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Autore: lynx_l    25/04/2020    0 recensioni
«Non sei speciale come credi, Oikawa.»
Strinse d’istinto le dita intorno al cellulare. Aveva creduto che sfruttarlo come valvola di sfogo non sarebbe stata un’idea poi così malvagia, forse nel disperato tentativo di alimentare la speranza che tutto potesse ancora filare liscio e che quella dannata serata potesse concludersi al più presto, ma a stento ora riusciva a sopprimere la volontà di scagliarlo lontano da sé.
Quando lei lo aveva raggiunto, poco prima che imboccasse l’ampio corridoio che collegava gli spogliatoi all’uscita del palazzetto, lui l’aveva salutata con un sorriso innocente, perché mai avrebbe immaginato che la gioia per la vittoria potesse trasformarsi in frustrazione così tanto rapidamente. Era risaputo che le sue relazioni non sopravvivessero che un paio di mesi, e in fondo non era stata quella rottura a segnarlo così tanto, ma le parole che la accompagnarono colpirono il suo orgoglio con la stessa freddezza di uno schiaffo in pieno viso.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell’autrice: dopo la fine della quarta stagione di uno dei miei anime preferiti ho sentito il bisogno fisico di omaggiare questa serie con una fanfiction che avesse come protagonista una coppia che ho amato dal profondo del cuore. Ho provato a pensare ad Oikawa come ad un personaggio a tutto tondo, che nonostante il suo essere frivolo non manca di mostrare la sua maturità quando la situazione lo richiede.
Il suo rapporto con Iwaizumi per me rappresenta qualcosa di speciale, qualcosa di maledettamente dolce e allo stesso tempo amaro e, inutile dirlo, ecco spiegato il titolo. Spero vi piaccia!

 
Bittersweet

 Accanto a sé, sul letto, giaceva ancora il dvd che poco dopo la semifinale di quel pomeriggio gli era stato consegnato da uno dei membri più giovani della squadra. Lo avrebbe visionato e avrebbe finalmente elaborato una strategia che sarebbe riuscita nell’intento di reggere il confronto con il rivale più ostico dell’Aoba Johsai, quel colosso a cui la squadra non era mai riuscita a strappare una vittoria: l’Accademia Shiratorizawa. Niente di particolare rispetto al solito, dunque, se non che ad un certo punto commise l’errore di abbassare le palpebre per più di una manciata di secondi, e come un fiume in piena i ricordi di quel pomeriggio lo aggredirono. Violenti e inarrestabili portarono con sé una verità che per fin troppo tempo forse aveva disperatamente cercato di nascondere anche a se stesso.
«Non sei speciale come credi, Oikawa.»
Strinse d’istinto le dita intorno al cellulare. Aveva creduto che sfruttarlo come valvola di sfogo non sarebbe stata un’idea poi così malvagia, forse nel disperato tentativo di alimentare la speranza che tutto potesse ancora filare liscio e che quella dannata serata potesse concludersi al più presto, ma a stento ora riusciva a sopprimere la volontà di scagliarlo lontano da sé.
Quando lei lo aveva raggiunto, poco prima che imboccasse l’ampio corridoio che collegava gli spogliatoi all’uscita del palazzetto, lui l’aveva salutata con un sorriso innocente, perché mai avrebbe immaginato che la gioia per la vittoria potesse trasformarsi in frustrazione così tanto rapidamente. Era risaputo che le sue relazioni non sopravvivessero che un paio di mesi, e in fondo non era stata quella rottura a segnarlo così tanto, ma le parole che la accompagnarono colpirono il suo orgoglio con la stessa freddezza di uno schiaffo in pieno viso.

