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Autore: Claire Riordan    12/05/2020    2 recensioni
Remake del nuovo decennio di una mia vecchia, ma a me carissima, fanfiction, intitolata "Believe in Fate", riscritta in chiave più potteriana e meno "teen drama" americano, come era inizialmente nata, con una rivisitazione dei personaggi e delle loro storie.
Dal prologo: "[...] il Gran Galà del Quidditch prevedeva che Hogwarts mettesse in campo un'unica squadra, formata dai migliori giocatori della scuola, i quali sarebbero stati selezionati da un’apposita commissione composta dagli esponenti più importanti e competenti in materia. Questa squadra, poi, avrebbe dovuto competere con le più grandi nazionali di Quidditch del momento, tra le quali spuntavano i nomi di Inghilterra, Germania e Spagna, segnalate come le favorite per il grande torneo."
ATTENZIONE: nessun collegamento di nessun genere con "The Cursed Child".
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Altro personaggio, Famiglia Weasley, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Nella sala grande aleggiava la tipica aria rilassata di ogni sabato sera: il consueto brusio di voci risuonava tutt’attorno, contornato da qualche risata allegra e dal tintinnio delle posate e dei bicchieri. Al tavolo di Grifondoro, però, spirava una certa tensione, specialmente tra i membri della squadra di Quidditch.
Dopo i primi screzi che avevano seguito le selezioni di quella mattina, nel pomeriggio Lily Potter aveva avuto una nuova, accesissima discussione col fratello Albus, al quale, infine, aveva limpidamente comunicato che non aveva più intenzione di averlo come suo vice-Capitano. Inutile dire che, nella sala comune, era scoppiato il putiferio tra i due. E Derek McLaggen lo sapeva bene perché, se non fosse intervenuto, probabilmente Lily e Albus se le sarebbero date di santa ragione, e al diavolo i legami di famiglia.
Fortunatamente, quella sera, Albus non si era ancora presentato a cena. Derek ne approfittò per domandare al suo Capitano cosa l’avesse spinta a “licenziare” il fratello.
«Mette continuamente in discussione le mie decisioni» fu la breve e concisa risposta «e lo fa solo perché è… frustrato, perché il Capitano non è lui»
Derek sollevò le sopracciglia «Magari il tuo “mettere in discussione” è il suo modo per aiutarti, no?» osservò.
«No, mi mette in discussione» ribatté lei secca, cacciandosi in bocca un pezzo di pane; lo masticò con calma prima di deglutire e riprendere: «Continuava ad insistere per visionare anche dei Battitori, ma Fred è ottimo in quel ruolo, molto più di quanto lo fosse Meredith, a mio parere, e…»
«Lily» la interruppe Derek, con fare saggio «so che essere il Capitano ti mette nella posizione di prendere le decisioni più importanti per la squadra, ma… tagliare fuori Albus così? Non ti sembra un atteggiamento un po’… ecco, da ditattore?»
«Un po’… che cosa?» sbottò lei.
«Hai capito bene» tagliò corto lui «Non credi che una squadra dovrebbe fare questo? Appoggiare il Capitano nelle sue scelte?»
Derek prese un lungo sorso di succo di zucca, fissando Lily da sopra il suo calice. Nonostante i suoi quindici anni e la statura piuttosto alta per una ragazza della sua età, non aveva perso quell’aria da bambina che aveva quando la conobbe, quel sorriso apparentemente tanto dolce quanto scaltro. Ma da quando era diventata Capitano, una nuova determinazione animava quegli occhi a prima vista così innocenti.
«Può darsi» rispose Lily con calma «Ma appoggiarmi, non… contraddirmi. Suggerirmi, guidarmi»
Tra loro calò il silenzio, rotto solo dal tintinnare delle posate sui piatti. Mentre mangiava la sua porzione di pasticcio di carne, Derek avvertì la bizzarra sensazione di essere osservato. Alzando il capo, notò che effettivamente Lily lo stava fissando con uno strano interesse.
«Che c’è?» domandò stupidamente.
«Sai, Derek, pensavo» disse lei dopo un po’ «se… per ipotesi, chiaramente… ti chiedessi di supportarmi come vice-Capitano?»
