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Autore: Fire Gloove    09/04/2020    6 recensioni
Sabbia di ferro. Un materiale grezzo, scuro, amaro, volatile. Il rapporto tra i due migliori portieri che la Generazione d’Oro del calcio giapponese abbia da offrire, un po’ ci somiglia. Sono separati da dissapori alimentati da anni di competizione senza esclusione di colpi. Distanti e disinteressati, come granelli di sabbia.
Poi però qualcosa cambia d’improvviso: il ritorno di Genzo in Giappone potrebbe mettere in discussione un sacco di cose.
Perché, in fondo, è proprio dalla sabbia di ferro che si parte per creare un acciaio meraviglioso come quello della lama di una katana.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Ed Warner/Ken Wakashimazu, Genzo Wakabayashi/Benji, Kojiro Hyuga/Mark, Mamoru Izawa/Paul Diamond
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Iron Sand & co'
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Indovina chi viene a cena?

 

 

 

 

“Una rimpatriata tra portieri! Ma dai, ma che idea del cazzo è?! Te lo immagini?! Io e Wakabayashi, seduti allo stesso tavolo, che ci scambiamo frasi di circostanza su… che cazzo ne so?! Di che dovremmo parlare, del tempo?! Ma che si è fumato Morisaki?!”

“E allora digli che non vai, non mi sembra tu ti sia mai fatto grossi problemi a dire di no davanti ad un invito…”

“E c’hai ragione pure tu… però… ma che ne so! Sento in testa la voce di mia madre che mi ripete che se sono sempre così chiuso, chi sa quante occasioni rischio di perdermi. Forse ha ragione lei.”

“Va bene aprirsi, ma proprio con Wakabayashi lo devi fare?! Sapesse che stronzo borioso è, sono sicuro che anche Eiko-san ti direbbe di stargli alla larga.”

“Però mi dispiace per Morisaki. Per qualche motivo sconosciuto, sembra che ci tenga un sacco. E in effetti all’ultima cena a cui mi ha invitato sono stato bene… Mi pare male che lui affronti senza batter ciglio il viaggio per venire qui da Shimizu-ku e io non riesca manco a uscire di casa.”

“Ken, mi sembra che tu stia costruendo un sacco di castelli in aria e di scuse perché, in realtà, ci vuoi andare. Kamisama, ti giuro che non riesco a capirne il motivo, ma fai come ti pare. Tanto lo fai sempre…

“Grazie eh. Di grande aiuto.”

“Ma mi spieghi che cazzo vuoi sentirti dire, allora?!”

Dall’altro lato della linea telefonica, Ken riuscì quasi a vedere Kojiro che si alzava di scatto dal letto portandosi una mano fra i capelli, nel gesto che faceva sempre quando iniziava a perdere la pazienza. La sua voce aveva assunto una sfumatura di ringhio. La tigre si stava svegliando.

“Ok, scusa, scusa. Hai ragione, forse ci voglio andare. È che ho pensato… questa cosa che Wakabayashi si è trasferito qui mi sta mangiando vivo, dovrò affrontarla prima o poi. Credo sia meglio farlo con Morisaki che fa da paciere, che non trovandomelo davanti all’improvviso, magari dopo una partita, senza sapere che dirgli. Odio che mi veda debole, è già borioso abbastanza.”

Hyuga rimase in silenzio per qualche secondo, e poi lasciò andare un profondo sospiro.

“… come vuoi, Neko. Cerca solo di non ucciderlo, che chi sa che avvocati tiene, con la famiglia che si ritrova. Damerino del cazzo.”

Il portiere si lasciò scappare una risata sottile.

“Guarda che non sono mica te. Le so tenere le mani a posto, io.”

Sentì la tigre emettere un ringhio.

“Io meno solo chi se lo merita. E Wakabayashi di solito rientra alla grande nella categoria.”

“Come darti torto…”

L’affermazione gli sfuggì in un sospiro. In che situazione di merda stava andando a cacciarsi?

“Comunque, cambiamo argomento. Tu come stai?”

“Bene, Neko, io sto bene. A volte ho l’impressione che il mister stia cercando di ammazzarmi con gli allenamenti ma lo sai, la fatica non mi ha mai spaventato. E poi l’Italia è stupenda… dovresti venire a trovarmi, ci sono tante di quelle cose che vorrei farti vedere.”

