Anime & Manga > Haikyu!!
Segui la storia  |       
Autore: l y r a _    28/03/2020    3 recensioni
Il secondo anno di liceo di Tooru Oikawa è un gran macello. Lo dice Hajime Iwaizumi, il suo migliore amico da una vita, e precisa che lo sarebbe stato un po’ meno se non avessero incontrato Sakurai e subìto tutte le sue complicazioni patologiche.
Il primo anno di liceo di Megumi Sakurai è un fallimento annunciato e lei è arrogante, ambiziosa e ha scrupoli quanti gli spiccioli nel suo portafogli: nessuno. Lo dice tutta Sendai ed è tutta la verità.
-
[Oikawa/OC | UshiShira | Accenni OC/Ushijima | Perpetrato reato di canon/OC ]
Genere: Generale, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Kenjiro Shirabu, Nuovo personaggio, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 11

Comfort Zone

Dopo ben diciotto minuti di attesa, il limite di pazienza di Megumi era già stato abbondantemente oltrepassato. In realtà s’era ravveduta già al terzo minuto e al quinto studente dell’Aoba Johsai che aveva scoccato uno sguardo diffidente alle rifiniture viola della sua giacca scolastica. Non ignorava, chiaramente, la rivalità sportiva fra le due scuole e lei stessa aveva potuto assistere dagli spalti agli accadimenti più assurdi ed a litigi al limite fra civiltà e bestialità, qualche volta anche a qualche bella scazzottata, come quella da cui Tendou era uscito vincitore l’anno prima dopo il torneo primaverile. Eppure non si aspettava affatto che a qualcuno potesse importare qualcosa della scuola a cui era iscritta, fuori dai palazzetti e dalle competizioni ufficiali. Il fatto era che il disappunto non le era stato dimostrato da un solo studente randagio e arrabbiato, ma era stata fulminata dalla maggior parte di quelli che le erano sfilati davanti tornando a casa. Come se lei avesse personalmente fatto qualcosa per garantire il successo sportivo dei propri compagni di scuola.
«Si procurassero giocatori migliori, se tanto ci tengono…» sibilò fra sé e sé, innervosita all’ennesima occhiataccia.
Aveva problemi ben peggiori da affrontare che l’antagonismo becero fra due istituti privati, perciò picchiettò furiosamente con i pollici sullo schermo del suo cellulare: se Oikawa non si fosse presentato entro i seguenti due minuti, se ne sarebbe andata senza esitazione. Non si capacitava nemmeno del perché si fosse scoperta disposta ad incontrarlo dopo la fine delle lezioni, e si rimproverava di non aver riflettuto un attimo di più prima di aprir bocca.
«Perché, sotto sotto, ti piace!» aveva concluso Kaori quella mattina, e Megumi avrebbe preferito che la nuova amica tenesse le proprie considerazioni per sé, perché erano del tutto fuori luogo: Mikoto s’era messa a sghignazzare con la faccia di una che la sa lunga, mentre Risu si era semplicemente ed inspiegabilmente imbronciata. Le piaceva pensare che lo avesse fatto perché era dalla sua parte.
«Ferma così…» trillò una voce fastidiosamente conosciuta. Prima che Megumi avesse il tempo di replicare qualsiasi cosa, con un bip irritante quanto il suo proprietario, il cellulare di Oikawa le aveva già rubato una foto a tradimento.
Digrignò i denti innervosita e s’impose di contare fino a dieci prima di prenderlo a calci nel sedere. Davvero, si poteva essere più seccanti di così? In base a quale oscuro criterio l’intuito di Kaori le aveva suggerito che Megumi potesse essere attratta da un individuo così esasperante? Sapeva perfettamente di essere facilmente prona a reazioni aggressive, ma quello lì avrebbe reso violento anche il più mite dei santi!
«Cancella immediatamente la foto!» protestò cercando di sfilargli il telefono dalla mano.
«Assolutamente no!» replicò il ragazzo opponendo resistenza «Sei venuta troppo bene, vuoi vedere?»
«No! Voglio solo che la cancelli!»
«Te ne mando una mia per compensare!» propose come se l’offerta fosse realmente vantaggiosa, il che infastidì Megumi ancora di più.
«Mi spieghi cosa dovrei farmene? Cancellala e falla finita!»
«Ti mando un selfie al giorno! Decidi tu come!» offrì, forse veramente convinto di farle cosa gradita.
«Ma sei scemo o cosa? Non ne voglio, di tue foto sul mio telefono! Piantala di fare il maniaco e cancella come ti ho detto, prima che perda la pazienza e ti prenda a schiaffi!»
Al fallimento dei suoi tentativi di negoziato (in cui sembrava aver creduto sinceramente), Oikawa parve rassegnarsi. Increspò le labbra in un broncio triste e si arrese.
«E va bene, Gumi-chan. Ma sei davvero cattiva, cattivissima, praticamente perfida. Io ho fatto tanto per te, potresti anche essermi grata per una volta. Ma se tu vuoi che la cancelli, allora lo farò. E se ti dà così tanta noia, non mi farò neanche più sentire.»
Il cuore di Megumi compì una capriola, o un triplo salto mortale, o comunque una qualche acrobazia rischiosa del tutto inadeguata al contesto. Qualcosa di simile ad un formicolio freddo le pizzicò la schiena e suo malgrado si ritrovò a controbattere, senza poter controllare le parole che le sfuggivano di bocca. Solo che quella faccia di bronzo, con quell’espressione infantile di rammarico, la angustiava profondamente.
«Nessuno ti ha chiesto di non farti sentire più!» farfugliò allarmata «D’accordo, tienila pure!»
All’istante, Oikawa tornò a rivolgerle il suo sorriso indisponente, stavolta particolarmente soddisfatto, e la ragazza comprese di essere stata astutamente raggirata con uno dei peggiori piani B di cui avesse memoria. L’ultima volta che se n’era servita lei aveva otto anni ed aveva appena rotto la finestra della signora Sasaki con un bagher molto penoso. Senza ulteriore voglia di lottare, si risolse ad accontentarlo e a lasciar cadere la questione, anche se non voleva in nessun modo sapere che uso avrebbe fatto della sua foto. Se non altro, l’intera faccenda lo aveva messo di buonumore.
Solo allora, quando la sua collera fu stemperata, Megumi si prese la libertà di guardarlo meglio. L’uniforme scolastica addosso a lui sembrava un completo realizzato su misura da un sarto esperto, oltre che un perfetto esempio di come si dovesse indossare una divisa. Portava del profumo che non aveva mai sentito, una fragranza fresca e piacevole, che Megumi avrebbe volentieri annusato tutto il giorno.
«Che fine hanno fatto le stampelle?» gli domandò appena se ne rese conto.
«Nel garage di casa, da tre giorni.» annunciò allegro «Per il dottore è giunto il momento che io cammini di nuovo da solo. Zoppico ancora, ma gli altri dicono che si vede poco.»
«Solo se ci fai caso.» gli garantì, sollevata che stesse meglio. «Adesso però non combinarne nessuna delle tue, non sforzarti e prenditi tutto il tempo che ti serve.»
Il sorriso allegro di poco prima si spense, riducendosi al solo spettro amaro di quello che era stato pochi istanti prima.
«Ma non c’è tempo, Gumi-chan. Il campionato è vicino.»
«Che male c’è se non lo giochi? Ti siedi in panchina e fai un regalo alla tua riserva e al tuo ginocchio.»
«Certo, perché no? Magari mi porto un plaid, un mazzo di carte e mi faccio un bel solitario!» ironizzò lui per niente felice del suggerimento.
«Tu in panchina non ci sai proprio stare, non è così?»
«Da quale pulpito…»
«Sai, il mio caso era molto diverso. E comunque, col senno di poi, non lo trovo più così insopportabile. Se poi fosse a causa di un infortunio, non me la prenderei più di tanto.»
«Il regalo lo farò solamente agli avversari, standomene lì.»
Megumi gonfiò le guance d’indignazione. «Ma che bravo capitano! Se i tuoi compagni sentissero quanto poca stima di loro hai, ne sarebbero devastati. Pensi che non siano in grado di vincere senza di te? Quanta presunzione! Spero che ti diano una bella lezione!»
Oikawa tornò a sorridere, questa volta in maniera diversa, più dolce.
«Poi mi chiedono perché mi piaci.» commentò «Ti bacerei, quando dici queste cose.»
Megumi arrossì troppo rispetto a quanto volesse, perciò gli diede una spallata di protesta, leggera, innocua, senza alcun intento di fargli male.
«E comunque dove stiamo andando?» domandò ansiosa di cambiare discorso.
«Il tuo gelato mochi, non ricordi?»
«Sono due.»
«Caspita, ricordi eccome le cose che t’interessano!»
«Per compensare quanto ti sei fatto attendere fuori dalla tua scuola, merito un rifornimento a vita.» puntualizzò ancora indignata «Davvero, cosa avete che non va? Quasi tutti quelli che mi sono passati davanti mi hanno fulminata con lo sguardo, quasi fossi un nemico pubblico. Non è educato giudicare una persona solo perché è iscritto ad una scuola oggettivamente migliore della propria.»
