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Autore: Rota    04/05/2020    5 recensioni
Sentì i muscoli della schiena dolere. Si allontanò dal fascio di luce della lampada sul tavolo, così da avvicinarsi alla grande finestra che poco prima stava ammirando Mika, godendo dei colori della notte.
Si appoggiò al legno dello stipite con una spalla, incrociando le braccia al petto.
Che bella luna. Che belle stelle.
Tracciò le linee di un tatuaggio straordinario tra le costellazioni senza nome, profili di qualcosa che nessun uomo aveva inventato. Magari, nel loro futuro, potevano essere utili.
Fu in quel modo che vide i primi bagliori – gli sembrò fossero delle stelle cadenti. Una, due, tre, dieci, cento.
La prima cadde a terra e colpì una casa. Prima il buio, subito dopo un’esplosione di fulmini incontrollata.
Shu rimase immobile, inorridito ed esterrefatto, finché anche da quella distanza non si riuscirono a sentire le urla agonizzanti dei suoi stessi concittadini.
Quella fu chiamata, da chi sopravvisse, la prima delle Notti della Pioggia di Potere.
E segnò l’inizio di un nuovo mondo per tutti i cittadini di Yumenosaki.

[LeoxShu principalmente; Fantasy/Steampunk/Tatoo!Au; multicapitolo]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Leo Tsukinaga, Shu Itsuki
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*3. Spine – Assolutamente fuori controllo*

 


[Melodie di vento e di pioggia: il movimento della tempesta // CherryBlossoms' Ink FanMix
Track 4: Capitolo 3]





Lo sente ancora sotto la pelle.
Un bruciore di giacchio che tira, sembra voler strappare i muscoli, serpeggia ovunque e stimola i nervi per fuggire, fuggire, fuggire, quasi avesse una precisa volontà; lotta con i confini del tatuaggio, incisi nella carne dalla spina di metallo che sembra ancora scavare nel suo corpo.
Un ragazzo dalla pelle scura, arrivato da chissà dove, gli ha dato da bere una cosa amara che gli ha tolto buona parte della coscienza. Ammansito, Rei Sakuma ha potuto legarlo e dominare un poco il suo agitarsi.
Ma per Madara è stato come vivere in un incubo terribile, incapace di distinguerlo dalla realtà.
-È un potere particolare, non ne ho visti così spesso.
La voce preoccupata di Sakuma si mescola a quella dei clienti del bar, in un vortice sempre più acuto. L’odore dell’alcool che si alza dal suo boccale gli ricorda qualcosa di fermentato in quel maledetto inchiostro rossastro, posato goccia dopo goccia sulla sua spalla.
La pelle tira ancora, sotto la maglia.
-Instabile, molto instabile. Bisogna fare attenzione, perché basta poco per-
Una mano sulla spalla all’improvviso, Madara si ritrova a guardare il sorriso gigantesco di Leo al terzo boccale di birra al miele.
-Mama! Questo è nel posto sbagliato!
Indica quello che ha tra le mani con un cenno del capo, un po’ dondolando in avanti.
-Deve andare giù in gola!
Madara impiega qualche secondo a rispondere al suo sorriso, ripresi a fatica i capi dei propri pensieri. Quale il sogno e quale la realtà, forse non importa poi così tanto.
Svuota il boccale e lo sbatte poi sul bancone, urlando e incitando Leo a fare lo stesso – il compagno lo imita subito, stando al gioco. Yuuta Aoi si avvicina a loro con il cesto degli snack piccanti, porgendoli assieme a una nuova bottiglia di liquore. Pare essere una giornata allegra.
Ormai il sole è abbastanza sollevato dall’orizzonte. Diversi altri clienti si sono svegliati sui tavoli o sono entrati zoppicando dalla porta d’ingresso quando il musicista ha cominciato a comporre melodie spensierate.
In quell’allegria, sfuggono dettagli particolari, che si distinguono da tutto il resto. Poiché fronteggia l’ingresso, il primo ad accorgersi di quell’insolita presenza è Madara, che ha la buona educazione di alzarsi dal proprio sgabello e allontanarsi mentre Leo ancora si occupa la bocca con snack piccanti, piccantissimi; l’uomo alto borbotta qualcosa sulle latrine e il retro della locanda.
