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Autore: Roxar    26/04/2020    2 recensioni
Sono tempi duri per il mondo magico e sono tempi duri anche per i Capiscuola Potter ed Evans.
Qualcuno si sta divertendo ai danni di ragazzini Nati Babbani e la questione viene apparentemente risolta quando viene rimessa a Silente: i responsabili pagano lo scotto delle loro bravate con l'espulsione e Lily e James possono tirare un sospiro di sollievo.
O, almeno, così credono...
[Questa storia partecipa all'AU Fest del forum Piume d'Ottone]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, James Potter, Lily Evans | Coppie: James/Lily
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Autore: Roxar
Fandom: Harry Potter
Ship: James Potter/Lily Evans
Warnings: Slow burn, AU, Bodyswap!AU, Pre-canon
Note: La storia partecipa al The Alternative Universe Fest indetto dal forum Piume d'Ottone, con il prompt Bodyswap!AU. Per tutto il resto, che dire: a volte tornano. Non ho avuto modo di scrivere negli ultimi mesi, la mia penna virtuale potrebbe essere un po' arrugginita. Questo è un vero banco di prova, per me. Qualche nota tecnica: per i nomi ho preferito mantenere quelli della prima traduzione italiana. Inoltre, la storia presenta diverse licenze d'autore come, ad esempio, la regolamentazione e i luoghi fisici dedicati a Capiscuola e Prefetti. Non erano necessarie, ma sono frivolezze che mi sono permessa di inserire per puro diletto. Non mi resta che augurarvi una buona lettura. :) 





 

La ragazzina piangeva talmente forte che, di tanto in tanto, il suo respiro andava in apnea, per poi riprendersi con un mezzo rantolo soffocante e via con altre e nuove lacrime. Lily, che pure poteva dirsi fin troppo empatica, iniziava a sentire l’insofferenza dentro la pancia. La stava consolando da almeno dieci minuti e non era riuscita a cavare un ragno fuori dal buco.

Nessun tentativo di farla parlare era andato a segno - anzi, ogni volta che aveva aperto bocca l’aveva fatta piangere, se possibile, ancora più forte.

“Ascoltami,” disse di colpo con una certa fermezza, poggiandole le mani sulle piccole spalle, “se non mi parli, non posso aiutarti.”

C’era una certa dolcezza che fasciava le parole, ma l’ordine che vi soggiaceva era inequivocabile. 

Finalmente, la ragazzina singhiozzò un altro paio di volte prima di passarsi la manica della divisa sugli occhi e prendere grossi respiri. Lily le sorrise incoraggiante.

“Loro mi- mi hanno fatto qualcosa,” spiegò e la sua voce si spezzò di nuovo. Le labbra tremarono come sull’orlo di una nuova crisi di pianto.

“Puoi spiegarmi meglio?” 

“Io non stavo facendo niente!” strillò come se Lily le avesse dato la colpa di chissà cosa. Ah, cielo; sarebbe stato sempre così difficile avere a che fare con i ragazzini del primo anno? Il fatto che spesso fossero Nati Babbani, poi, non le semplificava il lavoro, al contrario. Spesso molti di loro si attaccavano letteralmente alla sua gonna perché si erano imbattuti in qualche bizzarria del castello o del mondo magico in generale. 

“Certo, certo,” disse accondiscendente, poggiando le mani sulle ginocchia per piegarsi su di lei. “Nessuno pensa che tu abbia fatto qualcosa di male, certo che no.”

“Stavo guardando le mie fotografie,” spiegò flebilmente e, dalla borsa, estrasse una manciata di coriandoli. Lily notò che l’immagine, sia pure frammentata, non si muoveva. Nata Babbana, pensò cupamente. Era la quarta vittima in due settimane. Una nuova ondata di empatia la sciacquò da capo a piedi, accompagnata da una sensazione più calda e tagliente, molto simile alla rabbia. 

Reparo,” mormorò e le fotografie, proprio per magia, tornarono intere nelle mani della bambina. 

