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Autore: Al_cell    25/03/2020    1 recensioni
Eugenie du Coeur è una giovane ragazza che ha un solo desiderio nella sua vita, essere felice. Purtroppo la sua vita è un susseguirsi di avvenimenti che le renderanno difficile anche solo stare al mondo. La sua vita, però, è destinata a cambiare nel giorno in cui fa la conoscenza del giovane principe Belga; Leopoldo II.
La storia contiene personaggi reali ma gli eventi sono puramente fittizi.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: AU, Cross-over, Otherverse | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Età vittoriana/Inghilterra
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Belgio, 22 agosto 1853.

Lasciai che Jean mi prendesse a braccetto. Non ero pronta per quel momento e non lo sarei mai stata probabilmente. Camminai rigida per tutto il tragitto che portava dalle mie stanza all'entrata principale del palazzo. Lì ci attendeva la carrozza che ci avrebbe portati alla chiesa dove sarebbero state celebrate, da lì a poco, le nostre nozze.
Jean mi aiutò a salire sulla vettura e prese posto davanti a me dopo aver chiuso la piccola porta. Tra di noi, ancor più di prima, si stabilì un silenzio esasperante. Nulla che non potessi reggere.
-Come vi sentite?- Spostai il mio sguardo dalla finestrella, da cui stavo ammirando la strada che stavamo percorrendo, su di lui; non ci mi se molto a rompere il gioco del silenzio ed ero sorpresa che mi avesse rivolto la parola.
-Dovrei rispondere in ansia e al settimo cielo, ma in realtà non sento nulla. Sono solo grata che non ci sia la folla ad accoglierci.-
Si sporse in avanti, puntellando i gomiti sulle ginocchia e poggiando il mento sulle mani congiunte. Un ciuffo di capelli gli ricadde al lato dell'occhio destro. Era bello da togliere il fiato, altri sarebbero caduti ai suoi piedi; uno sguardo ed un sorriso disarmante, fatta, eppure in quel momento non mi fece nessun effetto. Nel mio petto tutto rimase piatto, ed insieme ad esso ogni tipo di emozione di cui un essere umano è provvisto.
-Oh beh, è normale. Stiamo facendo il giro largo della città, come da tradizione, per poi prendere la strada principale che divide a metà la città e che ci porterà direttamente alla chiesa. Quando sarete sposati userete un'altra carrozza, così che il popolo possa ammirare la nuova coppia.-
Alzai gli occhi al cielo e con una mano scostai la tendina della finestrella, notai la folla che cominciava a crescere lungo i lati della strada mano mano che ci avvicinavamo. Da poche persone alla spicciolata, diventarono dei capannelli di persone per poi formare un muro solido di facce e corpi ammassati che cercavano di avere uno sguardo della sposa.
-Comunque vi trovo d'incanto con quest'abito, e anche i capelli castani vi donano.- Riportai nuovamente l'attenzione su Jean. Prima, mentre le mie cameriere mi avevano preparata, mi era sembrato di vedere ancora la mia chioma bionda. Eppure insieme al mio nuovo nome avevo dovuto cambiare anche la mia acconciatura e stile d'abiti così da rendere credibile la mia copertura. Non mi ero interessata poi molto ai dettagli, mi ero limitata a seguire le indicazioni che mi erano state impartite. Ero come un automa, o un attore, ma quest'ultimo prima o poi smette di recitare. Per me non era così.
Accennai un debole sorriso.
