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Autore: Claire Riordan    28/04/2020    4 recensioni
Remake del nuovo decennio di una mia vecchia, ma a me carissima, fanfiction, intitolata "Believe in Fate", riscritta in chiave più potteriana e meno "teen drama" americano, come era inizialmente nata, con una rivisitazione dei personaggi e delle loro storie.
Dal prologo: "[...] il Gran Galà del Quidditch prevedeva che Hogwarts mettesse in campo un'unica squadra, formata dai migliori giocatori della scuola, i quali sarebbero stati selezionati da un’apposita commissione composta dagli esponenti più importanti e competenti in materia. Questa squadra, poi, avrebbe dovuto competere con le più grandi nazionali di Quidditch del momento, tra le quali spuntavano i nomi di Inghilterra, Germania e Spagna, segnalate come le favorite per il grande torneo."
ATTENZIONE: nessun collegamento di nessun genere con "The Cursed Child".
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Altro personaggio, Famiglia Weasley, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Scorpius Malfoy aveva appena terminato la sua fetta di torta di mele quando il professor Paciock richiamò l’attenzione degli studenti, facendo tintinnare il cucchiaino contro il suo bicchiere di cristallo.
«Un attimo di attenzione, per favore» disse a voce alta per farsi udire sopra il chiacchiericcio dei quattro tavoli: il discorso d’apertura della preside stava per avere inizio.
L’intera sala si zittì quando Alethea Shacklebolt, insegnante di Trasfigurazione fino all’anno precedente, si alzò in piedi e fronteggiò gli studenti da dietro il tavolo delle autorità.
«Buonasera a tutti» disse con voce forte e chiara «Prima di tutto, vorrei dare il benvenuto ai nostri nuovi studenti del primo anno. In secondo luogo, vorrei comunicare a tutti quanti che, da quest’anno, sostituisco Minerva McGranitt alla guida di questa meravigliosa scuola»
Si levarono alcuni applausi in segno di benvenuto per la nuova preside qui e là per la sala, quindi Alethea, una donna di bassa statura, ma dall’aria decisa e autorevole, riprese la parola: «Non ringrazierò mai abbastanza Minerva per avermi concesso l’onore di prendere il suo posto. E vorrei ringraziare anche il nuovo membro del nostro corpo insegnanti, che prenderà il mio posto come insegnante di Trasfigurazione: il professor Oscar Lumacorno»
Alla destra di Alethea, al tavolo dei professori, un uomo con una veste di un bel giallo dorato ed un cappello in tinta, sul quale risaltava una piuma scura, si alzò in piedi e ringraziò la sala per l’accoglienza.
«Buona fortuna per questa nuova avventura, professor Lumacorno» gli disse Alethea, per poi tornare a rivolgersi agli studenti: «Dunque: i nuovi arrivati prendano nota fin da ora che l’accesso alla foresta attorno al parco del castello è proibito, così come l’introduzione nella scuola di qualsiasi prodotto proveniente dai Tiri Vispi Weasley. Inoltre, è assolutamente vietato trovarsi fuori dalla propria sala comune oltre l’orario consentito. Ricordo a tutti che i corridoi, durante le ore notturne, sono strettamente sorvegliati da prefetti, Caposcuola e dal nostro custode, il signor Gazza»
Scorpius non riuscì a trattenere una risata. Il povero Argus Gazza era il guardiano della scuola fin dai tempi di suo padre, almeno così gli era stato detto, perciò era certamente molto anziano. Era piuttosto malridotto, in effetti: zoppicava, e ogni suo respiro somigliava inquietantemente a un rantolo. Spesso si chiedeva come potesse essere ancora in grado di trascinarsi lungo i corridoi del castello, in quelle condizioni.
