Serie TV > Dr. House - Medical Division
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Autore: Daymy91    07/08/2009    5 recensioni
“Ho sempre creduto di essere un uomo forte. Ho fatto i miei errori… ma son sempre stato capace di superarli e di andare avanti.- l’uomo sorrise amaramente – ma credere, non sempre basta a sfuggire alle paure e alla sofferenza.” ....Storia basata sul finale della 5 stagione di House md!! PUBBLICATO 11° CAPITOLO! =)
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Greg House, James Wilson, Lisa Cuddy | Coppie: Greg House/Lisa Cuddy
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Quinta stagione, Sesta stagione
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Ecco quì un nuovo chap di Inside!^^
Spero possa piacere!
Purtroppo noto che ultimamente con questi ultimi capitoli sto andando un "tantinello" OC! Perdonatemi.
Dal prossimo in poi, dove la storia inizierà ad ambientarsi finalmente al PPTH, spero di riuscire a rientrare dentro i parametri dell' IC. 
Vi lascio questo chap comunque!

Enjoy it!


CHAP 10
Il più solido piacere di questa vita, è il piacere vano delle illusioni.
(Giacomo Leopardi)






Quante volte vi è capitato di sentirvi intrappolati? Estranei dal mondo ma, contemporaneamente, imprigionati in esso?
Questo è ciò che in quel momento fu il suo pensiero.
Una lotta.
Contro tutti.
Contro se stessa.
Lisa Cuddy aprì debolmente gli occhi, attorno a lei solo confusione.
Poi tutto divenne buio, non un suono poteva intaccare quello stato di quiete in cui era caduta.

Un ricordo le attraversò la mente.


Mangi in silenzio ciò che sta nel piatto davanti a te.
Sei lenta nei movimenti, quasi stessi mangiando con sforzo.
Sai che lui ti sta fissando e sai anche che è preoccupato. E questo tu non lo vuoi. Per questo hai accettato di cenare con lui.
“Sono contento che hai accettato di uscire.” ti dice dopo poco, sorridendoti amichevole.
Tu alzi lo sguardo, mostrandogli un sorriso tirato “Si, un po’ di svago mi fa bene. Lavoro troppo.”
Lui annuisce, orgoglioso di sentirtelo dire.
Riabbassi lo sguardo, portando una forchettata di insalata alla bocca.
Hm…non male.
“Lisa… - ecco, lo sapevi. Era inevitabile attendersi l’attacco verso la propria vita privata – Come posso aiutarti? Ti vedo sempre così giù di morale.”
“Lascia stare, per favore.” sussurri, con un tono che va tra il rassegnato e il frustrato.
Eppure, lui non sembra voler cedere.
Ti guarda pensieroso, sospirando un “Non è colpa tua.” che non fa altro che farti innervosire.
“Wilson – prendi il tovagliolo che sta sul tavolo e ti pulisci un po’ le labbra, lo posi nuovamente e torni a guardare il suo volto – House è in un manicomio a causa mia. Ne sono responsabile fino al midollo… non ho bisogno di sentirmi dire che non è così.”
“House è in un manicomio perché la sua mente è impazzita.- ti spiega lui deciso, come per controbattere alla tua offensiva – Le allucinazioni sono dovute a una disfunzione celebrale legata alle quantità di dopamina che il cervello usa per trasmettere i suoi impulsi. Non vedo cosa tu possa aver causato o danneggiato, a meno che non gli hai infilato farmaci alla dopamina dritti in gola mentre dormiva, dubito che tu possa aver scatenato qualcosa.”
Sospiri.
La serata non sembra voler essere delle più leggere.
“Dovresti sapere che secondo l'interpretazione freudiana è comunque noto che a condizionare la produzione di sostanze nel nostro organismo sono le emozioni.” esclami stanca.
Se era una battaglia di conoscenze quella che Wilson voleva, allora aveva trovato la persona sbagliata con cui farla.
Wilson è consapevole di star difendendo una causa persa. Glielo leggi negli occhi.
Eppure, infondo, ti fa piacere che lui si stia adoperando tanto per farti star meglio.
Forse lui non lo sa, ma già ti sta aiutando più di quanto immagina.
“Lisa, voglio solo dire che…”
“Se ti trovi in un deserto, immagini dell’acqua; Se sei morto di fame, immagini del cibo. – gli spieghi con ovvietà, sul tuo viso la stessa espressione di quando tentavi di far non-capire a Wilson che baciare House fosse stata la cosa più bella che ti fosse accaduta nella tua vita - L’uomo non ha mai delle allucinazioni che non rientrino nei suoi desideri. Mai. Ed io ho dato ben troppo da desiderare ad House.”