-Beh, grazie.- Lo vidi rilassarsi, la sua postura da tesa si ammorbidì, avvertì i suoi muscoli meno tesi, ed anche il suo viso era meno contratto. Forse era preoccupato per avermi fatto un complimento consapevole di quanto fossi, a volte, imprevedibile nei gesti e nelle risposte.
-Comunque non preoccupatevi, andrà tutto bene. Vedrete che dopo le nozze la vostra vita prenderà una piega più serena e sarete anche più libera.-
-Per quanto possa esserlo una donna sposata, in un matrimonio assolutamente senza amore, con il probabile peso di sfornare eredi frettolosamente e con l'ipotesi di salire al trono con un nome falso diventando così regina di un paese di cui non conosco quasi nulla.- Risposi con sarcasmo mentre una risatina, al limite dell'isteria, uscì dalla mia bocca che coprii istantaneamente con una mano.
-Tutto ciò senza contare che dovrò avere a che fare con l'amante del mio futuro marito, il dover essere in debito a vita con i nostri amici austroungarici e lo spettro del mio passato sulle spalle. Non posso avere aspettative più rosee.- Mi lasciai andare contro il sedile, abbandonando il mio corpo. Per un istante mi passò per la mente che, con grande probabilità, sarei dovuta entrare,prima o poi, in intimità con Leopoldo. L'idea mi provocò un tale ribrezzo che il mio cervello la rimosse immediatamente.
-Probabilmente non dovrei lamentarmi, dopotutto mi è andata bene; l'unico timore è, perché non sono comunque felice? Ne ho passati di gironi infernali, eppure continuo a desiderare di più. Potrei essere più egoista di così?-
Lo sentii sospirare pesantemente e lo vidi immergere le mani fra i capelli tirandoli appena, era sempre il suo modo di fare quando si trovava in situazioni con una forte tensione. La testa era china verso i piedi ed il suo corpo un momento prima rilassato si irrigidì nuovamente.
-Ci inventeremo qualcosa va bene? Voi non preoccupatevi.- Si spostò per prendere posto vicino a me; con le sue mani forti e calde prese la mia sinistra. Sembrava più piccola e pallida del solito fra le sue, con il pollice scansò leggermente un pezzetto di pizzo che ricopriva il mio polso; ne accarezzò delicatamente l'interno. Trattenni il fiato, non permettevo a nessuno di toccarmi al di fuori di Angelique e Monique, e sicuramente non ero abituata al tocco di un uomo. D'improvviso mi sembrò di tornare nello scantinato, fra le mani di quegli esseri vergognosi che non potevano neanche essere definiti umani. Emisi un gemito di panico e lui, accortosi ancor prima che io ne manifestassi vocalmente il disagio, aveva lasciato la presa.
-Perdonatemi, non volevo farvi sentire a disagio.- Ma per camuffarne il proprio, cercò di sistemarmi il velo; come se quel gesto potesse cancellare l'agonia di entrambi. Feci alcuni profondi respiri, ritrovando, poco a poco, la calma.
-No, va tutto bene.- Avvertii che la carrozza stava rallentando, segno che la destinazione era ormai prossima.
-Un giorno mi racconterete cosa vi è capitato, si vede che ne avete passate molte.-
Feci spallucce mentre il mio corpo veniva spinto leggermente in avanti dalla frenata della carrozza, rischiando il rinculo.
-Un giorno, ma non oggi.- mi disse infine. Mi piaceva che non insistesse, non era invadente come lo è di solito una persona curiosa; era delicato, il suo atteggiamento era come il tocco di una piuma. Ti solleticava, ma non ti disturbava, ti piaceva, cancellava tutto il male intorno. Faceva sembrare la realtà lontana, ti distraeva come si fa con i bambini quando hanno paura.
Annuì e quando la vettura fu completamente ferma si alzò e andò verso l'uscita. La porticina venne aperta dall'esterno.

