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Autore: Claire Riordan    02/05/2020    1 recensioni
Remake del nuovo decennio di una mia vecchia, ma a me carissima, fanfiction, intitolata "Believe in Fate", riscritta in chiave più potteriana e meno "teen drama" americano, come era inizialmente nata, con una rivisitazione dei personaggi e delle loro storie.
Dal prologo: "[...] il Gran Galà del Quidditch prevedeva che Hogwarts mettesse in campo un'unica squadra, formata dai migliori giocatori della scuola, i quali sarebbero stati selezionati da un’apposita commissione composta dagli esponenti più importanti e competenti in materia. Questa squadra, poi, avrebbe dovuto competere con le più grandi nazionali di Quidditch del momento, tra le quali spuntavano i nomi di Inghilterra, Germania e Spagna, segnalate come le favorite per il grande torneo."
ATTENZIONE: nessun collegamento di nessun genere con "The Cursed Child".
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Altro personaggio, Famiglia Weasley, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Albus non aveva mai risposto alla lettera che Amanda Boot gli aveva spedito quell’estate. Non avrebbe saputo cosa dire. E, di certo, non avrebbe potuto mai e poi mai confessarle che aveva acconsentito ad uscire con lei soltanto per non trovarsela alle calcagna ogni volta che girava un angolo. E perché era una sorta di trionfo personale che una ragazza gli chiedesse di uscire.
Poteva pure portare il nome di due grandi presidi di Hogwarts, come gli aveva ricordato suo padre più volte, ma avere a che fare col genere femminile, per lui, era più difficile della più ardua delle partite di Quidditch. Non era un segreto che Amanda avesse una cotta per lui dall’anno prima – chissà che non si fosse bevuta qualche fiala di pozione d’amore, aveva pensato Albus – e che non perdesse occasione per trovarsi “casualmente” negli stessi luoghi in cui si trovava lui. Capitò accidentalmente che, un giorno, Albus urtasse inavvertitamente Amanda entrando in biblioteca. Per qualche ragione, lei aveva interpretato quel gesto come un segno del destino e, il giorno seguente, aveva già un appuntamento con lui prefissato per l’uscita successiva ad Hogsmeade.
Dopo quasi una settimana dall’inizio della scuola, Albus iniziava a sentirsi un po’ in colpa per aver evitato Amanda fin da dopo la fine del trimestre precedente, ma proprio non ce la faceva: ogni volta che la incrociava per i corridoi, deviava strategicamente attraverso una via alternativa o qualche passaggio segreto pur di non doversi trovare a spiegarle perché fosse sparito all’improvviso.
Quel primo giovedì, a pranzo, seduto al tavolo di Grifondoro, Albus si guardava intorno con aria furtiva: non aveva ancora visto Amanda, quel giorno, e il solo pensiero del suo arrivo gli metteva l’ansia, perché non aveva la minima idea di come gestire la situazione con lei.
«Al, vuoi calmarti?» gli disse Derek McLaggen, seduto alla sua destra «Stai facendo tremare la panca»
Solo alle parole del suo migliore amico, Albus si rese conto che era così nervoso che la sua gamba sinistra si muoveva incontrollata, rimbalzando su e giù come se avesse una vita propria.
«Scusa, Derek» mormorò «ma non voglio incontrare Amanda»
«Prima o poi dovrai affrontarla» commentò Derek saggiamente. Imboccò un pezzo di pollo arrosto e lo masticò lentamente, aumentando ancora di più il nervosismo di Albus.
«Mc, butta giù quella roba e andiamocene di qui!» esclamò lui «Voglio essere davanti all’aula di Pozioni il prima possibile»
«Amico, rilassati!» gli disse Derek, poggiandogli una mano sulla spalla «Cerca di distrarti, ok? Pensa ad altro. Ad esempio… pensa a quanto sarà fantastico il Gran Galà del Quidditch»
Concluse la frase con un certo entusiasmo, un entusiasmo che, in quel momento, Albus non condivideva affatto.