“Sai che vorrei venire anche io, ma Reggio Emilia non è mica dietro l’angolo… Forse potremmo sfruttare la pausa invernale del campionato… o torni già tu?”

“A dicembre torno io, sorry. Dovrebbero darci una decina di giorni, tra Natale e festività varie. Vorrei passare più tempo possibile a casa, non hai idea di quanto mi manchino i ragazzi… Però, per il tuo compleanno potrei fare un saltino a Nagoya, se non vieni tu a Saitama.”

“Sai che qui sei sempre il benvenuto! E così finalmente vedrai la casa!”

“Dalle foto sembra un bel posto! Ora scusami, il dovere mi chiama, abbiamo un’amichevole contro il Piacenza, devo essere allo stadio tra un’ora.”

“A dopo. Go get ‘em, Tigre.”

Su quella frase di supporto, la connessione venne interrotta. Ken sospirò, Kojiro gli mancava da morire. Ormai erano amici da quasi un decennio, e si erano stati accanto attraverso mille alti e bassi. Non poterlo più vedere quasi ogni giorno, quando per anni avevano addirittura diviso la stanza all’Accademia Toho, era un dolore basso e sordo, che sembrava non affievolirsi con il tempo. 

Scosse la testa, dandosi dell’esagerato. Il suo migliore amico non era mica morto, e continuavano a tenersi in contatto giornalmente. Però per uno come lui, per cui era sempre stato così difficile creare dei legami che riuscissero a farlo sentire a suo agio, la partenza di Hyuga era stata veramente un colpo durissimo. Quello era parte del motivo per cui aveva deciso di andare alla cena organizzata da Yuzo, per quanto l’idea sulle prime gli fosse sembrata idiota. Così come era stato per i Flügels, anche con i compagni di squadra dei Grampus stava facendo fatica a trovare una vera sintonia. In campo si trovavano bene, e i difensori stavano imparando a fidarsi delle sue direttive e a stimarlo, malgrado fossero tutti più vecchi di lui di almeno un paio d’anni, ma con nessuno era ancora nata una simpatia che riuscisse a uscire dall’ambiente lavorativo. Faceva fatica lui stesso ad ammetterlo, ma forse avere Wakabayashi a Nagoya poteva servire per rendere leggermente più movimentata la sua vita sociale. Certo, a meno che quel cretino non cominciasse a fare lo snob come al solito, con quel suo tono supponente e quei modi da borghese del cazzo, di uno che si credeva sempre mille volte superiore a chiunque. Ma che poi, superiore di che?! Lui era bravo almeno quanto il SGGK, e questo lo sapeva, anche se ci aveva messo anni ad accettarlo, sempre mangiato dal tarlo dell’insicurezza che, quando si trattava di Wakabayashi, riusciva a raggiungerlo anche sul campo da calcio. Non era il talento di Genzo, a spaventarlo. Questo era riuscito a realizzarlo. Era la sua natura di leader: quella innata sicurezza che lo faceva sembrare sempre così certo delle sue convinzioni, e che Ken era sicuro non sarebbe mai riuscito a possedere. Per quanto lui fosse bravo, una vocina nel suo cervello gli ripeteva in continuazione che le capacità per accendere la passione nei cuori della gente e farsi seguire non ce le aveva. Certo, era in grado di fingerle. Lo aveva fatto più volte negli anni, quando doveva sopperire a qualche assenza improvvisa di Kojiro, ma la Tigre era il leader che si era scelto. Lui, al massimo, sentiva di poter essere un buon vicario.

Decise di prendere il toro per le corna prima che l’ansia se lo mangiasse da dentro, e recuperò il cellulare da dove l’aveva abbandonato sulla scrivania, proprio accanto a quella che considerava la più bella delle foto della collezione di suo fratello, dove figuravano lui e Ryu bambini, l’uno che teneva per mano la mamma mentre addentava un enorme nuvola di zucchero filato, l’altro sulle spalle del padre che soffiava delle bolle di sapone, ignorando bellamente l’espressione preoccupata di Benkei che temeva di vedersi rovesciare in testa la boccetta d’acqua saponata. Traendo forza da quel ricordo felice, digitò il messaggio.