«Oggettivamente migliore? Non c’è proprio nulla di oggettivo.»
«Certo che c’è: non esiste una scuola migliore in tutta la prefettura. Ma chi non vive l’Accademia non può capire l’Accademia.»
«Ho sempre sospettato che lì dentro vi facciano il lavaggio del cervello, comincio ad averne delle prove. Imparate a memoria il dépliant dell’orientamento il primo giorno di scuola insieme all’inno?»
«Che simpatico!» commentò Megumi con sarcasmo «Ci sarà un motivo se ammettono solo le eccellenze, ci hai mai pensato?»
«La categoria delle eccellenze comprende anche i pervertiti che vengono assunti come coach?»
«Sei proprio uno stronzo.» borbottò risentita «Tante grazie per la sensibilità.»
Consapevole di essersi lasciato trascinare un po’ troppo dalla foga del discorso, Oikawa si chiuse in un silenzio nervoso. Megumi non era poi così offesa come lui credeva: lo conosceva ormai abbastanza da sapere che non aveva tirato in ballo Hattori con l’intenzione di lanciarle una frecciatina, ma per ripicca e con un pizzico di sadismo preferì lasciare che crogiolasse ancora qualche minuto nel proprio brodo.
Per uno che aveva lasciato le stampelle a malapena da tre giorni, camminava piuttosto bene. A guardarlo con maggiore attenzione però, ci si poteva render conto dell’irregolarità con cui zoppicava: compiva con la gamba destra passi molto più brevi e rapidi di quanto facesse con quella sinistra. Per un solo provvidenziale momento, le balenò l’idea di aiutarlo prendendolo a braccetto, poi se la scrollò bruscamente di dosso come avrebbe fatto con un insetto sul naso.
Percorsero fino in fondo la strada che correva parallela lungo la facciata anteriore della scuola, poi svoltarono a sinistra, costeggiando il fiume. Il tappeto di foglie secche crepitava sotto i loro piedi ed un venticello docile ma freddo faceva ondeggiare il bucato che una donna stava stendendo sulla sua terrazza. Megumi ne incrociò lo sguardo e quella le sorrise complice, peccato che avesse frainteso la loro passeggiata per un appuntamento romantico. Girarono ancora una volta e Megumi fu attratta da un fenomeno piuttosto fuori dal comune.
Sull’altro marciapiede un piccolo angolo di primavera doveva essere rimasto imprigionato a causa di qualche sortilegio sotto il gazebo di una piccola pasticceria di quartiere: fiori colorati e freschi prosperavano infatti tutt’intorno il perimetro, come solo una magia oscura avrebbe potuto permettere. Si domandò istintivamente se Wakatoshi sarebbe stato in grado di spiegarle l’arcano dietro quella fioritura innaturale, o se ne sarebbe rimasto affascinato come lei. Il posto sembrava delizioso, arredato secondo un gusto elegante e curato, dalle sedie intricate di ghirigori in ferro battuto ai lucidi tavolini di marmo rosa.
«Siamo arrivati.» affermò Oikawa quando ebbero attraversato la strada. Il suo tono era titubante, segno che era ancora mortificato per ciò che si erano detti prima. Le dispiacque di essere stata così severa, ma era troppo tardi per scusarsi a parole, perciò si limitò a seguirlo oltre le porte scorrevoli.
«Che posticino carino!» osservò sbalordita ammirando le distese di leccornie di ogni tipo esposte sotto il vetro lucido del bancone. Se avesse avuto soldi da spendere – il listino prezzi non era clemente come avrebbe desiderato – sarebbe passata da lì ogni giorno per assaggiare qualcosa di nuovo, dai cupcake colorati alla spettacolare torta a tre piani in bella vista accanto alla vetrina.
Doveva sembrare una bambina, così presa ad ammirare i dolci, perché Oikawa iniziò a ridere.
«Lo dici perché ti piacciono le cose carine o perché ti piacciono i dolci?»
«Non possono piacermi entrambi?» replicò con innocenza.
«Quindi sei anche una ragazza a cui piacciono le cose carine, questo non lo sapevo.» concluse il ragazzo strizzandole l’occhio. Ma Megumi era troppo presa per notare altro.
«Quello è un muro di caramelle gommose? E lì c’è una fontana di cioccolato?»
«Andiamo a sederci, dai.» la invitò indicandole un tavolo non molto lontano «Qui fanno i mochi più buoni del mondo, parola mia! Puoi anche chiedere di metterli sotto la fontana di cioccolato.»
«La signorina Kato mi ucciderà per questo, ma è un sacrificio che vale la pena compiere.»
Così, a dispetto della dieta iperproteica che Kato le aveva consigliato per riprendere massa muscolare, si ritrovò ben presto a leccarsi la cioccolata dalle mani appiccicaticce. Oikawa, d’altro canto, rimaneva ineccepibile perfino nel modo di mangiare, servendosi della forchetta di cui Megumi aveva perfino dimenticato l’esistenza.
«Sei tutta sporca di cioccolato sul viso!» commentò divertito, appoggiando i gomiti sul tavolo e il mento fra le mani.
«Davvero? Dove?» domandò allarmata cercando il tovagliolo, peraltro già sporchissimo quanto le sue mani. «Qui?» tentò indicando un punto sul mento.
«No, è più su… a destra.»
«Qui?»
«Aspetta» disse, prima di sporgersi un po’ in avanti e sfilarle il tovagliolo dalla mano. Strofinò delicatamente un punto appena più in su dell’angolo delle labbra.
Che poi Oikawa era davvero un bel ragazzo, non c’era da biasimare nessuna delle sue ammiratrici starnazzanti. Così da vicino, riuscì a notare per la prima volta dei particolari a cui non aveva mai potuto o voluto far caso: la sua pelle era candida e molto più liscia di quanto Megumi fosse mai riuscita a rendere la propria, le ciglia lunghe erano folte ed incurvate come quelle di una ragazza, il suo colore di occhi era un marrone profondo, il naso sottile non presentava alcuna traccia di imperfezione, e sarebbe stata pronta a giurare che le sue labbra carnose e rosee sarebbero risultate calde e morbide da…
Stupida, stupida, Kaori! Inveì interiormente, ritraendosi con un sussulto improvviso dal suo tocco e serrando gli occhi. Di certo il suo discorso doveva averla influenzata, ma non poteva lasciarsi suggestionare dalle sue intuizioni, soprattutto se erano lontanissime dalla realtà dei fatti.
«Fatto!» annunciò soddisfatto restituendole il tovagliolo, che la ragazza accettò dopo qualche attimo di esitazione. Dopo si rilassò nuovamente sullo schienale della propria sedia, con grande sollievo di Megumi «Adesso va molto meglio.»
Per Megumi non andava esattamente tutto bene: per qualche motivo aveva la testa sottosopra, come se dentro ci fosse esplosa una bomba, un evento che non aveva per niente senso: il cuore le batteva fortissimo ed Oikawa continuava a sorriderle dall’altro lato del tavolo, con la sua solita faccia irritante.
«Com’è che conosci un posto così femminile?» domandò allora, con l’urgente necessità di riempire quel silenzio e focalizzarsi su altro.
«Questa pasticceria è la preferita di Asuka, ci veniamo molto spesso.»
La disinvoltura con cui aveva chiamato in causa il nome di un’altra ragazza servì efficacemente a riscuoterla da quel torpore confuso, per gettarla però nel fuoco più vivo. Davvero, lei non era affatto gelosa – continuava a ribadirselo più come ordine che come rassicurazione – ma portare una ragazza nello stesso luogo in cui se ne sono portate altre, per di più mettendola al corrente del misfatto, non era per niente educato. E, ancora più grave, ci veniamo spesso era molto diverso da ci siamo venuti spesso: frequentava stabilmente un’altra ragazza mentre continuava a sostenere di essere innamorato di lei! Squallido! Un bel ragazzo ma squallido come pochi altri.
Quindi, visto che non era affatto gelosa, sibilò innervosita:
«Chi è Asuka?»
Oikawa cercò di chiarire tutto allarmato, farfugliando a Megumi che aveva capito male, che in realtà Asuka era…
«Non m’importa.» lo zittì lei, senza neanche sapersi spiegare perché si sentisse così tradita «Sono soltanto una tua amica e non m’interessano le ragazze con cui te la fai!»
«Gumi-chan!» protestò lui sconcertato «Asuka non potrebbe mai essere una ragazza con cui…»
«Non voglio saperlo, va bene?» concluse stizzita, rimettendosi in piedi «Sono fatti tuoi. Vado a casa, così tu puoi andare dalla tua Asuka.»
Aveva sbagliato ad accettare di incontrarlo, si stava soltanto lasciando prendere in giro e se non si fosse fermata subito, probabilmente alla fine sarebbe stata troppo coinvolta e le si sarebbe spezzato presto il cuore.
Oikawa scattò in piedi per fermarla, ma il suo ginocchio non fu affatto clemente con lui, perciò fu costretto a lasciarsi nuovamente cadere sulla sedia di ferro battuto.
«Gumi-chan

