canto suo,
faceva di tutto per indispettirla, ma in modo diverso da come si
muoveva quando
voleva stuzzicare Thor o qualcun altro. Era come se si spiassero
l’un l’altro parlando
una lingua che gli era sconosciuta. Il bambino non poteva captare la
tensione esistente
tra l’ingannatore e il suo premio perduto; di fronte alla sua
impazienza, Loki
alzò teatralmente gli occhi e gli scompigliò la
corta zazzera bionda.
“Adesso
vai, impiastro. Non sei la mia ombra,” sibilò.
Fece sparire il gioiello nella
tasca interna della casacca, ma nonostante l’avvertimento
Balder era ancora lì,
a dondolarsi da un piede all’altro.
“Al
tramonto tu e Thor combatterete? Possiamo venire
alla cerimonia?”
insistette. Loki arricciò le labbra. Si trattava di
un’esibizione rituale, una
sorta di danza feroce fatta con le armi in pugno, necessaria per
quietare le
anime dei defunti e placare gli spiriti, fatta anche per propiziare il
raccolto
e celebrare la prosperità del regno di Odino. Si trattava di
un blót,
una cerimonia che lei non aveva mai visto capace, di certo, di
incuriosirla e
spaventarla al tempo stesso: al termine del rito ci sarebbe stato un
sacrificio
lecito, ben diverso da quello che.
Serrò
la mascella. Non era ancora riuscito a trovare una
via di fuga valida o
efficace che la salvasse. Loki la vide impallidire, a disagio. A
quell’ora lei
officiava i suoi servizi. L’idea che fosse così
devota lo irritò, perché gli antenati
che lei pregava non l’avrebbero liberata dal suo destino,
anzi. “Per oggi le
sei stato dietro abbastanza,” decise, rivolgendosi al
fratello.
Si
era imbattuto nelle antiche cronache redatte quando il regno di Bor era
giovane,
smarrendosi nei rari resoconti dei rituali che suo nonno, disgustato,
alla fine
aveva proibito con forza. Si trattava per la maggior parte di racconti
incompleti, spesso confusi, pieni di omissioni e, il principe lo
intuiva, di menzogne.
Erano lasciti di tempi oscuri e brutali, ricchi di caos.
Imbattendovisi,
l’animo di Loki aveva oscillato tra l’orgoglio per
il pugno di ferro con cui il
predecessore di Odino aveva legiferato spazzando via usanze oscene e
una
curiosità sfacciata verso il tetro caos che mostravano. In
fondo, la conoscenza
era sempre inebriante, come l’idromele vagamente speziato che
gli scorreva in
gola durante i banchetti. Era uscito da quelle ore di studio forsennato
con la
testa che gli girava per la stanchezza e per le troppe idee in testa;
non aveva
nessuna soluzione a portata di mano e solo una domanda in gola, una che
lo pungeva
spingendolo ad agire in una direzione contraria ai voleri di Padre
Tutto. Lei
quanto sapeva?
Aveva
raccolto un gran numero d’informazioni tradotte faticosamente
a lume di
candela, ma tutte concordavano che la scintilla
possedeva sicuramente una
seppur vaga coscienza di sé, una cognizione capace
d’indirizzarla verso una
qualche forma di consapevolezza, esattamente come avrebbe fatto un
raggio
lunare nella tenebra notturna.
Si
allontanò, ma gli parve di avere gli occhi di Sigyn addosso;
non si voltò per scoprirlo.
Lei era intoccabile e persa e Loki, che l’aveva desiderata il
tempo di una sera,
non volle ricordarsi di quanto fosse desiderabile. Non era niente:
c’erano
ragazze più belle di lei, senza maledizioni addosso, che lo
avrebbero accolto
con piacere nei loro letti. Cosa avrebbe fatto di Sigyn se si fosse
trovato
davanti una semplice ragazza avviata a servire gli antenati? Si sarebbe
divertito a trascorrere con lei qualche notte, senza dubbio, ma poi
avrebbe
fatto ciò che faceva con tutte. L’immaginazione
gli concesse una visione breve
e fervida di quel momento e si ritrovò a ghignare da solo in
uno dei molto
corridoi di Asgard, al pensiero di lei e di quel suo sguardo
sprezzante.
