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Autore: Cassidy_Redwyne    06/04/2020    2 recensioni
Quattro amiche diversissime fra loro, eppure inseparabili, vengono a conoscenza del prestigioso liceo di St. Elizabeth. In cerca di una nuova sistemazione scolastica, le ragazze decidono di iscriversi, del tutto ignare di ciò che le attende all’interno dell’istituto.
L’aspetto e il comportamento degli studenti, infatti, sono davvero bizzarri, per non parlare di quei quattro affascinanti ragazzi in cui le protagoniste si imbattono durante i primi giorni di scuola… si tratta di un colpo di fulmine o di un piano magistralmente architettato alle loro spalle?
Tra drammi adolescenziali e primi batticuori, le quattro sono pronte a smascherare una volta per tutte il segreto che si cela fra le mura del misterioso istituto.
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Prima di spingere verso di me due tomi dall'aria consunta, sul tavolo di un angolo tranquillo della biblioteca, Brook mi aveva detto che la macchina era entrata in funzione nel 1999.

Stavo per chiedergli spiegazioni, quando l'occhio mi cadde sul titolo dei due vecchi libri: erano annuari, rispettivamente del 1998 e del 1999.

«La differenza è piuttosto evidente» fece Brook, mentre iniziavo a sfogliare le pagine dell'annuario più vecchio dei due.

Capitata per caso tra gli alunni del primo anno, fui calamitata da quei dettagli che ormai non ero più abituata a vedere: qualche foruncolo qua e là, occhiali come fondi di bottiglia, apparecchi per i denti. La normalità, pensai, traendo un lungo sospiro.

Lasciando l'annuario aperto sul tavolo, aprii trepidante l'altro sotto gli occhi severi di Brook. Notai subito che gli stessi ragazzi, lì al secondo anno, erano sempre imperfetti, seppur di poco cresciuti. I primini del 1999, in compenso, sembravano tutti usciti da una rivista di moda.

«Quindi inizialmente non sono stati tutti migliorati» commentai, pensierosa.

Avevo creduto che, dalla messa in funzione della macchina, tutti quanti gli studenti che in quel momento frequentavano l'istituto vi fossero stati sottoposti.

«No» rispose lui. «Gli studenti entrati a scuola prima del 1999 non sono passati nella macchina.»

Feci un rapido calcolo. «Quindi, considerando che adesso siamo nel 2003...»

«Tutti gli studenti della scuola ad oggi sono migliorati» concluse lui, annuendo. «O almeno... dovrebbero» aggiunse piano, distogliendo lo sguardo per un attimo verso due ragazzi che, vociando, avevano appena fatto il loro ingresso nella biblioteca.

«Che vuoi dire?» chiesi, assottigliando le palpebre. Non mi era sfuggito il cambiamento repentino del ragazzo.

Tornato a guardarmi, Brook accennò ai due annuari. «Notato nulla?»

Aggrottando le sopracciglia, mi rimisi a sfogliare le pagine, ma dopo un momento mi interruppi, colpita da un pensiero.

«Ma questi annuari li hai trovati in biblioteca?» chiesi, lanciando un'occhiata perplessa al ragazzo biondo.

Possibile che quei dati fossero alla portata di chiunque? Sì, nessuno sembrava interessarsi al mistero della scuola, ma la trovavo comunque una mossa piuttosto rischiosa da parte dell'istituto.

Brook scosse piano la testa e mi sorrise con aria di mistero. «Direttamente dall'ufficio della preside.»

Spalancai la bocca. «E come...»

Lui scrollò le spalle. «Ho le mie fonti.»

Gli rivolsi uno sguardo duro. «Ehi. Sbaglio o dovremmo essere alleati?»

Incrociai le braccia al petto, lungi dall'arrendermi: se voleva che indagassimo insieme, doveva essere sincero con me.

«Mi dispiace, Kia» mormorò lui. 

Riecco quello sguardo serissimo, che non sembrava sentire ragioni, dal quale intuii che non l'avrei avuta vinta. 

«Ho promesso di non dire niente. Per adesso, almeno.» Negli occhi gli balenò uno scintillio divertito. «Ora, vuoi metterti a cercare o no?»

Sbuffando sonoramente, sciolsi le braccia e ripresi a sfogliare le pagine, tanto nervosamente che per un attimo temetti che la carta mi si strappasse tra le dita.

«Mi spieghi cosa diavolo dovrei cerc... Oh, cazzo

Mi bloccai, pietrificata. Alzando un attimo lo sguardo su Brook, capii dalla sua espressione che era proprio quello che avrei dovuto notare. Lo abbassai di nuovo sulla foto, senza credere ai miei occhi.

Annuario del 1998. Sei anni prima. Pagina degli studenti non-migliorati del terzo anno, che avevo osservato molto distrattamente sfogliando entrambi i tomi. Infatti ce n'era uno che non avevo notato, forse perché si trovava accanto ad una foto irriconoscibile, tanto era stata scarabocchiata a penna. Quei ghirigori neri avevano attirato tutta la mia attenzione, distogliendola dal ragazzo che c'era accanto. Ma, malgrado i tratti all'epoca un po' infantili, l'avrei riconosciuto ovunque. 

Capelli castano scuro, magnetici occhi verdi. Il naso rotto.

«Night» dissi in un soffio.

Deglutii. Com'era possibile? Night era sì al terzo anno, ma nella nostra classe! Come poteva trovarsi anche tra i ragazzi del 1998?

Alzai gli occhi su Brook. «Ci dev'essere un errore.»

Senza attendere risposta, mi avventai sull'annuario del 1999 e lo aprii alla pagina degli studenti del quarto. Scorsi rapidamente con lo sguardo le foto di quelli che l'anno prima erano i suoi compagni di classe, ma non c'era traccia di Night.

«Lo vedi, c'è un...» Mi interruppi e il libro quasi mi cadde di mano, quando vidi che Night c'era eccome, nel 1999.

Solo che era sempre al terzo anno.

Brook non aveva ancora detto una parola ma, quando alzai lo sguardo, vidi che stava frugando con la mano sana nello zaino e, uno dopo l'altro, tirò fuori altri quattro annuari. Il tonfo che fecero sul tavolo continuava a rimbombarmi nelle orecchie.

«Non è possibile» dissi. «C'è un errore.»

«Allora devono esserci molti errori» replicò lui, spingendo i libri verso di me.

Con il cuore che mi martellava nel petto, aprii l'annuario del 2000. Stavolta sapevo cosa stavo cercando e lo trovai senza alcuna difficoltà. Night, di nuovo tra gli studenti del terzo.