Leo Tsukinaga prima nota il vuoto accanto a sé e poi nota proprio lui, vestito di bianco elegante pure in mezzo al caos, lo sguardo severo posato sulla sua persona.
Non lo potrebbe mai ammettere in quella vita, ma gli è davvero molto mancato – anche quel suo tono di voce così tanto alterato.
-Tsukinaga.
-Itsuki.
Bastano pochissimi istanti perché Leo realizzi il suo livello di irritazione: è persino sceso dalla sua collina per andare a cercarlo. Sottolinea la cosa nel peggiore dei modi.
-Non pensavo ti avrei mai trovato in un posto del genere! I tuoi standard sono cambiati? Ora ti mescoli con la plebaglia?
Lo vede allargare le narici e irrigidire ogni singolo muscolo della mascella, assottigliare lo sguardo come se avesse un potere tale da sparare qualcosa dagli occhi e disintegrarlo all’instante. Ha la risposta pronta, prontissima, perché dev’essersela preparata in anticipo. Così come Leo controbatte, lui fa altrettanto.
-Stavo cercando Kagehira, e quello stupido non poteva che essere in luoghi stupidi.
-Strano! Ho visto Kagehira dirigersi verso la collina dello Studio diverse ore fa! Non è che stavi cercando solo una scusa per venire fin qui? A cercare me?
-A cercare te, Tsukinaga?
In quella domanda c’è qualcosa di sottinteso che nessuno dei due vuole davvero rendere palese, ovvero il motivo più che legittimo di Shu d’essere tanto arrabbiato.
Leo può permettersi di rimanere in difensiva ancora per poco. Allunga un piede di lato e muove appena lo sgabello dove prima è stato seduto Madara, avvicinandolo all’altro.
-Qualsiasi cosa tu stessi cercando, che tu l’abbia trovata oppure no, dovresti proprio sederti qui con me! E brindare!
Dapprima, Shu sembra schifato persino da quello sgabello. Lo guarda con lo stesso disprezzo con cui guarda lui. Per qualche strana ragione, però, lo Shi sposta la parte laterale del proprio cappotto, in modo che nel sedersi non si sporchi. Rimane ben dritto con la schiena, rigido; non si toglie neppure i guanti o il cappello.
Quando si avvicina uno dei gemelli Aoi, è Leo che parla.
-Un tè caldo, per lui. Con del latte fresco.
Shu alza un sopracciglio e sa che quello che vuole Leo è che lo guardi sorridere – che si ricorda benissimo cosa ordina quando si trova in luoghi pubblici. Siccome lo Shi non lo accontenta, allora Leo ride e si riempie di nuovo il boccale con ciò che rimane della bottiglia. Beve in fretta e ne fa colare parecchio sul mento.
-Ti diverti?
Ride di nuovo quando abbassa il braccio, guardandolo con occhi stralunati.
-Abbastanza, grazie.
-In un posto del genere, a un’ora del genere. Non ti smentisci mai.
-Senza limiti si vive meglio! La vita è bella quando viene vissuta interamente e quando trova espressione piena di sé!
-Giustifichi non altro che indisciplina e modi scostumati.
Shu si volta verso di lui col busto e, di contro, Leo invece ricambia il suo sguardo girando solo il viso nella sua direzione. Un singhiozzo che lo fa sobbalzare, poi il volto gli si deforma in una smorfia infastidita.
-Vuoi davvero cominciare a parlare di cosa sia il decoro e la morale? Non sono abbastanza sbronzo!
Scuote la testa, cercando attorno a sé un qualsiasi pretesto per iniziare una conversazione stupida oppure una via di fuga.
Accanto a lui, Shu fa un enorme sforzo per non alzare gli occhi al cielo, ripaga lo sgarbo subito.
-Allora ti farò una domanda più semplice, così che il tuo limitato raziocinio possa escogitare una risposta logica. Perché sei tornato a Yumenosaki?
Leo ferma il gesto delle mani che stava compiendo, decisamente colpito da tanta franchezza. Non era più abituato e questo ha abbassato le sue difese.
