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Autore: RedeNetele    30/03/2020    2 recensioni
A quasi ventinove anni, Anna si trova di fronte a una scelta: lasciare la sua vecchia vita per ottenere un lavoro oppure rimanere disoccupata. Anche se a malincuore, Anna lascia Lorenzo, il suo ragazzo, e si trasferisce a più di duecento chilometri di distanza, nella città che l'ha vista crescere, dove l'aspetta un posto come impiegata nell'ospedale cittadino.
La vita da single è più difficile del previsto, soprattutto se a complicare le cose ci si mettono un vicino di casa ostile, irritante e con due occhi di ghiaccio e il suo cane-killer costantemente a caccia dei gatti di Anna. Ma chissà che non sia proprio Yaroslav, levriero apparentemente bipolare, ad alleviare la solitudine di Anna e a farle vedere sotto una nuova luce anche lo scostante Oleksander?
Ma l'imprevisto è sempre dietro l'angolo e, quando Lorenzo si dimostrerà più tenace del previsto, Anna dovrà fare i conti con l'amore, un sentimento che non ha mai compreso fino in fondo.
Una storia di umani, cani e mostri da sconfiggere.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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«Che cos’è un serpente a sonagli?»

La domanda veniva da un bambino con due grandi occhi azzurri e un paio di denti mancanti. Anna abbassò il foglio che teneva tra le mani e osservò il suo piccolo interlocutore. «È un serpente con una specie di… sonaglietto sulla coda» spiegò. «Una specie di pallina: lui agita la coda e la pallina suona.» O almeno credo, aggiunse poi silenziosamente.

«E perché agita la coda?» chiese la bambina dai tratti andini seduta a terra con le gambe compostamente incrociate. Era piccola e grassottella e qualcuno le aveva pettinato i capelli in due graziosi codini neri che le restavano dritti in testa.

Prima di rispondere, Anna spostò lo sguardo sul terzo ragazzino che le era stato assegnato: era più grande degli altri due ed era incastrato in una sedia a rotelle. La sua gamba destra, ingabbiata in una sorta di impalcatura metallica la cui funzione era sconosciuta alla ragazza, era tesa davanti a lui. Poveretto, pensò la giovane con un moto di compassione nei suoi confronti. Era probabilmente troppo cresciuto per le fiabe e infatti pareva sonnecchiare, palesemente poco interessato alle vicende del Serpente a Sonagli e ai suoi litigi con la Stella Polare.

«Il serpente scuote la coda quando è arrabbiato» spiegò pazientemente Anna, tornando a rivolgersi alla bambina.

Quella le rivolse uno sguardo scettico. «Uhm… sei sicura?» la interrogò, puntandole addosso i suoi brillanti occhi neri. «Il mio cane scodinzola quando è contento, non quando è arrabbiato. Magari il serpente scodinzola perché così suona il… il sonaglio e lui può fare un po’ di musica per i suoi amici.»

Beata innocenza, pensò Anna con un sorrisetto. «Be’, però qui stiamo parlando di un serpente, non di un cagnolino. I serpenti fanno un po’ schifo, sono freddi, invece i cani sono carini e coccolosi… no?» A parte il cane-coccodrillo che alberga da parte a casa mia: per decidere se è carino e coccoloso anche lui mi serve qualche ulteriore verifica empirica.

«A me piacciono i serpenti» bofonchiò il ragazzino sulla sedia a rotelle, aprendo un occhio appannato. «Sono fighi.»

Anna si rabbuiò. «Evita di usare certe parole» lo rimbeccò a bassa voce. «Ci sono dei bambini piccoli!»

Il ragazzino – Leonardo, se non ricordava male – alzò gli occhi al cielo e tornò a sonnecchiare.

«Beh!» riprese Anna, tornando a rivolgersi ai due bambini che le dedicavano un minimo di attenzione. «Vogliamo scoprirla, questa storia del serpente e delle stelle, oppure no?»

Quando i due piccoli annuirono con un movimento perfettamente sincronizzato, Anna riprese in mano la sua fotocopia e iniziò a leggere.