Albus alzò le spalle «Mi sembra fico» asserì distrattamente «L’ha organizzato tuo padre, no?»
«Ha collaborato» annuì l’altro «Parteciperei molto volentieri, se solo non…»
«Oh, porca vacca!»
Con un gesto repentino che lasciò sconvolto il povero McLaggen, Albus afferrò la copia della Gazzetta del Profeta che teneva in borsa da quella mattina e vi si nascose dietro, fingendo di leggere con interesse un articolo di cui ignorava il contenuto.
«Ti senti bene?» domandò Derek, scrutandolo come se fosse un particolare caso clinico.
«C’è Amanda, non parlarmi»
La figura di Amanda Boot aveva appena fatto capolino sulla soglia della sala grande. Albus sbirciò oltre la pagina del giornale, le mani tremanti nella presa indecisa: la ragazza stava scrutando proprio verso il tavolo di Grifondoro.
Si affrettò a nascondersi nuovamente dietro la Gazzetta, ma non passò molto prima che Derek gli desse un colpetto sulla spalla.
«Che c’è?» gli chiese, nervoso.
«Non ti senti osservato?» gli domandò l’amico. Ad Albus parve di scorgere una nota divertita nella sua voce.
«Perché?»
«Amanda ti sta guardando» rispose «Credo voglia salutarti»
Albus abbassò il giornale e vide un allegro Derek fare un cenno di saluto in direzione di Amanda. Lei ricambiò timidamente. Ormai uscito allo scoperto, anche Albus sollevò la mano, in un imbarazzato saluto.
«Splendido, ora sta venendo qui» commentò Albus sarcastico, guardando Amanda trotterellare verso di loro «Questa me la paghi, McLaggen»
Derek sogghignò mentre Amanda li raggiungeva.
«Ciao, Al» lo salutò lei allegramente, scoccandogli un sonoro bacio sulla guancia. Sentendosi avvampare, Albus lanciò uno sguardo disperato a Derek oltre la spalla di Amanda, in cerca d’aiuto: il suo amico si limitò a ricambiare un’occhiata divertita.
«Mi sei mancato, quest’estate, sai?» mugolò lei, infilandosi a forza sulla panca tra Albus e Derek «Ti ho anche mandato una lettera, l’hai ricevuta?»
Albus deglutì «Io, ehm… penso… credo di sì, insomma… sai, tante lettere…»
Cercò di nuovo aiuto guardando Derek di sottecchi, ma lui si limitò a ghignare mentre finiva il suo pranzo.
Questa me la paga, oh, eccome se me la paga!
«È che… non ho mai ricevuto la tua risposta» pigolò Amanda.
Che poteva dirle? Che il gufo si era smarrito? Che aveva perso la lettera nel vento, mentre volava verso la sua destinazione?
«Non l’hai ricevuta perché… non l’ho mai scritta» disse infine. Fu certo di vedere Derek rimanere bloccato a metà nell’atto di portare il calice d’acqua alla bocca.
«Non… non ti ho risposto» continuò, improvvisamente elettrizzato da quel nuovo, inaspettato coraggio «perché… insomma, non ce la faccio, Amanda, tu sei… insomma, non sono pronto per uscire con una persona… come te»
«Come me?» ripeté lei, iniziando chiaramente a scaldarsi «Che intendi per “come me”?»
«Che sei una fanatica!» sbottò Albus, rabbioso, ritrovandosi addosso gli occhi di diversi presenti in sala «Solo perché mi chiamo Potter, ciò non fa di me un… una sorta di trofeo, o…»
«Ah, quindi è questo che pensi?» strillò Amanda, balzando in piedi «Che fossi soltanto un trofeo?»
«Mi seguivi ovunque!»