“Oh!” esclamò, sorridendo con affetto ai visi che la guardavano attraverso la pellicola.

“Grazie,” disse con vocina piccola piccola; aveva l’aria di una che avrebbe potuto saltarle al collo da un momento all’altro. Lily fu grata che non lo fece; non tollerava di buon grado il contatto con gli estranei. Era sempre stata una persona espansiva, aperta, ma non fino a quel punto.

“Quindi, stavi guardando le tue fotografie…”

“Sì.”

“Cosa è successo dopo?”

La bambina tremò. Il sorriso che le aveva curvato le labbra apparteneva già al passato. 

“Mi hanno fatto qualcosa,” ripeté e si massaggiò la pancia, molto a disagio. Lily aggrottò la fronte; la situazione stava prendendo una piega che non le piaceva affatto. 

“Ti hanno fatto del male?”

La ragazzina fece di sì con la testa.

“Puoi farmi vedere? Siamo solo io e te,” aggiunse subito quando la vide adocchiare la porta del dormitorio con aria angosciata. Poi, con molta ritrosia, sfilò la camicia dalla gonna e la sollevò fino al torace. 

Lily vide letteralmente rosso.

Quando puntò la bacchetta sulla bambina notò che la mano le tremava come una foglia.

Tollerava poche cose, ma quella… Quella era oltre ogni possibile redenzione o comprensione. Mormorò tra sé qualche incantesimo, stringendo i denti di frustrazione quando si rese conto che nessuno dei suoi tentativi funzionava. Era al settimo anno, ma non aveva ancora quel grado di conoscenza. Non riteneva fosse magia oscura, ma qualcosa che le somigliava parecchio se resisteva a tutti i comuni controincantesimi. 

“Ti accompagno in Infermeria. Madama Chips si prenderà cura di te.”

La ragazzina si sistemò i vestiti con una remissività tale da farle schizzare il sangue al cervello. Quell’episodio avrebbe radicalmente cambiato molte delle sue percezioni e dei suoi giudizi, Lily ne era sicura. Che genere di personalità avrebbe forgiato era ancora presto per dirlo. E c’era l’ipotesi, non poi così improbabile, che Madama Chips non riuscisse a toglierle del tutto di dosso quella cosa

Povera bambina, pensò mentre le camminava accanto, notando con la coda dell’occhio il dondolio dolce della sua treccia bionda. 

“Un’ultima cosa,” disse, tenendo la mano ferma sulla porta dell’Infermeria. “Sai chi ti ha fatto quello?”

“No.”

“Sai almeno di che Casa erano?”

Lily intuiva già la risposta, ma aveva bisogno di sentirselo dire. 

“Serpeverde, signorina Evans. Erano di Serpeverde.”


I ragazzini del primo anno guardavano estasiati il Boccino che saettava veloce per la Sala Comune, solo per essere riacciuffato con un movimento fulmineo della mano quando tornava a svolazzare sulla testa di James Potter. 

Era il solito teatrino che metteva su ogni benedetta sera, a uso e consumo degli altri Grifondoro, con il solo scopo di attirare quanta più gente possibile nel suo fanclub - sì, James Potter aveva un fanclub e ne andava fiero. Stava per ripetere la prodezza quando la pallina dorata finì nella morsa d’acciaio delle dita sottili di Lily. 

I mormorii di ammirazione si spensero di colpo, come se qualcuno avesse girato bruscamente la manopola del volume di una radio.

Analogamente, il sorriso tronfio sul viso di Potter si ridusse ad una linea retta e serrata, le sopracciglia che salivano a formare una smorfia perplessa.

“Dobbiamo parlare.”

Sirius Black, abbandonato su una poltrona davanti al fuoco, si afflosciò contro lo schienale.

“Fine della festa, ragazzi.” 

C’era qualcosa di stoico nel modo in cui stava ignorando l’occhiataccia di Lily. 