Attesi che Jean scese per poi seguirlo, afferrai la sua mano non appena me la tese per aiutarmi a scendere le scalette; con l'altra mano libera afferrai la gonna così da non averla tra le gambe e perderci l'equilibrio. Solo quando misi i miei piedi a terra mi resi conto delle urla di gioia del popolo che mi stava aspettando, impazienti e curiosi di vedere dal vivo il mio aspetto. Peccato fossi ben celata sotto il velo. Non feci caso a nulla intorno a me, né alla struttura né alle voci che mi circondano urlando il mio nome.
"Maria! Maria!" Ma chi ero veramente? Quel nome suona così cacofonico nella mia mente. Sarei mai stata in grado di vivere con l'eredità altrui?.
Percorsi la scale lentamente, non perché temevo il matrimonio ma per evitare di inciampare nei miei stessi piedi. Solo quando arrivai in cima notai il re che mi stava attendendo per accompagnarmi all'altare. Era tutto così strano, ai miei occhi sembrava tutto distorto e sfumato come in un sogno; ma probabilmente lo era veramente.

Mi venne Jean di fianco che mi porse il bouquet di fiori: ortensie bianche e rose del medesimo colore, contornate di nebbiolina.
Lo presi con cura, evitando di rovinare i fiori, e notai, prima di girarmi, il suo sguardo mesto. Era tristezza quella che vidi nei suoi occhi? Rimorso? Impotenza? Non ebbi il tempo di pensarci che il re mi porse il braccio.
-Siete meravigliosa.- Mi disse con un soffio mentre incastravo la mia mano nell'interno del suo braccio.
-Oh, vi ringrazio.- Abbozzai un sorriso per poi raddrizzare la schiena e guardare davanti a me. Non appena iniziò la marcia nuziale avvennero due cose. Tutti presenti si alzarono in piedi e io affermai a me stessa, di non aver mai sentito suono più raccapricciante di quelle note. Sarei voluta fuggire il più lontano possibile da lì, era tutto così falso e patetico. Io ero patetica come tutta questa messa in scena.

Arrivammo all'altare in un attimo, non avevo focalizzato nient'altro all'interno della chiesa se non quel pezzo di marmo con il prete e Leopoldo ad attendermi. Mi ritrovai al suo fianco e la mia attenzione, per tutta l'infinita cerimonia, venne catturata dalla croce che avevo davanti.

Non ero mai stata una persona religiosa, se Dio fosse stato veramente presente non mi avrebbe mai fatto patire così tanto. Mi chiesi, più volte, se quel matrimonio non sarebbe stato un ennesimo smacco verso di lui che, già più volte e piuttosto chiaramente, aveva dimostrato di essergli piuttosto indigesta.
-Maria, vuoi accogliere il qui presente principe Leopoldo II, futuro re del Belgio e duca Brabante, come tuo sposo, promettendo di essergli fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarlo e onorarlo tutti i giorni della tua vita?-
Sbattei un paio di volte le palpebre, probabilmente non avrei mai preso l'abitudine verso quel nome che non mi apparteneva assolutamente. Mi domandai, per un minuscolo secondo, se avessi veramente altre risposte oltre ad accettare. Ovviamente no.
-Sì, lo voglio.-

Dopo aver pronunciato quelle poche parole, mi si staccò completamente l'udito. Notai gli ospiti alzarsi e applaudire. Percepii che Leopoldo mi aveva attirata a sé per darmi un tenero una bacio sulla guancia; mi provocò un brivido di disgusto verso me stessa che mi percorse per tutta la spina dorsale. Contrariamente a come si dovrebbe sentire una sposa, io mi sentivo sporca; non pura come il mio abito bianco.

Percorremmo la navata a ritroso, mi sentivo come una bambola di stoffa che veniva trasportata in giro dal suo proprietario. Salimmo sulla carrozza, e come aveva detto Jean, era aperta così che il popolo potesse ammirarci. Mi accorsi, solo quando sollevai la mano per salutare la gente in festa, che avevo la fede al dito. Non me ne ero accorta, come non mi ero accorta di nient'altro. Magari stavo sognando, e di lì a poco mi sarei svegliata nello scantinato della mia casa inglese; non ero poi così certa che questo scenario fosse migliore di quelli già vissuti a palazzo.

Ci ritrovammo sul balcone del palazzo, il più grande e maestoso di tutti quanti che dava sulla corte. Lo stesso balcone da cui si era sempre soliti fare gli annunci ufficiali. Leopoldo mi fece girare, delicatamente verso di lui, e mi scopri il viso tirando indietro il velo. Notai che dietro di noi vi erano alcune persone ma riconobbi solamente il re e Jean.
-Adesso vi darò un bacio. Ce la fate?- Annuii debolmente. Si avvicinò e con fare delicato, come se stesse maneggiando un pregiato pezzo di ceramica, mi diede un lieve bacio a stampo mentre la folla andava in visibilio.

   
 
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