«Sai cosa ti dico, Albus Potter?» continuò lei, puntandogli contro un dito «Che dovresti imparare l’umiltà! Tu, brutto… presuntuoso…»
Senza alcun preavviso, gli tirò uno schiaffo e l’intera sala grande ammutolì. Albus si portò una mano al viso, sbigottito, la guancia colpita che formicolava, mentre Amanda gli voltava le spalle e se ne andava sotto gli occhi attoniti di tutti.
«Ma… che cosa ho detto?» esclamò Albus, vagamente sotto shock: non aveva mai preso un ceffone da una ragazza prima di allora.
«Beh, non sei stato molto carino» gli disse Derek, che aveva qualche difficoltà a rimanere serio.
«Le ho detto la verità!»
«Amico, la verità non è sempre la risposta giusta» rispose l’altro, issandosi in spalla la borsa con i libri. Guardò Albus, ancora piantato sulla panca ed immobile con la mano sul volto «Allora? Non avevi fretta di andare a Pozioni?»
 
 
 
Se c’era una cosa che Roxanne odiava, quella era senz’altro lo specchio. Era il suo nemico giurato da sempre e, sebbene sapesse che diversi ragazzi la osservavano da lontano, chi più segretamente di altri, le cose non avevano fatto altro che peggiorare da quando Aiden Pritchard
le aveva giocato quel tiro poco simpatico l’anno precedente. Non riusciva più a fare a meno di mettersi continuamente in dubbio, di chiedersi se potesse valerne la pena per qualcuno, per davvero, e non solo semplicemente per il suo aspetto.
Quel venerdì mattina, ormai una settimana dopo la chiacchierata avuta con Aiden alla stazione di Hogsmeade, la lotta con sé stessa pareva più agguerrita che mai.
«Rox?» la chiamò Elizabeth Baston «Va tutto bene?»
Roxanne stava in piedi davanti allo specchio nell’angolo del loro dormitorio, la divisa infilata per metà, lo sguardo perso. Sospirò, sconfortata «Non lo so, Liz. È che… non riesco a vedermi»
Elizabeth, che, seduta sul letto, si stava infilando le calze, alzò la testa «Che vuoi dire?» le domandò.
«Sono davvero così?» le chiese, indicando la propria immagine riflessa.
Elizabeth la raggiunse, poggiandole affettuosamente il mento su una spalla «Affatto» le disse «Sei molto meglio»
Roxanne accennò un sorriso, ma gli occhi le bruciavano da morire e stava faticando parecchio per evitare di lasciar scendere le lacrime. Giocherellò nervosamente con la cravatta rossa e oro che teneva in mano nel tentativo di temporeggiare e riuscire ad inghiottire quel nodo che le opprimeva la gola.
«Che c’è che non va?» le domandò ancora Elizabeth.
«È che…» cominciò Roxanne, asciugando con impazienza una lacrima «tu mi vedi, Liz. Vedi oltre l’apparenza d-della ragazza tosta. E avrei… avrei solo voluto che anche Aiden lo facesse»
«Oh, Roxy» sospirò Elizabeth, abbracciandola. Roxanne si lasciò andare ad un pianto liberatorio, scoppiando in singhiozzi.
«Rox, se anche l’avesse fatto, non sarebbe cambiato nulla» le disse dolcemente Elizabeth.
Roxanne si liberò dalla sua presa «Che vuoi dire?» le domandò, tirando su rumorosamente col naso.
«Voglio dire – Accio fazzoletto! – che non importa quel che ha visto lui» continuò Elizabeth, asciugandole il viso con la pezzuola che aveva svolazzato verso di lei dal cassetto del suo comodino «E non importa nemmeno quel che vedo io. È quello che vedi tu, ciò che conta»
Roxanne si voltò di nuovo verso lo specchio: era un totale disastro.
«Una scema che ha appena pianto, con i capelli sconvolti?» azzardò.
Elizabeth le diede un colpetto con la bacchetta sulla testa «A quello si può rimediare» disse «Intendo qualcosa che non si vede allo specchio. Qualcosa che sta… qui»
Terminò la frase poggiandole l’indice sul petto, al cuore.