Afferrai di scatto l'annuario del 2001, le dita che mi tremavano febbrilmente. Mi rimisi a sfogliare le pagine, vedendo che quell'anno tutti gli studenti del primo, secondo e terzo erano migliorati. Tranne uno. Night Harris.

«Ancora al terzo anno» bisbigliai, incredula. «Ma come è possibile?» borbottai poi, alzando gli occhi su Brook.

Vidi che il ragazzo aveva già aperto per me gli annuari del 2002 e del 2003, entrambi sulle pagine degli studenti del terzo anno. Non fu una sorpresa vedere che anche in quello del 2002 figurava Night. Quanto al 2003, non avevo molti dubbi, visto che vedevo il ragazzo in classe tutti i giorni.

«Night è in questa scuola dal 1996.» La voce di Brook ruppe il silenzio. «Questo fa di lui...»

«...l'unico studente non migliorato di tutta la scuola» conclusi con un filo di voce.

Non riuscivo a capacitarmene. Night era in quella scuola da otto anni. Otto anni.

«Perché continuano a bocciarlo?» domandai ma, scrutando negli occhi di Brook, capii che nemmeno lui conosceva la risposta a quella domanda.

Non riuscivo neanche ad immaginare che incubo dovesse essere per Night.

«È un mio compagno di classe, io lo conosco! Ha fama di essere un teppista, ma non l'ho mai visto fare a botte, se non con Angie... E poi non va così male a scuola, non dovrebbero bocciarlo! E possibile che i genitori non dicano nulla? È folle, assolutamente folle!»

Brook era rimasto in silenzio per tutto il tempo. Sembrava stesse riflettendo.

«Dev'essere successo qualcosa» mormorò infine. «Qualcosa di molto grave, per cui lo stanno trattenendo qui.»

Il silenzio calò per un attimo fra di noi. Non avevo idea di cosa potesse combinare un ragazzo perché la scuola decidesse di farlo rimanere tra le sue mura per otto anni, come se stesse scontando una pena. Oltretutto, per quanto io e Night andassimo d'accordo, non eravamo in confidenza e lui non si era mai lasciato sfuggire nulla di quella storia. Non sapevo dove sbattere la testa e l'affascinante moro, il ragazzo di una delle mie più care amiche, per un attimo mi parve un perfetto sconosciuto.

«Allora» ricapitolai, riscuotendomi e iniziando a fare ordine tra gli annuari. «Night è in questa scuola dal 1996, mentre la macchina è stata introdotta nel 1999...» riflettei. «...Oddio.»

Lanciai a Brook un'occhiata esitante e, ricambiando il suo sguardo saldo, seppi che aveva pensato la stessa cosa.

«Non lo so» ammise lui. «Però Night sa qualcosa di questa storia, me lo sento.»

Doveva essere per forza accaduto qualcosa negli anni prima del 1999. Qualcosa che aveva spinto l'istituto a prendere quei singolari provvedimenti. Anche se continuava a sfuggirmi come renderci più avvenenti e precoci avrebbe cambiato le cose avvenute nel passato.

Alzai lo sguardo su Brook, anch'egli immerso nei suoi pensieri.

«Hai notato nient'altro di strano negli annuari di quegli anni?» gli chiesi.

«Una cosa, in effetti, sì» fece lui, illuminandosi in viso.

L'impressione era che avesse studiato tutti quei tomi a memoria. Afferrò dallo zaino un libro, che riconobbi come l'annuario del 1997, che ancora non avevamo consultato insieme.

Il ragazzo si mise a sfogliare freneticamente le pagine, ma mi accorsi subito che con una mano sola era in difficoltà. Attesi in silenzio che mi chiedesse di aiutarlo, ma dopo un momento capii che non l'avrebbe fatto.

Dannato orgoglio.

«Da' qua» borbottai dopo un po', strappandoglielo dalle mani. «Dimmi cosa devo cercare.»

«Gli studenti del secondo anno» disse. «Il secondo anno di Night... e di Henry.»

Gli scoccai uno sguardo confuso: non avevo mai sentito nominare prima quel nome, mentre Brook l'aveva pronunciato con una certa familiarità.

Mi fermai alla pagina che il biondo mi aveva descritto e lui indicò con la mano sana la foto di Night. Accanto, c'era di nuovo un volto scarabocchiato. Lessi il suo nome. Henry Jefferson.

«Che strano» mormorai. «Questo tizio compare anche nell'annuario del 1998, ma anche lì la sua faccia è tutta nera.»

«Esatto» rispose Brook, passandomelo.

Il tomo era sempre aperto sulla foto di Night e quella irriconoscibile di Henry.

«Non sto a farti vedere il 1996, il loro primo anno, ma sappi che anche lì lui ha il volto sfregiato» spiegò Brook, corrugando la fronte. «Ma non è la cosa più strana. Dal 1999, infatti, Henry scompare dagli annuari.»

Trasalii. «Scompare?»

Brook annuì. «Sì, si ferma al terzo anno. Come se avesse cambiato scuola.»

Ferma sull'annuario del 1998, feci scorrere lo sguardo tra le due foto. Il sorriso di Night e quegli scarabocchi neri, impressi così in profondità che avevano quasi bucato la carta sotto. Che ci fosse un legame tra i due ragazzi?

«Potrebbe significare qualcosa» dissi. «Quello che stiamo cercando forse è accaduto nel 1998.»

Ripresi a sfogliare l'annuario di quell'anno, sovrappensiero. Pensieri confusi si rincorrevano nella mia mente ed ero già arrivata agli studenti dell'ultimo anno, senza averne guardato davvero neanche uno, quando l'occhio mi cadde su un nome.

Con un sussulto di sorpresa, mi accorsi che lo conoscevo.

«Che c'è?» chiese Brook, che doveva aver notato il mio tentennamento.

«Kyle Marsh» lessi. 

Nella foto, un affascinante ragazzo dai capelli brizzolati, gli occhi vivaci ed un sorriso da rubacuori. Per un attimo fui confusa dalla sua sfolgorante bellezza e solo il ricordo che la macchina era stata introdotta nel 1999 mi convinse del fatto che non poteva trattarsi di uno studente migliorato. Non avevo idea che frequentasse la nostra scuola.

«Non era il campione di pallacanestro?»

Brook mi guardò come se gli avessi detto che il suddetto fosse una famosa drag queen.

«Kyle Marsh!» ripetei, ripensando alle parole di Lucas e fissando Brook con aria speranzosa.

Dall'espressione che lui mi rivolse in risposta, sembrava che gli stessi parlando arabo.

«Non sapevo tu fossi un'appassionata di basket» disse infine, sbattendo le palpebre.

Levai gli occhi al cielo. «Non lo sono! Pensavo che tu lo fossi! Non fai parte della squadra della scuola?!»

