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Autore: Monijoy1990    26/03/2020    0 recensioni
Questo racconto rappresenta il proseguimento di "Love story". Quindi invito chiunque non lo abbia letto a farlo prima di iniziare.
Roberto è un ragazzo arguto e intelligente con un futuro già scritto a lettere cubitali nel suo destino e un sogno in minuscole chiuso in un cassetto. Avvocato, dottore o ingegnere questo ciò che vorrebbero i suoi genitori per lui. Ma cosa vuole davvero Roberto? Diventare un cantante. Così il Giappone diventerà la sua strada e la Kings Record la sua meta. Durante il suo viaggio verso il successo il destino gli tenderà tante sorprese improvvise. Riuscirà grazie alla sua arguzia e al suo buon cuore a superare le sue insicurezze? Tra triangoli amorosi e amicizie inaspettate, sarà in grado di realizzare il suo sogno? Troverà la sua strada?
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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CAPITOLO 42

L’AMULETO

 

Italia

Dietro quel bancone Clara si era ritrovata un sacco di volte, ma stare lì ferma in attesa del prossimo cliente della giornata l’annoiava adesso più che in passato. 

Riprese tra le mani il suo telefonino. 

Nessun messaggio ne dalla sua migliore amica, ne da suo fratello e neanche da Toshi. 

Non che si aspettasse un messaggio da quest’ultimo visto il modo in cui si erano lasciati. 

Avrebbe voluto scrivergli un messaggio, ma allo stesso tempo, quando ci provava si ritrovava sempre a corto di parole. Cosa davvero rara per lei. 

Ripensò a quella macchina da scrivere che aveva lasciato in Giappone, all’orfanotrofio, alla piccola Naoki e al piccolo Colla. Chissà se stavano facendo i capricci come al loro solito. 

“Ci sarà qualcuno che racconterà loro ancora delle storie? Ne dubito, lo zio sarà troppo indaffarato con la band per farlo… ” sospirò riponendo il telefono nella tasca dei suoi jeans neri attillati. 

Aveva ancora la testa tra le nuvole quando Eichi entrò nel negozio con due caffè fumanti.

«Ancora con la testa tra le nuvole?» esordì porgendone uno dei due a sua figlia. 

Clara sfoderò uno dei suoi sorrisi più dolci prendendo tra le mani, fredde per il freddo, quella calda bevanda. Era felice di aiutare suo padre, ma doveva ammettere che una parte del suo cuore era rimasta dall’altra parte del mondo. 

«Lo sai che sono fatta così….»

Eichi sollevò un sopracciglio scettico. Sua figlia era un libro aperto. 

«A cosa stavi pensando?» le chiese pur conoscendone la risposta. Aveva capito che a sua figlia mancava il Giappone o forse gli mancava qualcuno che aveva dovuto lasciare lì. 

Clara si rigirò il bicchiere di polistirolo caldo tra le mani…

«Pensavo che tra poco arriverà Natale e mi chiedevo se lo zio avrà il tempo di allestire l’albero per i bambini…».

Eichi le sorrise sporgendosi verso di lei sul bancone poggiandosi ad esso a braccia conserte. 

«E se quest’anno ci pensassimo noi?». Clara sgranò gli occhi. 

«Cosa vuoi dire papà?»

Eichi si risollevò alzando il mento con aria soddisfatta. 

«Stavo solo pensando che potremmo trascorrere il Natale a Tokyo. Sono anni che non vedo la mia città in quel periodo e poi faremmo una bella sorpresa anche a tua madre, a tuo zio e a tuo fra… » in quel momento Eichi si bloccò ricordandosi dell’ultimo incontro avuto con Roberto, un incontro che non era andato nel migliore dei modi. 

Clara si sporse oltre il bancone per sfiorare rassicurante il braccio di suo padre. 

«Sono sicura che gli sarà già passata papà e che anche lui sarà felice di vederti».

Eichi sospirò, «lo spero». 

Proprio in quel momento il telefono nella tasca dei jeans di Clara squillò, subito la ragazza si apprestò a rispondere. 