Una luce, un forte bagliore le accecò la vista di quelle immagini.
Fece una smorfia, andando ad aprire gli occhi, anche se con fatica.
Si era forse addormentata?
Si guardò intorno, era in una macchina. Una cintura la teneva ben salda al sedile mentre di fronte a lei vedeva scorrere veloci le auto che venivano dalla corsia opposta che, ripetutamente, andavano ad illuminarle il volto con i fari accesi.
Era buio attorno a lei.
La testa continuava a pulsarle, mentre un forte senso di nausea le disturbava lo stomaco.
Si mise una mano sulla pancia, facendo una smorfia.
Ora ricordava… aveva bevuto.
“Finalmente ti sei svegliata.- una voce familiare attirò subito la sua attenzione - Ti sto portando a casa.”
Cuddy guardò la cintura con aria confusa “È la mia macchina questa?”
“Direi proprio di si. E non chiedermi come sono riuscito a trovare le chiavi. Non penso ci dormiresti la notte.” disse lui, con un tono di malizia nella voce.
Cuddy si voltò verso sinistra, dove l’uomo era concentrato a guadare.
Focalizzò meglio lo sguardo su di lui, per quanto le era possibile dato il suo stato.
“House?!” sussurrò confusa.
“Si. Capisco che avresti preferito un bel macho-man … ma per tua sfortuna sono sempre io.”
Quella frase sembrò averla scossa alquanto. Si voltò nuovamente verso di lui, confusa, la fronte corrugata in un espressione dubbiosa.
Finalmente, da quando House era con lei quella sera, ebbe il coraggio di guardare il suo volto per più di un breve istante.
Lo vide serio in viso, concentrato com’era alla guida.
Si soffermò un po’ di più sul suo profilo.
Improvvisamente la dottoressa mostrò un debole sorriso, anche se marcato da un misto di tristezza e dolcezza.
“Non è vero. Sono contenta che tu sia qui con me.” sussurrò Cuddy, inclinando leggermente il capo.
Era vero.
Qualsiasi cosa egli era, in quel momento, per la sua mente e per lei stessa, di fronte a se aveva solamente lui. Gregory House.
Il diagnosta sussultò, voltandosi a guadare il suo viso.
“Mi fa piacere.- si limitò a dire, concentrando poi la sua attenzione in una curva ben piazzata ed evitando di far trasparire la confusione che in quel momento l’aveva assalito – anche se avrei preferito sentirmelo dire da una Cuddy un po’ meno ubriaca.”
Il tono di House sembrò quasi infastidito.
Lisa continuò a sorridere, chiudendo gli occhi nel tentativo di cercare un po’ di pace “È un buon modo, sai?”
“Ah, si. Questo sempre.” la schernì lui, cercando di capire di cosa in realtà ella stesse parlando. Effettivamente tentare di decodificare i discorsi di Lisa Cuddy ubriaca era proprio una bella sfida!
“Mi aiuta a dimenticare. – la dottoressa aveva lo sguardo rivolto vero il finestrino adesso – e a sopportare.”
“Se continui così non farai altro che rovinarti la vita. E dato che tu non sopporteresti una vita rovinata, impazzirai e basta.” House non riusciva a capire con quale sentimento aveva detto quelle parole. Voleva forse offenderla o darle dei consigli?
Era frastornato, confuso. E questo non gli piaceva affatto.
“Almeno, avrei una scusa per andare a trovarti.” sussurrò Cuddy con una smorfia, in un misto di vergogna e rassegnazione.
