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Autore: Eli Ardux    02/04/2020    0 recensioni
"Ho spesso pensato a come ti avrei detto addio un giorno. La morte è inevitabile, in fondo. Eppure non pensavo sarebbe successo così in fretta. Mi sono spesso immaginata invecchiare al tuo fianco. E sai, ricordare tutte quelle bellissime bugie fa male. Ma fa ancora più male pensare che tu stia leggendo tutto questo mentre io non sarò al tuo fianco. Mi dispiace, Sirius. Mi dispiace provocarti questo nuovo peso. Mi dispiace non averti suscitato un’altra volta un sorriso. O forse ci riuscirò ancora. Forse, tra molti e molti anni, ricorderai ancora quella stramba ragazza che ti ha insultato così pesantamente. Ricorderai ancora, magari, il calore di un abbraccio, quando il mondo inizierà a diventare freddo."
***
Dal capitolo 46
«Non è stata una mia scelta!» Sirius aprì le braccia, esasperato. Entrambi avevano alzato di nuovo la voce. «Sì invece» «Cosa?! Donna ma ti senti quando parli?» La bocca di lui si contorse dalla rabbia. «Calmati per Merlino» Elisa raccattò una borsa appoggiata al suo fianco, sulla panca, gettandogliela. I libri andarono a cozzare contro il braccio proteso dal ragazzo per difendersi, rotolando poi a terra poco più in là. «Non dirmi di calmarmi!»
Sirius x nuovo personaggio
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Nuovo personaggio, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Titano



«Mi hai stupito, bambina». La voce di Dorcas parve rincorrerla nel turbinio dei suoi pensieri. Si voltò a fissarla con espressione curiosa, tentando di capire cosa mai avesse potuto convincere la donna a rompere quel muto silenzio dietro cui, ormai, si celava in continuazione. «La tua scelta, intendo. Chissà quanto coraggio ti ci è voluto» «Pensi che la vita da sposa non mi si addica?» Lux al suo fianco ghignò leggermente. «No, penso sia solo strano vedere un lupo scodinzolare». La ragazza si bloccò a quel commento, osservando i due colleghi avanzare nell’oscurità della sala.
 
Le spalle di Dorcas si erano fatte un po’ più ricurve dall’ultima volta che si era veramente fermata ad osservarla, come se, al pari di Atlante, la donna stesse collassando lentamente sotto il peso del cielo. «Ogni randagio ha un luogo in cui ama dormire». Nell’oscurità interrotta solo dal flebile bagliore delle loro bacchette la ragazza intravide il capo della donna muoversi leggermente in un gesto di supponente diniego.
 
«Su su Dorcas, non ti pare di esagerare?» «Grazie Dedalus» Elisa riprese a camminare, raggiungendo ben presto gli altri due maghi. «Bimba, ti dispiacerebbe fare più luce?» il tono secco dell’altra la fece sorridere. «Beh, sinceramente anche io vorrei andarmene da qui presto. E di questo passo…» Dedalus si stiracchiò platealmente, facendola sorridere.
 
Elisa si concentrò sulla bacchetta nella propria mano, aguzzando la vista nell’oscurità. Ma lì dove avrebbe dovuto scorgere gli oggetti grazie alla nuova luce, una coltre di ombre le sbarrò la vista. «Allora? Non abbiamo tutto il giorno» Elisa ignorò il commento dell’altra, fissando confusa la sua bacchetta, dove una flebile luce era tutto ciò che il suo impegno era riuscito a produrre.
 
Si concentrò meglio, cercando di identificare quella magia bruciante che solitamente andava a solleticarle le vene. Ma l’unica cosa che sentì fu solo un gran freddo. Un brivido le percorse la spina dorsale mentre lo sgomento iniziava a mischiarsi alla confusione.
 
Impiegò qualche secondo a percepire lo sguardo che la stava perforando. Gli occhi di Dorcas la stavano studiando, attenti, come se avessero appena intravisto una bestia ringhiante sotto il suo mantello e stessero cercando il modo migliore per comunicarglielo.
 