Roxanne sorrise, un po’ amaramente «E se… se non lo vedessi nemmeno io?»
«Lo vedrai» rispose Elizabeth, con l’aria di chi la sa lunga «Devi solo… darti tempo»
Roxanne abbracciò l’amica «Grazie» le disse.
«Ora, forza» la incitò l’altra «non voglio che ci pensi più per oggi, ok? Lo sai che non hai nulla da invidiare a nessuno»
Roxanne annuì e, un po’ rincuorata, finì di prepararsi, per poi scendere con Elizabeth per la colazione.
Giunte in sala grande, Roxanne, nonostante il discorso di Elizabeth di poco prima, non poté fare a meno di lanciare un’occhiata verso il tavolo do Serpeverde, un gesto che, ormai, era diventato un’abitudine consolidata.
«Ehi» la chiamò Elizabeth, alla quale, evidentemente, non era sfuggito lo sguardo di Roxanne «va tutto bene. Passerà»
«Senz’altro» rispose Roxanne, mentre prendevano posto al tavolo di Grifondoro assieme a Fred e al suo immancabile compagno, Lysander.
«Sorellina» Fred chiamò Roxanne, scrutandola in viso «ti senti bene?»
«Benissimo» rispose lei spiccia, prendendo un po’ di uova strapazzate.
Fred e Roxanne somigliavano entrambi molto alla madre, Angelina. Ma se fisicamente si assomigliavano tanto, avevano due caratteri completamente diversi: Fred era energico, socievole, sempre positivo; Roxanne, dietro l’aria da dura che si ostinava a mostrare, era tremendamente insicura ed introversa, e la maschera che si era costruita la portava spesso ad essere scontrosa e irascibile, e non era raro sentirla dare rispostacce a chiunque, professori compresi.
«Hai l’aria di chi ha passato la notte in bianco» continuò Fred.
«Interessante come, tutto ad un tratto, t’importi di me» sputò Roxanne; non aveva alcuna voglia di scavare più a fondo in sé stessa, non quella mattina «Hai bisogno di qualcosa?»
Fred rimase impietrito «Mi sono sempre preoccupato per te, Rox» mormorò «Sei mia sorella»
Roxanne stava per rispondergli per le rime, ma Elizabeth intervenne: «Ragazzi, per favore!» esclamò, lanciando un’occhiataccia all’amica «Non risolverete nulla insultandovi a vicenda»
«Ti garantisco che, in passato, abbiamo risolto molte cose, insultandoci a vicenda» replicò Fred con fare saggio, dall’altro lato del tavolo. Roxanne grugnì la sua approvazione.
«Sai, Rox» intervenne Lysander dopo un po’ «forse non sono la persona più adatta per dirlo, ma… dovresti trovare un modo per sfogare la frustrazione»
Roxanne lo fulminò con lo sguardo ma, prima che potesse proferire parola, Elizabeth intervenne: «Lysander non ha tutti i torti» disse, mentre quest’ultimo tirava un sospiro di sollievo per non aver ricevuto alcun improperio «Magari il Quidditch potrebbe farti bene. Potresti entrare nella squadra, no?»
Roxanne emise un verso scettico «Ce ne sono già troppi della nostra famiglia, in squadra» commentò «Qualcuno potrebbe sospettare che ci siano sotto dei favoritismi»
«La nostra famiglia ha il Quidditch nel sangue, ricordalo» si pavoneggiò Fred, masticando sapientemente la sua fetta di pane tostato.
«Idea!» saltò su ancora Elizabeth, facendo sobbalzare i suoi compagni «Perché non tenti i provini per il torneo? Per la squadra di Hogwarts?»
«Manco morta!» esclamò Roxanne «Non darò ad Olivia Montague la soddisfazione di prendersi gioco di me anche sul campo»
«In effetti, Weasley, non so quanto ti convenga. Potresti spezzarti un’unghia»
Parli del diavolo…!