Lui, dal canto suo, si divertiva come un pazzo a prendersi gioco di Gazza durante i suoi turni di notte: lanciava qualche piccolo incantesimo innocuo, costringendo il povero custode ad arrancare instabile verso la fonte del fracasso provocato. Lo faceva ridere, almeno quelle interminabili ore noiose acquisivano un po’ di brio. E meno male che Gazza non se n’era mai accorto, o Scorpius sarebbe stato dimesso dall’incarico di prefetto – ora Caposcuola – e, probabilmente, espulso dalla squadra di Quidditch. Ma era abbastanza furbo da non farsi sorprendere.
«Passiamo, ora, ad un argomento che so che interessa a molti di voi: il Quidditch» continuò la Shacklebolt, e le orecchie di Scorpius scattarono sull’attenti «Le selezioni per i nuovi giocatori di ogni squadra avverranno durante l’intera giornata di sabato sedici settembre. Chiunque fosse interessato a partecipare, dovrà semplicemente presentarsi al campo di Quidditch nell’orario prestabilito dal Capitano della propria Casa. I direttori delle Case rimarranno a disposizione dei Capitani per definire gli orari dei provini di ogni squadra»
Un lieve brusio concitato attraversò la sala, mentre la mente di Scorpius lavorava frenetica per ricordare quali posti erano rimasti vacanti in squadra: mancavano solamente due Cacciatori. Almeno quell’anno le selezioni sarebbero state semplici.
Sbirciò verso i tre tavoli delle altre case, osservando i Capitani avversari: Noah Shacklebolt, il Capitano giallo-nero, discuteva animatamente con la Cercatrice della sua squadra, Rachel Finch-Fletchley, probabilmente snocciolandole tattiche che aveva studiato durante l’estate e che avrebbero dovuto mettere in pratica quanto prima. Al tavolo di Corvonero, Milo Thomas non sembrava affatto preoccupato: chiacchierava con i suoi amici tranquillamente, come se stessero parlando delle previsioni del tempo. Scorpius si era sempre domandato come un simile invertebrato potesse essere alla guida di una squadra. Non pensava invece lo stesso di Lily Potter: scrutandola sopra le teste dei Grifondoro, notò che gesticolava in maniera decisa mentre parlava col fratello Albus e, nei suoi occhi, brillava una determinazione tutta nuova.
«Per rimanere in tema» la preside fu costretta ad alzare la voce di un paio di toni per riuscire a sovrastare il brusio concitato «sono lieta di annunciarvi e confermarvi che Hogwarts, quest’anno, ospiterà il Gran Galà del Quidditch»
Ci fu uno scoppio di grida entusiaste, diversi applausi, alcuni studenti addirittura si alzarono in piedi per festeggiare quell’annuncio. Nessuno sapeva esattamente di cosa si trattasse, i giornali avevano dato un paio di notizie al riguardo, diverse voci erano circolate durante l’estate circa quel fantomatico torneo, ma mai nulla di certo era stato fatto trapelare. L’unica cosa sicura era che, se fosse andato in porto, sarebbe stato senz’altro grandioso. C’era chi diceva che la nazionale britannica si sarebbe recata ad Hogwarts e avrebbe tenuto dei provini per selezionare un nuovo giocatore direttamente dagli studenti, chi borbottava che le più grandi squadre europee si sarebbero sfidate sul campo della scuola. In quel momento, finalmente, avrebbero saputo la verità.
«Il Gran Galà del Quidditch» ricominciò la Shacklebolt «è un torneo organizzato dall’Ufficio per i Giochi e gli Sport Magici e dall’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale, in collaborazione con la Federazione Internazionale del Quidditch. È stato indetto in sostituzione dell’antico e più pericoloso Torneo Tremaghi, allo scopo di unire maghi e streghe di ogni età mediante lo sport che tutti quanti amiamo. Questo Gran Galà prevede che Hogwarts metta in campo una squadra composta dai migliori giocatori della scuola, selezionati da un’apposita commissione. Questa squadra, dunque, sfiderà le tre squadre che hanno accettato di partecipare: Gran Bretagna, Irlanda e Francia, che saranno ospiti della scuola durante quest’anno scolastico»
Una nuova ondata di entusiasmo attraversò la sala grande: giocatori di fama internazionale nel castello non erano di certo un evento quotidiano.
