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Autore: Napee    30/03/2020    6 recensioni
Gli amori finiscono, gli amanti si lasciano, ed i due "ex", a volte, vorrebbero non vedersi mai più.
Ma cosa accadrebbe se ,per un sadico gioco del destino, ci si ritrovasse il proprio ex come capo?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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10. Vendetta


Le macerie erano pesanti e unte del sangue di quei monaci fastidiosi che, tanto tempo fa, aveva giurato di ammazzare una volta che gli fosse stato possibile. Scostò un macigno più pesante che gli ostruiva il passaggio ed infine il freddo vento del nord gli sferzò la pelle chiara.
Naraku respirò a pieni polmoni assaporando quella libertà che gli era stata negata per così tanto tempo.
Le sue vespe demoniache gli furono al fianco in breve tempo e Naraku carezzò distrattamente il dorso di una di esse. Erano bestie fedeli e intelligenti, più di quanto si sarebbe mai aspettato.
Avevano raso al suolo il carcere senza battere ciglio, sterminando i monaci e chiunque si fosse trovato all’interno di quelle mura. Avevano atteso il momento giusto, avevano saputo aspettare nonostante fosse stato Byakuya a fornirgli le istruzioni e non lui stesso.
Notevole, doveva ammetterlo. Anche per delle schifose e stupide bestiacce come loro.
Il sibilo del vento lo costrinse a spostarsi di lato ed evitare per miracolo il fendente che gli avrebbe certamente tagliato la testa.
Una demone si stagliava forte e vigorosa dinanzi a lui. Aveva capelli candidi e lunghi fino alla vita, macchiati qua e là dal sangue che le colava dalla tempia e dalla coscia.
I suoi occhi dorati e quello sguardo severo non lasciavano dubbio alcuno sulla sua identità. Le sorrise garbato inscenando anche un lieve inchino.
“Inukimi, cara. Quanto tempo.” Esordì schernendola. Le labbra scarlatte della donna si stesero in un sorriso dal gusto maligno. Il disgusto nel rivedere quell’essere trasudava dalla sua espressione di stizza e rancore.
“Il piacere è tutto tuo, Onigumo.” Rispose serafica. Attese qualche secondo e attaccò ancora, stavolta frontalmente con la sua katana demoniaca che emanava bagliori bluastri.
Naraku fu sorpreso dalla velocità della donna, ma schivò ogni suo attacco per un pelo, lasciando che si stancasse fino a che i suoi movimenti non divennero lenti e goffi.
A quel punto gli bastò schivare anche l’ultimo patetico tentativo di attacco, colpirla sul polso per farle perdere la presa sull’elsa e prenderla da un fianco intrappolandola con la schiena contro il suo petto.
La teneva saldamente per il collo con una mano, mentre con l’altra era riuscito a intrappolarle entrambe le braccia. Era stato più facile del previsto, doveva concederselo.
“Ti ricordavo più abile con la spada.”
“A me piace ricordare di quando ti trafissi con quella stessa spada.” Rispose lei piccata cercando di divincolarsi dalla presa del demone, ma la sua forza era imparagonabile rispetto a quella di lei.
Inoltre non si allenava da diversi secoli, era divenuta debole più di quanto non lo fosse mai stata. Aveva lasciato da parte gli anni di duro addestramento al quale il suo clan l’aveva sottoposta in favore di un mondo in cui non vi fosse bisogno di farsi giustizia con il sangue. Aveva lavorato duro per cercare di ottenerlo e raggiungere quel sogno e Naraku non glielo avrebbe portato via.
La risata piena di Naraku le fece venire i brividi. Era maligna e oscura proprio come se la ricordava.
“Eri una giovane guerriera al tempo, prima che Inu ti strappasse dalle mie braccia.” Le sibilò piano all’orecchio, carezzando ogni parola suadentemente e inspirando il profumo di lei fino a riempirsi i polmoni. Per secoli era stato attratto dalla giovane discepola del clan dei demoni cane del nord. Per secoli si era permesso di corteggiarla spudoratamente senza tregua alcuna nonostante gli innumerevoli rifiuti da parte di lei. Poi, un giorno, aveva tentato di prendere da lei con la forza ciò che le aveva sempre negato. Non era andata come aveva previsto. La guerriera non si era lasciata sottomettere facilmente e Naraku si era ritrovato a fuggire via inseguito dai guerrieri fedeli al clan alle calcagna e con un fianco completamente maciullato dalla katana di Inukimi.