~

Lo stato d’animo di Kaori non era affatto più invidiabile. Aveva passato la giornata a mangiarsi le pellicine delle unghie, riducendo le proprie mani all’impresentabilità totale, tanto che Mikoto si era lasciata sfuggire un commento affatto gentile a cui l’interessata però non aveva prestato minimamente attenzione. Non riusciva a smettere di pensare, nemmeno un secondo, al dilemma sollevato dalla signorina Kato.
«Non è facile cambiare ruolo. Ma forse a qualcuna di voi potrebbe stare stretto quello che ha adesso, specialmente fra le riserve» aveva detto.
E a Kaori stava stretto? Sì, come il paio di jeans acquistato mentre era in balia della follia cieca dei saldi e rimasto a prendere polvere nell’armadio di camera sua, indossato appena due volte perché di una taglia troppo piccola. Il punto era che non sapeva se avesse abbastanza fegato di provare qualcosa di così diverso dal solito.
«Anche se non vi sentite pratiche, ci lavoreremo insieme finché non prenderemo dimestichezza
Eppure l’idea le piaceva da morire: forse aveva atteso l’occasione per tutto il tempo, e di ogni match che aveva visto in tv aveva sempre ammirato il gioco d’astuzia delle palleggiatrici. Aveva perso il conto di tutte le volte in cui, guardando Kurihara dalla panchina, aveva mentalmente corretto le sue decisioni avventate. Ma le alzatrici erano svelte con la mente e con le gambe, Kaori era svelta solo con il cibo e i compiti a casa.
«Hai un problema.» giudicò Kawanishi appoggiandosi al banco accanto a lei.
Kaori annuì, sospirando appena. «Si vede tanto?» aggiunse.
«Abbastanza» rispose lui sollevando le spalle «Cosa è successo? Hai paura di aver preso un punteggio basso al compito di inglese?»
«No, quello… è una A, ne sono sicura. Non ho sbagliato nemmeno una domanda.»
«E quindi cosa preoccupa la sempre raggiante Kaori Nonaka? Qualcuno ti ha offesa?»
«No!» si affrettò a rispondere «Ci vuole un bell’impegno per riuscirci, ai commenti sgarbati sul mio peso ci sono abituata.»
«E non è affatto giusto, vai bene così come sei.»
«Grazie, ma non ne sono più tanto sicura.» spiegò con un sorriso amaro «Kawanishi-kun, io stavo pensando di cambiare ruolo. Nella squadra, voglio dire.»
«E cosa vorresti fare?
«La palleggiatrice.» ammise dopo aver preso un respiro profondo «Toccherei in un solo set la palla più di quanto abbia fatto per tutta la mia vita. Per essere onesta: vivo in panchina. A scuola ci sono entrata solo per i voti, se avessi dovuto essere valutata solo sulla base delle mie doti sportive, a quest’ora sarei altrove.»
Kawanishi non parve affatto prenderla con il suo stesso pessimismo.
«Forse sei sempre stata in panchina perché giocavi in un ruolo che non era adatto a te.»
«Se fosse stato così, non me ne sarei dovuta accorgere molto tempo fa?»
«Non c’è un momento preciso, per come la vedo io. Hai un buon palleggio e sei sveglia, può bastare per iniziare. Forse è un proposito ambizioso, ma ti si addice.»
«Vorrei pensarla come te.» confessò insicura «Non voglio deludere nessuna. E se poi non fossi brava abbastanza?»
«Come fai a saperlo se rimani nella tua comfort zone? Troppo semplice fare così. Se ti è venuto in mente di cambiare, significa che tu intendi cambiare.»
Kaori si guardò le dita massacrate dal nervosismo, quando si accorse che Kawanishi stesse facendo lo stesso, strinse i pugni imbarazzata e nascose le mani dietro la schiena. Il compagno di classe avvicinò la sedia del banco vicino e si sedette accanto a lei.
«Be’, non puoi continuare così.» disse sollevando le spalle «Ne hai parlato con qualcun altro?»
Scosse il capo. «Solo con te.» Inspirò profondamente, poi domandò in fretta: «Tu credi davvero quello che hai detto prima? Che mi si addica?»
«Certo che sì.» le garantì con un sorriso incoraggiante «Sei la ragazza più intelligente che conosca, ed impari tutto in fretta. Sei brava ad osservare gli altri e a comprenderli, e sono del parere che potresti usare il tuo talento per un fine migliore del pettegolezzo.»
«Non sono pettegola, Kawanishi-kun, è che mi piace sapere tutto di tutti.»
«Bene, potresti ficcanasare un po’ più oltre la rete e diventare una brava palleggiatrice. Ma se non ci provi, la panchina esaurirà ben presto i suoi spunti creativi.»
Kawanishi sembrava realmente convinto di quanto dichiarava: raramente lo aveva visto tanto preso da qualcosa, in genere trascorreva la maggior parte del tempo ad annuire ai discorsi degli altri senza nemmeno disturbarsi di simulare interesse. I suoi occhi tradivano sempre che la sua testa fosse da tutt’altra parte rispetto al resto del corpo. Secondo Kaori, era un sognatore sotto copertura: la quotidianità doveva risultargli asfissiante, così come le chiacchiere irrilevanti dei suoi compagni, e dunque aveva messo a punto una strategia che gli permettesse di astrarsi di tanto in tanto dalla realtà. I rari momenti in cui mente e corpo condividevano lo stesso spazio, richiedevano che lui fosse coinvolto direttamente, come quando giocava, anche se una volta Kaori lo aveva visto distrarsi e murare praticamente con la faccia. Questa volta, invece, nonostante la questione non lo riguardasse affatto, era più che mai concentrato e presente.
«Se vuoi un mio consiglio, dovresti andare dalla signorina Kato e proporti. Lei certamente saprà cosa fare e t’insegnerà tutto quello che c’è da sapere. Tu imparerai come hai imparato tutte le cose che sai fare. Voglio dire, se uno Shirabu spuntato dal nulla può fare le scarpe a Semi ed essere palleggiatore, puoi diventarlo anche tu.»
Kaori non voleva far le scarpe a nessuno, né tantomeno a Kurihara: innanzitutto le lamentele della nipote del preside sarebbero state insopportabili e l’ultima cosa che desiderava era che andasse a pestare i piedi sul pavimento dell’ufficio di suo nonno. E poi non le era mai piaciuta la competizione, era mansueta come un agnellino e prontamente finiva divorata dal lupo.
«Kurihara mi odierà.»
«Esiste la possibilità, ma a te cosa importa? È certo che vi serve una seconda palleggiatrice, se lei dovesse farsi male e non potesse giocare cosa fareste? Sconfitta a tavolino?»
«Forse lei preferirebbe così.»
«Sei troppo buona, Nonaka.» commentò il ragazzo scuotendo il capo «Ma non è un difetto!» precisò rapidamente «Solo che ci sono tante persone che non lo meritano.»
«Sono solo troppo pigra per litigare con qualcuno.» spiegò lei restituendogli un sorriso «Sai, tenere il broncio è faticoso, ed anche preoccuparsi che qualcuno sia arrabbiato con te è una bella seccatura.»
«Non puoi evitare tutti i conflitti del mondo!»
«Posso provarci, però.»
«Allora, se tu non troverai il coraggio di andare da Kato, io mi arrabbierò davvero tanto con te.»
Kaori non voleva discutere con Kawanishi, era uno dei pochi ragazzi che le rivolgevano la parola ed aveva sempre qualcosa di straordinariamente interessante da dire. Non le andava proprio di perderlo solo per aver condiviso con lui le proprie perplessità. Glielo fece notare.
«Giusto, quindi dovrai scegliere se metterti contro me oppure Kurihara.» replicò lui.
«Dai, non è da te!»
«E tu che ne sai di cosa sia da me?»
«Non è da te impicciarti delle questioni degli altri, a te non importa.»
«È vero, non mi importa degli altri. Però tu non sei una di loro, sei mia amica.» ammise mentre il suono della campanella interrompeva la pausa pranzo. Si alzò in piedi e rimise la sedia al suo posto. «Fuori dalla comfort zone, okay?»

