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Autore: shilyss    21/03/2020    25 recensioni
Storia sulla discesa nell'oscurità del dio degli inganni. L’astuto e sfrontato principe Loki si è macchiato di una colpa terribile, per cui non prova alcun tipo di pentimento. L’esilio di Thor è ancora lontano, ma molte ombre stanno cominciando ad addensarsi sul trono di Odino. Perché ogni sacrilegio deve essere punito, solo che.
Lei era proibita e anche solo guardarla rappresentava un errore, un sacrilegio compiuto nei confronti dell’ordine costituito; avrebbe dovuto rinunciarci senza indugiare in pensieri pericolosi e malsani, ma la soddisfazione non era nella sua natura – questo, però, non lo sapeva ancora.
“Chi di voi due?” La voce di Sigyn era risuonata altera e decisa, non priva, però, di una nota oscura, figlia di un terrore che aveva nascosto per una notte intera.

[pre-Thor] [Thor] [hurt/comfort]
Genere: Angst, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Odino, Sigyn, Thor
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 11

 

 

Sigyn lo fissò per un momento di sottecchi. Non si fidava di lui e schiuse le labbra per rispondergli a tono, ma poi cambiò idea e scelse una frase forse altrettanto pungente, ma più faceta. Dovette pensare che era prigioniera, un ostaggio suo: gli porse il braccialetto.

“Se tu lo incantassi davvero, non faresti altro che confermare l’opinione che ho su di te,” l’avvertì.

 Gli occhi di Loki lampeggiarono incuriositi. “Ma se non lo facessi, di certo non inizieresti a fidarti,” rise. Stanco di quella discussione di cui non capiva il senso, Balder gli tirò un lembo della casacca. Si annoiava e non capiva il gioco di battute e di sguardi che intercorreva tra i due. Sigyn con suo fratello era diversa, più tesa e controllata. Gli sembrava che provasse antipatia per lui e Loki, dal canto suo, faceva di tutto per indispettirla, ma in modo diverso da come si muoveva quando voleva stuzzicare Thor o qualcun altro. Era come se si spiassero l’un l’altro parlando una lingua che gli era sconosciuta. Il bambino non poteva captare la tensione esistente tra l’ingannatore e il suo premio perduto; di fronte alla sua impazienza, Loki alzò teatralmente gli occhi e gli scompigliò la corta zazzera bionda.

“Adesso vai, impiastro. Non sei la mia ombra,” sibilò. Fece sparire il gioiello nella tasca interna della casacca, ma nonostante l’avvertimento Balder era ancora lì, a dondolarsi da un piede all’altro.

“Al tramonto tu e Thor combatterete? Possiamo venire alla cerimonia?” insistette. Loki arricciò le labbra. Si trattava di un’esibizione rituale, una sorta di danza feroce fatta con le armi in pugno, necessaria per quietare le anime dei defunti e placare gli spiriti, fatta anche per propiziare il raccolto e celebrare la prosperità del regno di Odino. Si trattava di un blót, una cerimonia che lei non aveva mai visto capace, di certo, di incuriosirla e spaventarla al tempo stesso: al termine del rito ci sarebbe stato un sacrificio lecito, ben diverso da quello che.

Serrò la mascella. Non era ancora riuscito a trovare una via di fuga valida o efficace che la salvasse. Loki la vide impallidire, a disagio. A quell’ora lei officiava i suoi servizi. L’idea che fosse così devota lo irritò, perché gli antenati che lei pregava non l’avrebbero liberata dal suo destino, anzi. “Per oggi le sei stato dietro abbastanza,” decise, rivolgendosi al fratello.