Avrebbe spezzato le sue resistenze, sì,
prendendosi qualcosa che spettava
a un altro, ma che lui si era guadagnato, aveva meritato. E poi? Si
sarebbe
abituato alla sua presenza, finendo per trovarla noiosa. Priva della
novità,
spogliata dall’aura d’intoccabilità e di
nobiltà che aveva sfoggiato presso la
casa di suo padre, Sigyn si sarebbe trasformata in una delle molte dame
che giravano
per Asgard. E lui avrebbe contato ognuno dei suoi difetti, domandosi
come
avesse fatto a invaghirsi di lei, seppur brevemente e in maniera del
tutto
superficiale. I ragionamenti di Loki erano così: lucidi,
pragmatici, tanto
realistici da sfiorare il cinismo. Nel mondo non c’era
giustizia: le leggi
degli Æsir erano fatte per riportare l’ordine, ma
il caos premeva da ogni lato
per divampare, esplodere e far nascere un nuovo equilibrio, spaventoso
perché ignoto.
Non indagò, però, sul perché
giudicasse tanto essenziale starle a debita
distanza. Obbedire agli ordini di suo padre gli era sempre pesato
– eppure, in
quel preciso frangente, sentiva che si trattava di una misura giusta e
necessaria.
Il
bracciale cui Sigyn teneva tanto era un gioiello delizioso, di
splendida
fattura. La maglia, finemente cesellata, ospitava una serie di gemme
splendenti
e d’incredibile purezza viola, verdi e gialle. La chiusura
era rotta, ma Loki,
chino sulla scrivania del suo studio che fungeva anche da laboratorio,
riuscì a
sistemarla con facilità quella stessa mattina. Mentre teneva
tra le dita il
monile, si sorprese di quanto fosse piccolo di circonferenza. Sigyn
aveva il
polso delicato e sottile di una fata dei racconti. Non se
n’era accorto, anche
se un paio di volte l’aveva aiutata a scendere e a salire dal
drakkar
offrendole la mano. In un’occasione la barca aveva eseguito
una virata brusca e
lei gli era piombata addosso, certo: in quel momento, Loki aveva
impedito che
cadesse stringendola istintivamente a sé e accorgendosi di
quanto fosse leggera
e minuta. Immaginò di nuovo quello che le sarebbe successo e
arricciò le labbra
in una smorfia, tenendole serrate finché non finì
di aggiustare il gioiello.
Era poco più di una ragazzina, maledizione.
Non
gli piaceva l’idea di cercarla per restituirle il bracciale e
così lo ripose
nella bandoliera e si ripromise di darglielo non appena gli fosse
capitata a
tiro. Era stato cortese con lei perché era pur sempre un
ostaggio di riguardo:
girare per le fucine era qualcosa che non le competeva[1].
In più, non si fidava affatto di Sigurdr, che certamente non
sarebbe rimasto
con le mani in mano ad attendere che la disgrazia si abbattesse sul suo
feudo.
Se Sigyn non avesse intrapreso ognuno degli orrendi passi che
l’avrebbero
portata verso quell’essere, lui, che l’aveva
promessa, sarebbe stato il primo a
pagare. E questo, a Loki, non sarebbe dispiaciuto affatto.
Sigyn
aveva davvero osservato a lungo Loki, seguendolo con lo sguardo
finché non era
sparito. Non riusciva a smettere di fissarlo, controllarlo, studiarlo.