«Ti voglio più attenta durante le missioni, Stevenson» Una luce più forte si irradiò nella stanza dalla bacchetta della donna. Elisa osservò l’altra alzare la bacchetta e far scorrere lo sguardo nella stanza. «Niente, anche questa villa sembra essere a posto» Dedalus si batté sulla pancia soddisfatto. Elisa strinse più forte la bacchetta. Lì, dove l’anello della casata Black le lasciò il segno sulla pelle, la ragazza poté dire di sentire un pizzico di sollievo e calma. Forse avrebbe solo dovuto concentrarsi di più. No? «Bene, direi che per oggi abbiamo fini-»
 
Elisa percepì l’esplosione ancora prima di sentirne il vuoto. Come a rallentatore, intravide la porta a soli pochi metri da loro essere scardinata e volare nella loro direzione. E sempre alla stessa velocità, l’urto raggiunse anche loro. Per una frazione di un attimo pensò che la porta le avesse sbattuto contro. Invece, si ritrovò lanciata dall’altra parte della stanza, a cozzare contro un pavimento tanto duro da toglierle il fiato all’impatto. «Porca-» l’imprecazione alla sua destra le suggerì che Dorcas si stava già rialzando. Un fischio acuto le frenò i movimenti per alcuni secondi, mentre con lo sguardo la ragazza cercava già l’altro compagno. A pochi metri da lei, Dedalus osservava con la sua stessa espressione di confusione il soffitto lontano.
 
Un intenso calore la fece sussultare, mentre dalla porta delle lingue di fuoco iniziavano ad agglomerarsi e unirsi, strisciando nella stanza e alzandosi fin sopra al soffitto. Elisa si lanciò alla sua sinistra, afferrando il mago e costringendolo a rimettersi in piedi.
 
«VIA» Avrebbe tanto voluto commentare che l’ordine di Dorcas in quel momento era del tutto inutile e che avrebbe fatto meglio a correre e smettere di darsi delle arie. Ma l’unica cosa che riuscì a fare fu gettarsi verso la porta, la mano ancora fermamente ancorata al bavero del mantello dell’altro, impegnata a trascinare sé e il corpo dell’altro lungo i corridoi bui. L’aria, carica di fuliggine e paura, sembrava tagliare ogni pensiero positivo, ogni possibile via di fuga a quel mare di fuoco e morte. Corse e corse ancora quando incontrando lo sguardo di Dorcas vi lesse la stessa paura che poteva scorgere nel proprio cuore.
 
«Giù!» l’urlo bastò a farla obbedire. E mentre si abbassava, trascinando l’altro con sé come un corpo morto, Elisa intravide una lingua di fuoco scontrarsi contro il muro invisibile che Dorcas aveva letteralmente lanciato contro la bestia alle loro spalle. Non avrebbe saputo dire cosa fosse. Forse un serpente, o forse un leone. Nel turbinio di fiamme e scintille avrebbe anche potuto essere il diavolo in persona e la cosa non l’avrebbe stupita.
 
La figura attaccava, silenziosa, il solo rombo della loro paura e il frastuono dello scoppiettio del fuoco a fare da sottofondo. Dorcas urlò, mentre l’ennesimo muro invisibile intercettava l’attacco successivo. Elisa si rialzò tremando, la bacchetta ancora strettamente ancorata nella sua mano. Non si era nemmeno accorta di stare ancora stringendo qualcosa tra le mani. I suoi occhi si posarono ancora sulla bestia mentre il vuoto che aveva sentito solo qualche minuto prima si rimpossessava ancora di lei.
 
Nessuna magia fece da contraccolpo all’attacco successivo. La fiammata andò a scontrarsi contro il soffitto, facendo sì che un calore insopportabile la investisse. Il respiro le si mozzò, strappato da una mano invisibile che le stringeva la gola. Una mano la afferrò per la tunica, spingendola fuori dalla stanza. Dorcas la spintonò lungo l’ennesimo corridoio mentre una risata fredda riempiva la stanza.
 