Si era imbattuto nelle antiche cronache redatte quando il regno di Bor era giovane, smarrendosi nei rari resoconti dei rituali che suo nonno, disgustato, alla fine aveva proibito con forza. Si trattava per la maggior parte di racconti incompleti, spesso confusi, pieni di omissioni e, il principe lo intuiva, di menzogne. Erano lasciti di tempi oscuri e brutali, ricchi di caos. Imbattendovisi, l’animo di Loki aveva oscillato tra l’orgoglio per il pugno di ferro con cui il predecessore di Odino aveva legiferato spazzando via usanze oscene e una curiosità sfacciata verso il tetro caos che mostravano. In fondo, la conoscenza era sempre inebriante, come l’idromele vagamente speziato che gli scorreva in gola durante i banchetti. Era uscito da quelle ore di studio forsennato con la testa che gli girava per la stanchezza e per le troppe idee in testa; non aveva nessuna soluzione a portata di mano e solo una domanda in gola, una che lo pungeva spingendolo ad agire in una direzione contraria ai voleri di Padre Tutto. Lei quanto sapeva?

Aveva raccolto un gran numero d’informazioni tradotte faticosamente a lume di candela, ma tutte concordavano che la scintilla possedeva sicuramente una seppur vaga coscienza di sé, una cognizione capace d’indirizzarla verso una qualche forma di consapevolezza, esattamente come avrebbe fatto un raggio lunare nella tenebra notturna.

Si allontanò, ma gli parve di avere gli occhi di Sigyn addosso; non si voltò per scoprirlo. Lei era intoccabile e persa e Loki, che l’aveva desiderata il tempo di una sera, non volle ricordarsi di quanto fosse desiderabile. Non era niente: c’erano ragazze più belle di lei, senza maledizioni addosso, che lo avrebbero accolto con piacere nei loro letti. Cosa avrebbe fatto di Sigyn se si fosse trovato davanti una semplice ragazza avviata a servire gli antenati? Si sarebbe divertito a trascorrere con lei qualche notte, senza dubbio, ma poi avrebbe fatto ciò che faceva con tutte. L’immaginazione gli concesse una visione breve e fervida di quel momento e si ritrovò a ghignare da solo in uno dei molto corridoi di Asgard, al pensiero di lei e di quel suo sguardo sprezzante. Avrebbe spezzato le sue resistenze, , prendendosi qualcosa che spettava a un altro, ma che lui si era guadagnato, aveva meritato. E poi? Si sarebbe abituato alla sua presenza, finendo per trovarla noiosa. Priva della novità, spogliata dall’aura d’intoccabilità e di nobiltà che aveva sfoggiato presso la casa di suo padre, Sigyn si sarebbe trasformata in una delle molte dame che giravano per Asgard. E lui avrebbe contato ognuno dei suoi difetti, domandosi come avesse fatto a invaghirsi di lei, seppur brevemente e in maniera del tutto superficiale. I ragionamenti di Loki erano così: lucidi, pragmatici, tanto realistici da sfiorare il cinismo. Nel mondo non c’era giustizia: le leggi degli Æsir erano fatte per riportare l’ordine, ma il caos premeva da ogni lato per divampare, esplodere e far nascere un nuovo equilibrio, spaventoso perché ignoto. Non indagò, però, sul perché giudicasse tanto essenziale starle a debita distanza. Obbedire agli ordini di suo padre gli era sempre pesato – eppure, in quel preciso frangente, sentiva che si trattava di una misura giusta e necessaria.

 

Il bracciale cui Sigyn teneva tanto era un gioiello delizioso, di splendida fattura. La maglia, finemente cesellata, ospitava una serie di gemme splendenti e d’incredibile purezza viola, verdi e gialle. La chiusura era rotta, ma Loki, chino sulla scrivania del suo studio che fungeva anche da laboratorio, riuscì a sistemarla con facilità quella stessa mattina. Mentre teneva tra le dita il monile, si sorprese di quanto fosse piccolo di circonferenza. Sigyn aveva il polso delicato e sottile di una fata dei racconti. Non se n’era accorto, anche se un paio di volte l’aveva aiutata a scendere e a salire dal drakkar offrendole la mano. In un’occasione la barca aveva eseguito una virata brusca e lei gli era piombata addosso, certo: in quel momento, Loki aveva impedito che cadesse stringendola istintivamente a sé e accorgendosi di quanto fosse leggera e minuta. Immaginò di nuovo quello che le sarebbe successo e arricciò le labbra in una smorfia, tenendole serrate finché non finì di aggiustare il gioiello. Era poco più di una ragazzina, maledizione.