Derek si sentì travolgere da un’improvvisa ondata di euforia. Se non si fosse trovato in sala grande con decine di altre persone, si sarebbe messo a saltare sulla panca. Ma non poteva reagire in maniera esagerata, soprattutto perché Lily stava parlando per idee.
«Sarei onorato» rispose lui, cercando di mantenere un tono neutrale nonostante la gioia per la proposta appena ricevuta «Tuttavia… insomma, non sarebbe il caso di chiedere all’attuale vice-Capitano se è d’accordo?»
«D’accordo su cosa?» disse Albus stancamente sopraggiungendo in quel momento, avendo udito probabilmente gli ultimi scorci di discussione. Aveva i capelli arruffati e l’aria di qualcuno che aveva dormito l’intero pomeriggio «Oh, aspetta… mia sorella mi ha sollevato dall’incarico»
«Ciao, Al» lo salutò Derek un po’ a disagio, spostandosi sulla panca per fare posto all’amico mentre, di fronte a lui, Lily non si preoccupò di lasciarsi sfuggire uno sbuffo scocciato «Beh, ecco… Lily mi stava proponendo… ipotizzando, ovviamente… di diventare il suo nuovo vice-Capitano, perciò… insomma, magari era il caso di chiederti…»
«Albus non è più il mio vice» Lily fece notare a Derek, come se suo fratello non fosse presente «o forse hai dimenticato la lite di oggi?»
Albus diede in un grugnito di disapprovazione, ma Derek finse di non accorgersene «No, affatto» tagliò corto, per nulla desideroso di rivivere il litigio che lui stesso aveva placato.
«Comunque, nessun problema» disse Albus rivolto all’amico «Andrebbe benissimo se fossi… se facessi tu da… hai capito»
Gli diede una pacca sulla spalla, con scarso entusiasmo, prima di lanciarsi sul vassoio dell’arrosto.
«Allora, credo sia deciso» disse Lily, con un ampio sorriso «Derek… vuoi essere il mio vice-Capitano?»
«Certamente» rispose, sorridendo un po’ forzatamente. Si sentì tremendamente in colpa. Era chiaro che, per il suo migliore amico, non aver ricevuto il ruolo di Capitano, ma anzi, aver visto sua sorella minore passargli davanti, doveva essere stato un boccone piuttosto amaro da mandare giù. Ma non passò molto prima che potesse provare a risollevarsi un po’ il morale.
Il tintinnio inconfondibile di un cucchiaino contro il cristallo richiamò l’attenzione degli studenti verso il tavolo delle autorità, dove la professoressa Shacklebolt si era alzata in piedi. Subito, su tutta la sala calò il silenzio: non era una cosa comune che qualcuno tenesse un discorso durante una normale cena del sabato sera.
«Vedo che siete tutti abbastanza stupiti da questo mio intervento» commentò «ma devo darvi un annuncio importante. Mi è stato comunicato che la commissione che selezionerà i giocatori per la squadra di Hogwarts giungerà al castello lunedì, e da lunedì stesso inizierà i provini»
Ci fu uno scoppio di applausi, accompagnato da grida entusiaste. Derek, dal canto suo, si passò le mani tra i capelli: nella commissione ci sarebbe stato anche suo padre. E cosa ancor peggiore, l’arrivo delle squadre internazionali, quando sarebbe avvenuto, avrebbe incluso anche suo fratello Christopher.
«Sai, Mc» saltò su Albus, apparentemente ripresosi dalla chiacchierata di poco prima «potrei farci un pensiero»
«A cosa?»
«Al Galà… per partecipare, intendo» continuò lui «Sarebbe forte, no? Giocare contro le nazionali… e magari marcare stretta Breeana Walsh»
Cercò di suonare spavaldo, ma a Derek non sfuggì il rossore sulle sue guance. Scosse la testa rassegnato, ma anche divertito: Albus aveva una cotta tremenda per la Cacciatrice irlandese sin da quando aveva iniziato ad interessarsi di Quidditch e diceva che sarebbe stata l’unica donna che avrebbe mai potuto sposare.
Lily rise «Sì, ti ci vedo proprio» gli disse.
«Ma la smetti?» brontolò lui, piccato, possibilmente arrossendo ancora di più.