L’insopportabile voce stridula di Olivia Montague giunse all’orecchio di Roxanne da un punto imprecisato alle sue spalle. Si voltò, trovandosi faccia a faccia con quella che poteva definire la sua acerrima rivale in tutto, immancabilmente accompagnata dalla sua fedele seguace, Vivian Baddock, che rideva sguaiatamente alla battuta della sua amica.
«Credevo che il tavolo di Serpeverde fosse dall’altra parte della sala» osservò Roxanne.
«Lo è» rispose fastidiosamente Olivia «ma ho deciso di passare a farti un saluto»
«Grazie del pensiero, Montague» intervenne Elizabeth «Ora puoi anche evaporare»
«Chiudi quella boccaccia, Baston!» abbaiò Vivian.
«Sai che c’è, Montague?» esordì Roxanne, alzandosi per fronteggiarla, in un improvviso moto di decisione «Rischierò di rompermi un’unghia, se vuoi vederla a questo modo. E ti dirò di più: Fred ha ragione, il Quidditch, ce l’ho nel sangue. E mi prenderò il mio posto in squadra»
Roxanne udì Fred sibilare un “Sì!” prima che Olivia riprendesse: «Sei così coraggiosa, Weasley» la canzonò, col suo solito tono mellifluo «Scommetto che speri tanto che Aiden sia sugli spalti ad applaudirti. Poverina, ti si sarà spezzato il cuore quando hai scoperto che non ricambiava i tuoi sentimenti»
Roxanne avvertì un peso caderle sul fondo dello stomaco e si sentì avvampare dalla rabbia. Se avesse ricevuto una secchiata d’olio bollente in viso, probabilmente sarebbe stato meglio. Olivia sapeva bene quale fosse il suo punto debole e aveva centrato il bersaglio.
«Ma brutta…»
Elizabeth l’afferrò per un braccio appena in tempo e, da un lato, Roxanne dovette essergliene grata, o si sarebbe scagliata contro Olivia prendendola a pugni fino a quando non le avesse ridotto la faccia a una sorta di tubero bitorzoluto. Ad alcuni studenti curiosi, il gesto non sfuggì.
«Seguiremo i tuoi provini con molto interesse, Weasley» commentò Olivia, per nulla intimorita dall’essersi trovata a un passo da una zuffa «Sempre che tu non preferisca passare il tuo tempo a piagnucolare nel tentativo di attirare l’attenzione di Pritchard»
Detto ciò, le due Serpeverde si allontanarono verso il loro tavolo, sghignazzando.
Roxanne, strattonata da Elizabeth, tornò a sedersi.
Era furiosa. Era ora che qualcuno facesse tacere quell’oca. E quel qualcuno sarebbe stata lei.
«Farò quel provino, fosse l’ultima cosa che faccio!» sbraitò «Come si permette di… di…»
Emise un ringhio arrabbiato «Giuro che l’ammazzo, quella vacca
 
 
 
Lily ricordava bene i metodi che Adam Baston, il loro vecchio Capitano, utilizzava per mantenere in riga la squadra di Quidditch. Primo fra i tanti, soleva organizzare un incontro piuttosto mattiniero durante la prima giornata libera di tutti i giocatori, solitamente il sabato mattina.
La giovane Potter, complice l’inesperienza in quel ruolo, aveva deciso di conservare quella specie di tradizione, così comunicò ai membri rimasti in squadra – suo fratello Albus e Derek McLaggen - che si sarebbero ritrovati il sabato mattina in sala comune per poi scendere al campo di Quidditch, dove avrebbero iniziato a stilare alcune nuove tattiche di gioco e, se ne avessero avuta l’opportunità, le avrebbero messe in atto.
Aveva raccomandato ai due la massima puntualità e, ironia della sorte, quella mattina fu proprio la sua sveglia a non suonare. Solo quando ricevette un cuscino in faccia, si destò di soprassalto.