Scorpius guardò verso il tavolo di Tassorosso: la minuscola Cercatrice, Rachel, si era sporta in avanti sul piano di legno e pendeva letteralmente dalle parole della preside, il volto illuminato da una determinazione quasi folle. Scorpius sapeva che, quasi certamente, stava già pensando alla sua partecipazione al Galà, e grazie tante: nemmeno un giocatore orgoglioso come lui poteva negare la bravura di quella ragazzina.  Ma anche lui si sarebbe certamente fatto avanti per le selezioni della squadra di Hogwarts, ci avrebbe provato, Rachel o non Rachel.
«Inoltre» disse ancora la Shacklebolt, ormai quasi gridando per essere udita «la squadra vincitrice otterrà un premio di diecimila Galeoni, oltre alla prestigiosa Coppa del Galà. Infine, sono tenuta ad informarvi che la commissione che giudicherà gli aspiranti giocatori ha dichiarato che, per motivi di livello agonistico, le iscrizioni al torneo sono aperte solamente agli studenti con almeno quindici anni compiuti»
Questa volta ci fu un sonoro scoppio di proteste, in particolare da parte degli studenti più giovani, che si lamentarono perché ritenevano quella decisione ingiusta ed imparziale. Scorpius fu certo di udire un ragazzino del quarto anno asserire che “non è l’età che fa un giocatore”.
E come dargli torto? La Finch-Fletchley ne era un esempio evidente. Ma lei aveva tredici anni, non avrebbe potuto partecipare al torneo.
Scorpius si voltò di nuovo verso il tavolo di Tassorosso: Rachel Finch-Fletchley aveva l’espressione di chi aveva appena ricevuto un ceffone in pieno volto. Non poté fare a meno di sogghignare tra sé, soddisfatto: l’avversario più duro era stato sconfitto a tavolino.
 
 
 
Tornare a Hogwarts, per Margaret, era un po’ come tornare a casa, perché non riusciva più a considerare casa quelle quattro fredde mura in Clarks Road, alla periferia di Londra.
Era cresciuta con dei genitori babbani, senza avere idea di chi fosse realmente, frequentando le scuole elementari, la parrocchia e vivendo come qualsiasi bambino di quel mondo. Aveva speso i primi dieci anni della sua vita vivendo giorno per giorno, attendendo un segno, un evento che cambiasse la sua esistenza, perché sapeva che, prima o poi, qualcosa sarebbe cambiato.
E finalmente, il giorno del suo undicesimo compleanno, un gufo bruno si era posato sul davanzale della finestra della sua cameretta con una lettera nel becco, quella lettera che cambiò completamente il corso delle sue giornate: la lettera dalla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Fu così che Margaret scoprì di essere una strega, di avere dei poteri magici, e aveva sempre saputo, nel profondo, di essere diversa dagli altri bambini.
Per i suoi genitori era stato un colpo inaspettato. Da molti anni, ormai, i Babbani erano a conoscenza del mondo della magia, ma molti di essi, come gli stessi genitori di Margaret, ancora faticavano ad accettare i maghi e le loro abitudini. E scoprire di avere una figlia strega li aveva parecchio destabilizzati. Fortunatamente, dopo lo sgomento iniziale, avevano accettato la vera natura di Margaret, del resto era la loro unica figlia e l’amavano come nient’altro al mondo, ma restavano molto scostanti quando si trattava di parlare del “suo mondo”, come lo chiamavano loro. Nonostante i suoi soli undici anni, Margaret aveva dovuto imparare fin da subito a cavarsela da sola nel mondo magico.