«Sei solo un egoista e un arrogante. Le tue vittorie in campo non fanno di te una persona migliore.»
Chissà quante altre ragazze sarebbero state disposte a rimpiazzarla senza battere ciglio. Almeno una decina, secondo un rapido calcolo. Non era importante, non doveva preoccuparsi di qualcosa di così tanto frivolo, eppure non riusciva a scrollarsi di dosso la viscida sensazione di essere stato rifiutato, respinto, senza alcun tipo di riguardo. Avrebbe potuto trovare un’altra ragazza quella stessa sera, se solo avesse voluto, eppure in quel momento non gli interessava. Dentro di sé qualcosa bruciava, faceva male. Quella ferita che aveva squarciato in due il suo orgoglio non avrebbe trovato sollievo con così poco.
«Sei così ossessionato dalla tua idea di perfezione da non accorgerti che il mondo non gira intorno a te. Devi crescere.»
Più abbassava lo sguardo e più, quando lo rialzava, non riusciva a vedere nulla, solo il viso della persona che lo aveva messo a nudo così schiettamente, rinfacciandogli di essere ben lontano dall’immagine di sé che negli anni aveva costruito e venduto con così tanta sicurezza. Per troppo tempo era rimasto convinto che il suo talento nella pallavolo, unito alla sua popolarità, sarebbero bastati a renderlo perfetto agli occhi degli altri, dimenticandosi di quanto fosse povero di sostanza, in realtà, un simile desiderio.

* * *

«Oikawa, è quasi mezzanotte e domani abbiamo la finale, si può sapere cosa diavolo vuoi?» tuonò una voce familiare al di là del ricevitore.
«Iwa-chan, vieni da me.» Oikawa era serio, quasi distaccato, fin troppo se paragonato al modo in cui solitamente si rivolgeva all’amico d’infanzia. Trascorse qualche secondo, prima che dall’altro capo del telefono giungesse una risposta.
«Sei impazzito per caso? Va’ a dormire.» Iwaizumi stava quasi per riattaccare senza nemmeno dargli il tempo di giustificarsi, ma le suppliche dell’altro lo raggiunsero prima ancora che potesse provarci. Glielo chiese di nuovo, una, due, altre tre volte, facendolo rabbrividire di fronte a quel tono di voce che non riusciva a riconoscergli. Non lo aveva mai sentito parlare in quel modo.
«Iwa-chan, ti prego. Vieni da me.» a quel punto si domandò se Oikawa non fosse sul punto di scoppiare a piangere. Diede una rapida occhiata all’orologio. Le undici e quarantacinque. Si alzò dal letto e recuperò la giacca e le chiavi di casa.
Dall’altro capo, il capitano del Seijoh avvertì un sospiro.
«Sto arrivando.»