 

– Per la cena, io ci sarei. Quando/dove vogliamo fare?

 

***

 

Yuzo estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloncini e sorrise nel leggere il messaggio di Ken, di cui mandò immediatamente uno screen a Mamoru. L’idea di quella rimpatriata era stata del suo ragazzo, in realtà, anche se lui ci aveva messo un attimo a dirsi d’accordo. Non gli era mai piaciuta tutta la tensione che c’era tra Genzo e Ken, gli era sempre sembrata stupida e inutile. Lui li stimava entrambi, e sapeva che a livello tecnico erano quasi alla pari. Certo, in cuor suo avrebbe sempre preso un po’ le parti del SGGK, però sapeva anche che Wakabayashi non si era sempre comportato nel più corretto dei modi nei confronti del rivale. 

Morisaki sospirò all’idea di quante volte li avesse visti discutere, negli anni, e scosse la testa. La sua natura era sempre stata estremamente diplomatica, e ora che i due portieri si sarebbero ritrovati a vivere nel raggio di pochi chilometri l’uno dall’altro, gli sembrava assurdo che la situazione tra loro dovesse essere così tesa. Si conoscevano da secoli, che cazzo. Genzo avrebbe avuto bisogno di rifarsi un giro di amici, a Nagoya, e il non voler sfruttare la presenza di una persona che conosceva da quando aveva undici anni a Yuzo sembrò un’idiozia enorme. Un sorriso gli si formò sulle labbra quando ripensò al motivo per cui Mamoru l’aveva spinto ad organizzare quella cena: chi sa se era vero che Wakabayashi avesse un debole per Wakashimazu. Conoscendo Genzo, gli sembrò probabile che la sua fosse solo attrazione sessuale, nel migliore dei casi, e desiderio di sottomettere Ken anche da quel punto di vista nel peggiore. Quando ci si metteva, il portiere dell’Amburgo sapeva essere un vero stronzo. Ma chi sa, magari invece l’avrebbe stupito, e quella sarebbe stata l’occasione che lui e il suo ragazzo aspettavano per potersi sdebitare dell’amico che aveva fatto loro da cupido personale.

C’era, però, l’incognita Karate Keeper. Per quanto fossero relativamente amici, da quel punto di vista Ken era un mistero. Yuzo era sicuro di non avergli sentito mai fare nemmeno il più piccolo commento di interesse nei confronti di altre persone. Anche quando negli spogliatoi il discorso prendeva quella piega, e dopo le partite del World Youth era successo spesso, il portiere dei Grampus se ne stava in disparte e non faceva commenti.

La vibrazione insistente del cellulare riportò l’attenzione del giocatore degli S-Pulse al presente, e quando vide la foto di Genzo comparire sullo schermo sorrise. Aveva l’impressione di sapere perché lo stesse chiamando.

“Ma buonasera! Come va il trasloco?”

L’amico, dall’altra parte della cornetta, gli parve avere una leggera traccia di fastidio nella voce.

“Potrebbe andare peggio. Sono riuscito a svuotare già buona parte degli scatoloni. La casa è arredata, non è che io avessi molto altro da fare. Tu come stai?”

“Esausto, ma bene. Sto tornando ora dal campo, il mister ha voluto far restare un po’ di più noi portieri per fare un allenamento specifico. Spero che Takeshi si sia inventato qualcosa per cena.”

“Senti ma… da dove ti è venuta l’idea di organizzare una cena con me e Wakashimazu?”

La domanda arrivò a bruciapelo, ma Yuzo se l’era aspettata. Da quando aveva creato la chat, tre giorni prima, Genzo ancora non aveva ancora fatto commenti.

“Beh, siamo i tre portieri della Nazionale giapponese. Ora che voi due vivete nella stessa città, mi sembrava carino fare qualcosa tutti assieme.”

Che non era falso, anche se non era tutta la verità, pensò il ragazzo, con in mente l’espressione maliziosa di Mamoru.

“Okay ma… io e quel palo in culo di Wakashimazu? Sicuro di volerti trovare in mezzo a questa cosa?”

“Oh, andiamo, Genzo. Non siete più bambini, potreste anche piantarla di becchettarvi a vicenda in continuazione. E poi, tu a Nagoya non conosci nessuno, a parte lui. Ti sto facendo un favore. Piuttosto, pensavo… possiamo farla da te, la cena?”

“Da me?! E perché, scusa?”

“Beh, conoscendo tuo padre, non penso ti abbia piazzato in una catapecchia.”

Sentì l’altro sospirare nel microfono, creando un rumore statico che gli vibrò nell’orecchio.

Touché. Va bene allora, d’accordo. Facciamo da me. Comunque solo tu potevi riuscire a farmi fare una cosa del genere. Se mi distraggo un attimo, finisci per portarmi in casa anche Hyuga e tutto il resto dell’allegra combriccola.”

“Naaah, tranquillo, nemmeno io sono così temerario da disturbare la tigre che dorme.”

“Un’ultima domanda. Non è che per caso c’è lo zampino di quell’infame del tuo consorte in tutto questo?”

Un’espressione furbetta si disegnò sul volto di Morisaki.

“No, perché dovrebbe?”

“…niente, lascia stare. Devo scappare, il disordine mi reclama. Ci sentiamo meglio nei prossimi giorni.”

“Ooookay, ciao ciao.”

Interruppe la comunicazione proprio mentre percorreva gli ultimi metri che lo portarono davanti alla porta di casa. Una volta dentro, si ritrovò Takeshi piazzato sul divano con una birra in mano che giocava alla play. 

“Alla faccia della dieta da sportivo, Kishida.”

“Ah, se questo è il tuo commento, non ti piacerà sapere che ho ordinato la pizza anche per te, sta sera.”

“Nemmeno io sono così integerrimo da rifiutare la pizza. Però cazzo, vivere con te è come avere per coinquilino un diavolo tentatore. Quante volte mi hai già fatto sgarrare nell’ultimo mese?”

La frase fu pronunciata con una risata, e l’unica risposta che ebbe dall’amico fu una strizzata d’occhio.

“Chiamo un attimo Mamoru e poi vengo a mangiare, ok?”

“Yessa, basta che non stiate al telefono tre ore come al solito… con tanto di dirty talking annesso.”

Yuzo si sentì avvampare.

“Ma tu che ne sai?!”

La domanda gli uscì di un’ottava più alta del normale.

“Questa casa ha i muri sottili, Morisaki. Ringrazia che ho degli ottimi auricolari, perché di sentire i dettagli della vostra vita sessuale ne faccio anche a meno.”

“Scusa!”

Il sangue continuava a imporporare le guance del portiere, che optò per una ritirata tattica, andando a chiudersi in camera. Che figura di merda!

Con il volto affondato in una mano, fece partire la chiamata. Il telefono ebbe giusto il tempo di fare un paio di squilli.

“Ehi!”

“Indovina chi ha appena scoperto che siamo stati sgamati a fare sesso telefonico dal coinquilino?!”

“…tu?”

Yuzo sentì distintamente il divertimento nella voce del centrocampista, e non riuscì a captarci nemmeno un pochino di imbarazzo.

“Riesco a percepirlo, il tuo sorriso sornione. Tu non la conosci proprio, la vergogna, vero?!”

“Naaah. Piuttosto, parliamo di cose importanti. Ho visto che la cena si farà! Madonna quanto vorrei godermi la scena!”

“Izawa, sei veramente una pettegola. Comunque sì, Genzo mi ha dato l’okay, anche se non ne sembrava entusiasta.”

“Fidati, conosco i miei polli! Non so di Wakashimazu, ma il Capitano c’ha una voglia di scoparselo che tu non hai idea… e forse non solo quella.”

“Se lo dici tu… Piuttosto, come stai?”

Anche lui era un po’ su di giri per la cena con gli altri due portieri, ma sicuramente non aveva intenzione di lasciare che l’argomento monopolizzasse la sua conversazione giornaliera con il fidanzato.

Si raccontarono con tranquillità le loro giornate, e quando chiusero la chiamata Yuzo aveva un sorriso sereno sulle labbra. Malgrado tutti i chilometri che li dividevano, il tepore che parlare con Mamoru gli generava da qualche parte tra i polmoni e lo stomaco non era minore di quanto lo fosse quando erano fisicamente insieme. 