Alla demone venne la nausea sentendolo così vicino al suo corpo come non lo era mai stato. Nonostante i secoli passati fossero innumerevoli, Naraku era rimasto lo sporco viscido serpente che era sempre stato.
“Non sono mai voluta stare fra le tue braccia, eri tu che volevi prendermi con la forza.”
“Ero un ragazzo innamorato ignorato dalla ragazza che amava, che vuoi farci?”
Un dolore immenso le trafisse la spalla. Inukimi strinse i denti e ringhiò forte per impedirsi di piangere e gridare.
Quel bastardo di Naraku l’aveva colpita a tradimento, trafiggendole la spalla da parte a parte con uno dei suoi schifosi tentacoli.
Prima non era stato così. Quella sua forma ultima, composta dall’assemblaggio di più parti di demoni con il suo corpo, era la cosa più schifosa e raccapricciante che avesse mai visto.
A questo si era ridotto per il potere? Ad uccidere demoni per potersi appropriare dei loro arti ed impiantarseli indosso?
“Potrei prendere ora da te ciò che non mi hai voluto concedere secoli fa…” sibilò al suo orecchio in modo lascivo, carezzandole l’epidermide della guancia con le sue labbra.
In quel momento però, anche Naraku urlò il suo dolore e lasciò andare di colpo Inukimi, quando uno dei suoi tentacoli cadde a terra contorcendosi e sgorgando sangue scuro sulla neve candida.
Izayoi tremava con la spada della demone fra le mani e i suoi occhi volavano da lei dolorante a terra a Naraku, instancabili.
La donna tremava come una foglia sia per il freddo che per la tensione. I suoi occhi erano già pieni di lacrime.
Era una situazione di stallo, si guardarono tutti e tre per secondi interminabili densi di sorpresa.
“Un’umana può impugnare la tua spada? Da quando, Inukimi?” Chiese Naraku con la voce spezzata dal dolore. Con una mano cercava di toccarsi sulla schiena per capire l’effettivo danno subito. A terra, a pochi metri da loro, vi era un solo tentacolo, ma il dolore andava ancora propagandosi sulla sua schiena come un’onda infinita invece che diminuire fino a cessare.
Gli sembrò strano e degno di allarmismo, soprattutto quando iniziò a sentire il corpo farsi sempre più rigido e mortale. Guardò la spada fra le mani dell’umana e solo in quel momento notò lo sfrigolio del veleno corrosivo che mangiava le macchie del suo sangue che bagnavano la lama lucida.
I suoi occhi incontrarono quelli della demone che sorrideva trionfante. Si era fatta astuta e furba. Sapeva di non poter vincere con lui e per questo aveva inscenato quel teatrino solo per attirare la sua attenzione e non fargli accorgere dell’umana. Digrignò i denti capendo di essere caduto vittima di una trappola. Un piano fin troppo semplice, ma efficace.
“Dannate…” sibilò fra sé e sé e poi, con un gesto lesto della mano, scagliò contro di loro le sue vespe demoniache che, fino a quel momento, erano rimaste solo silenti spettatrici.
Come previsto, Inukimi si era scagliata contro l’umana per proteggerla dalle punture pregne di veleno delle vespe. 
E fu in quel momento, quando, nello slancio del salto, il ciondolo con il frammento di pietra azzurro le uscì dal maglione sporco di sangue e terra che gli occhi di Naraku lo catturarono. Non ci volle molto per capire a quale pietra appartenesse quel frammento. Sorrise ancora. Poveri stupidi… pensavano davvero di cavarsela con questi trucchetti dozzinali?
La spada aveva eretto una barriera immediatamente, ma qualche vespa all’interno era riuscita a penetrare e Inukimi combatteva contro di esse cercando di proteggere Izayoi.
Fu colpita ancora, più volte. I pungiglioni le trapassarono una coscia ed il fianco prima che lei soccombesse al veleno in circolo nel suo sangue e svenisse.
La barriera cadde. Le vespe al suo interno erano state maciullate, ma adesso Izayoi e Inukimi erano esposte a tutte le altre.
La donna cercava di prendersi cura della demone esortandola a restare sveglia e cosciente in ogni modo. Aveva paura, Izayoi. Aveva tanta paura per sé e per Inukimi e temeva che se non fossero morte per mano di Naraku, il gelo del Polo Nord avrebbe concesso loro una morte pregna di agonia.
I passi di Naraku si fecero vividi alle sue spalle in quel momento e la donna rabbrividì percependolo vicino.
Tese la schiena come se fosse stata punta in quel momento ed alzò il mento solo per poter incrociare lo sguardo trionfante del demone che si scontrava con il suo pieno di risentimento.