La sua fortuna è che è abbastanza veloce da mascherare il tutto con l’ironia e con una risata sguaiata.
-Wow, così diretto non me lo aspettavo da te, Itsuki Shu! Ma se pensi che il motivo sia tu-
-So benissimo di non essere io.
Un guizzo nei suoi occhi ha la sfida a contraddirlo.
Ma neanche adesso Shu fa vedere un minimo spiraglio di debolezza. Leo comincia a essere vagamente a disagio.
-Dammi un poco di tregua, Itsuki! Sei spietato!
-Non è da te evitare il confronto, Tsukinaga.
-Ho poco tempo e non potrei ribattere come vorrei. Le conversazioni con te sono belle se tengono sveglie la notte e il giorno, ma con poche ore a disposizione dovrei interrompermi a metà.
Lo Shi coglie quell’unico dettaglio che sembra interessargli e c’è quel colore nella sua voce che sembra quasi speranzoso – troncato poi subito con amarezza e fastidio.
-Sei già in partenza?
-Assolutamente sì! Non sarò costretto a vedere il tuo brutto muso ancora a lungo!
-Già, né io il tuo.
Leo sorride a se stesso, abbassando gli occhi. Davvero non vuole discutere, ha monopolizzato la sua attenzione fin troppo a lungo; Shu Itsuki è difficile da digerire, specialmente in determinate situazioni.
Nonostante questo, lo guarda quando accenna una frase, sospirando.
-L’unica cosa che mi consola è che-
Si accorge del suo sguardo e si ferma, scuote la testa.
-No, nulla.
Finalmente arriva il suo tè caldo e con esso anche la piccola teiera del latte, qualche biscotto fatto in casa. Non riesce neanche a fare un singolo cenno di ringraziamento, da tanto è rigido. Leo non si accorge neppure di come la sua mano tremi sul bancone.
-Spero solo che questa volta tu possa non tornare mai più.
È lapidario. Questo fa bene al cuore di Leo, perché gli dona la sicurezza di non essere stato perdonato.
L’uomo dai capelli lunghi ride e sorride di nuovo, alzando il proprio boccale.
-Un brindisi, Itsuki?
-A cosa?
-A un nuovo viaggio! Una nuova speranza per il futuro! A non tornare mai più!
-Sarebbe ipocrita per me celebrare una cosa del genere.
-Fallo per me! Che ti costa?
Solleva un sopracciglio prima, dopo la tazza chiara con due sole dita, soffiando sul liquido bollente. Ha un buon aroma, a quanto sembra, anche se non sufficiente a sciogliere quella sua espressione glaciale.
Leo fa ancora una smorfia, scontento.
-Non sei cambiato affatto, sei sempre così noioso.
Alla fine, si volta verso il musicista in fondo alla sala, poi l’entrata. Non c’è più niente in fondo al suo boccale.
Madara sta impiegando davvero un po’ troppo tempo a tornare dalla latrina.

 
  Shu-Leo-Bar
FanArt by Violante


Si rende conto di aver superato le latrine da diversi metri ormai, ma non si ricorda affatto quando è successo.
Si guarda attorno e cerca indizi su dove si trovi, come tornare indietro, se ci sia qualcuno a chiedere aiuto.
Sta sudando molto perché il suo corpo è stranamente così caldo, trema. Vede muoversi forme strane e iridescenti, come fantasmi scuri con tentacoli rigidi, che producono suoni minacciosi.
Trova una parete al proprio fianco e ci si appoggia con tutta la spalla, poi la schiena; respira profondamente e tenta di calmare il battito del proprio cuore impazzito, anche di recuperare un poco di lucidità.
Deve tornare indietro e trovare Leo, ascoltare la musica del suo flauto prima che sia troppo tardi e il Potere della sua spalla prenda il sopravvento. Sfrigola e sfrigola, serpeggia e rotola, si allunga e si allarga dentro di lui, corrompe la sua resistenza.
Qualcuno lo fermi. Qualcuno lo aiuti.
Un ragazzo molto gentile si avvicina a lui preoccupato, ma Madara gli urla addosso e lo allontana. Nel toccarlo, entrambi i suoi tatuaggi si illuminano all’istante ed è come se due forze contrapposte lottassero per strapparlo in due pezzi.