Derek scosse la testa, mentre Lily non la smetteva di sghignazzare. Sperava davvero che il suo migliore amico, prima o poi, uscisse con una ragazza che gli piacesse sul serio, e non con qualcuna che gli era piombata addosso quasi per miracolo. Sospettava che avesse una cotta segreta per quella O’Neill – Margaret, doveva chiamarsi – ma era sicuramente troppo timido per ammettere che quella che definiva un’amica fosse il suo tipo ideale.
Distraendosi da quegli inappropriati sproloqui mentali sui sentimenti, si lanciò di nuovo a discutere del Gran Galà con i due Potter mentre la preside blaterava altre informazioni sul torneo.
«E tu, invece?» domandò a Lily «Pensi parteciperai a questo torneo?»
Lei scosse la testa «Non credo faccia per me» disse «Devo gestire la squadra e prepararmi per i G.U.F.O. Tu potresti, però, Derek»
«Neanche per sogno» rispose lui «Mio padre è nella commissione e mio fratello nella nazionale inglese. Penserebbero tutti che ci sono stati dei favoreggiamenti»
«Ma figurati!» esclamò Albus dandogli un’altra pacca sulla spalla, stavolta un po’ più convinta.
«Dico davvero» fece Derek serio «Poi, insomma, giocare contro mio fratello? So come gioca, non sarebbe nemmeno divertente»
Il sonoro grattare delle panche sul pavimento fu il segnale della fine della cena. I tre Grifondoro salirono le scale accodandosi ai loro compagni: Derek e Lily rimasero indietro, persi in chiacchiere.
«Dunque… sono il tuo nuovo vice-Capitano» disse, non riuscendo più a trattenere l’entusiasmo.
«A quanto pare» fece Lily.
«E, se posso… come mai hai scelto me?»
«Beh, sei un ott… un buon giocatore» fu la risposta «Poi, con una famiglia come la tua, penso che tu abbia le competenze giuste per darmi una mano»
Concluse la frase con un sorriso e Derek si sentì gonfiare d’orgoglio. Lui, Derek McLaggen, il fratello del campione Christopher, l’eterno secondo, finalmente aveva, in qualche modo, un minuscolo ruolo importante tutto suo. Per lui significava molto.
Guardando Lily precederlo su per le scale, un pensiero gli attraversò la mente: forse la giovane Potter non era così dittatrice, dopotutto.
 
 
 
Albus odiava alzarsi presto. Non lo faceva mai, specialmente il lunedì mattina. Anzi, se poteva, aspettava sempre fino all’ultimo minuto prima di mettere i piedi giù dal letto.
Ma quel lunedì mattina non era un lunedì come gli altri. Sarebbe arrivata la commissione del Gran Galà del Quidditch, il che significava che avrebbero avuto inizio i provini per prendere parte al torneo. Il solo pensiero di poter entrare in squadra lo metteva furiosamente su di giri, gli faceva venire voglia di afferrare la sua scopa e correre al campo per mostrare ai giurati che sì, lui aveva le potenzialità per partecipare al Galà.
E perché non farlo? Ho due ore buche!
Spinto dall’euforia, prese la sua scopa dal baule e s’infilò la divisa da Quidditch sotto il braccio, ben deciso a scendere subito allo stadio, certo che lì avrebbe trovato la giuria.
Come previsto, sul prato del campo, dalla parte opposta al portone che conduceva fuori dagli spogliatoi, era posto un tavolo a cui sedevano due uomini e una donna, tutti e tre intenti a scribacchiare qualcosa su delle pergamene, interrompendosi di tanto in tanto per scambiare qualche parola tra di loro. Uno lo riconobbe immediatamente: era Cormac McLaggen, il padre di Derek, il presidente della Federazione Internazionale del Quidditch. L’altro era un uomo di colore dall’aria simpatica; gli dava l’impressione di un vero patito di sport. La donna, invece, aveva un viso leggermente squadrato, labbra sottili e un collo esile; i capelli lunghi fino alle spalle che le incorniciavano perfettamente il volto e l’abito blu scuro che indossava, le davano un’aria così severa che Albus non poté fare a meno di pensare che quella donna avrebbe costituito un ostacolo non troppo facile da superare.
Esaltato e con l’adrenalina crescente si precipitò negli spogliatoi, dove si stupì nel vedere almeno una decina di altri studenti, chi già in divisa, chi intento a cambiarsi. Lo colpì in particolar modo una ragazza che, