Capitolo secondo
Jupiter
and moons, knowledge and wisdom:
The demigods, their sons, came here to guide us
Jupiter and moons, mercy and compassion;
We'll explore another world...
It's time to leave: we can't wait anymore!
(“Of
Jupiter and moons” – Temperance)
Ciò che tormentava veramente
Peter non poteva essere cancellato dalle sagge parole di Natasha e, alla fine,
la delusione e l’amarezza lo portarono a esplodere e a rivelarle anche quello
che avrebbe preferito tenere per sé.
“E allora, se anche il
signor Stark stesso ha commesso tanti errori, perché non ha detto niente quando
Fury mi ha escluso dalla missione? Perché non ha cercato di portarmi con sé?
Perché mi considera inutile e, forse, ritiene anche che avrei potuto ostacolarli!”
esclamò, facendo un grande sforzo per non scoppiare a piangere. Ma qualche
lacrima dispettosa fece lo stesso capolino dai suoi occhi e gli scivolò lungo
le guance.
Natasha finse di non accorgersene,
lo prese per le spalle e lo fece voltare verso di sé per guardarlo dritto negli
occhi.
“Il signor Stark, come lo chiami tu, ti vuole un bene dell’anima ed è
stato ben felice che Fury non ti abbia permesso di andare con loro perché non
voleva che corressi il minimo pericolo” dichiarò, scandendo bene le parole per
farle penetrare nella testa dura del ragazzo.
Un brivido corse lungo la
schiena di Peter sentendo Natasha dire apertamente una cosa che, secondo quello
che credeva lui, nessun altro poteva sapere (in realtà perfino Fury era al
corrente di quello che c’era tra Stark e il suo pupillo, come si divertiva a chiamarlo per prenderli bonariamente
in giro!). Tuttavia non era convinto fino in fondo e, almeno per principio, si
sentì in dovere di obiettare.
“Ma allora, se è come dici
tu, perché non me l’ha detto? Avrebbe potuto spiegarmi che non voleva mettermi
in pericolo… e io, ovviamente, avrei protestato dicendo che potevo essere di
aiuto e che nemmeno io volevo che lui rischiasse e allora…”
“E allora sarebbero stati
ancora tutti qui, invece di andare a catturare Thanos e a salvare il mondo”
tagliò corto Natasha, interrompendo il fiume di parole nel quale Peter la stava
annegando. “Senti, pensala come ti pare, ad ogni modo le cose stanno come ti ho
detto io. Me ne vado nella mia stanza, tu riflettici un po’ su, che ne dici?”
Peter rimase da solo nel
salone degli Avengers. Non sapeva bene cosa fare. Non voleva andare nella sua
stanza, voleva essere presente quando il signor Stark e gli altri fossero
tornati… ma non sapeva quanto ci sarebbe voluto. Perché non tornavano? Era un
bene o un male che ci mettessero tanto? Forse… forse Thanos li aveva uccisi
tutti e loro non sarebbero tornati mai più…
Questo pensiero raggelò
Peter.
No, no, se mi metto a pensare così
allora impazzisco. Devo essere positivo, Thanos può essere battuto e poi adesso
sono in tanti, c’è anche quella nuova, Capitan Marvel… sembra davvero che abbia
un potere devastante, magari anche più di Thanos. La volta scorsa lei non c’era
e, comunque, siamo andati vicini lo stesso a battere quel maledetto gigante.
Non devo pensare al peggio!
Ma, ovviamente, era più
facile a dirsi che a farsi. Le ore trascorrevano lentamente e nulla succedeva.
Era ormai calata la notte, ma Peter non si risolveva ad andare a dormire. Come
poteva dormire mentre il signor Stark e gli altri Avengers rischiavano la vita?
Gli occhi, però, si facevano sempre più pesanti…
Quando si rese conto che
stava per addormentarsi, Peter si riscosse e decise di uscire: avrebbe
aspettato il ritorno dell’astronave dei Guardiani della Galassia all’aperto, così
l’aria freddina della sera lo avrebbe tenuto sveglio e lui sarebbe stato il
primo a vederli tornare.
Per qualche suo strano e
contorto meccanismo mentale, si era autoconvinto che, se non si fosse
addormentato e fosse riuscito a resistere, allora anche gli Avengers avrebbero
sconfitto Thanos e sarebbero tornati sani e salvi.
Non avrebbe saputo dire
quanto tempo avesse trascorso là fuori, e nemmeno se, a tratti, fosse caduto in
una specie di dormiveglia. Ad un certo punto, però, Peter vide un lampo luminoso
nel cielo e, pochi attimi dopo, scorse l’astronave dei Guardiani della Galassia
che si faceva sempre più vicina.
Quando la vide atterrare il
suo cuore batteva così forte che temeva potesse scoppiare. Se l’astronave era
tornata significava che la missione era riuscita, che Thanos era morto… oppure
poteva essere che fossero dovuti scappare? E, in quel caso, poteva anche essere
che qualcuno non ce l’avesse fatta?
Questi pensieri angoscianti
gli si avviluppavano attorno al corpo, impedendogli persino di fare un passo
verso l’astronave. Era ancora più spaventato perché non riusciva a capire se le
sue preoccupazioni erano dovute al suo affetto per il signor Stark e per gli
amici o se… se invece erano una sorta di premonizione,
un altro effetto collaterale dei suoi sensi di ragno.
Ma i ragni avevano delle
premonizioni?
Finalmente il portello
dell’astronave si aprì.
Il primo ad uscirne fu Thor
che, cupo in volto e senza proferire verbo, si allontanò di corsa fino a
scomparire alla vista di tutti. Poi, pian piano, scesero tutti gli altri, ma
nessuno di loro aveva un’aria compiaciuta, nemmeno la giovane eroina che era
parsa tanto sicura di sé.
Tony fu il primo ad
accorgersi che Peter era rimasto là fuori per tutto il tempo e che,
stranamente, non era corso verso di loro tempestandoli di domande. Fu lui ad
avvicinarglisi, visto che il ragazzo, a quanto pareva, aveva perso
temporaneamente la capacità di muoversi e di parlare.
“Allora, ragazzo, che ci fai
qui? Perché non sei a dormire?” gli chiese. “Dai, entriamo.”
Il semplice fatto che Tony
fosse lì accanto a lui e che gli parlasse sembrò ridare vita a Peter.
“E’… è andata così male?”
mormorò, rientrando nel quartier generale degli Avengers a fianco dell’uomo,
mentre gli altri sfilavano accanto a loro l’uno dopo l’altro, cupi e
pensierosi.
“Thanos è morto e questo non
è un male” rispose Tony, ma il suo tono non era entusiasta come sarebbe dovuto
essere per una notizia del genere. “Purtroppo, però, quando noi siamo arrivati
al suo rifugio lui aveva già distrutto il Guanto e le Gemme dell’Universo, per
questo era così indebolito.”
“Sì, e quel barbaro con
l’ascia gli ha tagliato la testa prima che potessimo chiedere qualche
spiegazione in più, magari come fare a recuperare le Gemme distrutte!”
aggiunse, stizzita, Carol.
“Le aveva distrutte, che
informazioni poteva darci?” commentò Bucky, pratico come sempre.
“Così non lo sapremo mai,
grazie al vostro amico vichingo” tagliò corto la ragazza.
“Senza il Guanto
dell’Universo non potremo riportare indietro le persone che Thanos ha fatto
sparire” disse piano Steve, come riflettendo tra sé. “Non potremo salvare la
famiglia di Clint, i guerrieri di T’Challa, Maria Hill e tante altre persone…”
“E’ finita” concluse
amaramente Rhodey. “Thanos è morto e non farà più del male a nessuno, ma le
persone che ha ucciso non torneranno indietro. Dovremo farcene una ragione.”
E così, mentre gli Avengers
di ritorno dalla spedizione si disperdevano nel quartier generale, in attesa di
riunirsi tutti assieme e raccontare a Fury e ai compagni ciò che era accaduto,
Tony accompagnò Peter nella sua stanza.
“E’ molto tardi, avresti
dovuto essere a letto da un pezzo, domattina hai scuola” gli disse.
Il ragazzo, però, non
sarebbe riuscito a dormire se prima non si fossero chiariti. Quello che gli
aveva detto Natasha poteva anche andar bene ma, appunto, era stata Natasha a
dirglielo e lui voleva sentire direttamente dal signor Stark qual era il motivo
per cui non aveva nemmeno cercato di portarlo in missione.
Non appena giunsero nella
stanza di Peter, il giovane chiuse la porta e si piazzò di fronte a Tony,
deciso a non lasciarlo uscire finché non gli avesse detto la verità.
“Signor Stark, adesso deve
dirmi tutto” dichiarò, deciso.
Tony era già abbastanza
innervosito dal fallimento della spedizione. Sospirò rassegnato, scosse il capo
e lo guardò in faccia.
“Te l’ho già detto” ripeté
in tono stanco. “Abbiamo raggiunto Thanos nel suo rifugio e gli abbiamo
intimato di darci il Guanto dell’Universo, ma lui ha detto di averlo distrutto.
Io non gli credevo, ma Nebula ha detto che suo padre non mente mai e anche le
condizioni del gigante sembravano confermare le sue parole: era talmente debole
da non essere nemmeno in grado di difendersi e questo perché aveva speso tutte
le sue energie per distruggere le Gemme. Poi Thor ha avuto un colpo di genio e
l’ha decapitato, così non abbiamo potuto chiedergli altro. In ogni caso, dubito
fortemente che ci avrebbe aiutato a trovare un rimedio.”
Dunque la situazione era
quella: Thanos era morto e con lui anche la speranza di riportare indietro le
persone svanite. Non c’era da stupirsi che gli Avengers fossero così
abbacchiati. Ma non era quello che Peter voleva sapere.
“Signor Stark, perché non ha
voluto che partecipassi alla missione?” domandò senza girarci tanto intorno.
“Io? E’ stato Fury a
scegliere quelli che avrebbero fatto parte della spedizione e tu sei stato
escluso” rispose laconico Tony.
“Sì, certo, e lei non si è
mai opposto alle decisioni di Fury prima d’ora, vero? Perché non ha cercato di
parlargli, di convincerlo a farmi venire con voi?” insisté il ragazzo.
“Perché avrei dovuto?” fu la
poco soddisfacente replica di Stark.
“Dunque avevo ragione… lei
non mi voleva” mormorò Peter, col pianto in gola. “Se non ci avesse pensato
Fury, sarebbe stato lei a escludermi.”
“Probabilmente sì, è così”
tagliò corto l’uomo.
“E lo dice così, non cerca
nemmeno di addolcirmi la pillola?” esclamò Peter, allibito. Va bene, Tony era
deluso e di certo anche arrabbiato per il fallimento della spedizione, ma
perché era così duro con lui? “E’ questo che pensa, dunque: Peter Parker, non ti volevo nella missione.
E’ andata male, ma il tuo contributo avrebbe probabilmente potuto anche
peggiorare le cose. Nessuno di voi mi ritiene degno di essere un Avenger e
lei meno di tutti!”
Un lampo passò negli occhi
di Tony. Era stremato dalla fatica e dalla frustrazione e non aveva nessuna
voglia di mettersi a discutere con Peter su un argomento di cui avevano già
parlato milioni di volte.
Afferrò il ragazzo per le
spalle e avvicinò il volto al suo, fissandolo negli occhi così profondamente da
sondargli l’anima.
“Vuoi sapere quello che ho
pensato? Te lo dico subito, anche se ormai dovresti saperlo. Ho pensato che per
niente al mondo avrei voluto che tu ti avvicinassi a Thanos. Ho pensato che,
comunque fosse andata, sarei stato molto più tranquillo nel saperti al sicuro
sulla Terra. Ho pensato che quel maledetto Titano non avrebbe dovuto posare il
suo sguardo su di te nemmeno da lontano” disse con veemenza, scuotendo il
ragazzo ad ogni frase. “Sono riuscito solo a pensare che non avrei resistito
se, in qualche modo, lui ti avesse… se ti avesse potuto colpire. Se ti avessi
visto svanire di nuovo, ancora una volta, allora io…”
Le ultime parole erano state
appena sussurrate, ma erano quelle che risuonavano più forte nella testa di
Peter.
“E’ il mio incubo da mesi”
ammise l’uomo, sempre a bassa voce. “Quasi ogni notte sogno che svanisci tra le
mie braccia e che io non posso fare nulla per salvarti… e nel sogno non c’è
Strange a riportarti indietro, non c’è nessuno. E adesso so che sarebbe potuto
accadere, che le Gemme non esistono più e che, se tu fossi svanito, non saresti
mai più ritornato indietro, come non ritornerà Maria, o la famiglia di Clint, o
i guerrieri del Wakanda, o…”
Quello che aveva detto
Natasha era vero, ma detto dal signor Stark acquisiva tutta un’altra valenza.
Improvvisamente Peter si sentì incredibilmente piccolo, stupido e egoista:
aveva pensato solo a se stesso e alla sua delusione, non a quello che poteva
aver provato Tony o a quello che avrebbe voluto dire per Clint sapere che non
c’era modo di riavere la sua famiglia, per Wanda sapere che non avrebbe mai più
rivisto suo fratello… Gli venne di nuovo da piangere, ma stavolta per la
vergogna e per il dispiacere di essere stato così infantile mentre tante
persone soffrivano.
“Mi dispiace… mi dispiace
tanto, signor Stark” mormorò, con i singhiozzi che venivano a spezzargli le
parole in bocca. “Io non volevo, io… era solo che anch’io avevo tanta paura per
lei, avevo paura che non tornasse più e… Non voglio che lei faccia l’eroe,
signor Stark, ho paura che un giorno…”
Il gelo di un brutto
presentimento scivolò tra i due come uno spettro malvagio, entrambi
rabbrividirono e poi Tony prese tra le braccia Peter e lo strinse in un
abbraccio tanto forte che rischiò di soffocarlo. Peter si aggrappò disperatamente
alle spalle dell’uomo, per trovare calore e cacciare quel brivido che lo aveva
raggelato fino in fondo alle ossa.
“Sono qui, Peter, sono
tornato sano e salvo e Thanos è morto. Non farà più del male a nessuno” disse,
con la bocca tra i suoi capelli. “Lui non c’è più e noi adesso dovremo lavorare
per rimediare a ciò che ha fatto, dobbiamo riuscire a salvare quelle persone.”
“Io l’aiuterò, signor Stark,
lavoreremo insieme. Vedrà, ce la faremo. Thanos non può aver vinto, vinceremo
noi, vinceremo noi, signor Stark” promise Peter, adesso finalmente
tranquillizzato e rasserenato tra le braccia dell’uomo che amava.
Tony lo sollevò di peso, lo portò sul letto e
si distese con lui, baciandolo a lungo, lentamente, godendo il sapore della sua
bocca morbida, perdendosi nel calore del suo corpo. Gli accarezzò i capelli
scompigliati, gli coprì la fronte, le guance e il viso di piccoli baci e poi
riprese a baciarlo sulle labbra tiepide e dischiuse. Il freddo presentimento si
allontanava dalla mente di entrambi mentre i loro corpi si allacciavano e si
completavano, in una danza armoniosa come il movimento dei pianeti
nell’universo. Tony stringeva Peter come se non volesse lasciarlo mai più e il
ragazzo lo ricambiava con tutto l’affetto del suo cuore pieno d’amore: per
quella notte, almeno, ogni timore e preoccupazione per il futuro fu cancellata
e dimenticata, lasciando spazio solo all’amore e alla felicità di ritrovarsi
insieme.
Fine capitolo secondo