Scoprire la magia era stata una benedizione: aveva conosciuto posti splendidi, come Diagon Alley, dove aveva trovato tutti gli oggetti bizzarri da portare con sé nella sua scuola di magia, compresa la sua preziosa bacchetta magica, che, durante l’estate, custodiva come un tesoro; in quella piccola stradina tortuosa aveva trovato il suo luogo preferito, la libreria Il Ghirigoro, dove passava ore ed ore a sfogliare volumi che trattavano i temi più disparati. Aveva scoperto che i maghi comunicavano mandandosi la posta via gufo, che potevano viaggiare attraverso i camini e potevano addirittura teletrasportarsi - o meglio, Materializzarsi, così dicevano loro.
Aveva trovato la sua vera casa a Hogwarts, una seconda famiglia negli amici che l’avevano accettata. Ma sapere che i suoi genitori non apprezzavano a pieno le sue doti e le sue capacità la feriva, la feriva da morire.
Grazie al cielo, ad Hogwarts riusciva spesso a dimenticare i problemi che c’erano a casa. Aveva conosciuto una persona splendida come Dominique Weasley, sua compagna di dormitorio e migliore amica, una cascata di capelli rossi e un largo sorriso che infondeva serenità a chiunque le stesse vicino, una persona che avrebbe messo da parte qualunque cosa pur di dare la precedenza a coloro a cui teneva di più.
«… e giuro, non ho mai visto Louis così preso da una ragazza!» stava dicendo la Weasley mentre, assieme a Margaret, varcava la soglia della sala comune di Corvonero «L’ha vista soltanto per un paio d’ore e non ha fatto altro che parlarmi di lei per tutta l’estate!»
«Tu potevi parlargli di Montgomery, no?» rispose Margaret distrattamente, guardandosi attorno alla ricerca di quella figura che da ormai sei mesi tormentava i suoi sogni e i suoi pensieri, il profilo di quel ragazzo che credeva di vedere ovunque.
Dominique emise uno sbuffo scettico «Lo facevo» commentò «ma ora ci siamo lasciati. Di nuovo»
Margaret non poté fare a meno di scoppiare a ridere. Dominique e il fantomatico Montgomery Flint uscivano assieme da ormai un anno, ma, tra loro, era un continuo tira e molla: bastava un piccolo screzio, una parola sbagliata al momento sbagliato e la loro relazione finiva in tronco, per poi riprendere qualche ora dopo.
«Quando è successo?» ridacchiò Margaret.
«Stamattina, sul binario» fece Dominique, agitando una mano con fare noncurante.
«Come sta Albus?» chiese di nuovo Margaret «Gli ho scritto quest’estate, ma… non ho mai avuto risposta»
Dominique si strinse nelle spalle «Non l’ho visto spesso» rispose «Mamma ha deciso di restare da zia Gabrielle per quasi tutto il tempo delle vacanze. So che usciva con una certa Amanda, lo scorso trimestre»
Margaret sbuffò una risata. Albus Potter era un bravo ragazzo, un ottimo giocatore di Quidditch, uno studente nella norma, ma un totale disastro quando si trattava di avere a che fare con le ragazze. Forse era per quello che Margaret riusciva a considerarlo senza difficoltà il suo migliore amico.
Albus era un amico insostituibile. Margaret l’aveva conosciuto dopo che Dominique l’aveva invitata alla Tana per il pranzo di Natale al loro primo anno e loro due avevano trascorso un intero pomeriggio parlando di qualsiasi cosa. Da quel momento in poi, entrambi sapevano di poter contare l’uno sull’altra ed erano diventati inseparabili.
Forse per via del loro rapporto di vecchia data, Margaret era certa che il legame tra lei e Albus fosse ormai fraterno. Lui stesso le ripeteva continuamente che la considerava al pari di Lily, come una sorella. A Margaret andava bene così, perché la pensava esattamente come Albus.
«Chissà che non sia la volta buona che…» cominciò Margaret, ma si interruppe vedendo Dominique che le faceva un cenno col capo verso l’entrata della sala di ritrovo.
Lei si voltò e il suo cuore, ne era certa, perse un paio di battiti: Dylan Kirke aveva appena fatto il suo ingresso, circondato dai suoi compagni di dormitorio.