Una ventina di minuti più tardi – tanto le ci era voluto a leggere una paginetta, tra interruzioni e commenti vari – la ragazza si stiracchiò e si alzò in piedi. «Allora?» chiese, rivolta al suo pubblico. «Vi è piaciuta la storia?»

«Era figa» commentò mollemente Leonardo.

La ragazza lo fulminò con gli occhi. «Ma se nemmeno l’hai ascoltata!» sbottò. «Hai praticamente dormito tutto il tempo!»

«Bugia!» ribatté lui. «Ho ascoltato tutto, invece: parlava di un serpente che era geloso della stella polare e allora la mordeva, poi lei rimaneva paralizzata e lui mordeva tutti, anche i cacciatori. E poi lui è stato trasformato in una stella, anche se non ho capito bene perché.»

Anna arricciò il naso. Al di là del fatto che Leonardo l’avesse apparentemente apprezzata, doveva riconoscere che si trattava di una storiella abbastanza insulsa e nemmeno particolarmente adatta ai bambini. Perché diavolo mi hanno fatto leggere una storia che parla di bestie velenose e di gente che muore? La prossima volta chiedo che mi diano il Brutto Anatroccolo o qualcosa del genere! «Va bene, bambini!» disse. «Per oggi è tutto. Ci vediamo un altro giorno, ok?»

Un’infermiera che si era materializzata accanto a lei prese per mano i due bambini più piccoli e li condusse fuori dalla biblioteca. La ragazza li guardò allontanarsi con uno strano dolorino all’altezza del petto e una punta di tristezza che le stringeva la gola: i due piccoli sembravano in salute, ma se si trovavano in ospedale, un motivo c’era. Anna trasse un respiro profondo e poi si riscosse. «Hai bisogno di una mano?» chiese, abbassando lo sguardo su Leonardo.

Quello scrollò il capo con decisione. «No, faccio da solo» replicò, afferrando le ruote della sedia a rotelle e iniziando ad armeggiare per spostarsi in avanti. Era evidente che aveva qualche difficoltà, ma Anna decise di non intervenire: il bambino era già abbastanza grande per offendersi per un aiuto non desiderato.

«Cos’è quella cosa che hai attorno alla gamba?» chiese allora.

Leonardo parve brillare d’orgoglio. «Me la stanno allungando» disse, con il tono di chi stava annunciando una cosa meravigliosa. «Era un po’ più corta dell’altra e camminavo male. Quei ferri mi entrano nelle ossa e le tirano, capisci? Solo che ce n’è uno che mi fa un po’ infezione e quindi vogliono tenermi d’occhio.»

Troppe informazioni, pensò Anna, rabbrividendo al pensiero di ossa allungate a forza. Ammesso che la spiegazione del ragazzino fosse attendibile, ovviamente. «E non ti fa male?» chiese.

«Oh, sì, fa malissimo» confermò Leonardo con entusiasmo. «Prendo un sacco di pastiglie.»

«Ah…»

Prima che il bambino potesse aggiungere altro gli si avvicinarono due giovani uomini. Il più alto dei due, che indossava un camice da infermiere, afferrò con decisione le maniglie della carrozzina, ignorando le proteste del suo occupante. «Avanti, Leo: è ora di tornare in camera!»

«Ma no!» sbuffò il ragazzino. «Non ne ho voglia! Non possiamo restare qui ancora un po’?»

«Niente da fare» replicò serafico l’infermiere. «Qui ci puoi tornare domani, se fai il bravo e se non litighi con il tuo compagno di stanza.»

Leonardo storse le labbra in una smorfia contrariata. «Sì, va be’. A me quello lì sta antipatico.»

L’altro ragazzo, un giovanotto biondo e con il naso aquilino, gli rivolse un gran sorriso. «Non possiamo conoscere solo persone simpatiche, Leo caro.»

Mentre l’infermiere lo spingeva verso la porta, Leonardo mugugnò qualcosa: Anna non riuscì a decifrare le sue parole, ma aveva il forte sospetto che si trattasse di qualcosa che un ragazzino della sua età non avrebbe nemmeno dovuto sognarsi di pronunciare.