~

Per Tooru fu piacevole ritornare dopo tanto tempo alle chiacchiere da spogliatoio, anche se non poteva allenarsi e doveva limitarsi a guardare i suoi compagni prepararsi per un campionato che non avrebbe mai giocato. Aveva preso la consuetudine di raggiungerli negli spogliatoi dopo aver assistito agli allenamenti, per discutere di quanto andasse o meno nella strategia e di come sembrassero le cose viste fuori dal campo. Gumi-chan non aveva torto a credere che ce l’avrebbero fatta anche senza di lui, Iwaizumi e gli altri sapevano il fatto loro. Si sentì inutile, e stupido: stava mettendo a segno una formidabile serie ininterrotta di buchi nell’acqua, in qualsiasi contesto.
«Quando tornerai» suggerì Iwaizumi «dobbiamo provare qualche pipe. Yahaba deve ancora lavorarci molto e non ne stiamo più facendo nessuna, stiamo perdendo l’abitudine.»
«Non ne abbiamo mai fatte tante.» osservò Tooru lanciando stancamente l’asciugamano all’amico «E nemmeno io penso di essere più tanto pratico.»
«Parli così soltanto perché è da tanto che non ti eserciti. Quando avrai concluso la convalescenza ritornerai ad essere il solito iperattivo.»
Era come se fossero passati anni dall’ultima volta che si era esercitato, ed invece era solo poco più di un mese. Il tocco dei polpastrelli sulla palla, lo stridio delle scarpe sul parquet, la puzza di sudore, il dolore al ginocchio… gli sembravano tutte cose lontanissime nel tempo, irraggiungibili.
«Come è andata?» gli domandò allora Iwaizumi quando ebbe finito di tamponarsi energicamente i capelli con l’asciugamano, una pratica barbara che Tooru disapprovava fortemente: un giorno o l’altro li avrebbe persi tutti, se avesse continuato a torturarseli in quel modo.
«Come è andata cosa?»
«Sakurai, ieri pomeriggio.»
«Come sempre, male. Non ho neanche capito bene dove io abbia sbagliato. Ad un certo punto le ho detto che io e Asuka andiamo spesso in quella pasticceria e lei s’è infuriata. Non mi ha lasciato neanche più spiegare, ha frainteso ed è andata via.»
«Asuka?» considerò Iwaizumi perplesso «Ma tu le hai detto che…»
«Te l’ho detto, non mi ha lasciato più parlare! Ha detto che non voleva saperlo e se n’è andata.»
«Allora tu non hai sbagliato proprio niente, è lei che reagisce in modo eccessivo. Ha un carattere di merda, fine della storia.»
Matsukawa si sedette accanto a loro.
«Se posso dire la mia, dovresti guardare il lato positivo: è ovvio che è gelosa.» osservò con una punta di soddisfazione.
«Se io fossi una ragazza, anche io sarei gelosa di Asuka.» osservò Hanamaki, che sembrava non aver più bisogno di accappatoi quando usciva dalla doccia «Voglio dire, Asuka è un gran pezzo di…»
Iwaizumi gli tirò bruscamente addosso l’asciugamano con cui si era asciugato i capelli, prima che l’altro avesse il tempo di concludere la frase.
«Abbi la decenza di coprirti prima di parlare di Asuka!»
«Grazie, Iwa-chan
«Prego!» ringhiò l’amico, come se la questione riguardasse più lui che Tooru.
«Comunque, resta il fatto che Sakurai è gelosa del solo nome di una ragazza.» riprese Matsukawa «Può raccontare quello che le pare, ma questo la dice lunga…»
«Non puoi mandarle un messaggio in cui le spieghi come stanno le cose?» suggerì Hanamaki.
«Oh, me ne ha mandato lei uno cinque minuti dopo avermi lasciato solo: mi ha scritto che, se oso scriverle qualcosa su Asuka, mi bloccherà.»
«È pazza, totalmente fuori di testa!» inveì Iwaizumi sempre più seccato «Soltanto a te poteva interessare un’esaltata del genere! Guarda, se penso a quante altre ragazze normali ti fanno il filo, mi viene voglia di prenderti a schiaffi!»
Tooru non poteva negare che l’amico avesse ragione: di ragazze ne aveva conosciute e frequentate fin troppe, e gli sarebbe bastato il minimo sforzo per ricominciare ad assicurarsi un nuovo appuntamento al giorno, come aveva sempre fatto, ma non gli interessava più. Rimaneva cortese con le sue ammiratrici, accettava di buon grado i loro regali, i loro likes ai suoi selfie, si fermava a chiacchierare con loro, ma non gli importava altro. Né lo stuzzicavano più le belle ragazze che un tempo avrebbe avuto in mano in un batter d’occhio, quelle che tutti si voltavano a guardare mentre ancheggiavano fieramente per strada o nei corridoi della scuola e quelle che si sarebbero spogliate prima ancora che lui avesse il tempo di chiederlo. Da quando aveva conosciuto Megumi, aveva gradualmente perso interesse nei loro riguardi.
«Prendimi a schiaffi, allora.» buttò lì facendo spallucce.
Iwaizumi schioccò la lingua in segno di disapprovazione, ma fortunatamente non accolse la sua coraggiosa esortazione. Restò in silenzio per il resto della conversazione, ascoltando ciò che Hanamaki e Matsukawa consigliavano all’amico senza proferire parola o anche solo annuire.
Fu quella, forse, la prima volta in cui Tooru si rese conto di quanto Megumi non piacesse al suo migliore amico: già dai primi tempi era stato meno entusiasta degli altri riguardo la sua cotta, era sempre stato il meno collaborativo dei tre, quello che lo rimproverava di più.
In auto con suo fratello, di ritorno a casa, le scrisse di nuovo. Evitò accuratamente ogni riferimento ad Asuka o a quanto era accaduto il pomeriggio precedente; d’altro canto anche lei sembrava averlo dimenticato. Le inviò una foto della strada che stavano percorrendo, lei rispose con un’altra della sua scrivania ingombra di libri e quaderni. I suoi compiti d’inglese erano zeppi di errori di ortografia, ma preferì non farglielo notare: era una ragazza normale, in fondo, così diversa da come appariva in superficie.
«Ricordi che avevamo parlato di quel parco divertimenti?
Potremmo andarci, quando sei libera. Anche i miei amici vogliono andarci.
Possiamo organizzare qualcosa tutti insieme.»
~
 
Mai un messaggio di Oikawa aveva reso Megumi tanto felice. Subito essere salita sull’autobus si era resa conto di aver reagito in modo del tutto irragionevole ed infantile, e se l’autista non avesse subito pestato l’acceleratore, sarebbe certamente scesa ed avrebbe percorso tutta la strada all’indietro fino a dove l’aveva lasciato. Dopotutto, quale ragione aveva di essere gelosa di un’altra ragazza che in tutta probabilità Oikawa frequentava? Lo aveva chiarito lei, più di una volta, che erano soltanto due buoni amici e che l’unico ragazzo a cui era interessata era Wakatoshi. Si era comportata come una bambina e per giunta non era nemmeno la prima volta che lo faceva. A quel punto aveva deciso che si sarebbe eclissata, per vergogna, dalla vita di Oikawa e la loro nascente amicizia avrebbe dovuto trovare in quell’episodio la sua battuta d’arresto.
«Hai intenzione di tirare entro la fine dell’allenamento oppure devo trovarmi un’altra compagna?»
«Cosa?» biascicò ritornando coi piedi per terra «Certo, certo, faccio subito. Scusami, Risu.»
Sollevò la palla con la mano sinistra e la colpì con la destra; ne ottenne un servizio di tutto rispetto, ma il libero lo intercettò senza alcuno sforzo e rispedì con precisione il pallone fra le sue mani.
«Non ci siamo!» protestò insoddisfatta «Devi saltare, saltare! Kato non si è raccomandata d’altro!»
«Io non credo di essere in grado di farlo.» spiegò girandosi la palla fra le dita «Ed è imbarazzante provare e fallire davanti a tutti.»
Ripeté il medesimo servizio eseguito poco prima, questa volta con maggiore vigore, ma di nuovo Risu le restituì la palla senza la minima difficoltà.
«Quindi da sola ci hai provato, qualche volta?» le domandò l’amica.
«Con Waka-nii, ha provato ad insegnarmelo. Non che lui sia un ottimo insegnante, ma di certo io non sono un’ottima allieva. Mi sono sentita un’incapace.» confessò.
«Un’allieva che non fa i compiti.» sentenziò Risu «Adesso riprova, e salta!»
Pur riluttante, Megumi si risolse ad accontentare l’amica. Tentò almeno tre volte prima di riuscire a coordinarsi abbastanza da toccare almeno la palla dopo essersi staccata da terra: la prima volta, sferzò semplicemente l’aria stantia della palestra; la seconda, pregando che nessuno stesse assistendo a quel fallimento, incespicò sul parquet, dove il pallone finì penosamente poco dopo; alla terza si ritrovò completamente scoordinata e con la coda dell’occhio vide Kurihara nascondere il sorriso sornione con una mano. Risu, invece attendeva pazientemente, Megumi avrebbe voluto avere un briciolo della fiducia che l’amica nutriva nei suoi confronti. Fu solo per amore suo che, alla quarta volta, con la punta delle dita riuscì a colpire la palla, che scelse una traiettoria arbitraria che come meta aveva la testa della povera Kaori. La signorina Kato recuperò la palla senza batter ciglio e la restituì a Megumi, che si piegò in segno di scusa; la nuova allenatrice le sorrise, Kaori invece scosse una mano per rassicurarla di non essersi fatta male.
«Come vedi, non sono in grado.» concluse spicciola «Se c’è qualcuno che deve riuscirci nel nostro club, mi pare chiaro che non sia io.»
«A ma pare soltanto chiaro che sei di una pigrizia insostenibile.»
«Potresti almeno ammettere che non io non sia in forma come una volta.»
«E tu invece potresti almeno ammettere di non provarci abbastanza.»
«Forse ho altro per la testa, che ne dici?»
«Che dovresti smettere di nasconderti dietro un dito e ricominciare a fare sul serio senza preoccuparti del giudizio degli altri.»
«Sai quello che pensano di me.»
«So quello che tu credi che pensino di te.»
Megumi si passò le dita nei capelli, stanca di battibeccare.
«Va bene, non ne verremo mai fuori. Sarà meglio cambiare partner, andrò a chiedere a Mikoto.»
«Io non voglio Mikoto, sei impazzita?»
«Allora chiederò a Kaori.»
«Kaori è nel bel mezzo di un allenamento speciale, da lei dovresti prendere soltanto spunto. Lei non ha paura di Kurihara.»
«Io non ho paura di Kurihara, è solo che mi mette a disagio. Non fa che guardarmi e sghignazzare, il che non è per niente d’aiuto.»
«Sono fatti suoi: al suo posto invece di fare dell’ironia m’impegnerei prima che Kaori mi soffi il posto. Suppongo che lamentarsi con suo nonno potesse bastare quando c’era Hattori, ma Kato non si lascerà imporre niente da nessuno.»
Kaori si esercitava ormai da una settimana, con ottimi risultati. Certo, i primi giorni erano stati i più difficili, e l’idea di essersi dovuta mettere a dieta non l’aiutava per niente: eppure ogni giorno sembrava sempre più motivata a rendersi utile per le altre. L’aveva vista alzarsi presto ogni mattina e percorrere svariate volte il circuito del cortile dell’Accademia, rinunciare alle sue merendine preferite in favore di barrette energetiche insipide e minuscole e durante gli allenamenti trascorreva quasi tutto il tempo con Kato, che a poco a poco le stava insegnando le basi del ruolo di palleggiatrice. Megumi pensava che l’amica fosse tagliata apposta per il ruolo: era quel genere di persona che sapeva a memoria cosa ognuno dei suoi amici amasse mettere sul gelato, e allo stesso modo ricordava perfettamente che tipo di palleggio ciascuna delle sue compagne si aspettasse. In passato, non avrebbe scommesso su di lei nemmeno un centesimo, adesso scopriva di non aver mai capito nulla di lei.