Era un ragazzo alto, con i capelli chiari e gli occhi azzurri, un viso splendido che Margaret ancora non era riuscita a togliersi dalla testa. Vederlo di nuovo, dopo aver passato l’estate senza mai incontrarlo dopo quella discussione nel parco, le provocò un’improvvisa tachicardia.
Voleva parlargli, risentire la sua voce, che tanto a lungo aveva soltanto immaginato, ma che ricordava ancora perfettamente. Come se le avesse letto nel pensiero, Dominique le afferrò con forza un braccio, riportandola bruscamente alla realtà.
«Maggie, non pensarci nemmeno» esclamò «Non merita neanche di essere guardato in faccia, dopo il modo in cui si è comportato»
«Dom, lo so» sospirò Margaret «ma mi manca. Mi ha mandato un paio di lettere quest’estate, e penso… penso che anche lui provi ancora qualcosa per me»
«Ti ha lasciata senza un vero motivo!» sbottò Dominique «Come fai a difenderlo?»
«Non puoi capire. Lui è…»
S’interruppe vedendo Dylan distogliere gli occhi dai suoi amici e guardarsi in giro. Quando il suo sguardo e quello di Margaret s’incrociarono, lei non poté fare a meno di avvertire un nodo alla bocca dello stomaco.
Dylan la salutò con un cenno della mano, sorridendole. Lasciò la sua compagnia e si incamminò verso di lei.
Il primo istinto di Margaret fu quello di fuggire a gambe levate verso il proprio dormitorio e di chiudersi dentro a doppia mandata; per qualche ragione, però, i suoi piedi parevano non voler collaborare, rimanendo piantati lì, in attesa che Dylan la raggiungesse. Nonostante il panico, non riuscì a trattenere un enorme sorriso nel vederlo avvicinarsi.
«Ciao!» la salutò lui con entusiasmo, baciandola sulla guancia.
Margaret si sentì avvampare mentre rispondeva al saluto con lo stesso impeto. Ce ne avrebbe messo anche di più se solo avesse potuto, ma non era sicura che Dylan avrebbe apprezzato.
«Stai bene» disse lui, squadrandola con interesse.
«Sì, non c’è male» rispose lei, non cogliendo l’affermazione.
«Davvero, ti trovo bene» continuò Dylan.
Alle sue spalle, Margaret udì Dominique sbuffare, ma la ignorò: era come se lei e Dylan fossero intrappolati in una bolla che racchiudeva soltanto loro due.
«Grazie» ridacchiò, nervosa «Anche tu mi sembri in forma»
Dylan scrollò le spalle «Faccio del mio meglio» sorrise.
Margaret lo guardò, imprimendo bene a mente quell’immagine, quell’espressione che amava e che riusciva sempre a riempirla di felicità, nonostante tutto.
«Beh, credo andrò a dormire, il viaggio è stato più stancante del solito. Ci vediamo in giro, ok?» disse poi, liquidandola in quattro e quattr’otto.
«Certo» fece lei, per poi osservarlo allontanarsi verso i dormitori dei ragazzi, seguendolo con lo sguardo fino a quando non scomparve dalla sua vista.
«Visto?» intervenne Dominique, rimasta in silenzio durante la conversazione «È bastato un minuto e già ti sei illusa un’altra volta»
«Non mi sono illusa, Dominique!» sbottò Margaret «So che, in fondo, lui mi ama, come io amo lui. Solo che… forse non è ancora abbastanza maturo da rendersene conto»
Le ultime parole le suonarono tremendamente forzate. Per quanto ancora avrebbe cercato di convincersi che Dylan fosse il meglio che meritava?
 
 
 
Essere un prefetto non era mai stata la sua massima aspirazione. E tantomeno lo era ritrovarsi a dover sorvegliare il corridoio del settimo piano di notte durante il proprio primo turno di ronda. Alice Paciock non aveva mai desiderato più di allora di trovarsi al caldo nel suo letto, nella Torre di Grifondoro.