Potter si strinse nelle spalle e, una volta riavuto il Boccino, si alzò e la seguì con una docilità che ancora la sorprendeva. Il tempo aveva operato una strana magia su di lui; gli aveva donato crescita fisica - adesso la sovrastava di una testa intera - e caratteriale e raramente si prodigava in uno dei suoi vecchi scherzi di pessimo gusto. Aveva perfino perso quel mordente che, per anni, lo aveva reso l’incubo di Lily. Non c’erano più battutine più o meno maliziose nei suoi confronti, né tentativi di abbordaggio plateali. A dire il vero, era come se quell’eterna cotta gli fosse passata, così, dall’oggi al domani. 

Quel cambiamento tutto sommato repentino lo aveva posto sotto un’altra luce, ai suoi occhi.

Non erano amici - dubitava lo sarebbero mai stati, era passata troppa acqua turbolenta sotto il ponte - ma adesso condividere la stanza con lui era più semplice, così come era più semplice sostenere una conversazione seria. 

Consegnata la parola d’ordine al quadro che vegliava sul Quartiere dei Prefetti e dei Capiscuola, Lily imboccò un passaggio stretto che culminava in una grande sala ottagonale, dove i colori di tutte le Case di Hogwarts si incontravano in una maniera apparentemente casuale, illogica: stendardi di Grifondoro che sfioravano quelli di Tassorosso, encomi di Serpeverde accanto a quelli dei Corvonero, e così via. Lily aveva sempre apprezzato la parvenza di unità che emanava da quella sala, ma non si era mai lasciata sedurre dalla sua illusione: non sarebbe mai esistita una tale coesione tra gli studenti, divisi in Case diverse e posti in rivalità sin dal primo giorno di scuola. Hogwarts si fondava sulla competizione diretta, non c’era modo di credere altrimenti o sperare che le cose cambiassero.

Lily portò la bacchetta alla tempia e ne estrasse un filo argenteo e luminescente, che senza troppa cura gettò in un piccolo Pensatoio. 

“Belinda Marks, Grifondoro, primo anno. È la quarta vittima dei Serpeverde in sole due settimane. Ovviamente Nata Babbana.”

Gli fece cenno di avvicinarsi al Pensatoio. Sulla superficie lattiginosa comparve l’addome della ragazzina e, lì, inciso con la magia sulla pelle, a caratteri d’un rosso sangue fin troppo vivo, svettava l’oltraggio che Lily non era riuscita a rimuovere: Sanguesporco

Si voltò a guardare apertamente Potter. Era come calato un velo sul suo viso. La linea della mascella era rigida, così come quella delle spalle. Gli occhi erano fissi su quello scempio e non accennava a voler battere le palpebre - come se si stesse imprimendo a fuoco l’immagine nelle fibre della memoria. La sua era una calma apparente; Lily riusciva, in qualche modo, a sentire la rabbia che emanava dal suo corpo. 

“Silente ne è stato informato?” chiese Potter dopo un tempo che le parve lunghissimo. Lily si morse le labbra. Era precisamente il loro dovere di Caposcuola assicurarsi dell’incolumità dei propri compagni; ammettere di avere un problema così esteso avrebbe significato negligenza da parte loro. Era chiaro che Capiscuola e Prefetti non stessero facendo abbastanza. E come avrebbero potuto? I GUFO premevano da una parte, i MAGO dall’altra. Erano in pochi, in rapporto al numero totale degli studenti, e non riuscivano a vigilare come avrebbero dovuto, divisi tra esami di fine anno, verifiche in aula e compiti giornalieri. Per non parlare delle attività extracurriculari e sportive.

Lily temeva la reazione di Silente. O, peggio ancora, quella della McGranitt. E, nel profondo, non voleva deluderli.

“Non ancora, no.”

Potter aggrottò la fronte.

“E stiamo aspettando cosa, di preciso?”

“Io--” cercò le parole giuste, ma quelle vennero meno e le lasciarono la bocca vuota e secca. Desolata, guardò altrove.