«CHI VA LÀ?» urlò, puntando la bacchetta a caso nella stanza. Spostando i capelli scarmigliati dal viso, con qualche difficoltà riuscì a mettere a fuoco suo fratello Albus, probabilmente artefice di quel brusco risveglio.
«Dormi con la bacchetta sotto il cuscino?» le domandò lui.
«Come sei entrato?» esclamò Lily, la bocca ancora impastata di sonno. Come o con che cosa dormisse non erano affari di nessuno, nemmeno di suo fratello.
«Lily, abbiamo la riunione di squadra» la redarguì Albus, ignorando le lamentele della sorella «L’hai dimenticato?»
«No, io…» biascicò Lily, cercando disperatamente un orologio; la sveglia sul suo comodino segnava le nove meno dieci.
«L’incontro è fra dieci minuti!» sbottò spazientita. Odiava essere svegliata, specialmente in modi così poco ortodossi. In realtà, odiava essere svegliata e basta, che fosse un cuscino, la sveglia o chi per loro.
«Hai detto tu di essere puntuali» ribadì Albus, iniziando a raccogliere alcuni dei vestiti di Lily sparsi in giro per la stanza «In quanto Capitano, dovresti dare il buon esempio. Non hai imparato nulla da Adam?»
«Se l’incontro è fra dieci minuti, sono in perfetto orario» brontolò lei. Con uno sbuffo irritato, afferrò il cuscino che l’aveva svegliata e lo scaraventò a terra «E comunque no, non ho imparato nulla, perché non pensavo che qualche pazzo mi facesse Capitano. E un’ultima cosa: questo è un dormitorio femminile, Al, quindi sciò
Albus ridacchiò «E rischiare che ti rimetta a dormire? Nossignore!» disse.
Lily sbuffò dal naso «Grazie per la fiducia» brontolò «Sei il mio vice, dovresti supportarmi, non… sgridarmi»
«Non ti sgrido, ti sprono» disse Albus, divertito.
«Lanciandomi un cuscino in faccia?» constatò Lily, contrariata.
«Se può servire…» continuò lui, sempre sulla stessa linea. Evidentemente, punzecchiare la sorella circa i suoi compiti da Capitano lo divertiva parecchio.
«Ti detesto» ringhiò Lily «Penso che andrò a dare le dimissioni»
«Tu non andrai proprio da nessuna parte» rispose Albus, appoggiandosi alla porta a braccia incrociate con un ghigno «Scenderai con noi al campo per studiare qualche nuova tattica, da buon Capitano che si rispetti, Lily Luna»
«Senti un po’, Albus Severus» cominciò Lily, balzando finalmente giù dal letto, cercando di mettere in quelle parole tutta l’autorevolezza che poteva «vedi di smetterla di sbriciolarmi le Pluffe, perché non sei né mamma, né papà, quindi non sarai di certo tu a dirmi cosa devo o non devo far- AAARGH!»
Lily maledisse per un attimo l’essere così terribilmente disordinata. Il suo baule, solitamente ai piedi del letto, era finito chissà come in mezzo alla stanza e il suo mignolo vi si era brutalmente schiantato contro.
«Porco Merlino!» strillò, saltellando sul piede sano e tenendosi quello accidentato, dando il via ad un’improbabile sfilza di imprecazioni.
Sotto gli occhi attoniti ma ancora più divertiti di Albus, Lily arrivò al bagno balzellando, lavò velocemente la faccia e indossò alcuni degli abiti che suo fratello aveva raccolto poco prima, poi, assieme a lui, scese nella sala di ritrovo, dove Derek li stava aspettando.
Lo salutò con un lungo sbadiglio, uno dei tanti che continuavano a farle lacrimare gli occhi da quando aveva abbandonato il letto. Fu solo in quel momento, ritrovandosi solamente in tre, che Lily si rese tristemente conto di quanto fosse decimata la squadra a livello di giocatori.