Un braccio lo porta verso il basso e sotto le sue nocche si crea una crepa nella terra, che fa tremare tutto e fa cadere il povero sventurato terrorizzato.
Un braccio invece si piega in aria in modo assolutamente innaturale, si irrigidisce come se fosse tutto osso e una bolla si crea, scoppia, portando con sé parte della coscienza di quello stesso ragazzo e dei pochi altri presenti. Assieme a Madara, qualcuno urla – gli occhi del ragazzo brillano e lui vede qualcosa oltre la parete spessa di quell’abitazione, senza controllo.
Il corpo di Polizia Speciale Akatsuki, vestiti di rosso e di bianco, impiega davvero poco a rintracciarlo, mentre ancora urla e vortica come una trottola, distruggendo ciò che trova.
Leo Tsukinaga è il nome che gli esce dalle labbra tremanti. Leo Tsukinaga è anche il nome di quell’uomo che accorre presto sul posto, attirato dalle urla indemoniate, e che la stessa Akatsuki arresta all’istante.
 
 
-Non potete tenermi chiuso qui! Non potete! Questo è un delitto, un’atrocità, un crimine contro l’umanità!
La sua voce squillante rimbalza sulle spoglie pareti umide di quella piccola cella. Non c’è altro che un odore di muffa e quella piccola lampada appesa poco più in alto della porta di ingresso, sigillata da diverse serrature di metallo.
Due passi indietro e persino le gambette corte di Leo completano la lunghezza da una parte all’altra. L’uomo alza le braccia e fa strani gesti, acuisce la voce nel tentativo di risultare ancora più sgradevole.
-Questa cella è fin troppo piccola e fin troppo buia! Non entra neanche un filo di aria! Morirò soffocato prestissimo!
Simula dei colpi di tosse anche forti, si accascia quasi a terra. Le lunghe ciocche ribelli, sfuggite al laccio, ondeggiano in ogni direzione aiutando a rendere la scena più drammatica, il suo aspetto più trasandato.
-Mi sta già mancando il respiro!
Nessuna reazione oltre lo spioncino rettangolare.
Leo vaga anche con lo sguardo mentre gesticola, trova altri motivi di lamentela.
-E poi cosa è questo? Una panca? Dovrebbe essere il mio giaciglio? Dovrei dormirci sopra? Sarebbe più pietoso uccidermi ora piuttosto!
Vi picchia sopra una mano aperta, facendosi anche abbastanza male. Ripete il gesto qualche volta, finché le dita non cominciano a tremargli.
Smette, si arrampica lungo il muro mattonella dopo mattonella e a fatica si rimette in piedi sulle ginocchia tremanti per il freddo. Ha la voce accorata.
-Ah, non supererò la notte questo è certo!
Arriva anche alla porta e vi si attacca, vi si accascia e vi si aggrappa. Strilla quando con la coda dell’occhio vede un piccolo roditore nero, con le orecchiette grosse e scure, che scappa portandosi appresso l’ultimo pezzo di pane rubato dalla sua ciotola.
-Magari volete anche darmi da mangiare qualche cosa di poco commestibile!
Finalmente, una reazione: lo spioncino si apre e compare un viso munito di occhiali pesanti, ben spessi.
-Hai finito di comportarti come una scimmia?
L’uomo dai lunghi capelli arancio si deve alzare in punta di piedi per vedere, attraverso quel piccolo spazio, l’altro uomo, molto irritato dal dovergli parlare in un tale modo.
-Keito!
-Tsukinaga Leo.
-Oh, vedo che tutti vi ricordate il mio nome! In effetti sarebbe strano il contrario!
-Tre anni non sono sufficienti per dimenticarsi di uno come te.
Keito Hasumi, Primo Capo del Corpo Speciale Akatsuki e Sigillo, assottiglia lo sguardo in un modo che riporta Leo indietro nel passato di diversi anni, quando ancora non indossava alcuna divisa e alcuno stemma.
-È mai possibile che la prima cosa che fai è creare casini?