Non gli piaceva l’idea di cercarla per restituirle il bracciale e così lo ripose nella bandoliera e si ripromise di darglielo non appena gli fosse capitata a tiro. Era stato cortese con lei perché era pur sempre un ostaggio di riguardo: girare per le fucine era qualcosa che non le competeva[1]. In più, non si fidava affatto di Sigurdr, che certamente non sarebbe rimasto con le mani in mano ad attendere che la disgrazia si abbattesse sul suo feudo. Se Sigyn non avesse intrapreso ognuno degli orrendi passi che l’avrebbero portata verso quell’essere, lui, che l’aveva promessa, sarebbe stato il primo a pagare. E questo, a Loki, non sarebbe dispiaciuto affatto.

 

Sigyn aveva davvero osservato a lungo Loki, seguendolo con lo sguardo finché non era sparito. Non riusciva a smettere di fissarlo, controllarlo, studiarlo. In quanto ospite trattenuta con la forza, non aveva un completo e libero accesso a ogni angolo del palazzo di Asgard. Durante il giorno poteva muoversi più o meno liberamente entro alcuni spazi circoscritti che il principe evitava accuratamente: le era concesso passeggiare nei giardini di Frigga, cucire assieme a lei e recarsi al tempio a pregare, ma per qualsiasi altro spostamento al di fuori delle sue stanze doveva necessariamente essere accompagnata. Nei mesi seguenti, Odino le avrebbero dato l’illusione di poter andare ovunque volesse tranne che negli appartamenti abitati dalla famiglia reale, certo com’era che nessuno avrebbe mosso un dito per aiutarla a scappare – assolutamente sicuro che, in ogni caso, lei non lo avrebbe mai fatto, ma in quelle prime, rapide settimane Sigyn era ancora trattata e considerata come una prigioniera straniera da guardare a vista. La figlia di Sigurdr era abituata a condurre la sua esistenza nello spazio circoscritto di un tempio, come ogni brava ragazza di Vanheim; in teoria non avrebbe dovuto provare nostalgia della libertà negata. Non poteva mancarle una galoppata disperata sulle brulle collinette che circondavano i fiordi di Asgard, né rimpiangere il vento salmastro che si godeva dalle scogliere a picco sul mare, eppure ogni cosa della terra degli Æsir la spaventava e l’attraeva a un tempo: provava l’indicibile desiderio di conoscere il mondo selvaggio in cui era capitata e verso cui provava una curiosità incredibile. All’inizio si era lasciata stupire dall’impatto delle montagne che si ergevano dalle onde e dalla sontuosità del palazzo di Asgard fatto di legni pregiatissimi e d’oro, ricoperto d’incisioni e affreschi che celebravano le vittorie di Bor e della sua stirpe tutta, Loki e Thor compresi. Poi, col passare dei giorni, aveva iniziato a registrare con grande curiosità ogni dettaglio di Asgard e dei suoi abitanti: l’affascinavano i loro abiti di foggia barbarica, con i mantelli bordati di pelliccia e le tuniche pesanti, fermate da grosse cinture in cuoio e da splendide fibule. Scoprì, suo malgrado, di trovare belle le raffigurazioni stilizzate che ornavano armi e armature, la colpì la moda d’intrecciare i capelli in una maniera tanto diversa da quella di Vanheim. Quello governato da Odino era un popolo austero e feroce, ma non privo di un’eleganza sobria e guerresca.

L’unica cosa che la turbava era il sorriso scaltro e indecifrabile di Loki, che pareva perennemente sul punto di canzonare o ferire, salvare o condannare. Sigyn sapeva di dovere la sua prigionia a lui. Non riusciva a dimenticarsene nemmeno per un istante. Lo temeva, eppure anche dopo che erano scesi dal drakkar aveva continuato a cercarlo con gli occhi, come se l'osservarlo nella sua casa potesse proteggerla in qualche modo. Lui si faceva vedere raramente, ma quando capitava che lo scorgesse, qualcosa dentro di lei si scioglieva e, allo stesso tempo, il suo corpo veniva scosso da una tensione violenta e incontrollabile, da un fremito basso fatto di paura e dispetto.