A Brook sfuggì un sorriso divertito. «Diciamo che sono nella squadra per altri motivi. Il basket non mi piace molto, in realtà.»

Scossi la testa, senza riuscire a credere alle mie orecchie. E pensare che era grazie a lui che la scuola aveva vinto la partita più importante di quell'anno!

«Altri motivi?» ripetei, inarcando un sopracciglio.

«Tipo diventare amico di Night.» Brook sospirò con aria afflitta. «Con scarso successo.»

Ripensai alle sue parole. "Night sa qualcosa di questa storia." Brook era davvero convinto di quel che diceva e sembrava essere pronto a tutto per dimostrarlo.

Nella mente mi apparve all'improvviso l'immagine di un'innocente ragazza bionda, che mi minacciava di morte quando osavo mettere in dubbio la sua tregua. Non così innocente, dopotutto.

«Forse so chi può darci una mano.»

****

Arianna diede una rapida scorsa all'equazione di Lucas e capì immediatamente dov'era l'errore.

«Qui, Lucas» borbottò, cerchiandoglielo con la penna. «Devi prima scomporre.»

Passò il foglio al ragazzo biondo, steso sul letto poco lontano da lei, che la stava fissando con autentica venerazione.

Di fronte a quello sguardo, ad Arianna sfuggì un sorriso divertito. Aveva promesso di aiutare il biondo con i compiti di matematica, dopo le lezioni di quel pomeriggio, ma non aveva idea che la situazione fosse tanto tragica. Lanciò un'occhiata al suo orologio da polso e sospirò. Erano in camera di Lucas da almeno due ore.

Il ragazzo aveva la fronte corrugata dalla concentrazione mentre osservava il foglio e, sperò Arianna, anche l'errore che aveva commesso.

«Perché hai fatto un cerchietto?» domandò infine lui, alzando gli occhi. «È molto carino» aggiunse, sorridendo.

Arianna soffocò la tentazione di lanciargli addosso la penna.

«Era per farti vedere meglio l'errore, Lucas» spiegò pazientemente lei. «Non guardare il cerchietto. Guarda cosa c'è dentro.»

«Ah.»

La ragazza scosse piano la testa. Era davvero senza speranza.

Lucas nel frattempo si era rimesso a scrivere freneticamente e, dopo avergli dato un'occhiata per accertarsi che stesse seguendo le sue correzioni, Arianna abbassò gli occhi sui compiti che aveva già finito da un pezzo.

«Sei così intelligente» esclamò lui dopo un po'.

Arianna alzò la testa e si voltò di scatto a guardarlo, un sorriso che le si schiudeva sulle labbra. La sincerità di Lucas la coglieva sempre di sorpresa.

«Non è vero» minimizzò lei, alzando le spalle.

Il biondo lasciò cadere i fogli giù dal letto e le si fece più vicino. «Perché ti sminuisci sempre?»

«Lucas» mormorò Arianna, sulla difensiva. «Finisci l'equazion...»

Non riuscì a concludere la frase perché, incontrando il suo sguardo, si sentì di colpo disorientata. Quegli occhi verdi, traboccanti d'affetto per lei, la stavano lentamente disarmando.

«Rispondi» disse lui. Il suo tono era dolce ma fermo al tempo stesso.

Arianna emise un sospiro di resa. Allontanò a sua volta i compiti di matematica e si accoccolò vicino a Lucas, con la testa poggiata sulle ginocchia del ragazzo, seduto a gambe incrociate sulle coperte.

«Io lo vedo come ti guardano» stava mormorando Lucas, forse capendo che lei non gli avrebbe dato una risposta.

Con l'orecchio premuto contro la sua gamba, la voce di lui le arrivava attutita. Arianna sospirò ancora, stavolta di piacere, quando lui prese ad accarezzarle piano i capelli.

«Metà della scuola vorrebbe essere come te, l'altra metà vorrebbe te.» Lucas si bloccò e borbottò: «Soprattutto i ragazzi, credo. Questo, a dire il vero, mi dà parecchio fastidio.»

Nel sentire come si era fatto stizzito il suo tono, un risolino sfuggì dalle labbra di Arianna.

«Anche nella tua vecchia scuola era così?»

La domanda di Lucas era stata innocente, ma Arianna si irrigidì di colpo, mentre vecchi ricordi tornavano a galla uno dopo l'altro.

Il ragazzo, forse percependo la sua tensione, aveva preso a solleticarle le tempie con i polpastrelli e Arianna si ritrovò a pensare che fosse un gesto davvero delicato, per un tipo irrequieto come lui.

Non le piaceva pensare alla sua vecchia scuola di Edimburgo. Non che avesse dei ricordi spiacevoli, legati a quel posto: lei era una regina, laggiù. Eppure, se pensava alla sua fama, agli sguardi ammirati delle ragazze e dei ragazzi, alla costante competizione, alla voglia di esibirsi e mettersi in mostra, le apparivano come un mondo lontanissimo. Un mondo che aveva rinnegato. 

Non le piaceva pensare di essere stata così tanto superficiale, in passato. Aveva accolto a braccia aperte la nuova reputazione di quella scuola, cullandosi nell'idea che Lucas non sarebbe mai venuto a sapere cos'era stata prima della ragazza bella, intelligente e riservata che lui aveva conosciuto. Ma si rese conto che il suo ragazzo meritava di sapere.

«Sì» mormorò quindi lei, dopo un silenzio lunghissimo. Con un grandissimo sforzo di volontà, allentò la presa sul suo cervello e sentì le parole uscirle di bocca senza alcun controllo. «Ma lì adoravo stare al centro dell'attenzione. Volevo che la gente mi dicesse quant'ero bella ed intelligente.» Si interruppe, ridendo sommessamente. «Ero proprio stupida.»

Lucas non disse nulla. Non aveva mai smesso di accarezzarla, sebbene le sue dita avessero avuto un fremito per un attimo, nel sentirla parlare. Arianna sapeva che Lucas non si aspettava che lei si aprisse. Il suo tocco ben presto le fece chiudere gli occhi, quel silenzio che le diceva di continuare.

«C'è voluto un po' per rendermene conto, ma...» Arianna si interruppe, alla ricerca delle parole giuste. «...ma ho capito che le cose importanti sono altre. Sì, i miei compagni di scuola mi adoravano, ma le persone a cui io tenevo di più a malapena mi consideravano. Quindi che senso aveva?»

Ripensò agli sguardi di disprezzo dei suoi genitori e poi a Jake e sentì le lacrime salirle di colpo agli occhi. «Me lo fece capire il mio ragazzo di allora.»

Dietro di lei, udì Lucas trattenere il fiato. Le sue dita erano ferme, adesso, ma Arianna non aveva più bisogno di loro. L'immagine del ragazzo che aveva amato danzava davanti ai suoi occhi.

«Avevo un ragazzo, in quella scuola. Mi aiutò molto con... il mio problema» disse, dopo un momento di esitazione. Preferiva di gran lunga quella parola a quella che sussurravano i suoi genitori o le ragazzine nei corridoi, quando credevano di non essere sentite.

Anoressia.

«Jake era... diverso. Fu un'impresa farsi notare da lui. È lì che ho capito quanto fosse inutile la popolarità. Avevo la scuola ai miei piedi...» Si bloccò, ridendo nervosamente. «Lo sai che Angie mi odiava, per questo? Ma, nonostante tutto, non potevo comunque avere lui. Forse è per questo che l'ho amato così tanto. È per lui che... che all'inizio sono stata così vaga con te. Mi dispiace. Adesso, comunque, è in America. Non l'ho mai più sentito.» Le lacrime gli pizzicavano le palpebre. «Tuttora non so se ho mai avuto davvero il suo amore. O la sua stima. Di certo so di non avere quella dei miei genitori.»

La voce le si strozzò in gola. Si portò le mani agli occhi, nel tentativo di fermare le lacrime che premevano di uscire. Sentì le braccia forti di Lucas sollevarla di peso e metterla seduta, finché non furono uno davanti all'altra, i loro sguardi agganciati.

«Ehi» disse il ragazzo, scrutandola con occhi severi.

Arianna non sapeva dire quali reazioni avessero provocato in lui le sue parole, ma il suo tono era incredibilmente fermo.

«Non pensare più una cosa del genere, intesi?»

La ragazza sentiva le lacrime scorrerle lungo le guance e si vergognò terribilmente di stare piangendo di fronte a lui.

«Tu non li conosci, Lucas» disse, ma a metà fu interrotta da un singhiozzo e si sentì debole e stupida. «M-mi dispiace...»

Lucas scosse la testa. «Perché ti stai scusando?» Le afferrò le mani e proseguì imperterrito, senza mai distogliere lo sguardo da lei. «Forse non conosco i tuoi genitori, ma conosco te. So che persona meravigliosa sei. E, per quanto stronzi potranno mai essere, un po' di merito ce lo avranno, per averti resa così come sei, non credi?» Non attese la sua risposta e aggiunse: «Sono sicuro che ti vogliono bene, a modo loro »

Lucas abbassò gli occhi sul suo corpo. Arianna seguì il suo sguardo e per un unico, sfolgorante attimo, lo vide come lo vedeva lui, come lo vedevano le sue amiche, come lo vedeva chiunque la incontrasse nei corridoi.

Un corpo emaciato, debole, disprezzato.

E, malgrado tutta l'ingenuità che Lucas poteva avere, dal lampo di consapevolezza che attraversò il suo sguardo nel guardarla, Arianna seppe che aveva capito.

Aveva capito che stava riversando odio sul suo corpo nella speranza di farsi notare da chi contava davvero per lei. Perché i suoi genitori non avevano mai sprecato una parola d'affetto o anche solo un abbraccio per lei, perché il ragazzo che aveva creduto l'amore della sua vita l'aveva lasciata per Kia, facendole domandare perché non fosse abbastanza, e poi l'aveva abbandonata senza scriverle neanche una riga d'addio.

Guardò come aveva ridotto il suo corpo, guardò Lucas e poi pianse senza riuscire a trattenersi.

«Sai una cosa?» proruppe lui. Parlava a voce alta, nel tentativo di sovrastare i suoi singhiozzi. «Se anche loro non ti dovessero volere bene, sappi che io te ne voglio. E non puoi neanche immaginare quanto.»

E poi la baciò. 

E Arianna si aggrappò a quelle labbra con tutta la sua forza, con il sapore dolce di Lucas e quello salato delle lacrime che danzavano sulla sua lingua.

Si abbandonò contro di lui e, malgrado tutto, sentì la pace intorno a sé, come se Lucas fosse un faro di luce in mezzo alla tempesta. Lucas era sincerità, solidità, sicurezza. Era tutto ciò di cui aveva bisogno in quel momento.

La sua bocca si servì dei baci, anziché delle parole, ma Arianna capì comunque quello che lui voleva dirle. Lui l'avrebbe amata, sempre.

A prescindere da quello che avrebbe fatto o detto.

A prescindere dalla forma del suo corpo.

L'avrebbe amata e basta, senza fare domande.

E Arianna, baciandolo con pari intensità, gli rispose che per lei era esattamente lo stesso.

****

«Ti vedo molto presa da questa storia» commentò Beth dal suo letto.

«Mmn» risposi, senza neanche alzare gli occhi dai libri.

Il giorno prima, in biblioteca, avevo chiesto a Brook il permesso di prendere gli annuari sui quali avevamo deciso di concentrarci – 1998 e 1999 – e lui, contro ogni previsione, aveva fatto sì con la testa. 

Ero rimasta spiazzata: Brook aveva tutta l'aria di essere uno che dormiva abbracciato a quei libri, la notte, per cui mi ero già psicologicamente preparata ad un rifiuto. Pensai che forse avesse trovato un orsacchiotto da usare come sostituto e, immaginandomi la scena nella mente, mi ritrovai a ridacchiare tra me e me.

Scoccandole una fugace occhiata, vidi che Beth continuava a fissarmi dalle coperte, malgrado tentasse di fingersi immersa nello studio. Moriva dalla voglia di saperne qualcosa, glielo leggevo nello sguardo. Ed io morivo dalla voglia di rivelarglielo.

Non credevo neanche che Brook avesse qualcosa da ridire al riguardo; anzi, probabilmente sarebbe stato solo contento se avessi trovato qualcun altro disposto ad unirsi alle nostre indagini, ma il problema era mio.

Non avevo detto nulla alle mie amiche perché temevo la loro reazione, specialmente la faccenda degli ormoni, il fatto che ci avessero in qualche modo spinto a incontrare qualcuno dell'altro sesso. Rendeva tutto così squallido e... artificiale.

Le ragazze sapevano solo che avevo iniziato ad indagare seriamente in compagnia di "Draco" – così si ostinavano a chiamarlo – e nient'altro. Fortunatamente nessuna di loro mi aveva ancora esplicitamente chiesto i dettagli, sguardi imploranti di Beth a parte. Ma, nel momento in cui l'avessero fatto, sarei stata costretta a dire loro la verità. A pensarci bene, però, avrei dovuto farlo in ogni caso, se avessi voluto coinvolgere Angie in quella storia. Quindi perché continuare a temporeggiare?

«Come procedono le indagini, Sherlock?»

Beth era tornata alla carica e stavolta ricambiai il suo sguardo con più sicurezza, ignorando il suo tono canzonatorio. Ero pronta a condividere il fardello con lei, ma la mora non aveva ancora finito.

«Secondo me Draco ti piace.»

Per tutta risposta, le lanciai un cuscino dritto in faccia, dimenticandomi all'istante dei miei propositi.

«Si chiama Brook» sentenziai, mentre lei rideva come una matta, rotolandosi fra le coperte, apparentemente non troppo colpita dal mio contrattacco. «E no, non mi piace.»

Scossi la testa, a metà tra il divertito e lo sconsolato, e abbassai di nuovo lo sguardo sull'annuario del 1998. Era ormai la centesima volta che lo sfogliavo senza alcun risultato: mi sembrava evidente che da lì non sarebbero spuntate fuori altre risposte. La tentazione di bussare alla porta della camera numero diciotto, scuotere Night per le spalle e costringerlo a dirmi cosa sapeva era davvero forte. Ma, al pensiero che probabilmente alla porta si sarebbe affacciato Shadow, l'idea mi parve di colpo meno attraente.

Alzai gli occhi su Beth. «Sai che Night è in questa scuola da otto anni?»

Beth spalancò la bocca. «Otto anni?» ripeté.

«Già» risposi, sollevando l'annuario perché Beth potesse leggerne la copertina. «A quanto pare continua ad essere bocciato dal 1998. La preside deve proprio odiarlo a morte» commentai, scuotendo appena la testa.

Mi rimisi a sfogliare l'annuario, ma l'improvviso silenzio di Beth mi costrinse ad alzare nuovamente lo sguardo su di lei.

La ragazza si era messa seduta e si stava fissando le punte delle scarpe come se non le avesse mai viste prima d'allora, il capo chino e il volto teso. Sembrava in preda ad un feroce conflitto interiore.

Dopo aver fatto un respiro profondo, alzò la testa e mi fissò in un modo che mi fece attanagliare lo stomaco.

«Kia» disse. Non riuscì a sostenere il mio sguardo per più di un attimo e, quando parlò di nuovo, si stava di nuovo rivolgendo alle punte delle sue scarpe.

«Io... devo dirti una cosa.»

La mia mente era vuota. 

«Dimmi» udii me stessa mormorare.

«Io...» La ragazza si bloccò. Si stava tormentando le dita delle mani, gli occhi che vagavano da una parte all'altra nella stanza. 

Parlò tutto d'un fiato, quando lo disse.

«Io ho collaborato con la preside.»

Il silenzio calò fra di noi. Il pavimento tra i nostri due letti per un attimo mi parve un baratro.

La voce terribilmente familiare che avevo udito il giorno in cui avevo origliato quella conversazione in presidenza, le improvvise sparizioni. Tutti i segnali che avevo deliberatamente scelto di ignorare, in attesa del momento in cui si sarebbe finalmente aperta con me. In attesa di quel momento.

«Lo so, Beth» dissi infine, incrociando il suo sguardo. I suoi occhi erano pieni di lacrime.

Dentro di me, lo avevo sempre saputo.

****

Annie si tastò la voluminosa fasciatura che aveva sul naso.

«Quella stronza!» sbottò, avvicinandosi pericolosamente al corpo di John perché questi le accendesse la sigaretta.

Si erano seduti su una delle panchine più lontane dalla pineta per poter fumare in pace, ma John sapeva che in cuor suo la ragazza aveva altri progetti.

Annie si comportava in modo così strano con lui, ultimamente. Da quando le aveva raccontato di Beth, per l'esattezza.

Annie era da sempre la sua più cara amica, colei che le era stato più vicino dopo la morte di Amy, e John pensava che sarebbe stata felice per lui: non era certo preparato alla reazione isterica che invece aveva avuto la ragazza e che, a dirla tutta, l'aveva spaventato non poco. Lei lo aveva chiamato insensibile, era scoppiata in lacrime, gli aveva percosso il petto a suon di pugni... e poi lo aveva baciato.

Lì per lì lui non aveva opposto resistenza, forse credendo di rivivere le emozioni indescrivibili che aveva provato la sera dei fuochi d'artificio, ma non era stato così. Non aveva provato nulla, se non un senso di repulsione, dato che il bacio era stato un po' troppo umidiccio per i suoi gusti, e così si era sottratto a quel contatto.

Ancora non si spiegava quei comportamenti assurdi da parte di Annie e non era stato neanche in grado di raccontarli bene a Beth che, ne era certo, doveva aver frainteso tutto.

«Non posso credere che non l'abbiano neanche sospesa!»

John sospirò, lanciando all'amica un'occhiata in tralice. Se uno non avesse saputo cosa le era successo, avrebbe pensato che la rossa fosse reduce da un intervento di rinoplastica.

Si accese la sigaretta a sua volta, evitando di rispondere. Tanto sapeva che di lì a poco Annie avrebbe provveduto a colmare il suo silenzio. Era sempre così.

«E Night?» proruppe infatti la ragazza, dopo un momento. «Non le ha detto nulla?»

«Anche Night le prende e basta, da quella Stevens» fu la risposta di John.

Quel pensiero gli fece venire da ridere ma, vedendo com'era inviperita Annie, evitò di mostrarsi divertito e si limitò ad aspirare. Oltretutto, era da molto che non vedeva Night così di buon umore come quando era in compagnia di quella bizzarra ragazza.

«Quella stronza» ripeté Annie, rabbuiandosi.

A John quel noioso borbottio ricordava una pentola a pressione. Trasse un lungo sospiro.

«Non pensi che forse abbia agito così per quello che hai fatto a Beth? Dopotutto sono molto amiche» disse poi.

Aveva fatto quella domanda sforzandosi di apparire distaccato, ma solo nominare la ragazza gli aveva provocato un involontario fremito nel petto.

Annie si voltò verso di lui, come se non credesse alle sue orecchie. A John dava il nervoso quello sguardo, a metà tra il sarcastico e il divertito. Uno sguardo che non si metteva mai in discussione.

«Io non ho fatto proprio nulla a Beth!» ribatté lei.

John era perseguitato dallo sguardo di Beth. Quando chiudeva le palpebre la vedeva, la sua speranza che andava in mille pezzi, la delusione che si faceva spazio sul suo volto di fronte alla sua confessione. 

Gli tremavano le dita, mentre teneva la sigaretta per buttare fuori il fumo, e si sentiva un idiota. Beth non era nulla di che, dopotutto, no? Solo una ragazzina sciocca, ingenua e a dirla tutta un po' irritante, rimasta indietro di quarant'anni, che credeva di aver capito tutto di lui. Che credeva di poterlo aggiustare, solo perché quella schifosa della preside le aveva detto di farlo. Era solo uno strumento. No? Si sforzava di pensarlo, ma quei pensieri non attecchivano. Nella sua testa c'era solo il suo sguardo traboccante di dolore.

«Beth si deve rassegnare» mormorò la rossa con decisione, accavallando le gambe.

«Rassegnare a cosa?» domandò lui, in tono d'allarme, voltandosi a guardarla.

La ragazza lo stava fissando intensamente, il fumo che le usciva dalla bocca, le cui labbra piene erano rosse quasi al pari dei suoi capelli.

Annie era bellissima, realizzò John. E lo sapeva bene, perché lo era anche prima che la sottoponessero alla macchina. Per strada, la gente si voltava sempre a guardarla e, vedendoli camminare fianco a fianco, gli lanciava sguardi pieni d'invidia, pensando che lui fosse il suo fidanzato.

Eppure, quando lei gettò via il mozzicone di sigaretta e, senza mai smettere di fissarlo, gli si fece ancora più vicino, intrappolandolo alla panchina, John provò un senso di repulsione.

Il ragazzo osservò pietrificato la bocca di Annie avvicinarsi sempre di più, il suo corpo spalmato su di lui e all'improvviso si sentì soffocare. La allontano da sé, indietreggiando sulla panchina.

«No, Annie. Ti prego» mormorò, prendendo fiato.

La confusione si agitava nello sguardo di Annie, l'espressione era ferita.

«Ma...» fece per dire lei, ma John non gliene diede il tempo.

«Non voglio» disse lui, trattenendo a stento una smorfia. Annie non si era mai comportata in quel modo con lui. «Ma che ti prende?»

Annie lo fissava sbattendo le palpebre, come se cercasse di registrare la sua reazione.

«Non vuoi... me?» chiese infine. La sua voce era ridotta ad un sussurro.

John si affrettò a scuotere la testa. Pensieri confusi si agitavano dentro di lui, ma di un paio di cose era assolutamente certo: non desiderava Annie in quel modo e lo sguardo con cui lei lo stava squadrando lo destabilizzava.

La ragazza sembrava persa e i suoi occhi erano lucidi, come se fosse sul punto di mettersi a piangere da un momento all'altro.

John si sistemò meglio sulla panchina, continuando a lanciare delle occhiate perplesse in direzione dell'amica. Non sapeva come comportarsi in presenza di quella che chiaramente non era la Annie che conosceva, sempre così determinata e sicura di sé.

«È Beth che vuoi, non è vero?» domandò lei, dopo un silenzio lunghissimo. La sua voce era tagliente come vetro e non lasciava spazio a dubbi. Era una domanda, la sua, ma l'aveva fatta suonare come un'affermazione.

«Non lo so» sospirò John.

Era la verità. Non si era mai trovato in una situazione del genere, non sapeva cosa pensare. L'unica certezza che aveva era che quell'improbabile ragazza continuava a comparire nei suoi pensieri, non lo lasciava riflettere, non lo lasciava dormire. Il suo sguardo ferito lo inseguiva nei sogni. Quello e le sue labbra morbide, la sera dei fuochi d'artificio.

Si voltò a fissare Annie, del tutto disorientato, e incontrò due occhi tristi. Ma che, al contrario di lui, sembravano aver capito tutto.

«Non possiamo scegliere di chi innamorarci» disse la ragazza. Sul suo voltò si delineò un sorriso amaro. «Credimi. Io lo so bene.»

****

«Perché non me l'hai detto?»

Avevo gli occhi pieni di lacrime anche io. Mi sentivo così sciocca. Ferita, ancora una volta, da quella che consideravo la mia più cara amica. Un'odiosa vocina in un angolo della testa mi ricordò che per lei non era lo stesso, soprattutto dopo quella faccenda. Lucy.

«Ancora segreti. Perché?» Proseguii senza attendere la sua risposta. «Proprio come ai tempi di Lucy.»

Tirare in ballo Lucy era stato un colpo basso e me ne pentii un attimo dopo, quando vidi Beth davanti a me sussultare e poi scoppiare in singhiozzi.

«M-mi dispiace così tanto, Kia...» balbettò lei, asciugandosi freneticamente le guance. «Per Lucy, per non averti detto...»

«Lascia perdere Lucy» mormorai.

Beth parve cogliere uno spiraglio di riconciliazione nel mio tono di voce, perché trovò la forza di alzare la testa ed incrociare il mio sguardo.

Le sorrisi debolmente. «Non rivanghiamo il passato.»

I singhiozzi di Beth pian piano si spensero. Tirò su col naso e, quando infine riprese a parlare, la sua voce era più controllata.

«Stavolta era diverso. Non potevo dirtelo, Kia. Non potevo dirlo a nessuno. La preside mi ha fatto giurare.»

Lo sguardo spaventato di Beth mi provocò un brivido lungo la schiena. Perché la preside si era interessata a lei? Cosa voleva dalla mia migliore amica?

Scesi dal letto in un balzo, mi issai sul suo e la strinsi fra le braccia. Percepii Beth aggrapparsi a me con tutte le sue forze e rimanemmo abbracciate per quella che mi parve un'eternità. Sentii che la ferita inferta dal suo silenzio con il tempo sarebbe guarita. Volevo troppo bene a Beth per anche solo pensare di perderla.

«Cosa voleva da te?» bisbigliai, guardandola fissa negli occhi, quando ci fummo separate.

Beth deglutì rumorosamente, ma non distolse lo sguardo. «Le erano giunte voci di quello che avevo fatto a John in mensa, il primo giorno di scuola.»

Nel nominare il ragazzo, il suo tono si era fatto avvilito. Dal canto mio, sgranai gli occhi e sentii la rabbia montare. Possibile che quel tizio c'entrasse sempre?

Beth si dovette accorgere di cosa mi stava passando nella mente.

«John non sapeva niente di questa storia, Kia» si affrettò a dire. «Ma la preside voleva che la aiutassi con lui.»

Scossi la testa, sempre più confusa. «La preside voleva che tu la aiutassi... con John?» ripetei, inarcando le sopracciglia.

Beth annuì. «John è uno degli elementi più problematici dell'istituto» mi spiegò poi, la voce carica di rammarico nel continuare a parlare di lui.

Io non potei fare a meno di pensare a Night, alla sua fama come teppista, alle sue bocciature.

«Visto che ero riuscita a tenergli testa, sperava che potesse aiutarlo a... tornare sulla retta via, per così dire. Più volte ho cercato di impedirgli di marinare le lezioni, di coinvolgerlo nelle attività...»

«E ti sei innamorata di lui» conclusi, scuotendo appena la testa.

Stavo per commentare sarcasticamente su quanto la preside sarebbe stata contenta, se lo fosse venuta a sapere, ma mi bloccai, la verità che mi colpiva come uno schiaffo. 

Ripensai agli ormoni, al fatto che l'istituto cercasse di accoppiarci in tutti i modi. 

Beth che si innamorava di John era esattamente ciò in cui sperava la preside.

«Diceva che John era uno dei membri più importanti della banda di Night» proseguì Beth e sentire nominare il ragazzo mi riscosse di colpo. «Che sarebbe stata una vittoria, per la scuola, se fossi riuscita ad allontanarlo da quel giro. Era certa che, senza di lui, la banda si sarebbe smembrata.» Beth trasse un lungo sospiro. «Io comunque non ci sono riuscita. E John è pure venuto a sapere della faccenda! Infatti è da molto che non vengo convocata in presidenza...»

Riflettei attentamente su ciò che Beth mi aveva appena rivelato. «Quindi la preside voleva smantellare la banda di Night?»

La ragazza mi rivolse un'espressione strana. «Kia, lei lo vuole disperatamente. Ha perso il controllo su quella banda e parla di distruggerla come se fosse la sua unica ragione di vita.» Scosse piano la testa, mordendosi il labbro. «Non so come dirtelo... lei odia Night. Lo odia sul serio. Per questo, quando mi hai parlato delle sue bocciature e tutto il resto...»

«Ti sei ricordata di dirmi il tuo segreto» borbottai, guardandola storto.

«Mi dispiace» ripeté lei. Le lessi negli occhi che il suo pentimento era autentico. «Mi dispiace da morire, Kia. Ma avevo paura di cos'avrebbe potuto farmi la preside.»

Sospirai, cingendole la spalla con un braccio in un chiaro gesto di perdono, le nostre teste tanto vicine da toccarsi. 

Mi sentivo ferita nel profondo, ma iniziavo a capire le ragioni di Beth. A parti inverse, forse avrei reagito nello stesso modo, se una preside evidentemente instabile mi avesse usato per i suoi scopi, facendomi giurare di non dire niente a nessuno. Una preside che odiava i suoi studenti e ne aveva perso il controllo, una preside che ritoccava la loro estetica. Di cos'altro sarebbe stata capace di fare?

«Beth» mormorai, e lei sollevò il capo. «La preside ti ha mai parlato della macchina o del motivo per cui è stata costruita?»

La ragazza scosse la testa. «No, ma... aspetta.» Si accigliò. «Ha detto che era stupita dall'effetto che la macchina aveva avuto su di me. Che quel giorno, in mensa, non fossi ricorsa alla violenza fisica per difendermi, come tutti gli altri.»

Corrugai la fronte. L'effetto della macchina... forse mi ero focalizzata troppo sui risultati estetici di quel marchingegno. Forse lo scopo della sua esistenza era un altro.

«Tu...» La voce di Beth mi riscosse bruscamente. «Tu pensi che questa faccenda della banda c'entri qualcosa con ciò su cui state indagando tu e Draco?»

Nonostante il peso di quelle nuove rivelazioni, mi sfuggì una risata nel sentire il nomignolo di Brook.

«Credo...»

Un cigolio proveniente dall'ingresso attirò di colpo la nostra attenzione. Voltandoci in quella direzione, vedemmo Arianna entrare e chiudersi la porta alle spalle.

Nel vederla, mi mancò il fiato per un attimo.

Arianna aveva pianto. Dovetti fissarla e sbattere le palpebre un paio di volte per registrare quell'informazione. Ogni tanto mi dimenticavo che Arianna era un essere umano come tutti noi. E aveva pianto, senza alcun dubbio: potevo scorgerle ancora i segni delle lacrime sulle gote arrossate, ma sul volto aveva dipinto un sorriso così largo che dubitavo di averla mai vista con un'espressione tanto felice.

Mentre avanzava verso il suo letto, mi accorsi che le gambe le tremavano, non avrei saputo dire se per il pianto o per l'emozione.

«Tutto bene?» domandò Beth, incerta. Neanche a lei doveva essere sfuggito l'atteggiamento bizzarro della ragazza.

Vedendo che la stavamo fissando immobili, con gli occhi fuori dalle orbite, Arianna rise sommessamente. Quel gesto mi stupì non poco, così come il suo sorriso, che si era allargato ancora di più.

La ragazza fece un respiro profondo e disse, tutto d'un fiato: «Ho detto a Lucas di Jake.»

«NO!» esclamammo Beth ed io all'unisono, senza riuscire a trattenere l'emozione.

Jake, il suo più grande punto debole? Quello era senza dubbio un miracolo.

Arianna annuì, nuove lacrime che minacciavano di spuntarle dagli occhi, ma il sorriso non accennò a diminuire.

«Sì» disse. «Gli ho detto tutto. Dio, mi sento così leggera! Lucas è stato gentilissimo, io...» Si bloccò. «Io penso di amarlo sul serio.»

Beth ed io ci scambiammo uno sguardo d'intesa e ci precipitammo ad abbracciarla. Arianna soffocò un lamento, mentre cadeva sul letto, travolta dal nostro peso. Le sue proteste furono del tutto vane e ben presto ci ritrovammo tutte e tre a ridere.

Era così strano vederla così spensierata, soprattutto in quel periodo così buio. Era incredibile l'effetto che Lucas aveva su di lei. Arianna, poi, era sempre stata serissima nell'esprimere i suoi sentimenti: se diceva di amarlo, faceva sul serio.

Fu in quel momento, avvinghiata alle mie amiche, che lo realizzai.

Capii che, se anche mi fossi trovata rivelare la faccenda degli ormoni, non avrebbe avuto comunque alcuna importanza. Arianna si era aperta ad un ragazzo, gli aveva esposto le sue debolezze, aveva permesso che lui la vedesse piangere. Quella non era una finzione. Quello era amore.

«Ragazze, non respiro» implorò Arianna.

Ci staccammo a fatica, tra una risata e l'altra.

Voltandomi in direzione di Beth, mi rincuorai nel vedere che sembrava altrettanto felice.

«Che stavate facendo?» chiese Arianna, tornata a sedere, mentre si sistemava i lunghi capelli castani dietro le orecchie, nel tentativo di riacquistare un'aria dignitosa.

Stavo per aprire bocca, ma Beth fu più rapida e afferrò i due annuari dal mio letto, sillabando la parola "Kia" e mimando uno sbadiglio.

«BETH!» protestai, offesa, avventandomi su di lei e cercando di strapparle i libri dalle mani, mentre lei rideva a crepapelle.

Mi pareva impossibile che fino all'attimo prima fossimo entrambe in lacrime, sul punto di rottura.

«Ancora con questa storia del mistero?» Dal suo letto, si levò la voce divertita di Arianna. «Draco ha una cattiva influenza su di te.»

«Ari» mugugnai, notando che neanche lei era rimasta immune al nomignolo. «Non ti ci mettere anche tu, per favore.»

Seduta sul mio letto, con Beth sdraiata accanto, che sfogliava con aria terribilmente concentrata gli annuari – in un patetico tentativo di prendermi in giro – cercai di recuperare un po' di contegno.

«Stiamo scoprendo un sacco di informazioni sulla scuola, anche se non sappiamo come collegarle» dissi.

«Kia, non credo che ad Ari importi qualcosa» intervenne Beth, alzando gli occhi dall'annuario per scoccarle un'occhiata.

Mi seccava darle ragione, ma effettivamente la ragazza si era adagiata contro la testiera del letto, aveva tirato fuori dallo zaino il libro di storia e si era messa a leggere. In conclusione, non sembrava troppo interessata alla questione.

«Sì, ma è evidente che ci sia sotto qualcosa di grosso!» protestai.

Fino al giorno prima ero stata indecisa se coinvolgere le mie amiche o no ma, adesso che finalmente avevo preso una decisione e che volevo il loro aiuto, era davvero frustrante vedere che loro non erano granché colpite. Il massimo che riuscivo ad ottenere, a quanto pareva, erano le prese in giro.

«Andiamo» borbottai, voltandomi in direzione di Beth. «Non puoi negarlo. La storia della macchina, tu che sei costretta a rieducare John, la preside che odia Night, Night che viene bocciato senza alcun apparente motivo da anni...»

Un rumore ovattato mi interruppe e mi voltai di scatto verso Arianna.

Alla ragazza era caduto il libro di storia in grembo. La sua espressione era seria, la fronte corrugata.

«Gérard» mormorò piano, come tra sé e sé. I suoi occhi erano rivolti nella mia direzione, ma non mi stava guardando davvero: era come se si stesse sforzando di ricordare qualcosa.

«Eh?» esclamai, confusa da quella reazione.

Anche Beth distolse l'attenzione dal libro per voltarsi verso di lei.

«Gérard ha detto qualcosa a proposito di Night» continuò Arianna, il volto teso. Il cuore cominciò a battermi forte nel petto. «Il giorno della punizione. Non avete idea di come si è inalberato quando ho fatto il suo nome. Pensavo stesse delirando...»

«Ti ricordi che ha detto?» chiesi.

Lei parve pensarci su, ma alla fine scosse la testa. «No, mi dispiace. Solo che non avrei dovuto più parlare di lui, o qualcosa del genere.»

Sospirai, afflitta, mentre Arianna tornava sul libro di storia.

Nella mia mente, gli ingranaggi erano tornati a mettersi in moto. Era molto probabile che il corpo insegnanti e gli inservienti fossero a conoscenza dei segreti dell'istituto e complici in quella faccenda. Morivo dalla voglia di saperne qualcosa di più, ma chiedere qualcosa a Gérard sarebbe stato inutile. Se fosse stato davvero in combutta con la preside, non ci avrebbe rivelato niente di utile e, anzi, ci saremmo solo esposti. Oltretutto quel bidello, con il suo pessimo carattere, mi sembrava matto da legare.

Lanciai un'occhiata speranzosa ad Arianna, che aveva ripreso a studiare. Speravo che, qualsiasi cosa Gérard le avesse detto, prima o poi potesse tornarle in mente.

«Ehi!»

La voce di Beth, acuta per la sorpresa, mi riportò bruscamente alla realtà. Mi voltai di scatto verso di lei.

«Che c'è?»

«Io questo qui lo conosco!» Beth stava indicando una figura nell'annuario.

Trattenni a stento un sospiro seccato. «Per forza, è Nig...»

Ma la voce mi morì in gola. Beth non stava indicando il ragazzo moro, come credevo, bensì la figura resa irriconoscibile dagli scarabocchi che c'era accanto.

Henry Jefferson.

«Non...» Deglutii. «Non può essere. E poi come fai a dire di conoscerlo? La foto è tutta rovinata.»

Beth scosse la testa, lo sguardo convinto. «Ma no, ti dico che è lui. Riconosco l'attaccatura dei capelli. Guarda, qui si riesce ancora a vedere.»

La ragazza stava facendo scorrere il dito sul cranio, che non era stato del tutto colorato di pennarello, da cui si intravedevano dei corti capelli chiari.

«E poi» aggiunse Beth, scrollando le spalle, «il nome è proprio quello. Lo stesso che c'è sotto la sua foto, in presidenza.»

«In presidenza?» La fissai, boccheggiando.

Sentivo che anche Arianna, dal suo letto, aveva interrotto la lettura e adesso ci stava fissando.

«Sì» disse Beth, lanciandomi un'occhiata stupita. «Henry. Il figlio della preside.»

 

Ehilà! :D

Eccomi di ritorno (ricordate? Aggiornerò più spessAHAHAHAHA) con un capitolo pieno (pienissimo) di rivelazioni. Anzi, spero non vi siate persi. Il mistero si infittisce, con Night che sembra rimasto fermo al suo terzo anno di scuola, la preside che si serve di Beth per redimere John, il braccio destro di Night, e ora questo scarabocchio nero (sorry not sorry Henry)... cosa ci sarà sotto?

In tutto questo, un momento introspettivo di John (il suo pov mancava da troppo tempo) che in fase di scrittura non mi aveva entusiasmato ma che, rileggendolo adesso, ho apprezzato di più. Come avrete intuito, John non ha assolutamente concezione dei suoi sentimenti e di quelli delle ragazze che lo circondano. Vive in un'altra dimensione e, anche se fa tanto il duro, non ci sa assolutamente fare con le ragazze. È per questo che io e la vera Angie lo abbiamo soprannominato broccolo. John, sei un broccolo.  Spero di aver suscitato in voi un po' di compassione per la povera Annie. In questa fase della vita mi viene facile compatirla e provare solidarietà nei suoi confronti, sarà che sono in una situazione simile alla sua. Che pena, gente, che pena.

Non ho nulla da dire sulla scena di Arianna e Lucas perché boh, loro sono i miei amori. Mi fanno una tenerezza immensa :3 (Voce fuori campo: quanto sei vinteigge, faccine che non usavi dal 2010!) E anche Kia e Beth, che si vogliono un sacco di bene, malgrado i loro alti e bassi. Non temete, anche quella faccenda (LUCY!) verrà approfondita a tempo debito.

Un bacio, ci vediamo al prossimo capitolo (uno dei miei preferiti, tra l'altro!)

Cassidy.

  
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