-Beh, se avessi voluto davvero farlo, di certo sarebbe stato qualcosa di più maestoso e vivace!
Leo ride e si sporge all’indietro, così da lasciare all’altro qualche istante di riflessione.
-Quindi non era intenzionale.
Subito spinge quello che può del proprio viso nello spioncino, quasi potesse in qualche modo avvicinarlo di più a Keito. Il poliziotto però non fa il minimo sforzo per ricambiarlo e anzi si guarda bene dall’avvicinarsi troppo a quella porta sudicia, sopra lo stipite della quale è stato appeso proprio uno dei suoi sigilli.
-Questo attenuerà la mia pena? O la pena di Madara?
-Non sono io a deciderlo, lo sai bene.
Leo fa una smorfia di irritazione, di disgusto.
-Allora perché sei qui? Hai lasciato le tue scartoffie in mano a qualcun altro solo per una visita di cortesia?
Keito rispose alla sua smorfia con severità e alterigia, alzando persino il mento.
-Sono venuto a vedere che non avessi preso a morsi la porta nel tentativo di evadere.
-Non sono mica così stupido! Mi hai preso per qualcun altro forse!
-Ma sei abbastanza stupido da tornare a Yumenosaki con una persona dai poteri instabili, che avrebbe potuto creare danni incalcolabili a persone e cose.
-Non pensavo che in questo breve tempo foste diventati tutti così precisini!
Per qualche strana ragione, Keito si fa molto serio a quel punto del discorso, persino la sua postura già rigida si fa ancora più ferma, impettita in braccia incrociate e piedi in posizione.
-La città è molto cambiata in questi anni, Tsukinaga. Ora vige la legge e l’ordine.
La smorfia di Leo si trasforma in uno strano sorriso, in un’espressione raccapricciante. Il fiore sulla sua guancia viene distorto, mentre parla con quel tono di sfida.
Lui conosce tutte quelle bugie e tutte le verità che qualcuno vi ha celato dietro.
-L’ordine e la legge di chi? Del Governatore Tenshouin? Non è cambiato molto, allora!
-Sai cosa intendo.
-Certo che lo so! È per voi che io ho reso i Knights grandi!
I ricordi pesanti legati a quelle parole li rallentano con una piccola pausa.
Leo si morde le labbra. Se avesse anche solo vagamente previsto quello che poi è accaduto, si sarebbe preparato diversamente l’animo: incontrare certe persone del suo passato, impreparato, è ardua.
Riesce però a rispondere con parole troppo allegre all’ennesima provocazione di Keito.
-Immagino tu non sia tornato per fare la rivoluzione.
-No, direi proprio di no! In realtà contavo proprio di non farmi vedere da voialtri!
Sente il tamburellare della punta dello stivale di lui, un ritmo spaventoso.
C’è una guardia, in fondo al corridoio a sinistra, che si sporge di lato per cercare di capire cosa stia succedendo, e come mai il suo capitano rimanga nella penombra a scambiare parole con quel prigioniero. Spinto forse dal proprio istinto, Keito guarda in maniera distratta in quella direzione, e così facendo lo obbliga a riprendere la posizione pieno di imbarazzo.
L’uomo sospira, corrugando la fronte. Non c’è davvero modo di essere meno sgradevoli ed è certo meglio che Leo sappia certe cose da lui prima che qualcuno glielo dica in modo ancora peggiore.
-Abbiamo arrestato anche Kagehira Mika.
Lo vede sgranare gli occhi e cambiare decisamente tono della voce a quel punto, perché su quel ragazzo sente una ben grossa responsabilità.
-Per quale motivo?
-Diversi testimoni lo hanno visto assieme a te e a Madara Mikejima. Vogliamo capire se è coinvolto nella faccenda oppure no.
-Assolutamente no!
-Ti rendi conto che la tua parola in questo momento non ha molto valore?
-Dovrei mettere la mia spilla al petto perché l’abbia?
Assottiglia lo sguardo, davvero ferito.
-Non prendermi in giro.
Leo deve riprendere fiato prima di parlare ancora, sente la frustrazione montargli nel petto.
Immagina Mika chiuso in una cella a gorgogliare qualcosa nella lingua strana degli uccelli, intimorito da tutto, e si sente terribilmente in colpa per questo.