Fece rimbalzare nuovamente la palla per terra un paio di volte, la lanciò, prese la rincorsa, la colpì, con decisamente troppi centesimi di secondo di ritardo, ma questa volta fu abbastanza fortunata da ottenere un risultato accettabile, anche se privo del vigore necessario a mettere in difficoltà chiunque. Risu, in effetti, ricevette il suo servizio con facilità, tuttavia ne fu soddisfatta.
«Come vedi» le fece notare ora cantilenando l’amica «sei in grado eccome, se vuoi!»
«Macché, solo fortuna! Non ho idea di cosa stessi facendo.»
«Allora ti consiglio di cercare di capirlo al più presto, perché sei sulla strada giusta!»
La signorina Kato doveva essersi silenziosamente avvicinata alle due mentre Megumi era concentrata sulla sua battuta. Per quanto il servizio fosse stato penoso, era entusiasta – forse troppo – dei miglioramenti di Megumi.
«Arisu, posso chiederti di prestarmi Megumi per i minuti d’allenamento che restano? Potresti unirti intanto ad Asami e Kaori, hanno bisogno di qualcuno che difenda.»
Dopo che Risu ebbe diligentemente raggiunto le altre, Kato rivolse a Megumi un largo sorriso. La verità era che erano passate settimane, ma la ragazza non sapeva esattamente come sentirsi quando intorno c’era Kato: la leggenda precedeva sempre il suo nome, eppure manteneva un profilo così basso ed un’attitudine tanto amichevole, che talvolta sembrava difficile distinguerla dalle sue studentesse. Certo, era severa ed autoritaria, ma al contempo non la si sarebbe mai potuta definire inflessibile o poco empatica: la prima domanda che faceva quando si riunivano era se qualcuna si sentisse poco bene, se avesse dolore da qualche parte o fosse preoccupata per qualcosa. Non era raro che raccontasse qualcosa di sé in tutta disinvoltura, al punto che spesso anche le ragazze finivano per aprirsi a loro volta. Insomma, era lì complessivamente da un mese, ma sembrava che la conoscessero da una vita. Con Megumi era sempre particolarmente attenta: non le si rivolgeva mai in modo brusco, né le imponeva troppo la sua presenza; si limitava ad osservarla a debita distanza, occultando quanto poteva il suo sguardo perché non provasse soggezione. Era dunque una sorpresa, che dopo due settimane, la prendesse da parte per parlarle a tu per tu.
«Puoi ricordarmi, Megumi, gli esercizi propedeutici che abbiamo fatto insieme finora per imparare il servizio in salto?»
Megumi aggrottò la fronte, presa alla sprovvista da una richiesta così illogica.
«Ovviamente io so quali esercizi abbiamo fatto» precisò con un sorriso «Voglio accertarmi di quanto ricordi tu.»
Megumi annuì educatamente, prima di iniziare ad elencare:
«Attacco con autoalzata ed ultimo passo da eseguire nel cerchio, poi attacco con autoalzata a distanza crescente dalla rete, battuta in salto su alzata di una compagna.»
«E a cosa servivano?»
«Il primo a familiarizzare con la ricorsa, il secondo a calibrare la forza con cui colpire la palla, il terzo a capire quando saltare.»
«Bravissima! Adesso dobbiamo pian piano mettere insieme quel che abbiamo appreso da questi esercizi, per trovare le distanze giuste. Ma devi tenere a mente che in genere questi esercizi li si fa per tantissimo tempo, e lo faremo anche noi. Il servizio in salto non è una cosa che s’impara dall’oggi al domani, tu sei già ad un ottimo punto, ma non devi chiedere troppo a te stessa. È per questo che ti ho chiesto di provare sempre questo servizio negli allenamenti in coppia, ma di farlo a cuor leggero. Nessuno può biasimarti se sbagli, hai iniziato da pochissimo!»
«Qualcuno lo fa…» mormorò Megumi.
«Non a giusta ragione, chiaramente. Parleremo con Noriko.»
«Parleremo?»
«Certo! Nella mia squadra, se qualcuno ha un problema lo risolve col confronto.»
«Non sono mai stata il tipo da confronto.»
«E che tipo sei?»
«Più quella che alza le mani…»
La signorina Kato rise.
«Lo sono stata anche io!» ammise «Adesso, però, lascia che ti dia dei consigli. Esegui gli ultimi due passi più rapidamente del primo, altrimenti arriverai troppo tardi e sotto la palla. Ricorda che la differenza con lo stacco della schiacciata è che qui non devi neutralizzare la spinta in avanti, ma accoglierla. Cerca di provare il servizio quanto più puoi e anche il terzo esercizio propedeutico, possibilmente con qualcuno di cui non ti vergogneresti ad uscire dalla comfort zone
«Ho provato con Wakatoshi, negli scorsi giorni. Ma non sono stata granché brillante…»
«Megumi, qualcuno a cui senti di non dover dimostrare nulla.» puntualizzò la signorina Kato con tono vagamente malizioso «Perciò, scegli qualcuno di diverso dal ragazzo che ti piace.»
Megumi arrossì.
«D’accordo, signorina. Conosco qualcuno di adatto, un mio compagno di classe» la rassicurò, certa che Kenjiro non si sarebbe rifiutato di aiutarla ancora una volta «ho già perso la dignità davanti a lui commettendo errori di calcolo ridicoli, penso di non temere più nulla.»

