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Autore: CaskettCoffee    10/05/2020    5 recensioni
Questo racconto prende il via dopo gli eventi del series finale, e racconta la storia di quaranta settimane della vita di Castle e Beckett. Quaranta settimane molto importanti. Quaranta settimane di attesa.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Kate Beckett, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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DICIOTTO SETTIMANE
 
"Sei sicura di stare bene?" Chiese Castle preoccupato mentre poggiava una busta carica di cibo sul tavolo da pranzo. "Sembri pallida." Prima che Kate potesse rispondere, lui stava già spostando una sedia per farla sedere.

"Castle, smettila di preocuparti così," lo ammonì Kate, allontanandolo. “E’ stata solo un po’ di nausea ."

"Forse dovresti mangiare qualcosa, tipo i crackers", suggerì lui.
 
Kate gli prese la guancia, sentendosi allo stesso modo stranamente compiaciuta della sua preoccupazione seppure ne era un po' infastidita. “Sto bene, è normale avere delle nausee” rispose gentilmente. "Davvero, sto bene. Erano mesi che non andavo al supermercato, e non potevo sapere che certi odori mi avrebbero infastidito. Tutto qui”

 "Non lo so", ribatté lui, "Forse dovremmo chiamare il dottor Krebs, o la dottoressa Bradford, solo per essere sicuri." Castle le lasciò dei dolci baci sulla fronte, sugli occhi, sulle guance e sulla bocca, con espressione piena di preoccupazione. 
 
Lei posò le dita sulle labbra di lui per metterlo a tacere. "Castle, sto bene", disse, con fermezza, "Devi smettere di preoccuparti così tanto ... altrimenti ti verrà una testa piena di capelli grigi e quando andremo in giro tutti penseranno che sei il nonno del bambino." 

Lui la guardò con espressione indignata, ma neppure il tempo di rispondere che lei sostituì le dita – che aveva posato sulle labbra di lui per zittirlo- con le labbra, per farlo definitivamente tacere. Ma il suo tentativo di farlo stare zitto divenne rapidamente qualcosa di appassionato.

Un'eternità sembrò trascorrere mentre stavano lì, stretti, baciandosi e baciandosi come se avessero tutto il tempo del mondo. Quei giorni di convalescenza negli Hamptons trascorrevano indolenti, fra brevi passeggiate sulla battigia, sessioni di fisioterapia, letture di libri stesi in giardino, cene al tramonto guardando il mare. Non importava nemmeno che non avessero ancora fatto l'amore. Il dottor Krebs aveva raccomandato una particolare cautela da quel punto di vista, per i primi mesi, e la dottoressa Bradford lo aveva confermato.  

Sia per Kate che per Rick quella mancanza di intimità fisica non era che un piccolo dettaglio. Erano così innamorati l'uno dell'altro, così desiderosi di recuperare il tempo perduto e le opportunità perdute che il fatto che non potessero ancora stare insieme sembrava un dettaglio di poca importanza. Per la prima volta nella loro vita, gli sembrava di avere tutto il tempo per assaporare le cose, senza fretta. “Abbiamo tutta la vita per quello” le aveva detto Castle, e Kate non avrebbe potuto essere più d’accordo.

Quando finalmente si separarono l'uno dall'altro, le loro labbra erano gonfie ed entrambi erano particolarmente a corto di fiato. "Devi smettere di baciarmi in questo modo", l’ammonì Castle senza fiato. “So di essere irresistibile, ma così non rendi facile a me la missione di resisterti”
 
"Era solo per zittirti", rispose lei con una smorfia. Lui la guardò storto.

“Smettila”, rise lei un momento quando sentì le labbra di lui sulla scollatura della camicia. 
 
"Sono contenta di vedervi così in salute." Castle e Beckett sobbalzarono al suono inatteso della voce entusiasta di Martha sopra le loro teste. Nessuno dei due riuscì a reprimere una smorfia - imbarazzata quella di Kate e scocciata quella di Rick- mentre si alzavano per salutarla. Entrambi comunque videro gli occhi di Martha che ridevano per la scena a cui aveva appena assistito. 

"Ora capisco perché hai insistito tanto per farci rimanere a New York” disse la donna a suo figlio mentre lo stringeva in un abbraccio.

"E’ stato un gesto altruistico, madre." 

"Molto altruistico" Martha commentò ironicamente.

Martha quindi si chinò per stringere Kate, insistendo perché non si alzasse dalla sedia, carezzandole il viso con tenerezza, chiedendole come si sentisse e informandosi dei suoi progressi.

“Perché non avete chiamato per avvisare che stavate arrivando? Vi aspettavamo per cena. Dov'è Alexis?" si intromise Castle rivolto verso la madre.