«Lui è qui!» L’urlo di Dedalus davanti a loro si perse nel boato successivo, quando una trave dal soffitto rischiò di schiacciarli. Il portone di ingresso sembrava lontano chilometri. Tutti e tre sapevano che avrebbero dovuto varcare quella porta per potersi smaterializzare. Eppure, forse ne era consapevole anche la bestia. L’attacco successivo li sorvolò senza nemmeno calcolarli, andando a scontrarsi contro il legno scuro del portone d’entrata.
 
Dedalus dovette scardinare le pesanti porte con un’esplosione. Pezzi di legno e antichità le piombarono addosso, costringendola ad avanzare in una corsa cieca. L’attacco della creatura non tardò a mancare. Un muro di fuoco si erse davanti a loro, bloccando l’unica via di fuga a cui avrebbero mai potuto avere accesso. Si fermarono tanto bruscamente da scivolare sul pavimento ricoperto di polvere e schegge. «Fa’ qualcosa!» la disperazione con cui Dedalus le afferrò il braccio la fece trasalire, ma non quanto lo sguardo di puro terrore che gli vide assumere.
 
Una presa ferrea si posò sulla sua spalla, costringendola a voltarsi. Dorcas la osservava duramente, le dita ancora saldamente affondate nella sua spalla. Elisa tentò di ricercare ancora quel guizzo di magia che non riusciva a trovare. Tentò e tentò ancora, osservando impotente la bacchetta giacere immobile nella sua mano come un ramoscello insignificante. Poi puntò ancora lo sguardo verso la donna e poi ancora più in là, verso la soglia appena varcata, dove un ammasso di fuoco e cenere avanzava, mangiando con la sua morsa cocente gli antichi infissi regali.
 
«Promettimi che li salverai» le parole la fecero trasalire. La presa di Dorcas aumentò ancora, fino a costringerla a ritrarsi dal dolore. «Io non-» «Sei l’ago della bilancia, bimba» La donna sorrise e per un attimo Elisa rivide il sorriso nostalgico che la donna aveva riservato una sola volta a lei e al mondo. La bionda a cui era rivolto non c’era più e, con lei, la ragazza sospettava che anche quel sorriso fosse solo un pallido spettro del passato.
 
«Promettimi che li proteggerai» La bestia alle spalle della donna parve ruggire. Il pavimento tremò a quel muggito di rabbia. Dorcas si voltò quel tanto per lanciare un rapido sguardo alla bestia, rivoltandosi l’attimo dopo. «Promettimelo».
 
Elisa boccheggiò qualche secondo, il calore a bloccarle il respiro e la fuliggine davanti agli occhi a mischiare la realtà. Annuì soltanto, intontita, confusa, perché quelle parole non avevano senso e perché quella situazione non ne aveva. Perché sarebbe bastato solo raggiungere la soglia alle sue spalle, quella stessa soglia da cui solo qualche secondo prima aveva intravisto il cielo notturno. Sarebbe bastato anche solo… Dorcas sorrise ancora, tristemente, come se quella risposta fosse tutto ciò che si era sempre aspettata da lei.
 
«Non c’è mai un lieto fine per noi poeti maledetti» Elisa boccheggiò, intravedendo la bestia alle loro spalle avanzare ancora. Ritornò a puntare gli occhi in quelli dell’altra, mentre le parole appena sussurrate le raggiungevano il cervello. Ma prima che potesse chiedere spiegazioni, gli occhi della donna si spostarono alle sue spalle e la mano che fino a pochi attimi prima la stava così saldamente sostenendo, la spinse bruscamente via. «Vai!»
 