“Oh ma su questo non devi farti problemi. Non c’è bisogno di impazzire per farmi una visita. – la provocò House, quasi volesse rimproverarla. Ovviamente l’opzione, arrivati a quel punto, era offenderla – Puoi passare quando vuoi. Se poi vuoi essere ricoverata, basta che fai una delle tue tante scenate isteriche e sta certa che in regalo ti danno pure una camicia di forza.”
Cuddy rise di gusto, squotendo di tanto in tanto il capo.
House la guardò con la coda dell’occhio, dubbioso se prenderla veramente sul serio. Insomma… era ubriaca, no? Rideva sola!
“Alle volte immagino di entrare in quella clinica – adesso Cuddy aveva smesso di ridere e si era voltata verso di lui, sul suo volto uno triste sorriso – Eppure, per quanto bella può essere un’immaginazione, ti vedo sempre più triste. Mi guardi… ed ho quasi paura.- fece una pausa, chinando il capo con fare assente – So che cel’hai con me.”
House rimase in silenzio.
Poteva sentire il suo respiro diventare pesante, poteva immaginare il suo petto sollevarsi ed abbassarsi al ritmo di quei respiri.
Eppure, contro ogni sua logica, non riusciva affatto ad immaginare l’espressione del suo viso.
La macchina era buia nel suo interno. Un buio che non gli permetteva di capire quanto serio potesse essere quel discorso.
Eppure, lo sapeva benissimo, lo era fin troppo.
“Mi manchi House.”
L’auto si fermò.
Attorno a loro il silenzio della notte che, di tanto in tanto, lasciava udire il debole canto dei grilli.
Erano giunti a destinazione, erano a casa di Cuddy. Adesso, l’ultimo passo era portarla in casa e chiamare un taxy per farsi venire a prendere.
Niente di più facile.
Nessun dialogo. Niente risposte.
Questo era quel che doveva fare per evitare il danno.
Ignorarla.
Eppure, non ne fu capace.
Rimase col capo chino a fissare il volante per qualche istante, poi schioccò le labbra rivolgendosi verso di lei.
“Non è vero – esclamò House con tono duro – è bello rinfacciarmi che ti manco, ma non tanto quanto per me lo è rinfacciarti che è tutta una stupida idea che ti sei messa in testa. Se veramente credessi in ciò che stai dicendo, ti daresti una svegliata e andresti alla clinica Myfield. Eppure per una persona come te quello non è il posto più adatto… non è così? – fece una pausa, inumidendosi le labbra – Non te ne faccio una colpa Cuddy. Tu sei solo il mio capo. Ma non venirmi a dire che ti manco.”
Uscì dall’auto, senza nemmeno darle il tempo o l’occasione di ribattere. Non voleva ascoltarla.
D’altra parte, Cuddy assorbì quelle parole come una spugna assorbe l’acqua. Sapeva di meritarsele.
Rimase in silenzio, guardando la figura del diagnosta passare davanti l’auto e venirle ad aprire lo sportello.
Si voltò a guardarlo.
Sul volto di House uno sguardo duro, stanco.
Stanco di ritrovarsi sempre in situazioni ingestibili con lei. Stanco di non riuscire mai ad evitarle… perché, in fondo, era lui il primo che se le cercava. E lo sapeva.
“Andiamo.” disse pacato, allungandole la mano.
Lisa la strinse, guardandolo dritto negli occhi.
E fu in quel momento che si sentì, per la prima volta, quasi intimidita da quell’uomo.
House l’aiutò ad uscire dall’auto e, anche se con fatica, la sorresse fino all’uscio di casa.
Non una parola c’era stata tra i due in quei momenti. Non un accenno a nulla.
Entrambi, adesso, erano coscienti del loro ruolo.
Ciò che doveva esser detto, era stato detto.