«Che tipo» commentò con un sorriso il ragazzo biondo, apparentemente divertito dal malumore del bambino.

«Già» annuì educatamente Anna. «Mentre leggevo la storia sembrava stesse dormendo, ma in realtà pare che abbia sentito tutto…»

Il ragazzo sospirò. «Si annoia. È entrato per un’operazione veloce e invece, tra una complicanza e un imprevisto, è in ospedale da molto più tempo del dovuto.» Poi spostò la sua attenzione sulla ragazza che aveva di fronte. «Oh, comunque io sono Andrea» le disse, porgendole la mano.

«Anna» replicò lei.         

«Come la mia ex» commentò lui, lasciandola un attimo senza parole. «Hai iniziato oggi?»

La ragazza si schiarì la voce. «Sì. Cioè, qui in biblioteca sì, ho iniziato oggi, mentre in ospedale ci lavoro già da un paio di settimane.»

Quell’informazione parve accendere la curiosità del giovane. «Lavori qui? Sei negli uffici o nei reparti?» chiese, scrutandola da capo a piedi come se il suo aspetto fisico potesse aiutarlo a scoprire la sua professione.

«Negli uffici» replicò lei. «Lavoro all’URP, e infatti è stata la mia responsabile a propormi di fare un po’ di volontariato qui: è convinta che possa aiutarmi a migliorare la mia vita sociale.»

Il sorriso sul volto di Andrea si fece ancora più pronunciato. «Ah, allora sei un’altra delle prede di Giulia: lei è tra le fondatrici di questo sportello e ha reclutato di persona un sacco di volontari. Ha portato qui anche me, sai?»

«Sì?» fece Anna, studiandolo con più attenzione. Aveva un volto molto particolare ed era certa che, se lo avesse già visto in giro per l’ospedale, se lo sarebbe certamente ricordato.

«Io non lavoro qui» precisò lui, come per prevenire la domanda che stava prendendo forma nella testa della giovane. «Ma lei e mia madre frequentano un corso di pilates insieme e a quanto pare hanno convenuto che io abbia fin troppo tempo libero. Il che è un’illazione priva di fondamento, naturalmente: è più il tempo che sono in giro per l’Italia, che quello che sono seduto alla mia scrivania.»

«Viaggi per lavoro?» chiese Anna – più per educazione che per reale interesse.

Lui fece un vago cenno con la mano. «Sì, seguo dei vari progetti, faccio delle ispezioni… roba noiosa che non credo ti interessi davvero.»

Touché, pensò lei arrossendo leggermente.

«Comunque sono contento che mi abbiano convinto a partecipare a questo progetto» continuò Andrea con un sorriso. «Mi piace, mi rilassa e mi sembra che rilassi anche le persone che ascoltano quello che leggo. Se posso, io tendo però a evitare le favole: non fanno proprio per me.»

«E allora cosa leggi?»

Lui le sventolò sotto il naso un libro piuttosto sciupato. «Epica. Vedi? L’Orlando Furioso.»

«Wow» replicò lei ammirata. «E riesci a leggere bene quella roba? Voglio dire: quando ci provo io, finisco sempre per fare una cantilena inascoltabile.»

«La devi interpretare» scandì Andrea, puntando gli occhi azzurri in quelli neri di Anna. «Fare del teatro. Se vuoi, uno di questi giorni ti do una dimostrazione. Magari ti accolgo tra il mio pubblico, che ne dici?»

Lei rispose con un sorriso e si chiese brevemente se dietro all’invito del ragazzo ci fosse un secondo fine. Ma non mi pare, ragionò guardandolo di soppiatto. È uno strano soggetto, ma non mi da l’impressione che ci stia provando: forse vuole veramente farmi vedere quant’è bravo a leggere roba scritta in versi. «Be’, perché no?» concesse dopo una breve riflessione.

«Magnifico!» annuì lui, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. «Magari più in là potremmo addirittura fare una roba recitata: sai, sto cercando volontari per un certo progetto che ho in mente…» Poi lo sguardo di Andrea parve focalizzarsi con più intensità sul suo volto. «Di’ un po’: ma tu sei di queste parti? Hai come un accento un po’ strano… tra un paio di mesi sarai ancora qui, vero?»