Cercando di ignorare l’imbarazzo e di imitare una delle famose espressioni da faccia di bronzo del suo ragazzo, si preparò a tornare in salotto per affrontare una cena durante la quale sapeva che non sarebbe riuscito a guardare Takeshi negli occhi nemmeno per mezzo secondo.

 

***

 

Genzo scrutò ancora per un’istante la sua immagine nello specchio. Era stato indeciso fino all’ultimo secondo se indossare o meno la camicia, invece che affidarsi ad una semplice t-shirt. Alla fine, non aveva saputo resistere alla tentazione. Anche se stava cercando di non dare troppa importanza alla cosa, l’idea di trovarsi Wakashimazu in casa lo stuzzicava parecchio, e voleva apparire al meglio. Cercò comunque di darsi un’aria più informale spuntando i primi due bottoni della camicia bordeaux e arrotolandosi le maniche fino al gomito, e riportò lo sguardo al suo riflesso, scoprendosi soddisfatto del risultato: oltre all’indumento incriminato, il suo look comprendeva un jeans grigio scuro e un paio di anelli di acciaio a fascia che si chiudevano attorno al medio e all’anulare della mano destra.

Recuperò una birra dal frigo e si sedette sul divano. All’arrivo degli ospiti mancava ancora una mezz’ora, e il ragazzo si ritrovò immerso nei ricordi.

 

Era l’anno del torneo di Parigi. Fino a quel momento, le partite erano andate molto bene, e lui era incredibilmente orgoglioso che si fossero qualificati per le semifinali. Wakashimazu, che spesso giocava al posto suo, stava facendo un ottimo lavoro, e, anche se non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, era fiero anche di lui. Aveva fatto questi pensieri mentre si dirigeva alla palestra dell’hotel che li alloggiava: l’euforia per la partita contro la Francia del giorno seguente era stata troppa per riuscire a prendere sonno, e lui aveva avuto bisogno di una distrazione. Entrato nello spogliatoio per cambiarsi, si era reso conto che malgrado l’ora tarda non era solo. In fondo alla stanza c’era Ken, di spalle alla porta, con solo un asciugamano attorno ai fianchi. Si stava asciugando i capelli, e non lo aveva sentito arrivare. Genzo era rimasto come folgorato: i suoi occhi si erano incollati alla schiena del portiere, nuda e flessuosa, con i muscoli che guizzavano sotto la pelle tesa. Era rimasto ipnotizzato dal contrasto del candore della pelle, di una sfumatura più chiara di quella abbronzata di viso e braccia, e dal nero dei capelli, che ancora umidi gli ricadevano in ciocche disordinate sulle spalle, arrivando poco al di sotto di esse. Le mani, dalle dita lunghe, ci stavano affondando dentro per permettere all’aria calda di fare al meglio il suo lavoro. Il ragazzo sembrava totalmente assorto nel suo mondo, e Genzo si era sentito incredibilmente tentato di toccarlo, di stringere quella pelle, che aveva immaginato vellutata sotto i palmi delle mani, di baciare la linea elegante del collo per vedere la schiena e le braccia ricoprirsi di pelle d’oca… ma, ovviamente, non aveva fatto nulla di tutto ciò. Aveva quindici anni, stava appena cominciando a scendere a patti con il fatto che gli piacessero anche gli uomini, e quell’attrazione così forte lo aveva disorientato, portandolo a rifugiarsi nuovamente nella stanza che divideva con Izawa. 

 

La sua attenzione fu riportata bruscamente al presente dal suono del campanello. Buttò un’occhiata rapida al videocitofono e vide il volto sorridente di Yuzo, che nel giro di un paio di minuti fu davanti alla porta dell’appartamento. Lo fece entrare con un sorriso rilassato, anche se quel viaggio nei ricordi gli aveva fatto venire incredibilmente caldo.

“Benvenuto nella mia umile magione!”

“Alla faccia dell’umile!”