In
quanto ospite trattenuta con la forza, non aveva un completo e libero
accesso a
ogni angolo del palazzo di Asgard. Durante il giorno poteva muoversi
più o meno
liberamente entro alcuni spazi circoscritti che il principe evitava
accuratamente: le era concesso passeggiare nei giardini di Frigga,
cucire
assieme a lei e recarsi al tempio a pregare, ma per qualsiasi altro
spostamento
al di fuori delle sue stanze doveva necessariamente essere
accompagnata. Nei
mesi seguenti, Odino le avrebbero dato l’illusione di poter
andare ovunque
volesse tranne che negli appartamenti abitati dalla famiglia reale,
certo
com’era che nessuno avrebbe mosso un dito per aiutarla a
scappare – assolutamente
sicuro che, in ogni caso, lei non lo avrebbe mai fatto, ma in quelle
prime,
rapide settimane Sigyn era ancora trattata e considerata come una
prigioniera
straniera da guardare a vista. La figlia di Sigurdr era abituata a
condurre la
sua esistenza nello spazio circoscritto di un tempio, come ogni brava
ragazza
di Vanheim; in teoria non avrebbe dovuto provare nostalgia della
libertà negata.
Non poteva mancarle una galoppata disperata sulle brulle collinette che
circondavano
i fiordi di Asgard, né rimpiangere il vento salmastro che si
godeva dalle
scogliere a picco sul mare, eppure ogni cosa della terra degli
Æsir la
spaventava e l’attraeva a un tempo: provava
l’indicibile desiderio di conoscere
il mondo selvaggio in cui era capitata e verso cui provava una
curiosità
incredibile. All’inizio si era lasciata stupire
dall’impatto delle montagne che
si ergevano dalle onde e dalla sontuosità del palazzo di
Asgard fatto di legni
pregiatissimi e d’oro, ricoperto d’incisioni e
affreschi che celebravano le
vittorie di Bor e della sua stirpe tutta, Loki e Thor compresi. Poi,
col
passare dei giorni, aveva iniziato a registrare con grande
curiosità ogni
dettaglio di Asgard e dei suoi abitanti: l’affascinavano i
loro abiti di foggia
barbarica, con i mantelli bordati di pelliccia e le tuniche pesanti,
fermate da
grosse cinture in cuoio e da splendide fibule. Scoprì, suo
malgrado, di trovare
belle le raffigurazioni stilizzate che ornavano armi e armature, la
colpì la
moda d’intrecciare i capelli in una maniera tanto diversa da
quella di Vanheim.
Quello governato da Odino era un popolo austero e feroce, ma non privo
di
un’eleganza sobria e guerresca.
L’unica
cosa che la turbava era il sorriso scaltro e indecifrabile di Loki, che
pareva
perennemente sul punto di canzonare o ferire, salvare o condannare.
Sigyn
sapeva di dovere la sua prigionia a lui. Non riusciva a dimenticarsene
nemmeno
per un istante. Lo temeva, eppure anche dopo che erano scesi dal
drakkar aveva
continuato a cercarlo con gli occhi, come se l'osservarlo nella
sua
casa potesse proteggerla in qualche modo. Lui si faceva vedere
raramente, ma
quando capitava che lo scorgesse, qualcosa dentro di lei si scioglieva
e, allo
stesso tempo, il suo corpo veniva scosso da una tensione violenta e
incontrollabile,
da un fremito basso fatto di paura e dispetto.
La
prima sera in cui era arrivata ad Asgard non era riuscita a chiudere
occhio
nonostante la stanchezza. Dopo aver trascorso tanti giorni in mare
senza
esserne abituata soffriva la terraferma[2],
ma soprattutto temeva la nuova realtà che le si prospettava
davanti. Le era
stata data una camera ampia e soleggiata, che si affacciava sugli
stessi
giardini che le sarebbero diventati tanto famigliari, arredata
semplicemente e
senza sfarzi particolari, ma stendendosi nel letto, quello
sì, su cui
campeggiavano numerose coperte e pellicce per difenderla dalle
temperature
rigide della notte, si era domandata, tendendo l’orecchio a
ogni più piccolo
rumore, quanto fosse realmente al sicuro. Nessuno aveva turbato la sua
tranquillità e lei, verso l’alba, era finalmente
caduta in un sonno breve e
tormentato, popolato d’immagini del suo passato
più recente.