Anna distolse lo sguardo per qualche istante. «Sono… sono originaria di Lanzate, sì, ma ho vissuto altrove per parecchi anni. Sono appena rientrata alla base, per così dire, ma ho intenzione di rimanerci.»

«Per sempre?» le chiese lui a bruciapelo.

Davanti a quella domanda, la ragazza sentì montare in sé un’ondata di panico. «Oddio… non lo so. Non ci ho pensato» balbettò. «Forse. Per ora mi sono trasferita per lavoro…»

Il sorriso di Andrea si spense un po’, come se il giovane avesse capito di aver toccato un tasto dolente. «Ah. Scusa, non volevo ficcare il naso in affari che non mi riguardano. Suppongo che tu sia qui da sola, quindi?»

Anna dovette reprimere un moto di fastidio. Quante volte mi toccherà ancora affrontare questa conversazione, oggi? Deglutendo per allontanare il nodo che le si era formato in gola, la ragazza si costrinse a fare buon viso a cattivo gioco. «Non sono proprio da sola, in realtà. Ho ancora una zia che abita in paese e che vedo spesso. E poi ci sono un paio di amiche con cui ho ripreso i contatti. Certo, il resto della mia famiglia è a Villanuova, ma…»

«Villanuova?» la interruppe Andrea.

Anna sbatté un paio di volte le palpebre, confusa. «Sì… non dirmi che sai dov’è. Non è esattamente una località turistica.»

«Ma certo!» fece lui. «Ultimamente ci sto andando spessissimo per lavoro. Resto giù anche per due o tre giorni a settimana… sto seguendo un progetto alla Oltrafer. La conosci?»

La ragazza ebbe l’impressione che la saliva le evaporasse dalla bocca. «Sì. Ci lavora il mio ex» rispose, con la lingua stranamente impastata.

Andrea sgranò gli occhi. «Ma no! E come si chiama?»

«Lorenzo» fece Anna, prima di riuscire a trattenersi.

«Lorenzo…» ripeté il giovane, meditabondo, come se stesse cercando di ricordare se conoscesse qualcuno che rispondeva a quel nome.

«Ma non andare a cercarlo!» si affrettò a dire la ragazza, avvicinandosi di un passo a lui. «Non dirgli niente, non dirgli che… che ci siamo conosciuti. Non ci siamo lasciati benissimo e non vorrei che lo prendesse come un invito a cercare di contattarmi.»

Il giovane levò subito le mani in segno di pace. «Ma figurati se vado a cercarlo!» esclamò. «Non è mia abitudine andare a ficcare il naso nelle vite degli altri: chiedevo per semplice curiosità. Anzi, adesso che me l’hai detto starò super attento a non lasciarmi sfuggire niente di compromettente; anche se non mi pare di conoscere un Lorenzo che lavora alla Oltrafer… probabilmente è in un reparto con il quale non ho niente a che fare.»

«È un ingegnere meccanico» precisò Anna, già sollevata dalla promessa del ragazzo. «Lavora nell’Ufficio Tecnico.»

«Ecco, vedi?» sorrise Andrea. «Io ho più a che fare con i collaudatori e con l’officina: probabilmente non l’ho mai nemmeno incrociato.»

«Meglio così» sospirò lei. Chissà perché, aveva l’impressione di avere appena scampato un pericolo.

♥♥♥

Anna lasciò cadere le posate con le quali stava mescolando l’insalata e lanciò un’occhiata carica di insofferenza al muro della cucina. Quel cane stava abbaiando da almeno quindici minuti.

E adesso basta, però. Dove diavolo è quel cretino del suo padrone?  La ragazza si alzò bruscamente dal tavolo e marciò verso il giardino. Quando era tornata a casa dopo il turno in biblioteca aveva visto che l’Audi nera non era nel parcheggio, il che significava che il suo proprietario non era ancora rientrato. Ma adesso erano le sette e mezza passate: possibile che fosse ancora in giro?