«Pronto? Ah… Luca, sei tu… dimmi» Eichi rimase in trepidante attesa. Fin quando vide sul viso di sua figlia dipingersi un brillante sorriso. Ma fu in seguito, quando la vide trattenere un urlo di esultanza, che afferrò la portata di quello che stava succedendo. Quella telefonata portava con sé il profumo di buone notizie. 

«Papà hanno deciso di pubblicare il mio libro!» esordì una volta chiusa la chiamata. 

Eichi era così fiero di sua figlia che per poco non scoppiava in lacrime per la contentezza. 

 

Giappone 

Mary era alla King Records in compagnia di Yori. Le due erano nella sala studio in cui gli Hope erano soliti fare lezione. 

«Yori, dimmi la verità, cosa succederà se Take dovesse decidere di rimanere alla Music Station?».

La stessa si prese qualche secondo per rispondere. 

«A dire la verità non saprei… Sicuramente la cosa potrebbe compromettere il concerto… I ragazzi si sono preparati così tanto… Questo sarebbe stato il loro primo concerto e l’inizio di molti altri ma se Take decidesse di rimanere alla Music Station occorrerà rimandarlo… Per darci il tempo di arrangiare nuovamente i pezzi, le coreografie e rifare tutti i gadget…»

«Tutto questo vi porterà a una intingente perdita dico bene?» Yori acconsentì con sguardo preoccupato. 

«Capisco..». Mentre le due parlavano, una delle segretarie di Rio entrò nella stanza. 

«Scusate, ma ho un messaggio da parte di Toshi dice di non aspettarli per la lezione del pomeriggio perché hanno avuto un imprevisto!». Yori sobbalzò dalla sedia indignata. 

«Come sarebbe un imprevisto?!»

«Non ha aggiunto altro… » si mortificò la segretaria. 

«Quei ragazzi!» sospirò Yori facendo segno alla giovane vicino la porta di andare via. 

Toshi nel frattempo aveva raggiunto i suoi amici all’ospedale vicino la Music Station. 

«Si può sapere cosa cavolo ci fate qui? Mia madre ci ammazzerà per colpa vostra…» non fece in tempo a finire la frase che notò la faccia preoccupata di Shin. 

Kei prese il leader per un braccio costringendolo ad allontanarsi dal più piccolo.

«Si può sapere cosa sta succedendo?»

«Mentre eravamo in fuga dalla Music Station una ragazza è rimasta ferita e allora ci siamo sentiti in dovere di accompagnarla in ospedale»

«Bene, avete agito nel modo giusto, ma adesso dovete venire via con me! Non vorrete che scoppi un altro scandalo proprio ora…»

Kei si strofinò la nuca amareggiato. 

«È quello che abbiamo detto anche a Shin, ma si è rifiutato categoricamente, dice che vuole aspettare finchè non si sarà ripresa per scusarsi con lei di persona»

«Ma è impazzito? » quasi urlò fuori di sé Toshi. Kei si portò l’indice alla bocca facendo segno all’altro di abbassare i toni. Toshi sospirò.

«In ogni caso come avete fatto a portarla qui?»

«A dire il vero… » Kei non fece in tempo a finire la frase che nel pronto soccorso sopraggiunse un altro codice rosso.

I due si fecero da parte e sulla barella si sorpresero di vedere Yukino.

«Credo ci convenga passare la notte qui… abbiamo molte cose di cui parlare credo… ».

 

Shin era seduto al capezzale di quel letto di ospedale. I lunghi capelli corvini della ragazza incorniciavano il suo viso bianco come la prima neve. 

Si sentiva mortificato. Era la prima volta che faceva del male a qualcuno e per di più a una ragazza. Era immerso in quei pensieri tinti di sensi di colpa, quando vide gli occhi della giovane vibrare debolmente. Si accostò a lei per essere certo di non aver visto male. Poi gli stessi si spalancarono improvvisamente. Entrambi i ragazzi rimasero immobili a guardarsi, poi la giovane distolse per un attimo lo sguardo da Shin sembrava avesse notato qualcosa o qualcuno alle spalle del più giovane membro della band. Così Shin si voltò d’istinto anche lui, ma alle sue spalle non c’era che la sua ombra proiettata sulla parete. 