Quando
Loki individuò Sigyn tra la gente venuta ad assistere al
sacrificio e al
seguente rito diede immediatamente la colpa a Balder, quel moccioso
insistente
e frignante che gli girava sempre attorno, ma in realtà si
sbagliava: la ragazza
era venuta fino all’hov,
l’antica costruzione dalle pareti interne
decorate con l’oro dove si celebravano i riti Æsir,
per volere di Frigga in persona.
Lui e Thor, nudi fino alla cintura armati e di due lunghe spade
ciascuno,
avevano il respiro corto per la recente lotta rituale che avevano
intrapreso.
Sui loro corpi scolpiti e asciutti, ancora tesi per lo sforzo della
recente
esibizione, il sudore che imperlava i muscoli si mescolava alla cenere
che si
erano sparsi sul volto e sul torace contratto. Loki, col petto che
s’alzava e s’abbassava
rapido, la vide e sollevò il mento quasi come se volesse
sfidarla. Lei lo
fissava curiosa dall’alto in basso regalandogli
l’ennesimo sguardo di fuoco,
strettamente avvolta in un mantello di lana, i pensieri schermati
dietro il suo
portamento severo, di principessa. Contrariamente a quanto aveva
creduto all’inizio,
gli piacque che Sigyn lo vedesse in quel momento, scarmigliato e
feroce; si
chiese anche da quanto stesse assistendo alla cerimonia e cosa,
eventualmente,
pensasse dello scontro, facente parte della sua fase più
spettacolare. L’ingannatore
avrebbe potuto scoprire cosa si celasse nella sua testa, ma poi avrebbe
sollevato il velo che circonda i pensieri più profondi di
ogni individuo e lei,
alla fine, gli sarebbe parsa meno interessante. O troppo,
il che era
sbagliato lo stesso. Il blót era in
pieno svolgimento e Thor richiamò la
sua attenzione schiarendosi la voce. Al soffitto erano appesi i corpi
delle
vittime già sacrificate, al centro della sala gremita
bolliva, grazie al fuoco
alimentato da nove tipi differenti di legno, il calderone pieno
dell’idromele
speziato che avrebbe connesso, per un momento, il mondo dei vivi con
quello dei
morti, in un banchetto dove fantasia e ragione si sarebbero confusi. La
mente
svelta dell’ingannatore si soffermò
sull’amarezza di certe analogie. Lei fissava
– giudicava – il rito, ignara che presto avrebbe
fatto parte di uno ancora più
sanguinario e spaventoso. Credeva certamente che l’adorazione
e il rispetto che
tributavano ai loro antenati lei e gli abitanti di Vanheim fossero
più pacifici
e clementi del barbaro spettacolo cui stava assistendo, invece anche
lei faceva
parte dello stesso orribile disegno che rendeva schiavi tutti loro. Non
doveva essere lì.
La vittima
sacrificale era stata un magnifico animale e Odino e il sacerdote si
imbrattarono
le mani nel suo liquido caldo e vermiglio, bagnando le pareti
scintillanti d’oro,
le statue di Bor, gli intarsi dove i drakkar dalle bellissime prue
decorate con
mostri marini si intersecavano con raffigurazioni
dell’Yggdrasill. Il sangue fu
asperso sulla folla, raggiungendo Loki e Thor in prima fila, macchiando
anche
lei. Poi fu il turno dell’idromele nel calderone, il cui
profumo già inebriava
gli spiriti invisibili. Bevve per primo Odino e poi fu il turno di
Frigga e del
fratello e suo. Fu lui, già inebriato dal sapore dolciastro
e fortemente
speziato della bevanda calda, a cercare Sigyn offrendole il corno.
Rifletté che
era la terza volta in cui le porgeva da bere e che stava diventando una
curiosa
abitudine[3].
Lei abbassò le ciglia su di lui trattenendo persino il
respiro; fece scorrere
lo sguardo sul petto largo e ben sviluppato dell’Ase,
sull’addome segnato dalla
linea ben definita dei muscoli, sulle braccia agili, quasi volesse
contare i
segni sparsi delle cicatrici antiche e leggere che lo segnavano.