La prima sera in cui era arrivata ad Asgard non era riuscita a chiudere occhio nonostante la stanchezza. Dopo aver trascorso tanti giorni in mare senza esserne abituata soffriva la terraferma[2], ma soprattutto temeva la nuova realtà che le si prospettava davanti. Le era stata data una camera ampia e soleggiata, che si affacciava sugli stessi giardini che le sarebbero diventati tanto famigliari, arredata semplicemente e senza sfarzi particolari, ma stendendosi nel letto, quello sì, su cui campeggiavano numerose coperte e pellicce per difenderla dalle temperature rigide della notte, si era domandata, tendendo l’orecchio a ogni più piccolo rumore, quanto fosse realmente al sicuro. Nessuno aveva turbato la sua tranquillità e lei, verso l’alba, era finalmente caduta in un sonno breve e tormentato, popolato d’immagini del suo passato più recente.

 

Quando Loki individuò Sigyn tra la gente venuta ad assistere al sacrificio e al seguente rito diede immediatamente la colpa a Balder, quel moccioso insistente e frignante che gli girava sempre attorno, ma in realtà si sbagliava: la ragazza era venuta fino all’hov, l’antica costruzione dalle pareti interne decorate con l’oro dove si celebravano i riti Æsir, per volere di Frigga in persona. Lui e Thor, nudi fino alla cintura armati e di due lunghe spade ciascuno, avevano il respiro corto per la recente lotta rituale che avevano intrapreso. Sui loro corpi scolpiti e asciutti, ancora tesi per lo sforzo della recente esibizione, il sudore che imperlava i muscoli si mescolava alla cenere che si erano sparsi sul volto e sul torace contratto. Loki, col petto che s’alzava e s’abbassava rapido, la vide e sollevò il mento quasi come se volesse sfidarla. Lei lo fissava curiosa dall’alto in basso regalandogli l’ennesimo sguardo di fuoco, strettamente avvolta in un mantello di lana, i pensieri schermati dietro il suo portamento severo, di principessa. Contrariamente a quanto aveva creduto all’inizio, gli piacque che Sigyn lo vedesse in quel momento, scarmigliato e feroce; si chiese anche da quanto stesse assistendo alla cerimonia e cosa, eventualmente, pensasse dello scontro, facente parte della sua fase più spettacolare. L’ingannatore avrebbe potuto scoprire cosa si celasse nella sua testa, ma poi avrebbe sollevato il velo che circonda i pensieri più profondi di ogni individuo e lei, alla fine, gli sarebbe parsa meno interessante. O troppo, il che era sbagliato lo stesso. Il blót era in pieno svolgimento e Thor richiamò la sua attenzione schiarendosi la voce. Al soffitto erano appesi i corpi delle vittime già sacrificate, al centro della sala gremita bolliva, grazie al fuoco alimentato da nove tipi differenti di legno, il calderone pieno dell’idromele speziato che avrebbe connesso, per un momento, il mondo dei vivi con quello dei morti, in un banchetto dove fantasia e ragione si sarebbero confusi. La mente svelta dell’ingannatore si soffermò sull’amarezza di certe analogie. Lei fissava – giudicava – il rito, ignara che presto avrebbe fatto parte di uno ancora più sanguinario e spaventoso. Credeva certamente che l’adorazione e il rispetto che tributavano ai loro antenati lei e gli abitanti di Vanheim fossero più pacifici e clementi del barbaro spettacolo cui stava assistendo, invece anche lei faceva parte dello stesso orribile disegno che rendeva schiavi tutti loro. Non doveva essere lì.