 Non abitavano così distanti, ma quando Oikawa udì il campanello, appena dieci minuti più tardi rispetto a quella telefonata, sussultò per la sorpresa. Non si aspettava ci mettesse così poco, ma un flebile sorriso gli si dipinse sulle labbra mentre andava ad aprire.
«Cosa è successo? Stai bene?» le prime parole che Iwaizumi gli rivolse non appena ebbe modo di vederlo tradirono tutta la sua preoccupazione, ma non se ne curò particolarmente. Dal momento in cui aveva lasciato la propria abitazione per raggiungere l’appartamento dell’altro, nella sua mente aveva ricostruito gli scenari più assurdi e inimmaginabili, tanto che ad un certo punto, tra i due, non avrebbe saputo distinguere chi fosse davvero sull’orlo della pazzia.
«Ah? Sì, sì, sto bene. Vieni, Iwa-chan.» visibilmente più rilassato, come se quella conversazione al telefono non fosse effettivamente mai avvenuta, Oikawa lo invitò ad entrare e, nonostante non fosse la prima volta che l’altro metteva piede in casa sua, gli indicò la strada fino alla propria camera.
Dapprima Iwaizumi gli rivolse una strana occhiata. Sembrava quasi infastidito dal fatto che il suo umore fosse mutato in così poco tempo, e inevitabilmente iniziò a pensare che la sua corsa nel cuore della notte per raggiungerlo nel minor tempo possibile fosse stata inutile, ma lo seguì ugualmente senza dire una parola, perlomeno finchè entrambi non si ritrovarono seduti l’uno di fronte all’altro in camera da letto.
«Si può sapere perché mi hai supplicato di venire qui, se ora ti comporti come se non fosse successo niente?» non alzò la voce, non aggrottò nemmeno le sopracciglia come era solito fare più o meno tutte le volte in cui si rendesse necessario parlare con lui, ma chiunque avrebbe potuto notare una piccola punta di fastidio in quella domanda, malcelata sotto a uno strato di innegabile preoccupazione.
«Ecco… oggi pomeriggio, subito dopo la nostra partita Aiko mi ha lasciato e non volevo restare da solo, così ho pensato che-» Il suono di un pugno riecheggiò nella stanza prima che avesse il tempo di terminare quella frase. Per un momento faticò a comprendere se l’altro avesse colpito il comodino accanto al letto o direttamente il suo stomaco. Il dolore che provò fu pressochè identico.
«Mi stai prendendo in giro?! Mi hai chiamato per questo? Sul serio?» Iwaizumi si alzò di scatto, mentre un leggero rossore iniziava già ad allargarsi sulla pelle del polso. Quando l’effetto dell’adrenalina fosse scomparso sicuramente avrebbe accusato le conseguenze di quel colpo. Si voltò e si diresse immediatamente verso la porta della stanza, scuro in viso come in ben poche occasioni.
«Iwa-chan, ti prego, lasciami spiegare!» Oikawa provò a raggiungerlo, allungò una mano per afferrare il suo braccio e costringerlo a restare, ma con una rapida scrollata Iwaizumi lo allontanò, come se la sola idea di essere sfiorato da lui in quel momento gli desse la nausea.
«No! Sono stanco di essere il tuo giocattolo di riserva. Non puoi continuare a ripiegare su di me tutte le volte in cui le cose ti vanno male. Devi crescere.» in confronto alla reazione istintiva di qualche momento prima, quelle parole furono al pari di una doccia gelata. Faceva male. Faceva male sapere di essere poco più di una seconda scelta. Aveva sopportato in silenzio per tutti quegli anni, fin dalle scuole medie lo aveva osservato all’ombra della sua popolarità, ben consapevole che, da quel palcoscenico, l’altro non si sarebbe mai voltato a guardarlo come qualcosa di più di un semplice migliore amico. Per un certo periodo la questione non lo aveva interessato in modo particolare, ma con il tempo le cose, per fortuna o per sfortuna, avevano iniziato a cambiare. Si era accorto di quella sottile gelosia con cui lo ascoltava parlare delle sue relazioni, dell’invidia con cui osservava le attenzioni che tutte quelle ragazze gli regalavano prima e dopo gli allenamenti, a volte perfino per strada, durante gli unici momenti che potevano concedersi da soli, l’uno in compagnia dell’altro. Era diventato insostenibile. Non sarebbe più rimasto in silenzio.
Oikawa sgranò gli occhi. Per davvero, questa volta, la paura di perdere l’unico pilastro che gli fosse rimasto gli strappò il respiro. Ma non sprecò tempo a riflettere. Non aveva tempo. Quasi inciampò mentre, di corsa, coprì la distanza che lo separava da Iwaizumi, ormai così pericolosamente vicino alla porta di casa. Il petto impattò con la sua schiena nel momento in cui lo raggiunse, ma incurante di questo gli cinse i fianchi e poggiò la fronte contro la sua spalla, in una tacita supplica di restare ancora per un po’. Pochi minuti sarebbero bastati.