Morisaki si guardava attorno con gli occhi spalancati, osservando in grande appartamento in stile occidentale: l’ingresso dava direttamente sul soggiorno, il cui pezzo forte era un grande divano a elle di pelle scura, davanti al quale svettava un enorme televisore. Più avanti, una porta si apriva sulla cucina, fornita di tutti i comfort, e un’altra portava alle due stanze da letto della zona notte.

“Oh, Genzo, tuo padre non si è certo risparmiato!”

“Ci mancherebbe pure! Mi ha costretto a venire qui per… schiavizzarmi, in pratica. Ci mancava solo che dovessi vivere in un tugurio. Ma non stiamo qui impalati in piedi, accomodati pure. Vuoi una birra?”

Il tono di Wakabayashi si era fatto duro nel sentir nominare suo padre… al pensiero del pranzo di un paio di giorni prima, ancora gli ribolliva il sangue nelle vene. Non sapeva con che forza si sarebbe presentato in azienda, da lì a qualche giorno.

Yuzo accettò di buon grado l’offerta dell’altro. Aveva percepito la tensione e si dispiacque di aver fatto quel passo falso. Cercò un modo per rimediare. Stava per prendere il discorso della Bundesliga, ma gli bastò un’occhiata ai polsi di Genzo per rendersi conto che neanche quella fosse una buona idea, e così ripiegò su un’altra opzione ancora.

“Chi hai sentito, da quando sei tornato?”

“Mah, ho ricevuto un sacco di messaggi. Quasi tutti quelli della vecchia Nankatsu mi hanno detto che vorrebbero organizzare una rimpatriata. Tu li hai fregati sul tempo!”

Quest’ultima frase fu detta sorridendo. Genzo, anche non considerando la questione Wakashimazu, era davvero felice di quella cena. Il pensiero che avrebbe volentieri sostituito entrambi i suoi fratelli con Yuzo senza batter ciglio gli attraversò la mente come un lampo. Nascose l’aria accigliata dietro la bottiglia di birra.

“Ovviamente i più agguerriti sono gli ex-Shutetsu, Mamoru in testa. Dobbiamo capire un attimo come organizzarci, ma non vedo l’ora di passare un po’ di tempo con loro come ai vecchi tempi.”

Su questa frase, il campanello suonò nuovamente. Il padrone di casa aprì la porta, trovandosi davanti Wakashimazu in tutto il suo splendore vagamente goth.

Ken indossava i soliti jeans neri aderenti, e la parte superiore del corpo era inglobata in un felpone dello stesso colore, malgrado fuori non facesse affatto freddo. I capelli erano raccolti nella classica treccia, e aveva il polso sinistro racchiuso in un bracciale di pelle con le borchie. Teneva in mano una sporta di plastica.

“Ciao Wakabayashi, ho portato il dolce.”

“Oh, grazie. Vedo che sei sempre il migliore, coi convenevoli.”

Genzo fece un passo di lato per lasciare entrare l’ospite, che sembrò ignorare la battutina, anche se lo vide irrigidirsi leggermente. Nel guardarlo di schiena, negli occhi gli esplose una macchia di colore nella forma di un enorme drago rosso sul retro della felpa. Guardò Ken e Yuzo salutarsi con una certa familiarità: il giocatore degli S-Pulse non gli aveva detto che fossero amici, ma a guardarli interagire, pareva proprio quello il caso.

In effetti, si ritrovò a pensare, se Wakashimazu e Morisaki non fossero stati amici, per quale motivo il portiere dei Grampus avrebbe dovuto accettare quell’invito? Non di certo per vedere lui: sapeva benissimo di non stargli precisamente simpatico, e non poteva dire che la cosa non fosse reciproca. A parte l’attrazione fisica, con l’altro non aveva mai avuto molto da spartire. Era troppo amico di Hyuga perché potesse andargli a genio. Malgrado quella consapevolezza, sentì la suddetta attrazione tirare nel basso ventre: avesse potuto, gli avrebbe strappato tutti i vestiti di dosso.

Ken, dal canto suo, sentì lo sguardo di Wakabayashi piantarglisi sulla schiena appena dopo aver fatto quell’osservazione del cazzo, e si chiese cosa gli fosse venuto in mente di presenziare a quella ridicola pagliacciata. Si calmò un poco solo osservando il sorriso aperto e accogliente di Morisaki, che gli prese la busta dalle mani e andò a metterla in freezer, diretto a parole dal padrone di casa. Rimase fermo al centro della stanza, ad osservare quell’appartamento che urlava borghesia in ogni singolo elemento. 