«Bene» disse Albus, come se toccasse a lui dirigere quella questione «Vogliamo andare?»
Lily si guardò attorno per un attimo, la fronte aggrottata «Non pensi che… dovremmo chiamare anche Fred?»
«Fred?»
«L’anno scorso era in squadra» intervenne Derek «e non se l’è nemmeno cavata male. Anzi, come coppia di Battitori andavamo alla grande»
«Era in squadra per sostituire Meredith» ribatté Albus.
«Ma Meredith si è diplomata» gli fece notare Lily «Fred potrebbe tranquillamente prendere il suo posto in squadra»
«E lo ammetteresti senza fargli fare alcun provino?» continuò Albus.
Lily scrollò le spalle «Adam era un ottimo Capitano» disse «e se ha ritenuto giusto dare fiducia a Fred, beh… lo farò anch’io»
«Non pensi che dovresti prima chiedere il consenso a Neville?»
Lily stava iniziando ad irritarsi «Scusami tanto, Al, a chi hanno mandato la spilla di Capitano quest’estate?» esclamò, stizzita.
Albus alzò le mani, in segno di resa «Come vuoi» sospirò, ma non suonava affatto convinto.
«Ok, ehm… uno di voi può andare a chiamarlo?» chiese ai suoi due compagni.
Derek e Albus si scambiarono un’occhiata, ma nessuno dei due rispose.
Lily alzò un dito, indicando i piani superiori «Fred, dormitorio maschile» disse, come se stesse spiegando un concetto semplicissimo a due bambini un po’ duri di comprendonio «Io sono una ragazza»
«E il Capitano» sottolineò Albus, aspro.
«Ho capito, vado a chiamarlo io» sbuffò Lily. Sapeva che Albus se l’era presa: chiedergli di farle da vice-Capitano doveva averlo ringalluzzito al punto tale da fargli credere di avere molto più potere decisionale di quel che Lily intendeva lasciargli.
Salì le scale che portavano ai dormitori dei ragazzi, bussando con forza alla porta di quello di Fred. Non udì nulla, se non un gran trambusto proveniente da dentro.
Si schiarì la gola «Fred?» chiamò «Sono Lily. Ho convocato una riunione di squadra giù al campo, e ci terrei che ci fossi anche tu»
Di nuovo, nulla.
«Fred?» chiamò ancora. Spazientita, decise di aprire la porta, ma se ne pentì immediatamente: non appena mise piede nella stanza, si ritrovò il sedere nudo di Fred in bella vista.
Strillò come un’ossessa, richiudendo subito la porta e coprendosi gli occhi con una mano per evitare che quello spettacolo raccapricciante le si presentasse alla vista una seconda volta.
«FREDERICK WILLIAM WEASLEY!» gridò «Razza di scostumato senza pudore!»
«Ehi, Lily» fece lui divertito, socchiudendo la porta «Che volevi dirmi?»
Lily scosse la testa nel tentativo di scacciare l’immagine di poco prima da davanti agli occhi «Riunione di squadra al campo, fra poco» gli disse «Cerca di sbrigarti. Oh, e possibilmente, cerca di venire vestito»



[ Claire Says ]
Hello, everyone!
Ordunque, capitolo 5 (o 4, se contiamo il prologo) in cui si sviluppano un altro po' le dinamiche fra i personaggi.
What else... ho deciso di titolare i capitoli, in primis perché, senza un riferimento, non mi ricordo cosa tratto in quel capitolo, secondo, perché vi garantisco che leggere una sfilza di "Capitolo 1, Capitolo 2..." and whatsoever nella pagina di gestione delle storie è assai brutto da vedere, IMHO. E quindi mi sono aiutata con titoli di canzoni che riprendono un po' quello di cui si parla nel capitolo. Come? Con la ricerca brani su Spotify. Sì, ho dei problemi.
Basta essere prolissa anche per oggi, grazie per essere stati con noi e alla prossima puntata!
Much love,
C.

 
  
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