“Senti, lo so che il piano era quello di coglierli in flagrante e dare loro una lezione esemplare, ma capisci anche tu che questi sono attacchi ben mirati. Oggi si sono limitati a scrivere con inchiostro magico sul corpo di una ragazzina, ma domani cosa potrebbero fare?”

Aveva ragione, naturalmente. Non era nuova a questo ragionamento; lei stessa si era arrovellata il cervello con le stesse domande e si era perfino sentita in colpa per aver temporeggiato così tanto. D’altra parte, se solo le vittime avessero parlato, se solo qualcuno avesse fatto nomi e cognomi… Lily sapeva di possedere una discreta capacità di persuasione.

E c’era qualche studente che le doveva un favore. Forse, con tutte le precauzioni del caso, qualcuno avrebbe confessato. Le bastava solo un nome, perché era sicurissima che, dietro quella stringa di soprusi, si celasse sempre la stessa persona, magari a capo di un gruppo che comunque seguiva le direttive. Il modus operandi lo suggeriva.

“Ci serve un colpevole,”  tagliò corto. “Silente non punirà mai un’intera Casa per la colpa di una o poche persone.”
“Forse,” mormorò Potter, tirando lentamente gli occhiali sul naso. “Forse dovremmo considerare metodi meno… ortodossi.”

Lily sentì i brividi lungo le braccia. Qualsiasi cosa stesse implicando, non voleva saperne niente.

“No,” sbottò perentoria. “Se pensi che mi metterò a torturare qualcuno-”

“Non torturare. Confessare. L’hai detto tu che ci serve un colpevole, no?”

“Non ti seguo.”

“Sei o non sei il genio delle Pozioni?”

Si guardarono negli occhi, a lungo, ed era qualcosa di inedito, del tutto nuovo. Confessare. Pozioni

Era palese, cristallino perfino, dove Potter stesse andando a parare. “Veritaserum?” 

Potter si strinse nelle spalle. “Innocuo ed efficace.”

“Sì, e soprattutto illegale. E anche se fosse, hai idea di quanto sia dannatamente difficile prepararlo?”

“Ovviamente no,” replicò con candore. “Sei tu l’esperta, qui. Ma se dici che non si può fare, pazienza, non facciamolo. Che ne dici di tornare invece alla mia idea di partenza?”

“Ah, sì, altra grandissima trovata.”

“Lo è, in effetti. Mettiamo sotto torchio i Prefetti di Serpeverde. Sanno chi è il responsabile e sono tenuti ad obbedirci.”

Lily sbuffò frustrata e si passò le mani tra i capelli, circoscrivendo la sala con passi ampi e nervosi.

“Ti fa proprio schifo agire secondo le regole, vero?”

“Molto bene,” rispose Potter, visibilmente spazientito. “Seguiamo le regole. Convochiamo Lumacorno in quanto Direttore di Serpeverde e chiediamo un confronto formale con i suoi Prefetti. Sicuro come il sorgere del sole che ti diranno quello che vuoi sapere.”

Lily provò l’impulso irrefrenabile di urlare a pieni polmoni. Di tutte le ipotesi che avevano vagliato, andare da Silente e rimettere la faccenda a lui restava la più sensata. La irritava il fatto che questo avrebbe significato cedere alla prima proposta di Potter; conoscendolo, avrebbe gonfiato il suo già enorme ego. Ma, ancora di più, la sconfortava la delusione che avrebbe trovato negli occhi dell’uomo; si sarebbe pentito di averla nominata Caposcuola? Avrebbe ammesso un errore di giudizio nell’affidarle così tanta responsabilità? Il terrore del fallimento le fece venire un tremito nervoso alle mani, ma ovviamente Potter aveva ragione: alcuni Serpeverde erano instabili e malvagi, non avrebbero esitato a spingersi oltre. Dovevano porre un argine alla situazione e in fretta. 

“Non abbiamo altra scelta,” ammise gravemente. “Dobbiamo andare da Silente.”

 
   
 
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