«Va via, ti prego.» Furono le prime parole della giovane. Shin si voltò pensando che quelle parole fossero per lui, ma una volta giratosi verso di lei notò che la ragazza aveva ancora lo sguardo puntato nel vuoto. 

Shin pensò che forse aveva delle allucinazioni dovute al trauma cranico così stava per uscire e chiamare qualche infermiere, ma la ragazza lo trattenne per un polso. 

«Aspetta, non lasciarmi sola…». Shin allora si risedette al suo posto. 

Quella ragazza aveva uno sguardo stanco, triste e impaurito anche se cercava di mascherarlo, ma proprio Shin non capiva di cosa avesse così tanta paura. 

«Va tutto bene?» Le chiese. Finalmente la ragazza si voltò verso di lui sembrava tormentata dai pensieri come se fosse indecisa se dire o meno qualcosa. 

«Acqua. Mi porteresti dell’acqua?». Shin acconsentì uscendo di corsa dalla stanza.

Adesso Seiko era sola. 

O meglio non lo era ma era l’unica persona ancora viva in quella stanza. 

La sagoma fluttuante avvolta in un’aurea blu cobalto si avvicinò a lei. I suoi capelli castani fluttuavano nell’aria come se si trovasse immersa nelle fredde acque del fiume Kuma. 

Seiko cercava di calmare i battiti del suo cuore. Erano anni che non vedeva più spiriti. L’amuleto di sua nonna doveva aver svanito il suo effetto. Era un bracciale che teneva al polso. Provò a cercarlo tastandosi il braccio senza perdere con lo sguardo la sagoma che lenta si avvicinava, ma si accorse di non averlo più. Il panico iniziò a prendere il sopravvento. La sua vita senza di esso sarebbe ritornata ad essere un vero incubo senza giorno ne notte, senza riposo ne serenità. 

La sagoma fluttuante si fermò a pochi centimetri dal suo capezzale. 

Fu allora che parlò. 

«Mi spiace, ma non ho altro modo per avvertire i mie figli. Non voglio spaventarti ne tormentarti.»

Seiko tirò un sospiro di sollievo non sembrava uno spirito malvagio. 

«Tuo figlio è quel ragazzo che è appena uscito, dico bene?». 

La donna acconsentì. 

«E’ in pericolo.»

Seiko corrucciò le sopracciglia. 

«E io cosa dovrei fare?». A quel punto, senza darle risposta, la sagoma svanì. Proprio in quello stesso istante la porta si aprì ed entrò Shin con una bottiglietta di acqua nella mano destra. 

«Ecco, per te» disse porgendogliela. La ragazza senza ringraziarlo l’aprì continuando a guardarlo con aria circospetta come se cercasse qualche risposta nel viso di quel ragazzo gracile e preoccupato davanti ai sé. 

«Qualcosa non va?». Le chiese. 

«Perchè sei rimasto?» Gli chiese dopo aver bevuto un sorso misurato di acqua. 

Shin si massaggiò la nuca reclinando lo sguardo verso il pavimento, «volevo scusarmi. Non era mia intenzione farti del male, ne sono sinceramente dispiaciuto…».

Seiko finalmente si rilassò concedendosi un mezzo sorriso. 

«Non occorreva. Comunque dove ti ho già visto?».

Shin ritornò a guardarla negli occhi. 

«Mi chiamo Shin e sono un membro degli HOP…» non completò la frase che si coprì d’istinto la bocca, maledicendosi per essersi lasciato scappare quella informazione. Era comunque una dipendente al servizio di una rete televisiva. 

«Tranquillo, non creerò problemi ne a te ne agli HOPE. Dopotutto ti sei preso cura di me, avresti potuto lasciarmi lì e invece mi hai portato in ospedale, quindi si può dire che sono in debito con te Shin». Lo stesso sospirò sollevato. 

«Grazie».

La giovane gli sorrise porgendogli la mano destra «il mio nome è Seiko, piacere di conoscerti Shin». 

“Se voglio liberarmi di quello spirito dovrò starti vicino e proteggerti ragazzino… almeno finché non ritroverò quel bracciale”.

Shin ricambiò il gesto stringendole sollevato la mano.

«Il piacere è tutto mio, Seiko».

 
   
 
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