Abbassa lo sguardo per qualche istante prima di guardarlo ancora in viso.
-Dov’è Mama, ora?
Contento del cambio di argomento, Keito si sistema gli occhiali sul naso e ingentilisce di un poco la propria voce.
-In un posto che tiene al sicuro lui da noi, e noi da lui.
Da questa frase, Leo capisce l’esatta locazione del compagno, e un po’ ne è rassicurato.
Keito, dopo qualche secondo di silenzio, tra un sospiro e l’altro, rivela i propri sinceri sentimenti al prigioniero, che però non perde l’occasione per schernirlo.
-Domani ci sarà il tuo processo. Pensa bene a quello che vuoi dire davanti ai giudici, Tsukinaga. Potrebbe fare la differenza tra il perdono e la punizione.
-Non capisco se mi stai minacciando o se sei preoccupato per me! E questo spiraglio non mi permette di vedere bene il tuo viso!
-Sei un maestro del suono e della musica, dovresti capire da solo certe cose.
-Ah, ma hai detto che sono uno stupido! Ora riconosci il mio genio?
-Dico solo che non vorrei essere costretto domani a vederti imporre un sigillo.
Leo ride, in modo assolutamente sguaiato, benché il poliziotto sia tanto serio.
-Cercherò di non obbligarti a farlo.
Keito non riesce a sorridere, ma dopo aver parlato con Leo pare visibilmente più rilassato. Accenna persino un mezzo passo verso la porta con il sigillo di contenimento, per farsi vedere dal suo vecchio amico.
C’è il rintocco della mezzanotte fuori dalle mura, il campanile della chiesa che segna il passaggio del tempo.
Prima di tornare ai propri documenti e alle proprie amministrazioni, l’uomo alza un sopracciglio e si concede un piccolo appunto.
-Ah, comunque. Per cena avrai polpettone. E un pezzo di formaggio.
Vendetta.
Leo subito sgrana gli occhi e gli risponde tutto accorato.
-Non mi piace il polpettone!
Ma le sue urla non fermano i passi di Keito, che con tranquillità si allontana dalla sua cella per poi sparire in fondo al corridoio, alle scale che danno verso l’uscita della struttura.
Leo continua a gridare imperterrito, persino cercando di forzare la porta di legno massiccio.
-Ehi, Keito! Hasumi Keito Capo Primo dell’Akatsuki! Non mi piace il polpettone! Voglio un vero pezzo di carne! Keito Hasumi!
Dopo dieci minuti di strilla disperate, si sentono chiaramente le risa di un altro detenuto, e i bofonchiii di qualcuno che desidera dormire.
 
 
La coscienza di Madara riemerge, oltrepassando la superficie dell’inconscio.
I suoi occhi finalmente riconoscono forme, oggetti, persone: divise rosse e bianche, le spille dell’Akatsuki in lega dorata che brilla sui petti. Due uomini sono di guardia, immobili come statue, visiere abbassate per non lasciar intravedere neanche le espressioni.
La sua cella è tutta bianca, base circolare e alta diversi metri. Lo tengono legato catene spesse, appese alle quali ci sono diversi sigilli circondati da luce e fiamme, in piena attività. Intuisce che dev’esserci stata una battaglia, o uno scontro, perché gli fa male il fianco e la parte superiore della schiena. Cerca di muoversi o di parlare, ma gli sono impedite entrambe le azioni dalle spire della magia che lo tiene immobile.
Dev’essere scoppiato, nonostante il nuovo tatuaggio.
Il Potere sfrigola di nuovo alla base del suo cervello, cercando di corrompere il pensiero. Nel tentativo di combatterlo, Madara lancia un urlo da animale in gabbia, e ringhia e si dimena e si scuote. Il suo viso è coperto di sudore, sente i capelli appiccicati alla nuca ma quello sale, dalla spalla fino alle orecchie, insinuandosi come un tarlo del dubbio.
Mastica piano quel che rimane del suo controllo.
Madara si rende conto di essere stanco quando non riesce neppure a piangere dalla frustrazione.