~

Il giorno Megumi si era diretta al liceo Aoba Johsai, questa volta col capo cosparso di cenere. Oikawa le aveva scritto per tutto il pomeriggio precedente sforzandosi di evitare l’argomento e di comportarsi come se non fosse accaduto niente, ma lei continuava ad essere divorata dai sensi di colpa. Era stata sgarbata con una persona che invece era stata tanto gentile da offrirle di dolci in una pasticceria costosissima, che l’aveva aiutata ad uscire da un vicolo apprentemente cieco, rimanendo anche personalmente coinvolto. Lei aveva ricambiato con cosa? Si era innervosita per nulla e l’aveva lasciato lì da solo, pergiunta sapendo quanto difficile sarebbe stato per lui ripercorrere la salita a ritroso con un ginocchio ancora convalescente.
Non l’aveva neanche avvisato che lo avrebbe aspettato all’uscita da scuola, aveva reagito d’istinto e si era presentata lì. Ancora una volta, sopportò gli sguardi sospettosi degli studenti, affinando il proprio nella speranza di scorgere Oikawa nella massa. Lo vide zoppicare accanto ai tre amici con cui lo aveva visto ogni volta che si erano incontrati al City Gymnasium in occasione delle competizioni scolastiche. Una ragazza in uniforme la urtò volontariamente, e si allontanò ridacchiando con il suo gruppetto, rivolgendole di tanto in tanto occhiatine pungenti. Megumi si impose di rimanere calma, strinse i pugni, inspirò profondamente.
Oikawa la riconobbe subito, si sbracciò in sua direzione, fin troppo felice di vederla. Si sentì ancora più in colpa per averlo trattato ingiustamente in quella maniera burbera. D'accordo, frequentava con tutta probabilità un'altra ragazza, ma in fin dei conti nessuno dei due aveva firmato un contratto con l'altro, erano liberi di uscire con chi meglio gli paresse.
Come se stesse camminando su una lastra di ghiaccio sottile e fragile, Megumi andò loro incontro, con lentezza e cautela.
«Gumi-chan, cosa ti porta qui?» le domandò con serenità insopportabile.
Perché non si arrabbiava con lei? Perché non si decideva ad infuriarsi e a mandarla al diavolo? Non meritava quel trattamento così condiscendente, era intollerabile.
«Volevo parlarti» affermò tesa «Da soli, se è possibile.»
Oikawa schiuse le labbra per parlare ma Iwaizumi lo precedette.
«No, non è possibile.» tagliò corto «Come vedi, lui sta con noi. Se vuoi dirgli qualcosa dovrai farlo davanti a noi.»
«Andiamo Hajime, non ti sembra di esagerare? Sono fatti loro…» cercò di farlo ragionare Hanamaki.
«Non fa che ferirlo ed è mio amico. Per quel che mi riguarda, sono anche fatti miei.»
«Iwa-chan, non è cortese…»
«Be’, neanche lei lo è.»
Megumi era sorpresa: non si aspettava affatto che a prendersela per Oikawa fossero i suoi amici. Ne soffriva, ma ne fu soddisfatta: sentiva di meritarlo, si era comportata da vera cretina.
«Iwaizumi ha ragione. Sono stata crudele con te la scorsa volta e non lo meriti affatto, tu sei sempre tanto gentile con me… Ero venuta per chiedere scusa, sei libero però di non accettarlo. Capirò.»
Iwaizumi schioccò la lingua sul palato. «Pensi che bastano le scuse?»
«No, ma ci tenevo a fargliele.»
«Iwa-chan, è una cosa che riguarda solo me.»
«Allora sii sincero e dille che ci sei stato male.»
Oikawa strinse le labbra, interdetto.
«Dice la verità? Ti ho ferito?» gli domandò Megumi.
L’altro annuì, senza riuscire a dire altro.
«Potevi scrivermelo, invece di far finta di nulla.» osservò lei dispiaciuta.
«Avevo paura che potessi arrabbiarti ancora di più.» ammise.
Megumi si sentì, se possibile, una persona ancora più orribile. Quale considerazione di lei dovevano avere gli altri, se perfino Oikawa arrivava a temerla? Certo, sapeva di non essere mai stata uno stinco di santo, ma non credeva di essere tanto irascibile da spaventare addirittura coloro che considerava suoi amici. Ripromettersi di cambiare non bastava, sarebbe mai stata in grado di perseguire un obiettivo simile? Non era qualcosa che s’impara dall’oggi al domani.
Chinò profondamente il capo, in segno di scusa.
«Mi dispiace profondamente di averti trattato in quel modo, non so che cosa mi sia preso. Ti prego, perdonami, non voglio perdere un amico come te.»
«Gumi­-chan, vale lo stesso per me e ti ho già perdonata.»
«Starò attenta a ciò che dico e faccio, d’ora in poi.»
«Ed io cercherò di spiegarmi meglio la prossima volta.»
Megumi si rimise dritta e aggiunse: «Ad ogni modo non voglio sapere chi sia, quella Asuka.»
Gli amici di Oikawa, compreso perfino Iwaizumi, non riuscirono a trattenere un sorriso divertito. In particolare Hanamaki non sembrava proprio in grado di trattenersi. L’intera questione la incuriosiva e la irritava, ma Megumi fece di tutto per contenersi e non infrangere da subito le proprie promesse. Lei e Oikawa erano buoni amici e non le interessava la ragazza che frequentava abitualmente, d’altro canto lo aveva rifiutato da abbastanza tempo perché si riprendesse e se ne cercasse una nuova.
«Guarda che sarebbe tutto più semplice se mi lasciassi spiegare…»
«Non c’è bisogno di spiegare nulla.» rispose lei con un sorriso che sperò essere il più naturale possibile, anche se sentiva l’angolo destro della bocca tremare pericolosamente.
«D’accordo, come vuoi.» convenne l’altro «Adesso cosa fai? Ti va di fare un giro con noi? Pensavamo di passare dal centro e fermarci un po’ lì…»
«No, che non le va.» intervenne nuovamente Iwaizumi «Sakurai ha sicuramente altro da fare, non è così?»
«Iwa-chan, mi ha chiesto scusa! Potresti trattarla con più gentilezza adesso?»
«Torno a casa, Iwaizumi ha ragione. Ho degli allenamenti supplementari, sono venuta qui soltanto perché volevo farti le mie scuse. Adesso posso andare.»
«Allenamenti supplementari per cosa?»
Megumi arrossì. «Be’, poi magari te lo spiego per messaggi.»
Oikawa per fortuna non ci fece troppo caso.
«Ti ringrazio di cuore per aver capito e per avermi perdonato.» disse, poi si rivolse ad Iwaizumi. «Grazie anche a te per avermi fatto intendere come stessero le cose, Iwaizumi-kun
Infine si accomiatò con fin troppa cortesia e corse via in tutta fretta.
«Iwa-chan, potevi evitare di fare l’antipatico, era venuta a scusarsi!»
«Solo dell’ultima scemenza che ha fatto, non di quelle precedenti!» lo rimbeccò nervosamente l’amico «E, per la cronaca, non provo alcuna simpatia per Sakurai, perciò mi è logicamente impossibile non essere antipatico con lei!»
«Quindi non vuoi che io la frequenti?»
«Tu sei libero di fare quello che vuoi, io preferirei che le stessi alla larga perché non ne posso più di vederti in queste condizioni. Hai già altre grane per conto tuo ed una di queste, ovvero il tuo ginocchio, è venuta fuori anche a causa sua. Vorrei che tu fossi sereno, e finché c’è ancora lei di mezzo tu non lo sei.»
Iwaizumi non aveva torto: Tooru non era affatto sereno, eppure non riusciva ad immaginarsi meno sereno senza Sakurai. E se lei lo avesse presto dimenticato, se si fosse messa di nuovo nei guai, lontana dai suoi occhi, e tutti i suoi sforzi si fossero rivelati vani? Non poteva incolpare l’amico per la sua sollecitudine nei suoi confronti, ma nemmeno poteva sperare che la sua soluzione fosse la migliore. Aveva la sensazione che Sakurai fosse quel genere di persona che, una volta entrata nella vita di qualcuno, non ne usciva più.