Ma Naraku era goffo e stanco. Il veleno non lo avrebbe ucciso, ma sicuramente lo aveva danneggiato.
Il demone si chinò al loro fianco e strappò il frammento del medaglione dal collo di Inukimi semi cosciente e ringraziò con un sorriso smagliante incrinato soltanto dal bruciore alla schiena.
Se ne andò lasciandole sole in mezzo al freddo e alla gelida neve del Polo Nord. Le sue vespe demoniache lo trasportarono in volo via da quel posto che puzzava di morte.
 
L’aria del Giappone era fredda, ma niente in confronto a quella del Polo Nord. Inu assaporò l’aria di quella che un tempo aveva chiamato casa con nostalgia ed un peso sul petto. Aveva dovuto lasciare il Giappone per il lavoro al carcere, dove serviva che un demone forte dall’aura spaventosa tenesse in riga i criminali rinchiusi all’interno.
I primi tempi era stato straziando doversi separare da Izayoi. Non passava minuto che la sua mente non pensasse a lei e questo rendeva debole e fragile la sua aura. Un cane depresso e solo era fin troppo facile da abbattere e questo lo sapeva bene.
Aveva cercato di trovare un modo per adempiere ad suo lavoro senza sradicare la sua amata dal luogo in cui viveva, ma proprio quando la separazione era divenuta insostenibile, proprio quando Inu stava per rinunciare, Izayoi lo aveva supplicato di portarla con sé al Polo Nord perché senza di lui le era impossibile continuare a vivere in Giappone come se niente fosse.
La pena da pagare era un’infinita distanza che la separava dal suo unico figlio e da quel nipotino che cresceva fin troppo in fretta, ma la moderna tecnologia era corsa in loro soccorso con una mano aperta e tesa che profumava d’aiuto.
Quando i piedi toccarono l’asfalto scuro e sconnesso della periferia di Tokyo, Inu riuscì a percepire quanto quel posto fosse mutato radicalmente durante i suoi anni di assenza. La natura non regnava più sovrana da molti anni, questa non era una novità, ma la giungla cittadina si era estesa talmente tanto che l’influenza umana aveva compromesso ogni cosa nei dintorni.
Che fossero alberi, laghi o fiumi, Inu sentiva la terra morire piano piano avvelenata dai suoi stessi figli. Gli spezzò il cuore vedere come il mondo andava spegnendosi secondo dopo secondo.
Un tempo lontano, la terra donava ai demoni forza ed energia. Sfidavano la natura per ribellione, cercando di porsi come unici oppositori ai grandi cataclismi che incombevano di ere in ere, ma niente avevano mai potuto contro la loro madre genitrice. Gli umani invece erano riusciti dove loro non avevano neppure mai sognato di poter arrivare: uccidere la loro stessa terra senza nemmeno rendersene conto.
“Dobbiamo andare.” La voce di Sesshoumaru lo riscosse da quel sentimento di agonia che sentiva crescergli dentro al petto.
Alzò lo sguardo verso il figlio ed annuì come stordito dalle grida d’aiuto che la natura gli mandava.
“Il Lux e co è dietro l’angolo.” Lo informò il figlio con tono greve. Volse lo sguardo oltre l’incrocio che si stagliava dinanzi a loro. Rin era lì dentro. Chissà dove e in quali condizioni, ma era lì dentro viva e aspettava soltanto di essere tirata fuori. La frustrazione di non riuscire a sentire il suo profumo era snervante. Avevano immaginato bene, il luogo non era stato scelto a caso: l’odore della vernice nascondeva qualunque traccia e trovarla non sarebbe stato semplice.
“Avranno disseminato l’edificio di trappole e agguati.” Constatò Inu avvicinandosi al figlio e ragionando sul modo migliore per entrare. Sicuramente un’attacco frontale sarebbe stata la scelta più logica perché, dopotutto, era quello che anche loro volevano e assecondarli per poi sorprenderli all’ultimo era da sempre una strategia vincente.
Tuttavia non sapevano a che cosa stessero andando incontro e l’ago della bilancia si sarebbe potuto spostare in loro sfavore con un battito di ciglia.
Poi d’un tratto un’odore tremendamente familiare bucò le narici di Sesshoumaru. Con una smorfia esternò il suo disgusto e roteò gli occhi al cielo mentre suo padre si aprì in un sorriso fiero e contento.
La moto di InuYasha rombò per la strada, stridendo in frenata a pochi metri da loro.