Elisa si ritrovò sbalzata via con forza tale da sbilanciarla indietro, dove un corpo solido assecondò il movimento. Un braccio le cinse la vita, incastrandola contro il busto alle sue spalle. E mentre gli occhi della ragazza erano ancora fissi in quelli della donna, il suo corpo si ritrovò trascinato indietro, verso l’uscita. I suoi piedi si mossero prima di lei, cercando disperatamente di ancorarsi al terreno, mentre ciò che stava succedendo si faceva strada lentamente nelle pieghe della sua coscienza.
 
Combatté, con disperata convinzione, mentre gli ansiti strascicati di Dedalus ricoprivano il rombo del fuoco e delle sue stesse urla. Dorcas la guardò un’ultima volta, sorridendo ancora con quel suo stupido modo di fare, con quella gentilezza celata elegantemente agli occhi del mondo. Poi la ragazza la osservò voltarsi e non seppe se stava ancora sorridendo o meno.
 
Il primo attacco della bestia fu parato con estrema facilità, quasi con annoiata supponenza. E gli attacchi si susseguirono ancora e ancora e ancora. Lei urlò, o forse non stava nemmeno più urlando e l’unica cosa che sentiva era l’ululato del fuoco e del silenzio. Seppe solo che quando la soglia raggiunse i lati del suo campo visivo, Dorcas era piegata su sé stessa, la bacchetta ancora puntata di fronte a sé, lo sguardo fiero rivolto verso l’ultimo colpo che la vita avrebbe voluto infliggerle.
 
Come un martire in ginocchio di fronte a una chiesa che brucia e si spezza, la ragazza osservò la figura a terra farsi grande, pronta a sostenere un’ultima volta il cielo. E poi tutto divenne ombra e il titano scomparve dalla sua vista.
 
***
 
Si svegliò di soprassalto, come aveva sempre fatto dopo un incubo particolarmente spaventoso. La sua mano vagò automaticamente al suo fianco, dove sapeva ci sarebbe stato il corpo del ragazzo che amava ad aspettarla. Ma il suo braccio ricadde goffamente sul materasso, mentre la consapevolezza di non trovarsi nella propria stanza la invadeva. O meglio, quella era stata la sua stanza, solo molto, molto tempo prima, quando ancora la sua vita avrebbe potuto definirsi ordinaria.
 
Si alzò con lentezza, i capelli stranamente lunghi a nasconderle la vista degli eleganti infissi antichi che la sovrastavano. La ragazza scese dal letto a baldacchino e si precipitò verso la porta, aspettandosi di trovarla chiusa, come d’altronde era sempre stata. Ma questa si spalancò senza opporre resistenza, lasciandola affacciata al lungo corridoio dove molte volte suo padre l’aveva picchiata. Fu a tentoni che riuscì ad afferrare la bacchetta nella sua tasca, puntandola poi con fermezza di fronte a sé.
 
Casa sua era uguale a come se la ricordava. Tetra, antica e maledettamente imponente, come se la struttura stessa della villa rispecchiasse i fondamenti della famiglia che la occupava. Raggiunse il salotto con lentezza, dosando ogni passo e osservando dietro ad ogni angolo l’arrivo di qualche Mangiamorte. Fu solo quando ebbe varcato la soglia dell’immenso salone che la bacchetta rischiò di sfuggirle dalle mani.
 
Di fronte al camino una testa china su un vecchio tomo si alzò un poco, rivelando due occhi scuri pronti a squadrarla con curiosità. «Cosa stai facendo tesoro?» Gli angoli della bocca di sua madre si erano alzati con una gentilezza che mai aveva potuto scorgervi in quei lineamenti. Elisa boccheggiò, troppo confusa per parlare.
 