Arrivata in giardino, la ragazza si aggrappò alla rete che divideva la sua proprietà da quella di Oleksander e spiò in direzione del suo appartamento. È tutto buio, notò con una smorfia. Lì dentro non c’è nessuno, se non il cane.

Ritornata mestamente in sala da pranzo, la giovane rimase immobile per qualche istante, ascoltando i latrati metallici di Yaroslav: erano continui e incessanti e così fastidiosi che aveva l’impressione che il cane le stesse abbaiando direttamente nelle orecchie.

«Basta!» urlò, picchiando una mano contro la parete che la divideva dall’animale. «Adesso finiscila!»

Calliope, che era intenta a montare la guardia davanti alla portafinestra, la guardò con supponenza. Non era difficile decifrare l’espressione di superiorità chiaramente scritta nei suoi occhi gialloverdi. «E tu non guardarmi così» borbottò Anna. «Adesso fai tanto la figa, ma l’altro giorno avevi paura che il cane-killer ti mangiasse, vero?»

Per tutta risposta la gatta voltò nuovamente il muso verso il giardino buio e Anna si diresse a passi lenti verso la finestra del salotto – quella che guardava direttamente sul vialetto d’ingresso – meditando sul da farsi. Come si faceva a fare stare zitto un cane che, abbandonato a se stesso, sembrava avere tutte le intenzioni di passare la serata ad abbaiare?

Quei pensieri furono brevemente interrotti da un gruppetto di tre estranei che le sfilò davanti e si infilò su per la scala esterna che conduceva all’appartamento sopra a quello di Oleksander.  Li seguì con gli occhi e poi scosse la testa quando sentì un coro di risate e saluti gioiosi. Eh, va be’… pensò. Quelli fanno una festicciola e se ne fregano del cane che abbaia. Beati loro che riescono a ignorarlo.

Lei però non ci riusciva e quei continui latrati iniziavano a darle veramente sui nervi. Tornata al tavolo, Anna trangugiò la cena in fretta e furia pregando silenziosamente che nel frattempo Yaroslav si stancasse di fare tutto quel baccano e si addormentasse o che, se non altro, il suo padrone si decidesse a tornare a casa. Sarei proprio curiosa di sapere dov’è finito. Non che fosse in pensiero per lui, ma quell’assenza prolungata le sembrava strana. Da un’osservazione empirica – non che lo spiasse, eh! – aveva notato che Oleksander faceva degli orari piuttosto regolari.  Oggi avrà avuto qualche imprevisto, ragionò.

Quando Anna depositò i piatti nel lavello erano ormai quasi le otto e, fatta eccezione per alcune pause di pochi minuti, Yaroslav era ancora impegnato in un concerto di latrati. E va bene, pensò la ragazza asciugandosi le mani nello straccio appeso accanto al frigorifero. Con un sospiro esasperato afferrò una giacca leggera e uscì di casa per raggiungere quella del vicino. Quando si trovò di fronte alla porta d’ingresso bussò un paio di volte sfiorando il pannello di legno con le nocche.  Yaroslav smise immediatamente di abbaiare. Anna avvicinò il capo alla porta e tese le orecchie: dall’interno dell’appartamento giunse uno zampettìo rapido e pochi istanti più tardi qualcuno parve soffiare sotto la porta. Mi sta annusando? Si chiese la ragazza.

Accucciandosi davanti all’uscio, provò a parlare al cane. «Ehi, Yaroslav» mormorò. «Cos’è tutto questo chiasso che stai facendo?»

Da dietro alla porta giunse un uggiolio e il suono di unghie che grattavano contro il legno. Ops. Speriamo che non gli righi la porta!

«Devi fare il bravo» continuò. «Sfortunatamente sembra che ti sia toccato un padrone idiota che si dimentica che l’ora di cena arriva anche per te. Tieni duro, però: prima o poi tornerà indietro.» A meno che non si sia sfracellato da qualche parte, pensò, ma evitò di dirlo. Anche se il cane non era certo in grado di capire le sue parole, le pareva comunque di cattivo gusto.