La vittima sacrificale era stata un magnifico animale e Odino e il sacerdote si imbrattarono le mani nel suo liquido caldo e vermiglio, bagnando le pareti scintillanti d’oro, le statue di Bor, gli intarsi dove i drakkar dalle bellissime prue decorate con mostri marini si intersecavano con raffigurazioni dell’Yggdrasill. Il sangue fu asperso sulla folla, raggiungendo Loki e Thor in prima fila, macchiando anche lei. Poi fu il turno dell’idromele nel calderone, il cui profumo già inebriava gli spiriti invisibili. Bevve per primo Odino e poi fu il turno di Frigga e del fratello e suo. Fu lui, già inebriato dal sapore dolciastro e fortemente speziato della bevanda calda, a cercare Sigyn offrendole il corno. Rifletté che era la terza volta in cui le porgeva da bere e che stava diventando una curiosa abitudine[3]. Lei abbassò le ciglia su di lui trattenendo persino il respiro; fece scorrere lo sguardo sul petto largo e ben sviluppato dell’Ase, sull’addome segnato dalla linea ben definita dei muscoli, sulle braccia agili, quasi volesse contare i segni sparsi delle cicatrici antiche e leggere che lo segnavano. Esitò, rifiutandosi di diventare parte integrante del rito. Loki piegò le labbra in una smorfia. L’effetto dell’idromele cominciava a stordirlo leggermente e si sentiva la testa leggera e pesante assieme.

“L’hai già fatto. Bevi,” le intimò.

Sigyn era spaventata e scosse la testa. Due trecce appuntate sulla testa alla maniera degli Æsir le scoprivano il visto delicato, su cui spiccavano gli occhi grandi, rotondi e dolci, il naso leggermente a punta e le labbra esaltata da un piccolo neo. Loki le fissò immaginando di sfiorarle con la punta delle dita o con le proprie e mandò giù un altro sorso davanti a lei. Il seiðr, aggrappato alla sua anima, infilato nel suo sangue, reagì facendogli tendere ulteriormente la schiena già dritta. Poteva sentire ancora più distintamente come Sigyn fosse la scintilla e quanto l’oscurità si apprestasse a ghermirla. Si sentì vivo, potente, invincibile.

“Non è la stessa cosa,” spiegò lei. “Quello era un semplice banchetto.”

Loki le infilò una mano tra i capelli, ghermendola per la nuca, compiacendosi del contatto con quella massa soffice e scarmigliata, color dell’oro. “Non puoi assistere a un nostro blót senza farne parte,” disse tetro, consapevole che Sigyn, in quanto ancella, sapeva. I riti degli Æsir, al contrario di quelli dei Vanir, non prevedevano che vi fossero spettatori, ma solo partecipanti.

“In questa sala sta avvenendo una cerimonia magica. Ci sono i vostri antenati.” Nella voce della ragazza c’era una nota urgente, di paura. Avrebbe voluto liberarsi, l’ingannatore lo sapeva, ma si sarebbe trattato di un gesto inutile. S’accorse che l’effetto dell’idromele benedetto cominciava a fare effetto, che gli spiriti dei morti, sottoforma di ombre, iniziavano a prendere forma attorno a lui. Molti di loro erano giganti perché alcuni tra gli Æsir avevano sangue Jotnar, nelle vene – e lo stesso Odino era stato generato da Bestla, una figlia di Jotunheim.

“Lo so. Dovrò costringerti, se non lo farai,” l’avvertì porgendole, per l’ennesima volta, il corno decorato con scene di battaglie e cacce – le sue, quelle vissute con Thor.

Sigyn si decise e, abbassando lo sguardo, accostò le labbra piene e morbide al bordo su cui lui aveva posato le sue, di nuovo. Fino all’ultimo desiderava essere padrona delle sue scelte, anche se era un’ancella e l’obbedienza avrebbe dovuto guidare ognuna delle sue azioni. Voleva essere libera da lui, che l’aveva pretesa e ora la tratteneva.

Bevve fino all’ultima goccia, finché non le tremarono le gambe e lui dovette sorreggerla, stringendola a sé. Lo sguardo di Sigyn era vacuo e il suo profumo dolce lo inebriò, ma si maledisse tenendola tra le braccia perché erano troppo vicini; lei aveva la pelle morbida e bianca e, buttando il capo all’indietro, gli offrì il collo dalla linea elegante e la scollatura generosa, dove spiccava la curva del seno bianco che seguiva il ritmo del suo respiro improvvisamente accelerato. Loki avrebbe voluto baciarla, toccarla e scoprirla. Desiderò spogliarla dell’abito, ammirarla senza nulla indosso, strapparle via quell’aria d’intoccabile sdegno che la circondava. Pretenderla per sé, perché lei doveva essere il suo pagamento, non la più brillante delle fiamme destinata a bruciare e a consumarsi fino a spegnersi. Avrebbe commesso un sacrilegio – voleva farlo lì, ora, senza attendere oltre – ma fu distratto dagli occhi di Sigyn, improvvisamente lucidi.