La porta davanti a lui si alza, rivelando un cono di luce da cui esce un ragazzo giovane, capelli color carminio, accompagnato da un’altra guardia dell’Akatsuki. Madara lo riconosce, perché è un’autorità all’interno di Yumenosaki, e nessuno dei Toccati potrebbe ignorare l’esistenza di Mao Isara.
Ha gli occhi che brillano, bianchi come le ossa. Il Magister lo guarda attentamente e registra, nel suo cervello che tutto ricorda, lo stato attuale del suo corpo e la forma precisa dell’Origine dei tatuaggi. Registra anche i sigilli usati, le catene e la posizione del suo torso, tutti dettagli che in qualche misura possono fare davvero la differenza tra un’assoluzione rapida o qualcos’altro.
L’unica speranza di Madara è quella di non aver ucciso nessuno, mentre era incosciente.
-Avete finito, signor Isara?
Il poliziotto giovane, lunghi capelli scuri in una coda alta, più che irritato sembra preoccupato per il Magister: lo guarda con apprensione devota e non capisce come mai ci stia impiegando tanto tempo. Mao gli sorride appena, considerata la situazione, ma non gli risponde.
Basta che si avvicini di un altro passo che il Potere parassita torni a tormentare Madara con più forza – le catene vengono ancora tirate, tutte e quattro, e dalla sua gola fuoriesce qualcosa di gutturale e potente.
Il poliziotto dell’Akatsuki si piazza davanti al Magister di istinto, pronto a difenderlo con la propria stessa vita. Ma i sigilli sono forti e trattengono qualsiasi cosa sia diventato Madara in quel momento.
Occhi bianchi, bava alla bocca: è una visione più che mai pietosa.
Mao disattiva il proprio Potere a quel punto e sospira, perché il suo lavoro è finito. Tutto è pronto quindi per il processo del giorno successivo.
 
 
La porta dello Studio Shi Valkyrie produce un suono lieve quando viene aperta, come se provasse la medesima stanchezza e spossatezza del padrone. Lo accoglie un miscuglio di odori corposi, il rumore di qualcosa che cola goccia dopo goccia.
Shu trattiene un sospiro. Accende la prima luce dell’ingresso, così da poter togliere le scarpe e infilarsi ai piedi le ciabatte, morbide sotto la pianta sensibile. Viene colto da un brivido di freddo mentre si toglie la giacca e questo gli ricorda ancora una volta che nessuno ha acceso il caminetto per lui e ha disposto quella struttura a essere piacevole per la notte.
Mika è rimasto con lui la notte solo occasionalmente a causa del lavoro, eppure ne sente la mancanza, e questo genera un senso di tenace solitudine che aveva dimenticato anzitempo.
Lancia solo uno sguardo sfuggente al salotto accanto alla stanza principale, mentre passa veloce. La prima cosa che realmente fa è controllare lo stato dei fiori di gelso, che dovrebbero aver quasi terminato la loro prima preparazione. Solleva il panno che li ricopre: procede tutto come deve, l’indomani mattina avrebbe potuto tranquillamente metterli sotto conserva.
Controlla anche i semi di girasole, lasciati nel forno, e la pasta di more che ha cominciato a preparare quel pomeriggio. Tutto dovrebbe rassicurarlo, ma siccome non riesce la prima volta, controlla anche una seconda, e una terza.
Prima di sentire il freddo e l’umido nelle ossa, gli sovviene il dubbio che sia il caso di accendere il camino per riscaldare un poco l’ambiente. Il fuoco fa fatica ad attecchire alla legna, forse perché lo Shi non è più abituato a quel tipo di mansioni e litiga qualche minuto con la cenere e il cerino, che strofina la pelle dei guanti e solo dopo si accende in bagliori stanchi.
Recupera una coperta dallo schienale di una sedia e rimane immobile in mezzo alla stanza, a fissare quel che è rimasto sul tavolo – i pensieri cominciano ad ammassarsi tutti assieme, il respiro comincia ad accelerare appena, fintanto che non ha il pieno controllo su ogni lembo del proprio corpo infreddolito.