«Dai, adesso smettila di abbaiare e mettiti giù tranquillo sul tuo cuscino» continuò, parlandogli come se fosse capace di decifrare quello che gli stava dicendo.

La giovane restò in attesa ancora qualche secondo. Da dietro la porta non giungeva più alcun suono e Anna pensò con un fremito di speranza che forse il suono della sua voce era stato sufficiente per tranquillizzare il cane. Muovendosi con estrema cautela, la ragazza si rimise in piedi e si allontanò dalla porta, tornando a dirigersi verso il suo appartamento. Non si era allontanata che di pochi metri, però, che i latrati ripresero con tutto il loro vigore.

Ma porca… Anna fu tentata di mettersi le mani tra i capelli. «Adesso basta!» urlò, senza curarsi del fatto che era all’aperto e che tutto il vicinato poteva sentire i suoi strepiti. «Finiscila!»

L’eco dell’ultima sillaba non si era ancora spento che la finestra della villetta alla destra della sua si spalancò, lasciando intravvedere la testa riccia della sua vicina di casa, una bella ragazza che doveva essere un po’ più grande di lei e che era madre di una bambina di pochi anni. «Ma non la finisce più di abbaiare, quel cane?» si lamentò la donna, sporgendosi come per guardare la porta chiusa dietro alla quale si trovava Yaroslav.

«Non lo so» sbuffò Anna, allargando le braccia con fare desolato. «Ho provato a parlargli un po’, ma non serve a niente: la smette per un attimo e poi ricomincia da capo.»

«Il suo padrone non è in casa, suppongo» fece la donna.

Anna scrollò il capo in segno di diniego. «No: a quanto pare non c’è nessuno. Non ho idea di dove sia finito.»

«E che palle, però!» sbottò la giovane riccia. «Scusa» continuò poi, rendendosi forse conto di essersi rivolta in tono brusco a una persona con la quale non aveva scambiato che poche parole, prima di allora. «È che c’è mio marito con l’emicrania e mia figlia che tra un’oretta dovrà andare a letto: se continua così, non riuscirò a farle chiudere occhio.»

La ragazza giocherellò con il polsino della giacca, dispiaciuta per la vicina. «Non so davvero cosa fare» replicò, stringendosi nelle spalle. «Forse… non lo so, magari si potrebbe provare a chiamare Oleksander? Hai il suo numero, per caso?»

La donna si lasciò sfuggire una risatina sarcastica. «Ma figuriamoci! Con quello lì ci ho avuto a che fare solo durante le riunioni di condominio e tanto mi è bastato.»

Anna fece una smorfia. «E allora non so davvero come fare. Il suo numero non ce l’ho nemmeno io…»

La donna alla finestra tacque per qualche istante, apparentemente immersa in qualche riflessione. «Sai chi potrebbe avercelo? Loredana.»

«Chi?» chiese la ragazza: quel nome non le diceva niente.

«Ma sì, la signora Rocca. Lei è sempre bene informata.»

Anna si illuminò. «Oh, hai ragione!» esclamò. «In effetti, la prima cosa che ha fatto quando ci siamo presentate è stata chiedermi il numero di cellulare… sai, per le emergenze.»

Lei e la donna alla finestra si scambiarono un sorriso e Anna si ripromise di scoprire almeno il suo nome. In effetti, ora che ci pensava, era probabile che gliel’avesse anche detto, quando si erano incontrate per la prima volta, ma lei aveva una pessima memoria per quel genere di informazioni. Sarà meglio chiederlo alla signora Rocca, decise. Meglio evitare di fare figuracce.

«Sì, è una tipa previdente» continuò la giovane riccia, riprendendo il discorso. «Ti scoccia chiederglielo tu?» aggiunse poi, con una punta di reticenza. «Lo farei io, ma con mio marito a letto con il mal di testa preferirei tenere d’occhio la bambina…»

Anna annuì. «Ma certo, nessun problema» le assicurò. Anche se, una volta avuto il numero, avrebbe dovuto usarlo per chiamare Oleksander: e quello sì, che poteva essere un problema.

   
 
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