Esitò, rifiutandosi
di diventare parte integrante del rito. Loki piegò le labbra
in una smorfia. L’effetto
dell’idromele cominciava a stordirlo leggermente e si sentiva
la testa leggera
e pesante assieme.
“L’hai
già fatto. Bevi,” le intimò.
Sigyn
era spaventata e scosse la testa. Due trecce appuntate sulla testa alla
maniera
degli Æsir le scoprivano il visto delicato, su cui spiccavano
gli occhi grandi,
rotondi e dolci, il naso leggermente a punta e le labbra esaltata da un
piccolo
neo. Loki le fissò immaginando di sfiorarle con la punta
delle dita o con le proprie
e mandò giù un altro sorso davanti a lei. Il seiðr,
aggrappato alla sua anima,
infilato nel suo sangue, reagì facendogli tendere
ulteriormente la schiena già dritta.
Poteva sentire ancora più distintamente come Sigyn fosse la
scintilla e quanto
l’oscurità si apprestasse a ghermirla. Si
sentì vivo, potente, invincibile.
“Non
è la stessa cosa,” spiegò lei.
“Quello era un semplice banchetto.”
Loki
le infilò una mano tra i capelli, ghermendola per la nuca,
compiacendosi del
contatto con quella massa soffice e scarmigliata, color
dell’oro. “Non puoi
assistere a un nostro blót senza farne
parte,” disse tetro, consapevole
che Sigyn, in quanto ancella, sapeva. I riti degli Æsir, al
contrario di quelli
dei Vanir, non prevedevano che vi fossero spettatori, ma solo
partecipanti.
“In
questa sala sta avvenendo una cerimonia magica. Ci sono i vostri
antenati.”
Nella voce della ragazza c’era una nota urgente, di paura.
Avrebbe voluto
liberarsi, l’ingannatore lo sapeva, ma si sarebbe trattato di
un gesto inutile.
S’accorse che l’effetto dell’idromele
benedetto cominciava a fare effetto, che gli
spiriti dei morti, sottoforma di ombre, iniziavano a prendere forma
attorno a
lui. Molti di loro erano giganti perché alcuni tra gli
Æsir avevano sangue
Jotnar, nelle vene – e lo stesso Odino era stato generato da
Bestla, una figlia
di Jotunheim.
“Lo
so. Dovrò costringerti, se non lo farai,”
l’avvertì porgendole, per l’ennesima
volta, il corno decorato con scene di battaglie e cacce – le
sue, quelle
vissute con Thor.
Sigyn
si decise e, abbassando lo sguardo, accostò le labbra piene
e morbide al bordo
su cui lui aveva posato le sue, di nuovo. Fino
all’ultimo desiderava
essere padrona delle sue scelte, anche se era un’ancella e
l’obbedienza avrebbe
dovuto guidare ognuna delle sue azioni. Voleva essere libera da lui,
che l’aveva
pretesa e ora la tratteneva.
Bevve
fino all’ultima goccia, finché non le tremarono le
gambe e lui dovette
sorreggerla, stringendola a sé. Lo sguardo di Sigyn era
vacuo e il suo profumo dolce
lo inebriò, ma si maledisse tenendola tra le braccia
perché erano troppo
vicini; lei aveva la pelle morbida e bianca e, buttando il capo
all’indietro, gli
offrì il collo dalla linea elegante e la scollatura
generosa, dove spiccava la
curva del seno bianco che seguiva il ritmo del suo respiro
improvvisamente
accelerato. Loki avrebbe voluto baciarla, toccarla e scoprirla.
Desiderò spogliarla
dell’abito, ammirarla senza nulla indosso, strapparle via
quell’aria d’intoccabile
sdegno che la circondava. Pretenderla per sé,
perché lei doveva essere il suo pagamento,
non la più brillante delle fiamme destinata a bruciare e a
consumarsi fino a
spegnersi. Avrebbe commesso un sacrilegio – voleva farlo
lì, ora, senza
attendere oltre – ma fu distratto dagli occhi di Sigyn,
improvvisamente lucidi.
Gli
sfiorò
la mascella sbarbata e imbrattata di cenere, le labbra. “Noi non moriremo
insieme,” rivelò in un
sussurro.