~

«Ricapitoliamo: gli hai teso un’imboscata fuori dalla sua scuola, confermi?»
Megumi annuì con serietà, Shirabu proseguì.
«Poi gli hai chiesto scusa ma i suoi amici non erano molto entusiasti della cosa.»
«Non posso sapere se tutti e tre non lo fossero, uno mi detesta di certo.»
«Anche io ti odierei, al suo posto.» ammise il ragazzo con leggerezza, prima di centrare perfettamente il cestino della palestra con l’involucro accartocciato della merendina che aveva finito. Un lancio ammirevole, anche per un palleggiatore.
«Non si può dire che ti manchi la sincerità, grazie tante.»
Shirabu fece spallucce, Megumi s’infilò le mani nei capelli aggrovigliati.
«Anzi, non è che mi odi davvero? Visto che siamo in tema di confessioni.»
Il ragazzo trasalì, preoccupato. «Chi? Io? Perchè mai dovrei odiarti?» balbettò nervoso.
«Non so, hai anche tu un amico che ho offeso? O magari ti ho già offeso personalmente? Sai, mi pare di farlo spesso. Scoiattolo fa di me il ricettacolo di tutti i mali.»
«Acqua passata. Stai tranquilla che piaci a Hiroomi.»
«M’innervosisce l’ambiguità con cui lo dici.» commentò Megumi, prima di prendere la rincorsa e saltare. Questa volta colpì la palla sufficientemente bene: oltrepassò la rete ed atterrò nella metà del campo avversario.
Invece delle sue congratulazioni, Shirabu le rivolse un sorrisino indecifrabile. «Sei davvero ingenua.»
«In che senso, adesso?»
«In un senso che non puoi capire. Non vedi più in là del tuo naso, sarebbe inutile perdere tempo a spiegarti come stiano le cose.»
«Mi chiedo davvero a cosa debba questa prodigalità di complimenti, oggi.»
«A nulla in particolare, qualcuno deve pur farteli.» rispose l’altro con disinvoltura.
«Che dolce» sibilò sarcastica «Grazie dal profondo del mio cuore.»
Megumi afferrò un nuovo pallone dal carrello, e eseguì nuovamente il servizio. Dall’altro lato, l’amico recuperò quelli che aveva già colpito, con le maniche della felpa arrotolate per il caldo. Anche se l’autunno era già arrivato, il sole pomeridiano non si rassegnava allo scorrere delle stagioni e tormentava gli studenti dell’Accademia surriscaldando i corridoi. Sarebbe stato più divertente starsene in centro piuttosto che rinchiudersi in palestra.
«Piuttosto, parlami del resto della giornata di ieri. Che avete fatto?»
«Non ci sono riuscita, se è quello che vuoi sapere.»
«Nessuno ha detto che fosse facile. Ushijima non è uno che se la prende, comunque.»
«Con te, forse.»
Shirabu parve d’un tratto molto più interessato.
«Perché, può arrabbiarsi anche lui?»
«Perché ho l’impressione che la cosa ti faccia piacere?»
«No, è sola curiosità. Pura e semplice.»
«Certo. Lascia che ti faccia un complimento anche io: sei un pessimo bugiardo. Ad ogni modo lui è contento che ci stia mettendo della buona volontà. Continueremo nel fine settimana, quando torneremo a casa.»
«Tornate a Minamisaka?»
«Vuoi venirci a trovare? È un bel posto, se ti piacciono le erbacce e le vacche.»
«E gli scarafaggi.»
«Quelli solo d’estate.»
«Comunque se ci sei tu passo. Preferisco venire se posso trovare Ushijima da solo.»
«Santo cielo, Kenjiro…» ridacchiò Megumi «A volte sembri quasi gay.»
L’amico arrossì, e guardò altrove, come se le porte verniciate delle prime classi fossero troppo interessanti per poter battere le ciglia.
«A questo punto dovresti difenderti.» gli suggerì Megumi divertita.
«Non mi va di farlo, non con te.»
«Vuoi che io pensi che ti piacciano gli uomini?» scherzò ancora l’amica.
«Forse sì.»
Megumi si fermò prima di imboccare la rampa di scale che conduceva all’uscita. Incrociò le braccia al petto, questa volta seria e pensosa.
«In che senso forse? Forse vuoi che io pensi che ti piacciano gli uomini, o forse ti piacciono gli uomini?»
«La prima.» ammise imbarazzato «Non ci sono forse sulla seconda.»
Megumi restò in silenzio per qualche istante, una tempesta di pensieri infuriava nella sua testa: le sembrava un’affermazione così irrealistica da passare per uno scherzo. Ma Kenjiro non era il tipo da scherzi. Non ricordava di averlo mai visto con una ragazza, né di averlo mai sentito parlare di qualcuna che gli piacesse. Non esisteva nessun dato in suo possesso che potesse invalidare la sua dichiarazione; esisteva d’altro canto un insistente attaccamento a Wakatoshi, che doveva aver peggiorato le cose chiedendogli di far da balia a lei.
Avrebbe voluto osservare qualcosa di intelligente, ma le mancavano le parole. Preferì ritentare il servizio, fingendo che la fine della conversazione non fosse accaduta. Solo qualche minuto dopo, ancora perplessa, ma non sconvolta, osservò:
«Quindi mi consideri una tua rivale?»
Shirabu arrossì.
«In un certo senso…»
«Questo cambia qualcosa? Fra noi, intendo.»
«No, insomma… le cose sono sempre state così, dall’inizio.»
Megumi gli sorrise, di cuore.
«Bene così, perché nemmeno per me cambia nulla.» ammise rinfrancata.


NOTE FINALI

Voi ci credete? No? Nemmeno io.
Non cercherò neanche di giustificarmi, perché non ci sono scuse che tengano da parte mia. So solo che questo capitolo è stato davvero scritto in due anni, in cui sono successe una marea di cose. L'inizio ha un ritmo diverso dalla fine, il tempo che scorre si sente tutto. Mi sono laureata non una, due volte, ho scribacchiato qui e là niente di serio, ho iniziato nuove serie, scoperto nuovi fandom. Ogni volta che aprivo la cartella di Wild Card o ascoltavo la sua playlist mi piangeva il cuore. Grazie a chi è ancora qui ad aspettarmi, siete speciali. Grazie soprattutto a vale33ntina, che con il suo messaggio mi ha involontariamente dato la spintarella che mi serviva per chiudere questo capitolo. Davvero, non vi merito.

Promesse non ve ne faccio, perché di me non dovreste fidarmi, ma cercherò di essere alla vostra altezza. T_T

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: l y r a _