In un rigurgito di ospitalità, Genzo lo invitò a sedersi sul divano, dove furono raggiunti da Yuzo, che passò una birra fredda di frigo a ciascuno di loro. A differenza sua, si vedeva che Morisaki fosse a suo agio. Lui e Wakabayashi, invece, non facevano che fissarsi, dai rispettivi punti d’osservazione. Cercò di mantenere un’espressione il più neutra possibile, anche perché non riusciva a leggere quale fosse l’emozione negli occhi del rivale di sempre. C’era una scintilla che non riusciva bene a interpretare, e che lo rese più nervoso di quanto già non fosse.

Yuzo sospirò davanti alla tensione palpabile tra i due, e maledisse mentalmente Mamoru per averlo cacciato in quella situazione.

“Allora, che mi raccontate? Wakashimazu, anche tu sei fresco di trasloco, no?”

“Sì, sono finalmente riuscito a trovare l’appartamento giusto. Non è troppo lontano da qui, tra l’altro.”

Silenzio.

“E tu, Genzo? Che mi dici?”

“Che ti devo dire. Me ne sarei rimasto volentieri in Germania, ma il dovere chiama. Comincio a lavorare lunedì prossimo. Il vecchiaccio si è mostrato tanto clemente da concedermi una settimana per adattarmi.”

A queste parole, in cui si lesse un’incredibile tensione, Ken inclinò la testa di lato, in quel gesto spontaneo che faceva sempre quando era confuso da qualcosa e che Kojiro sosteneva lo facesse sembrare un gatto curioso.

“Lavoro? Pensavo fossi qui per farti seguire da un fisioterapista.”

Genzo aggrottò le sopracciglia. E lui che cazzo ne sapeva? Lanciò una mezza occhiata inquisitoria nella direzione di Yuzo, che fece spallucce.

“Wakashimazu era a cena a casa di Mamoru quando ci hai mandato il messaggio in cui dicevi che saresti tornato.”

Fu il turno di Genzo a rimanere confuso.

“Ah. Non sapevo vi frequentaste.” 

“In realtà è stato un caso. Ho incrociato Morisaki in un kombini nel centro di Yokohama.”

Stava per calare di nuovo un silenzio imbarazzante, ma il portiere dell’Amburgo riprese la parola, per dare risposta ai dubbi di Ken.

“Mio padre mi ha gentilmente comunicato che visto che non mi stavo più guadagnando uno stipendio, tanto valeva che venissi a lavorare nell’industria di famiglia. Qui a Nagoya c’era una posizione scoperta, e fortuna vuole che ci sia anche un ottimo fisioterapista. Il dottor Iwasaki, magari lo hai già sentito. È molto famoso.”

“Ah, sì, certo! È il medico sportivo che segue anche i Grampus.”

Dopo che Genzo si era aperto a quella piccola confidenza, le cose sembrarono andare meglio. 

I tre ragazzi si ritrovarono a parlare dei più disparati argomenti davanti a tre ciotole di ramen fumanti. Discussero del campionato di J-League, e i due portieri che vi militavano non si risparmiarono qualche frecciatina l’uno nei confronti dell’altro, per poi passare ad argomenti meno legati al lavoro e più alle loro altre passioni personali. E Ken rimase esterrefatto. 

Tutto si era aspettato da Wakabayashi, che, per la cronaca, continuava a guardarlo con quella strana luce negli occhi, meno che fosse un nerd di prima categoria. 

Fatta quella scoperta, non riuscì a esimersi dallo scavare un po’ più a fondo.

“Nei confronti di Star Wars come ti poni?”

La sorpresa fu gemella alla sua sul volto di Genzo.

“Lo adoro! Le prime due trilogie sono delle opere d’arte! Ma cazzo, ma poi per gli anni Settanta, vuoi mettere?!”

“Sì, peccato che ora che Lucas ha venduto alla Disney, si stia trasformando in High School Musical con le spade laser.”

La risata che seguì a quel commento li coinvolse tutti e tre. 