Di notte, il castello era buio e freddo, illuminato soltanto da qualche sporadico raggio lunare che filtrava dalle finestre. Perfino alla luce della bacchetta le zone d’ombra delle armature stipate lungo i muri sembravano nascondere qualcosa di tremendo. Ogni singolo fruscio, ronzio o rumore le metteva una fifa mostruosa.
Che cavolo ci faccio a Grifondoro, proprio non lo so.
A che serviva fare le ronde notturne? Erano anni che i maghi vivevano nella più assoluta tranquillità, chi mai poteva attaccare Hogwarts? E se qualche studente fosse uscito dal proprio dormitorio, beh, che male c’era? Magari qualcuno soffriva di claustrofobia e sentiva la necessità di muoversi in spazi più ampi, o doveva fare quattro passi per smaltire una cena troppo pesante che rendeva difficile il sonno.
Alice sbuffò, mandando al diavolo le sue elucubrazioni, e si sedette alla base di un’armatura: nel corridoio c’era una calma piatta. Gli unici passanti erano alcuni fantasmi che svolazzavano da un piano all’altro attraverso i muri e il pavimento.
«Che barba» bisbigliò tra sé. Non solo era frustrante e angosciante trovarsi lì, ma era pure noioso. Non si preoccupò di soffocare un sonoro sbadiglio, l’ennesimo di quella notte. Appoggiò la schiena alle gambe dell’armatura, che cigolò pericolosamente minacciando di rovinare a terra. Chiuse gli occhi nel tentativo di riposarli un attimo: bruciavano da morire. Fortunatamente, erano già le undici e tre quarti: nel giro di quindici minuti, un altro prefetto le avrebbe dato il cambio e lei sarebbe finalmente potuta andare a dormire.
Improvvisamente, un rumore di passi la fece scattare sull’attenti. Si mise a sedere dritta, gli occhi che scandagliavano l’oscurità tutt’attorno e le orecchie pronte a captare il minimo rumore.
Si alzò in piedi, spostando il fascio di luce proveniente dalla sua bacchetta da una parte all’altra del corridoio: nulla. Girò sui tacchi per andare a controllare il corridoio successivo, ma si trovò il passo sbarrato.
Trasalì, trattenendo a stendo un grido, il cuore che prese a battere furiosamente per lo spavento. Sollevando la bacchetta, illuminò il volto strafottente di Aiden Pritchard.
«Pritchard!» sibilò lei. Con tutte le persone che c’erano a Hogwarts doveva incontrare proprio lui?
«Paciock» disse lui in segno di saluto, cercando di suonare disinvolto, sebbene avesse tutta l’aria di qualcuno che se la stava svignando, pensò Alice.
«Sssh!» gli intimò «Che cavolo ci fai fuori dal dormitorio?»
Lui scrollò le spalle «Non riuscivo a prendere sonno» rispose con noncuranza.
«E dai sotterranei sei arrivato fin quassù?»
«Sono sonnambulo»
Alice alzò un sopracciglio, scettica «Pritchard, venivi dalla Torre di Grifondoro» lo ammonì «Che ci fai qui?»
«E va bene» si arrese lui «Dovevo incontrare qualcuno, ok? Ma… questo qualcuno non si è presentato, quindi me ne stavo andando. Perciò, eccoci qui»
Alice aveva qualche sospetto su chi potesse essere il “qualcuno” che avrebbe dovuto incontrare Pritchard, sempre ammesso che stesse dicendo la verità, ma decise di soprassedere: non aveva la voglia e nemmeno le forze per mettersi a discutere. Non a quell’ora della notte e tantomeno con lui.
«Sai che dovrei togliere dei punti a Serpeverde per averti trovato qui, sì?» lo ammonì.
Aiden si portò una mano al petto con fare teatrale «Paciock, questo è un colpo basso!» la canzonò «Saresti davvero così spietata?»
«Sono un Prefetto, Pritchard» disse Alice con decisione «Farei solo il mio dovere»
«Pensi di spaventarmi?» fece lui con aria spavalda.