La mano che Iwaizumi aveva teso verso la maniglia si fermò a mezz’aria.
«Allora è vero. Pensi anche tu che sia infantile, che non mi importi di nulla se non di me stesso. Sai, ti ho chiamato perché sei l’unico di cui mi fidi, volevo confrontarmi con te. Volevo sapere… cosa pensi davvero di me.» Oikawa stava singhiozzando, lo capì senza problemi, nonostante il suo viso fosse coperto e la sua voce giungesse ovattata alle proprie orecchie, attutita dal tessuto della maglia contro cui teneva premuto il viso. Per un attimo rivalutò i pensieri che affollavano la sua mente. Quelle dita strette intorno ai propri fianchi lo facevano tremare, anche se in modo impercettibile. Non avrebbe mai voluto che l’altro si accorgesse di quanto effetto stesse avendo su di lui in un momento simile, in cui l’ultima cosa che desiderava era lasciarsi condizionare dalla sua presenza e dai sentimenti che non poteva più negare di provare.
Sospirò. Un sospiro che durò giusto il tempo di lasciar ricadere il braccio lungo il fianco.
«Io credo… che tu sia un grandissimo idiota.» Da quella posizione Oikawa non avrebbe potuto vederlo, ma Iwaizumi stava sorridendo, e dentro di sé si odiava per questo. Si odiava per tutte le illogiche reazioni che l’altro era in grado di provocargli. E si odiava anche perché nonostante tutto non era mai riuscito a farglielo capire.
Come prima risposta ottenne un semplice lamento, seguito, nemmeno a dirlo, da uno dei suoi soliti “sei crudele”, sussurrato in modo da assomigliare più ad una cantilena che ad un’accusa vera e propria. Iwaizumi sorrise ancora, questa volta mentre spostava lo sguardo verso l’alto, inclinando leggermente il capo all’indietro. Sfiorò appena la fronte dell’altro con la nuca, un gesto involontario che, tuttavia, gli impedì di muoversi per un po’. Quel contatto, infatti, liberò alcuni scomodi brividi lungo l’intera schiena.
«Quello che voglio dire è che non dovresti preoccuparti di dover sempre compiacere tutti.» continuò. Le braccia dell’altro a quel punto si fecero più strette intorno alla sua vita, e riuscì chiaramente ad avvertire il suo respiro infrangersi contro il proprio collo nel momento in cui sospirò, comunicandogli molto più di quanto avrebbe potuto fare con le parole. Comprendeva come si sentisse, e forse il fatto di capirlo così bene non stava giocando a proprio favore. Da tempo sospettava che pensieri del genere albergassero in lui, e quell’assurda situazione non aveva fatto altro che confermarglielo. Agli occhi di un estraneo Oikawa poteva sembrare unicamente arrogante e presuntuoso, ma lui sapeva cosa si nascondesse realmente sotto a quell’odiosa facciata che più volte aveva cercato di strappargli. Conosceva la fragilità del suo animo e l’origine della sua ossessione per la vittoria.
«Voglio solo essere il migliore in qualcosa.» rispose l’altro a fatica. Sembrava avesse quasi rinunciato all’idea di trattenere le lacrime.
«Ecco perché dico che sei un idiota.» Iwaizumi lo riprese, il tono di voce rassegnato ma comunque deciso. Lo avrebbe volentieri preso a pugni se fosse stato sicuro che quello sarebbe bastato a farlo smettere di autocommiserarsi.
A quel punto portò lentamente le mani sulle sue, in una silente richiesta di allentare un po’ la presa sui propri fianchi, e sfruttò l’occasione per voltarsi e guardarlo finalmente in viso. D’istinto strinse i denti intorno al labbro inferiore quando notò le sue lacrime. Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di non vederlo in quelle condizioni. Faceva male, molto più di quanto potesse immaginare.
«Sei già il migliore in molte cose.» continuò, serio. Desiderava che quelle parole rimanessero impresse in lui per molto tempo, probabilmente anche perché sapeva che difficilmente sarebbe riuscito a ripeterle.
Portò le dita di una mano al suo viso, sfiorandolo all’altezza dello zigomo, in un gesto che non avrebbe saputo riconoscersi in nessun’altra occasione, ma che in quel momento suonava così dannatamente bene.