È tornato, ma non da lui. Ripartirà a breve, e non per lui. Ha dovuto stanarlo e coglierlo di sorpresa, altrimenti non si sarebbero neanche parlati. È di nuovo andato via, con un nuovo problema da risolvere.
La mano sinistra trema, incontrollata. Va veloce al polso, per sentire ancora la presenza di quel metallo freddo e il peso di una promessa lontana di anni, mai mantenuta e mai neanche smentita o disillusa. È solo questione di tempo, in entrambi i casi, poco o tanto che sia. I rilievi dei nomi sono ancora incisi, perfettamente levigati da quella che fu una mano esperta, tanto tempo addietro.
Shu sente l’urgenza di controllare di nuovo i fiori di gelso nel lavandino, prima che qualche altro pensiero gli faccia attorcigliare lo stomaco. Sono ancora lì, in perfetto stato, lasciati ad asciugare fino all’ultima goccia: tutto ciò che è colato da loro ora non gli appartiene, sono lo scheletro di quello che erano in origine.
Quando cammina bruscamente per andare a controllare anche i semi di girasole nel forno, urta per sbaglio lo spigolo di legno e quindi fa volare qualcosa appoggiato sopra il tavolo, che non sfugge sicuramente al suo sguardo attento. Si china per terra per raccoglierlo prima di rendersi conto di cosa effettivamente sia, e questo lo rende indifeso alla realizzazione.
Due petali di fiori di ciliegio, di quel rosa delicato che tanto gli piace, di quel profumo e di quella forma che ha ricalcato sempre sulla guancia di quell’uomo, in lunghe carezze.
Si alza e li lascia a terra, senza osare toccarli, ma anche in piedi sente dolore allo stomaco.
Si accartoccia tutto davanti al fuoco e la coperta gli cola dalle spalle. Con il viso tra le mani, stretto come se lo dovesse strappare a graffi, quella parte di lui strilla così forte come non ha mai fatto negli ultimi tre anni.

 














Note Autrice: Eccoci di nuovo qua all'aggiornamento del Lunedì.
Partiamo innanzitutto con la canzone e la fanart dedicate a questo capitolo - ohohohohohoh. La prima non poteva che essere "Animal I have become" dei Three Days Grace, e penso che sia abbastanza palese il perché: rappresenta appieno i sentimenti di Madara in questo capitolo, la sua trasformazione in un "animale" senza controllo, eppure mezzo cosciente, eppure con questa paura, con tutti questi sentimenti negativi che il non avere più il controllo di sè stesso gli provoca. Penso che sia una situazione più che drammatica, la sua, ed estremamente intensa.
La fanart invece è di Violante, o Storm (L) Qui ho messo solo un'anteprima, per evitare di appesantire troppo la pagina - su EFP c'è anche il divieto di mettere immagini troppo grandi, per cui - ma vi invito ad aprirla, perché è bellissima. Vi invito ovviamente anche ad andare sul suo profilo e vedere le altre sue opere, che sono altrettanto bellissime (L)(L)
Il capitolo in sè penso sia un'agonia unica. C'è il primo vero "incontro" tra Shu e Leo. A rileggerlo dopo mesi mi è venuto il magone, devo essere sincera xD Shu non è mai stato una persona che trattiene i propri sentimenti di astio, anzi, penso sia una delle poche cose su cui è sempre stato fin troppo sincero e diretto, e qui tutta la sua dialettica esprime proprio questo concetto. Leo d'altra parte è un poco più ritroso unicamente per il contesto, non tanto perché lo è in sé, considerate questo.
Poi vbb, Mama. Mama mi dispiace giuro, so che abbiamo un rapporto un po' teso ma non mi sono divertita a farti del male (.) per questo motivo.
Keito è un altro pg molto interessante per me, se messo in relazione con Leo. Ovviamente non potevo che assegnargli un altro ruolo di "controllo" - poliziotto, insomma - ma si vedrà nel prossimo capitolo esattamente cosa ci fa a stare al mondo.
Insomma, sta fanfic si potrebbe riassumere con "Leo non se la passa bene ma Mama se la passa anche peggio".
Che dire. Spero vi sia piaciuto! E grazie di aver letto, vi mando un baciozzo (L)
   
 
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