Gli sfiorò la mascella sbarbata e imbrattata di cenere, le labbra.  “Noi non moriremo insieme,” rivelò in un sussurro.

Il dio degli inganni deglutì e non rispose, in attesa.

“Tu avrai ciò che chiedi e sarà la tua maledizione,” proseguì l’ancella accarezzandogli il collo e poi il petto nudo.

Una fitta di desiderio l’avvolse costringendolo a uscire, a immergere la testa pulsante in un secchio d’acqua gelida. S’accorse di aver trascinato con sé Sigyn: l’aria pungente della sera pareva averla risvegliata completamente, e ora lei sbatteva gli occhi sorpresa, passandosi una mano sulla fronte. Era pallida e sconvolta, confusa e infuriata. Serrò le labbra inumidendosi le guance e il collo.

“Non toccarmi mai più,” l’avvertì, fuggendo, per la prima volta, il suo sguardo.

Gli antenati erano apparsi anche a lui. Lo avevano chiamato re, ma nelle loro voci non c’era alcuna traccia di gioia.

Non le avrebbe restituito il bracciale riparato né quella sera né le seguenti. Non le disse neanche che era stata lei a toccarlo, mentre lui si era limitato a tenerla tra le braccia.

 

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e Lettori,

 

#iorestoacasa e continuo a restarci, consolandomi con i miei amatissimi Loki e Sigyn e provando a risollevare l’umore anche a voi, anche se la storia sta prendendo (finalmente) le pieghe dark con cui l’ho pensata. Poiché non c’è nessuna descrizione gratuita ritengo che il rating arancione vada bene. Mi dispiace che ci siano fantasmi e spiriti, preferirei parlare d’altro in questi giorni e sono vicina a tutti voi perché siamo tutti nella stessa barca ♥♥, però purtroppo era impossibile sostituirli.

Siamo rimasti nel passato, come avete visto: volevo inserire anche il presente e, anzi, vi confesso che ho dovuto tagliare un po’ di scene, ma è tutta colpa di Loki, come sempre. Le leggerete nei prossimi capitoli, però ^^.

 

Come sempre, v’assicuro che tutto torna e tornerà. Spero che le mie storie possano tenervi compagnia in questi giorni difficili ♥, quanta ne fate a me quando leggo della vostra presenza perché vi palesate recensendo o listando.

Per voi un clic può non essere nulla, ma per un’Autrice significa tantissimo. Bastano undici parole o un clic nelle liste per restituire un po’ della magia che la lettura dovrebbe ispirare a chi scrive.

 

Parafrasando l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri piedi, ma ha colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.  Ah, mi trovate pure su Twitter ;)

Ricordo che Vanheim e il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura e vi prego di essere originali anche per quanto concerne miti e rituali. Il blót esiste, ma gli darò/gli ho dato delle accezioni in più che considero personali headcanon.

Vi informo anche che ho nuove cose in cantiere ♥, spero di farvele leggere presto!

Stavolta vi ASSICURO che il prossimo aggiornamento sarà “Solo un accordo:” avendo tutto il weekend libero può darsi che la aggiorni prima e, intanto, vi invito a fare un giro sulla storia a 4 mani che ho scritto con Miryel: Dove va l'anima quando moriamo?

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,

Shilyss



[1] In realtà in una mia storia Sigyn nelle fucine ci va eccome. È “Di fuoco e di desiderio.” <3

[2] Succede veramente! ^^

[3] La prima, negli scorsi capitoli, è quella in cui Sigyn sul drakkar rifiuta, la seconda ad Asgard, quando Sigyn beve dopo un momento di reticenza (quando Balder le fa vedere il cavalluccio). Non è che mi manca la fantasia, ma ha un senso. ^^

   
 
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