InuYasha la spense e si sfilò il casco scendendo con una mossa fluida della gamba. Rivolse un sorriso pregno di sentimenti a suo padre ed un cenno della testa a suo fratello.
“Hai appena mandato in frantumi la possibilità di un attacco a sorpresa.” Gli fece notare il maggiore e suo padre, suo malgrado, fu costretto ad annuire serio nonostante la gioia nel rivedere suo figlio dopo tanto tempo.
“Sei talmente incazzato che ogni demone della città sa dove ti trovi.” La risposta irriverente del minore non si fece attendere oltre e Sesshoumaru digrignò i denti seccato da quel tono.
“Hai qualche idea, figliolo?”
“Certamente, per questo sono venuto qui a salvargli che chiappe chiare.” L’ennesima battutaccia e Sesshoumaru si ritrovò a pensare che se da tutta quella situazione ne fosse uscito come figlio unico, non gli sarebbe piaciuto poi così tanto.
“Ho allertato le forze speciali, dovrebbero essere qui a momenti. Circonderanno il perimetro e ho dato loro istruzioni di sparare a vista con proiettili purificati.” Illustrò InuYasha facendosi serio.
Inu e Sesshoumaru annuirono all’unisono. Almeno non avrebbero fatto prigionieri questa volta.
“Proporrei di dividerci.” Esordì Inu ad un tratto.
“Si aspettano solo me, ma immaginano che non verrò da solo.” Lo corresse Sesshoumaru facendosi attento. Lo sguardo che saltava dai suoi interlocutori all’edificio con la scritta Lux e co pericolante e danneggiata. Rin era lì dentro e lui sentiva di star perdendo tempo ogni secondo in più.
“Saremo furtivi e attaccheremo di lato. Starti accanto sarebbe inutile, l’unica cosa che possiamo fare è cercare di tirare fuori Rin da quel posto più velocemente possibile.” Aggiunse Inu, cercando un cenno di assenso per il suo piano abbozzato.
“Tu farai da esca, Sesshoumaru, mentre io e papà cercheremo Rin. Appena trovata la porteremo fuori” concordarono infine sulla strategia migliore e annuirono convinti.
“State attenti.” Li pregò Inu serio. La priorità era Rin, ma se avesse percepito uno dei suoi figli in pericolo, non ci avrebbe pensato due volte a correre in loro soccorso.
“Dillo al bastardo mezzo e mezzo.” Rispose Sesshoumaru prima di avviarsi a passo svelto verso l’entrata.
InuYasha ghignò strafottente.
“Non vedo l’ora di sentire il tonfo che farai quando cadrai da quel piedistallo, dannato montato!”
Inu, suo malgrado, ruotò gli occhi esasperato. Era una situazione disperata ma quei due non perdevano occasione per litigare come bambini.
 
Jakotsu si infilò l’ultimo coltello nelle cinture che gli fasciavano l’addome e sospirò con fare melodrammatico.
“È tutto pronto, vado a mettermi in posizione.” Informò Byakuya premendo sull’auricolare ed uscì dalla stanza dove avevano rinchiuso Rin ancora incosciente.
“La ragazza è sistemata?”
“Sì, come concordato.” Rispose il mercenario chiudendo la porta a chiave e cospargendo la serratura con una polvere scura. Non era certo che una porta in legno e quell’incantesimo bastassero per tenere a freno un demone millenario, ma le istruzioni erano quelle e lui non era pagato per fare domande.
Rovesciò la tanica di varichina che aveva appositamente preparato proprio dinanzi alla porta e si avviò a grandi falcate verso la posizione che gli era stata assegnata.
“Non voglio feriti alla fine, solo cadaveri.” Aggiunse Byakuya con tono autoritario e Jakotsu si ritrovò a ruotare gli occhi per l’ennesima volta in quella serata. Sarà stata la milionesima volta che glielo ripeteva.
“Avevo capito anche dopo la seconda volta, grazie.” Rispose piccato sbuffando dalle narici.
“Ti abbiamo pagato profumatamente, non farcene pentire.” Lo informò il demone prima di chiudere la comunicazione.
Byakuya stava seduto comodamente sul parapetto di una delle vasche di contenimento della vernice. Guardò oltre il bordo, dove il liquido verde, sporco e denso sembrava una brodaglia radioattiva.
Immaginò di vederci affogare dentro il demone bianco che aveva sventato i loro piani e sorrise entusiasta all’idea.
La porta principale venne aperta con un cigolio inquietante. Il demone volse lo sguardo pronto a dare il benvenuto al suo ospite con un sorriso maligno a distendergli le labbra.
La loro vendetta era appena iniziata.
  
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