"Il mio cellulare è morto," rispose Alexis entrando nella stanza con due borsoni fra le mani. 

“Avete fatto un buon viaggio?" chiese il padre avvicinandosi alla figlia per salutarla e aiutandola a liberarsi delle borse.

"Lungo", rispose Alexis mentre si accasciava sul divano. “Volevamo essere qui il prima possibile e non abbiamo neppure fatto una sosta” ammise.

Castle strinse la figlia in un abbraccio tenero. "Sei troppo stanca per aiutarmi a scaricare anche la mia macchina? E’ piena di cibo"

"Siete usciti a fare la spesa" disse la figlia guardando le buste che giacevano sul tavolo. 

"Ci abbiamo provato, diciamo” Castle disse a sua figlia. "Siamo rientrati subito perché Kate aveva la nausea."

Gli occhi di Alexis si spalancarono immediatamente. In una reazione automatica i suoi occhi viaggiarono lungo il corpo di Kate, fermandosi al quasi impercettibile rigonfiamento del suo ventre. "Si vede appena," sussurrò la ragazza. La sua espressione divenne colma di tenerezza mentre si avvicinava a Beckett. "Posso?" chiese a Kate, portando già la mano verso l'addome di lei. Beckett annuì in risposta, trattenendo il respiro mentre Alexis posava una mano tremante contro il suo ventre. I tre rimasero in piedi insieme per molto tempo, Alexis con la mano premuta contro lo stomaco di Kate, e Martha e Richard a guardare le due, teneramente. 

Alla fine Alexis mormorò: "Oh mio Dio ... è proprio vero?." Sollevò gli occhi lucenti verso Kate. "L'hai già sentito calciare?"

"Per ora ancora niente, la dottoressa Bredford dice che è ancora troppo piccola" rispose Castle," ancora qualche settimana e Kate dovrebbe riuscire sentirla. "

"Piccola?" Alexis tolse la mano con grande riluttanza. "È una femmina?"

"No, non lo sappiamo ancora", spiegò Kate, lanciando a Castle un sorriso di rimprovero, "Qualcuno qui è convinto sia una bambina, ma nell’ultima ecografia il bambino era girato, e quindi non possiamo saperlo con certezza fino alla prossima visita."

"Che sarà quando?"  chiese Martha.

"Fra una decina di giorni” le disse Kate, toccandosi affettuosamente la pancia. "Ci siamo quasi."

Improvvisamente, tuttavia, il sorriso gioioso svanì dai lineamenti di Alexis per essere sostituito da un cupo cipiglio. Sua nonna sembrò notarlo per prima, e con aria di chi la sapeva lunga, si offrì di accompagnare Kate in camera per farla stendere. Beckett colse il segnale di Martha persino prima che sua suocera parlasse, e  si fece docilmente accompagnare verso le scale, cercando – prima di voltarsi- di rassicurare Castle con un sorriso pacato.

"Allora, mi vuoi dire cosa ti succede? Come mai questo muso?" chiese allora Castle a sua figlia. Alexis non fu sorpresa dalla domanda, ma non sembrava intenzionata a rispondere facilmente. Si mise seduta sulla sedia intorno al tavolo, rimanendo in silenzio per diversi istanti, incapace di dare una risposta. “Cosa c'è Alexis? Non sei contenta di essere qui?”

“Certo, grazie per avermi invitato” rispose allora lei, ironicamente.
 
“Alexis,” mormorò lui, mortificato, “Questa è casa tua, cosa stai…”

"Mi avete completamente tagliata fuori", sentenziò allora la figlia, guardandolo con occhi pieni di rabbia.

Castle aprì la bocca per rispondere e poi la richiuse rapidamente, cercando di raccogliere i pensieri per formulare le parole giuste da dire. "Alexis, tu non sarai mai tagliata fuori da nulla", promise Castle, "Lo sai che questa è casa tua, sai perché io e Beckett siamo venuti qui, io…"

"Voi vi siete reclusi qui lontani da tutto", ribatté lei in modo offensivo.

Castle sentì che sua figlia stava lasciando qualcosa di non detto. "Cosa vuoi dirmi?"

"Sono due mesi che siete qui, avete deciso di stare lontano da tutte le persone che vi vogliono bene, e noi siamo stati tutti tagliati fuori dalle vostre vite" rispose allora, chiaramente. Il sottotesto era chiaro: Io, tua figlia, sono stata tagliata fuori.
 
Di nuovo Castle si ritrovò sbalordito, in silenzio. "Lexie, dai," balbettò alla fine, "Io non… avete perso così tanto tempo con noi in ospedale… io credevo che volessi poter riprendere la tua vita… io non credevo che..."