«Sai che tuo padre avrebbe molto da dire sul tuo stato vero?» La donna fece cenno nella sua direzione con aria di rimprovero. «Rincasare ad una tale ora… e in quello stato poi» La donna scosse la testa con disapprovazione, nonostante stesse sorridendo. Elisa fece qualche passo avanti, avvicinandosi al fuoco che fino a poco prima pareva soffocarla. «Cosa sta succedendo?» «Cosa intendi-» «Tu sei morta» Il viso della donna si piegò in un’espressione confusa. «Stai bene, tesoro?» La ragazza la fissò per qualche istante, spostando poi lo sguardo al suo fianco, verso lo specchio sopra al camino. La bacchetta quasi le sfuggì di mano.
 
La sua espressione, di puro sgomento, era incorniciata da lunghi ciuffi sfuggiti ad una treccia che, forse molte ore prima, doveva essere ben fatta. Il suo aspetto era più curato, così come la sua sorpresa, ora tornata dietro ad una fredda maschera purosangue che non riconosceva. Si toccò piano una guancia, sentendo la pelle tirarsi lì dove avrebbe dovuto sentire qualcosa che non era suo.
 
Ma il riflesso non fece lo stesso. La mano nello specchio si limitò a riabbassarsi, mentre la sua stessa espressione diventava una fredda cera impassibile. «Non lo fare».
 
***
 
«Come stai?» La ragazza si limitò ad alzare le spalle. Il Preside le lanciò uno sguardo triste, abbassando poi gli occhi sulle carte così ordinatamente distribuite sulla sua scrivania. «Sai che tenere tutto dentro non ti aiuterà». Elisa sospirò stancamente, alzando gli occhi al cielo. Quando qualche giorno prima aveva ricevuto l’invito dal vecchio insegnante aveva già capito quale sarebbe stato l’obiettivo di quell’incontro. «Sto bene, veramente» aggiunse con un sorriso veloce in direzione dell’altro, per poi rispostare lo sguardo fuori dalla finestra. 
 
Gli occhi dell’uomo indugiarono ancora su di lei. «Mi hanno detto che quando siete comparsi tu eri svenuta e quando ti sei svegliata pensavi fosse colpa tua». Gli angoli della bocca della ragazza si alzarono in un sorriso triste.
 
Aveva impiegato qualche secondo nel rendersi conto che qualcuno la stesse schiaffeggiando, e ancora di più a capire chi fosse quel qualcuno. Remus aveva allontanato la mano dal suo viso con uno scatto, aspettando che lei dicesse qualcosa. E invece lei era rimasta lì a fissarlo per attimi infiniti, mentre tutto ciò che aveva vissuto e visto ritornava al suo posto, come i tasselli di un puzzle a cui lei fino ad ora non aveva stupidamente fatto caso.
 
E poi la terribile conclusione, lo scacco matto di quella partita mal giocata: è stata colpa mia. Aveva sussurrato quelle parole sovrappensiero, rivolte più a sé stessa che ad altri, così come lo erano state le lacrime versate poco dopo, inutili secchiate d’acqua su una coscienza troppo sporca da lavare.
 
«Ora sto bene» Silente si passò una mano davanti agli occhi, forse per cacciare la stanchezza. «Non puoi sempre pretendere di salvare tutti».
 
Era stato ciò che le aveva sussurrato Sirius tra i suoi capelli, mentre con delicatezza le accarezzava la schiena quando le lacrime non volevano sapere di scendere e il male le ristagnava dentro. Questa volta, però, poteva smettere di fingere che andasse tutto bene.
 
«Posso almeno provarci» Elisa si voltò con aria di sfida verso l’altro, aspettandosi quasi una risposta alla sua insolente provocazione. «Hai lasciato il tuo lavoro» la ragazza si morse il labbro con forza e spostò il suo sguardo ancora una volta, puntandolo verso il pavimento. «E lui non lo sa» «Non lo deve venire a sapere». Fu quasi con sollievo che intravide un’espressione stupita negli occhi dell’anziano. «Non puoi mentirgli per sempre». Lei respirò a fondo, ripensando allo sguardo di sollievo che aveva intravisto negli occhi del ragazzo che amava quando quella mattina aveva lasciato casa.
 