«Sei il migliore alzatore della squadra. Della nostra squadra. Sei l’unico a rimanere sveglio fino a tardi la notte prima di un incontro per studiare gli avversari, e grazie alle tue strategie, ai tuoi consigli, grazie a te e alla tua intelligenza… abbiamo vinto molte partite. E non sei il migliore solo in campo, lo sei anche fuori. Certo, solo quando usi il cervello.»
Oikawa, inaspettatamente, non rispose a quella provocazione. Iwaizumi si ritrovò di fronte al sorriso più sincero che avesse mai avuto modo di scorgere su quel viso che per la maggior parte del tempo avrebbe soltanto voluto prendere a schiaffi. Così sorpreso e allo stesso tempo rapito da una visione simile, quasi non percepì le dita dell’altro che, dal polso, risalirono fino ad incrociare e a stringere le sue.
«Iwa-chan.» Oikawa disse soltanto quello, come se quella fosse effettivamente la prima e l’unica parola ad essergli venuta in mente. Iwaizumi sollevò un sopracciglio. In un istante spostò lo sguardo sulle loro mani, ma fu davvero poco il tempo che potè impiegare ad osservare come le proprie dita si intrecciavano perfettamente alle sue. Avvertì un fastidioso rossore all’altezza delle guance, una sensazione che si fece sempre più intensa, fino ad esplodere nel momento in cui percepì le sue labbra sulle proprie, in un gesto così naturale che, anche ripensandoci, avrebbe fatto fatica a crederci. Dapprima lo sfiorarono soltanto. Forse Oikawa si sarebbe fermato se lui gli avesse implicitamente chiesto di non proseguire, ma così non fu. Anche se per qualche breve istante, Iwaizumi si beò di quel contatto così dannatamente piacevole. Lo assecondò, arrivando perfino a pensare di aver finalmente ottenuto ciò che più bramava al mondo. Ma poi si allontanò di colpo, come risvegliatosi da un sogno. Guardò Oikawa negli occhi. L’altro non disse nulla, ma comprese perfettamente ciò che stava per dirgli, perciò fece in fretta ad anticiparlo.
«Iwa-chan, ti prego, resta qui stanotte.» lo supplicò, esattamente come aveva fatto al telefono forse appena una ventina di minuti prima. Strinse ancora di più la presa sulle sue dita, e sfruttò l’altra mano per attirarlo a sé. Ancora. Più vicino. Per poco Iwaizumi non perse l’equilibrio. Non aveva mai sofferto di vertigini, ma decisamente ora sentiva di poter cadere da un momento all’altro. Quel bacio lo aveva disorientato, lo aveva distrutto e poi rimesso in piedi come se nulla fosse. Ancora una volta aveva sottovalutato ciò che Oikawa fosse in grado di provocargli.
«Non posso.» sussurrò, mentre lentamente abbassava lo sguardo. «Non… non adesso. Credo che tu abbia bisogno di un po’ di tempo per te stesso.» si spiegò meglio, così che l’altro potesse comprendere il motivo di quelle parole. Dentro di sé ardeva dalla voglia di restare, di lasciarsi consumare da quei sentimenti che per anni aveva coltivato per lui, ma sapeva non fosse la scelta giusta. Lui stesso sentiva di dover riflettere.
«…mi stai rifiutando, Iwa-chan?» Oikawa singhiozzò, non potendo più nemmeno guardarlo negli occhi, e finì per scostare il capo da un lato, sul viso un’espressione corrucciata, ferita.
«Non ti sto rifiutando, idiota.» Iwaizumi fu rapido a correggerlo, e per un attimo si lasciò anche sfuggire una risata. L’altro avrebbe dovuto seriamente vedere la sua faccia in quel momento. «Quando avrai riflettuto su quello che ti ho detto, io sarò qui.» aggiunse, mentre con le dita della mano libera riportò il suo viso verso di sé, e gli mostrò un sorriso sincero. Oikawa avrebbe dovuto capire che gesti come quello a volte significavano molto più di quanto avrebbero mai potuto fare in un’intera notte. Forse per questo avrebbe dovuto aspettare ancora per un po’, ma era un sacrificio che sarebbe stato disposto a fare, per lui.
L’altro annuì in risposta, avvicinandosi solo per posare un leggero bacio sulla sua guancia.
«Sei arrossito, Iwa-chan.»
«Smettila. Adesso va’ a dormire.»

* * *
 

Il giorno seguente il Seijoh perse la finale contro l’Accademia Shiratorizawa. Nessuno dei giocatori sembrò accusare le conseguenze degli avvenimenti che la sera prima avevano coinvolto il capitano e l’asso della squadra, ma un generale senso di frustrazione si impadronì inevitabilmente di tutti al suono dell’ultimo fischio dell’arbitro.

Per molto tempo Oikawa si colpevolizzò per quella sconfitta, ma Iwaizumi fu bravo a ricordargli che il loro ultimo anno al Seijoh non si era ancora concluso.

Avrebbero combattuto fino all’ultimo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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