«Se non t’importa, posso farlo senza problemi»
Il Serpeverde assottigliò gli occhi: alla luce giallognola della bacchetta di Alice, aveva un’aria vagamente spettrale.
«Provaci» la provocò.
«Cinque punti in men…»
Prima che potesse proseguire, Pritchard le balzò addosso e le tappò la bocca con una mano.
«Sei matta?» esclamò in un bisbiglio.
Alice lo scansò con un gesto brusco «Ti avevo avvertito!» sbottò «E non farmi alzare la voce o prenderò un’ammonizione per non aver saputo mantenere l’ordine»
Aiden fischiò, fingendosi ammirato «Accidenti, Paciock, sei così responsabile» la sbeffeggiò.
«Va’ al diavolo» sputò lei. Pritchard, per tutta risposta, diede in una risatina divertita: era ovvio che, quella situazione, per lui fosse come un gioco. Era insopportabile. Si divertiva così, importunando chiunque gli capitasse a tiro. Piuttosto che togliergli punti, sarebbe stato più soddisfacente lanciargli addosso una bella fattura.
«Forza, Pritchard» riprese Alice, incrociando le braccia sul petto «vedi di tornare alla tua sala comune, prima che cambi idea»
«Uuuh, sono terrorizzato» rispose Aiden, col suo solito tono sfacciato. Imboccò il corridoio nella direzione opposta a quella che lo avrebbe portato ai piani di sotto, premurandosi di farlo con una lentezza a dir poco snervante.
«Bene» Alice accolse la provocazione «Cinque punti in meno a Serpeverde»
Aiden si voltò di scatto, come se lo avesse punto un insetto «Ma che cosa…?»
«Pritchard, non sono qui a giocare a nascondino con le armature» ribatté Alice, seccata «Ho un incarico preciso. Hai diciassette anni, dovresti sapere cosa fanno i prefetti»
«Sì, lo so bene» grugnì lui «Insopportabile spiona»
«Allora tornatene nel tuo dormitorio» gli ordinò lei, fingendo di non aver sentito le ultime parole «Veloce»
Aiden scosse la testa «Quanto sei petulante, Paciock» le disse. La superò sfiorandole il braccio e si avviò verso l’infinita scala a chiocciola che dal settimo piano conduceva ad un passaggio che sbucava nei sotterranei. Alice lo guardò allontanarsi, finché non scomparve nell’oscurità.
Fu soltanto quando si ritrovò di nuovo sola che si rese conto del suo cuore che batteva all’impazzata. Era ancora per lo spavento preso qualche minuto prima, quando Pritchard era sbucato dal nulla? Sicuramente, non poteva essere altrimenti. Di certo non poteva essere perché, nonostante la sua persona così insopportabile, Aiden Pritchard era maledettamente affascinante. No, perché mai? Era un pensiero che non l’aveva mai nemmeno lontanamente sfiorata. E poi, stava con Roxanne Weasley.
Lei odiava Pritchard. Era un arrogante, troppo pieno di sé e incredibilmente tedioso.
Allora come mai, anche dopo aver finito il turno di guardia, mentre s’infilava sotto le coperte del suo letto nella Torre di Grifondoro, non riusciva a smettere di pensare ai suoi sfrontati occhi verdi?



[ Claire Says ]
Good morning, everyone!
Pubblicazione in velocità prima di pranzo con, finalmente, la presentazione del tema centrale della storia: il Gran Galà del Quidditch. Un torneo che regalerà emozioni - se narrassi questa cosa a voce, mi sentirei Costantino della Gherardesca, non chiedetemi perché.
Ciancio alle bande, cominciano anche ad intravedersi alcune sottostorie amorose, che non possono mai mancare, specialmente in questi giorni in cui ci si scanna sul significato della parola "congiunti".
Whatever.
Come sempre, grazie a chi è arrivato fin qui e ha recensito, tornando anche dalle ceneri della vecchia versione di questa storia, LOL.
Much love,
C.

 
  
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