Sirius teneva con così tanta costanza al loro futuro da fingere di non intravedere la sua tristezza. La loro vita non era cambiata. Avevano la loro routine, i loro momenti, i loro spazi. Eppure, tutto era diventato un po’ più finto. Entrambi evitavano di parlare dell’Ordine in casa, o di qualsivoglia elemento che potesse riportare alla mente gli eventi di quasi una settimana prima. Sembrava di vivere con un enorme elefante nella stanza, senza che però nessuno dei due volesse ammettere che vi fosse. Elisa rigirò l’anello dei Black intorno al suo dito, sentendo la fredda forza dei secoli impregnati nel metallo.
 
«Andrà tutto bene, okay?» L’uomo annuì piano, per poi alzarsi dalla scrivania e avvicinarsi nella sua direzione. «Sai vero che puoi fidarti di me?» Elisa rimase per un attimo spiazzata a quella domanda. Annuì, ricordando quando molti anni prima le aveva raccomandato di tenere un basso profilo e non farsi notare, o di quando le aveva insegnato a gestire i suoi poteri. Inspiegabilmente, con un’intraprendenza che non le apparteneva, la ragazza appoggiò la guancia contro la spalla dell’uomo, il tessuto morbido contro la sua pelle. Le mancò solo il coraggio di sussurrare le parole che tanto le aleggiavano nella mente: certo papà.
 
***
 
«Sono tornata!». La porta di casa si richiuse alle sue spalle con un tonfo sordo. «Ehi amore!» Elisa si bloccò a quelle parole, lo sguardo puntato nella direzione da cui quella voce proveniva. «Che diamine hai combinato». Il suo cuore si scaldò un poco quando intravide il sorriso furbo con cui il ragazzo le rispose.
 
Era bello, Elisa doveva proprio ammetterlo. Seduto sul divano, con il suo stupido maglione ingrigito dagli anni e il giornale appoggiato distrattamente accanto, sembrava tornato a quell’epoca in cui non vi erano preoccupazioni, se non la vittoria o meno della propria casata ad una partita di Quidditch.
 
«Mi sei solo mancata». Sapevano entrambi che quella era una scusa bella e buona. Eppure, decise di reggergli il gioco. Si avvicinò mesta, gettandosi sul divano accanto a lui, le gambe appoggiate mollemente su quelle del ragazzo. «Allora?» Sirius le accarezzò con dolcezza una gamba, momentaneamente perso nei suoi pensieri.
 
Lei rimase ad osservarlo: non capitava spesso che avessero momenti del genere. Spesso capitava di parlare di lavoro, o politica, o qualsiasi cosa che non li facesse ragionare sulla loro situazione o le paure che da essa prendevano forma. Era raro che restassero in silenzio a condividere un momento. E forse era meglio così. Perché se era vero che la decisione di restare con lui avrebbe decretato la loro fine, lei non era sicura di voler vivere quell’amore con tutto il suo cuore. Quell’amore sapeva di tenerezza, di bene. Ma sapeva anche di morte e di destino.
 
«Voglio uscire con te domani sera». Elisa osservò gli occhi dell’altro puntati nei suoi. Sembravano dubbiosi, come se si aspettasse un rifiuto. Come se lo temesse. «Cosa-» «Voglio portarti fuori a cena. Dopo il lavoro, si intende». Non lo contraddì. Non poteva di certo farlo. «Sirius non ce n’è bisogno-» «E invece sì» Sirius le afferrò una mano.
 
Sapeva di amarlo. Ma in quel momento si ricordò com’era veramente, senza la costante paura di morire o l’assordante rombo di una minaccia all’orizzonte. Per qualche attimo ci furono solo loro due e non poté non sorridere per questo. «Domani sera alle 7 e trenta?» Elisa portò la mano dell’altro alla sua bocca, baciandone il palmo. Sirius sorrise. In quel momento, per lei, tutto fu al suo posto: il suo cuore un po' più caldo con tutto il suo mondo in quella stanza.
   
 
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