"Non credevi cosa?" Alexis rispose ostinatamente, "Che sarei voluta stare vicino a mio padre? O che mi sarebbe piaciuto poter stare vicino a sua moglie, mentre mio fratello o sorella cresceva nella sua pancia? Pensi che non avrei voluto vederlo?"

"Alexis, cosa..."

Io ero lì!" urlò infine lei. "Sono stata lì per giorni! Ho vegliato te, e anche Kate prima che tu ti svegliassi e fossi in grado di farlo! C’ero io fuori dalla sala operatoria, mentre vi operavano, morendo di paura per tutti e due! Io sono quella che si è sentita dire che Kate aspettava un bambino da un medico che aveva il camice ancora sporco del suo sangue! Io mi sono preoccupata per quel bambino prima ancora che tu… che voi…”

Gli occhi di Castle scintillarono di lacrime, colpito dal rimprovero severo della figlia. "Hai ragione, mi dispiace, io non so cosa dire…" mormorò rauco.

Il silenzio cadde fra loro, mentre Castle, con la testa fra le mani, meditava su quelle parole. Trascorsero così alcuni minuti, finché Alexis si alzò in piedi e si sedette accanto a lui intorno al tavolo. "Lo so che ti dispiace", gli disse piano. “E dispiace anche a me di averti aggredito così."

Castle non alzò gli occhi dal tavolo. Non voleva che sua figlia vedesse quanto gli aveva fatto del male prima. Non per le parole che aveva detto contro di lui, ma perché non poteva biasimarla per aver provato quella rabbia e quella frustrazione e per essere stata, infine, brutalmente onesta su come si sentisse. Sebbene non la biasimasse, ciò non significava che le parole non gli avessero fatto un male tremendo. 
 
"Non scusarti per aver detto quello che provi, tesoro," replicò Castle dolcemente.

“Non è quel che provo davvero, ok. Ero solo arrabbiata e frustrata e mi sono sfogata su di te. " rispose lei allora, dolcemente, pentita di averlo accusato così duramente. "È solo ... quando ho sentito parlare del bambino… quando ho toccato la pancia ... Mi sono sentita come se voi mi aveste tagliato fuori. Vorrei sentirmi anche io parte di questa famiglia ..."

Castle allungò la mano sul tavolo e le strinse forte la mano. "Alexis, noi siamo una famiglia", disse con fermezza, "Non è la qualcosa che la distanza può cambiare, e credimi, l’ultima cosa che vorrei è escluderti dalla mia vita, o da quella del bambino... te lo giuro."

"Ti credo papà, e capisco. E’ tutto così difficile…" rifletté Alexis, ancora aggrappandosi leggermente alle dita del padre. "Non riesco neppure tornare a casa nostra senza ripensare a tutto quello che è successo" 

La terribile realtà di quella assurda situazione si posò sulle spalle di Castle come un peso fisico. "Cosa ne faremo del loft?"  chiese Alexis, tristemente.

"Vorrei saperlo," mormorò Castle.

"Ne avete mai parlato?" Alexis si avventurò a domandare, cauta. 

Castle fissò il piano del tavolo, la mascella serrata. "Onestamente, non ho pensato neppure di aprire la questione", intonò amaramente.

Alexis poteva facilmente la preoccupazione che suo padre si sforzava di mascherare, e preferì non insistere oltre. Erano state giornate difficili per lei, l’incertezza di quella situazione assurda, la lontananza dal padre, l’avevano fatta sentire insicura e afflitta.

Fissando l’espressione triste di sua figlia, Castle sentì la sua tristezza lasciare il posto a un sorriso vacillante di affetto. "Abbiamo finito di litigare? Ho capito di aver sbagliato, e mi dispiace. Ma odio quando ci strilliamo le cose." 
 
"Devo sempre urlarti le cose per fartele capire", scherzò, "È l'unico modo in cui riesco a far entrare qualsiasi cosa nella tua testa dura."

Castle la prese tra le sue braccia; abbracciandola forte. "Mi dispiace", le sussurrò tra i capelli, "Mi perdoni?"

"Solo se anche tu mi perdoni per le cose che ti ho detto", rispose lei. “Certe volte mi comporto come una ragazzina capricciosa, lo so”

Castle rise contro la sua tempia. “Avevi ragione, e ne avevo bisogno. Avevo bisogno che mi dicessi le cose chiaramente. "

"Io l’ho sempre fatto," gli ricordò Alexis.

"Sì ... lo so", sospirò, avvolgendole il braccio sopra la spalla. "Quindi ora che probabilmente è diventata effettivamente ora di cena, e che io sono troppo provato per cucinare, che ne pensi di ordinare qualcosa?" lui le chiese.
 
Lei lo guardò, ammiccando. "Avrei davvero voglia di pizza!”
 
   
 
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