Arrivati alla porta, House guardò Cuddy tentennante. Poi, vedendola piuttosto imbarazzata da quel momento, con un sospiro, decise di evitare un altro dialogo. Anche se in quel momento la cosa che doveva chiederle era semplicemente di dargli la chiave di casa.
Tolse il braccio di Cuddy dal proprio collo, chinandosi verso un vaso ai lati della porta.
L’alzò, scoprendo il nascondiglio di una piccola chiave.
Sorrise.
In fin dei conti, Lisa Cuddy era sempre stata piuttosto prevedibile.
Fino ad allora almeno.
Aprì la porta, lasciando che lei entrasse dentro.
Cuddy entrò in casa debolmente. In quei momenti, vedeva tutto intorno a se girare vorticosamente. La prima cosa che avrebbe voluto fare era andare a controllare la bambina e mettersi poi a letto. Eppure, nonostante tutto, non ce la fece.
Entrò in corridoio, appoggiandosi alla parete e rivolgendosi nuovamente ad House.
Non voleva parlargli. Non voleva ribattere niente… perché tutt’ora continuava a vedere la tristezza nel suo volto. E tutt’ora continuava a temerla.
Eppure, non riusciva nemmeno a desiderare che sparisse.
Avrebbe passato l’intera notte lì con lui… se solo avesse potuto.
“Mi dispiace.” la sua voce si levò in un sussurro, rimbombando come non mai tra i loro sguardi.
House rimase immobile davanti a lei, senza riuscire però a dir nulla.
La fissava, confuso.
“Wilson continuava a dirmi che tu stavi bene. Ed io volevo crederci.- continuò Cuddy, abbassando lo sguardo nel tentativo di frenare le lacrime che pulsavano prepotentemente – Diceva… che non dovevo andare. Che stavi bene, che andava tutto a posto.”
La fronte di House si corrugò in un espressione attonita, muovendosi di qualche passo verso di lei “Cosa diceva Wilson?!”
Cuddy lo ignorò, chinando il capo e ponendosi una mano sulla fronte.
Sorrise tristemente.
“Sono una stupida… è tutta colpa mia. Se non fosse stato per me, tu adesso saresti ancora a Princeton Teaching Hospital a litigare con le infermiere, a rompere macchinari, a salvare delle vite... e a rompermi le scatole. Cielo, quanto pagherei per poter riavere tutto questo!”
Il diagnosta voltò lo sguardo verso una parete, piuttosto spoglia rispetto alle altre.
Ci fu silenzio in quel momento.
House capì che Cuddy era a conoscenza di cose che non avrebbe dovuto sapere… e che, qualsiasi cosa era successo, Wilson ne era il diretto responsabile.
Fu colto da una forte e prepotente rabbia. Gli venne subito il bisogno di scagliare un pugno contro qualcosa, contro un certo oncologo magari.
Serrò la mano sopra il manico del bastone, facendo sbiancare le nocche per la troppa forza.
Si voltò, intento ad uscire da quella porta.
Se c’era una cosa che aveva imparato da tutto quello che gli era accaduto in quei mesi, quella era imparare a controllarsi. E adesso, per riuscirci, doveva necessariamente uscire da quella casa.
Cuddy alzò subito lo sguardo, sentendo il rumore dei suoi passi.
Guardò le sue spalle allontanarsi con tristezza. Si chiese cosa diamine la stava spingendo a rimanere lì immobile, senza muovere un muscolo.
Era solo un’allucinazione dopo tutto.
Se se ne andava, tutto sarebbe passato.
Bastava non fermarlo.

L’uomo non ha mai delle allucinazioni che non rientrino nei suoi desideri.

“House!”
No, non sarebbe mai riuscita a non fermarlo.
L’uomo si bloccò, poggiando la mano sulla porta ancora aperta e rimanendo voltato di spalle.
“Rimani con me, ti prego.”
Un sospiro si levò, mentre la testa del diagnosta andava inclinandosi nel tentativo di guardare la figura della dottoressa alle sue spalle.
Tentennò.
No.
Strinse la presa della porta, tornando a guardare il giardino di fronte a se.
“Mi dispiace. – sussurrò, chiudendosi la porta alle spalle – Ormai ho smesso di giocare.”





To be continued…
  
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