La serata proseguì su quel tenore fino a mezzanotte. Diedero fondo a tutte le birre e a tutto il gelato, anche se a ogni cucchiaiata uno tra Yuzo e Ken si trovava a gnaulare:

“E domani chi lo sente il mister?”. Genzo, per un istante, fu quasi felice di non avere quel problema. Solo per un istante, però.

Morisaki, che lo conosceva fin troppo bene, si rese subito conto del suo rabbuiarsi.

“Tutto bene, Gen?”

Lui, un po’ spinto dall’alcool e un po’ dalla malinconia, aprì un minimo spiraglio sul proprio cuore.

“È che… ho paura di non poter più ricominciare a giocare. Il calcio è tutta la mia vita, voi mi capirete. Non… non voglio trovarmi come i miei fratelli, intrappolato dentro un completo giacca, camicia e pantalone ancora prima di compiere vent’anni. Non voglio!”

Con un moto di stizza, lanciò il cucchiaino nella coppetta abbandonata a terra, spargendo gocce di gelato sciolto tutto intorno, come piccole lacrime.

Sorprendendo anche se stesso, fu Ken a prendere la parola.

“Wakabayashi, ti ho visto farti male e rialzarti più volte di qualsiasi altro giocatore della Generazione d’Oro, escluso forse solo Misugi. Se c’è qualcuno che può riprendersi anche da questa botta, sei tu.”

Genzo gli sorrise. Non se l’era aspettato, e quelle parole da parte di Wakashimazu gli fecero molto piacere. Si era aspettato di scorgere in lui una certa soddisfazione per il suo infortunio, ma non vide nulla del genere.

Il suo solito orgoglio gli impedì di mostrare la gratitudine troppo esplicitamente, ma cercò di infonderla tutta nello sguardo che rivolse all’altro.

“Ma sì, dai. Scusate, si sta facendo tardi e io ho ancora tracce di jet lag addosso. È la stanchezza che parla.”

Ken capì l’antifona.

“Sì, è ora che io vada, domani mattina ho allenamento.”

Si alzò dal divano con un movimento fluido e si diresse alla porta. Il padrone di casa lo accompagnò.

“Senti Wakashimazu… sentiamoci, ti va? Una birretta con te me la farei volentieri, una sera di queste. Quando hai tempo.”

Il ragazzo si girò a guardarlo con aria sorpresa. Vide sincerità negli occhi del SGGK, anche se sempre velati da quel qualcosa che non riusciva a decifrare. Per un attimo, fu preso dal panico davanti a tanta franchezza.

“Mi sembra che sta sera ne abbiamo bevute abbastanza per il prossimo anno.”

L’altro interpretò la sua frase come un netto rifiuto, perché in effetti in parte lo era, e chiuse le labbra in un’espressione corrucciata.

“Sì, hai ragione. Buonanotte, Wakashimazu.”

Un attimo prima che l’uscio si chiudesse però Ken ricordò i suoi buoni propositi e poggiò una mano sul legno, per fermare il movimento dell’altro. 

“Comunque sì… mi farebbe piacere. Quando vuoi.”

Detto ciò, si girò e sparì giù per le scale, lasciando Genzo con un sorrisetto sul viso. Espressione che rimase lì anche quando chiuse l’uscio e si girò, trovandosi davanti il sorriso sornione di Yuzo.

“Che hai da guardarmi così? Madonna, stare con Mamoru ti sta facendo male, la riconosco un’espressione alla Izawa quando ne vedo una. E al momento, ce l’hai spiaccicata in faccia.”

“Ah, non ero io quello che guardava Ken come se lo volesse sbattere sulla prima superficie disponibile!”

“E lo spero bene, che non fossi tu, Morisaki! Ricordati che sei un uomo impegnato.”

E con quella battuta, Genzo sviò abilmente il discorso, anche se sapeva anche lui che i suoi amici non avrebbero mollato l’osso così facilmente.

 

 

Notine notose: I Morizawa sono fisicamente incapaci di essere discreti XD

E quindi eccoli, i nostri Wakascemi, che cominciano a interagire, per la buona pace di Kojiro. Come andrà a finire questa cosa? Chissà.

Grazie mille per essere arrivati fin qui <3

 

 

 

   
 
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