Il
dio degli inganni deglutì e non rispose, in attesa.
“Tu
avrai
ciò che chiedi e sarà la tua
maledizione,” proseguì l’ancella
accarezzandogli il
collo e poi il petto nudo.
Una
fitta di desiderio l’avvolse costringendolo a uscire, a
immergere la testa
pulsante in un secchio d’acqua gelida. S’accorse di
aver trascinato con sé Sigyn:
l’aria pungente della sera pareva averla risvegliata
completamente, e ora lei
sbatteva gli occhi sorpresa, passandosi una mano sulla fronte. Era
pallida e
sconvolta, confusa e infuriata. Serrò le labbra inumidendosi
le guance e il
collo.
“Non
toccarmi mai più,” l’avvertì,
fuggendo, per la prima volta, il suo sguardo.
Gli antenati
erano apparsi anche a lui. Lo avevano chiamato re, ma nelle loro voci
non c’era
alcuna traccia di gioia.
Non le
avrebbe restituito il bracciale riparato né quella sera
né le seguenti. Non le
disse neanche che era stata lei a toccarlo, mentre lui si era limitato a
tenerla
tra le braccia.
L’angolo
di Shilyss
Care
Lettrici e Lettori,
#iorestoacasa
e continuo a
restarci,
consolandomi con i miei amatissimi Loki e Sigyn
e provando a
risollevare l’umore anche a voi, anche se la storia sta
prendendo (finalmente) le
pieghe dark con cui l’ho pensata.
Poiché non c’è nessuna descrizione
gratuita ritengo che il rating arancione vada bene. Mi dispiace che ci
siano
fantasmi e spiriti, preferirei parlare d’altro in questi
giorni e sono vicina a
tutti voi perché siamo tutti nella stessa barca
♥♥, però purtroppo era
impossibile sostituirli.
Siamo rimasti
nel passato, come avete visto: volevo inserire anche il presente e,
anzi, vi confesso
che ho dovuto tagliare un po’ di scene, ma è tutta
colpa di Loki, come sempre.
Le leggerete nei prossimi capitoli, però ^^.
Come sempre,
v’assicuro che tutto torna e tornerà. Spero
che le mie storie possano
tenervi compagnia in questi giorni difficili ♥, quanta
ne fate a me
quando leggo della vostra presenza perché vi palesate
recensendo o listando.
Per voi un
clic può non essere nulla, ma per un’Autrice
significa tantissimo. Bastano
undici parole o un clic nelle liste per restituire un po’
della magia che la
lettura dovrebbe ispirare a chi scrive.
Parafrasando l’infinita Melania
G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia
di sapere che la
freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri
piedi, ma ha colpito il
cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di
Sigyn e di Tom e
un po’ di divertimento… c’è
la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/. Ah, mi trovate pure su
Twitter ;)
Ricordo che Vanheim e il
personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su
Wikipedia, è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura e vi prego di essere
originali
anche per quanto concerne miti e rituali. Il
blót esiste, ma gli darò/gli
ho dato delle accezioni in più che considero personali
headcanon.
Vi informo anche che ho nuove
cose in cantiere ♥, spero di farvele leggere
presto!
Stavolta vi ASSICURO che il
prossimo aggiornamento sarà “Solo un
accordo:” avendo tutto il weekend
libero può darsi che la aggiorni prima e, intanto, vi invito
a fare un giro
sulla storia a 4 mani che ho scritto con Miryel: Dove
va l'anima
quando moriamo?
A presto e grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose,
Shilyss
[1]
In realtà in una mia storia Sigyn nelle fucine ci va eccome.
È “Di fuoco e di
desiderio.” <3
[2]
Succede veramente! ^^
[3]
La prima, negli scorsi capitoli, è quella in cui Sigyn sul
drakkar rifiuta, la
seconda ad Asgard, quando Sigyn beve dopo un momento di reticenza
(quando Balder
le fa vedere il cavalluccio). Non è che mi manca la
fantasia, ma ha un senso.
^^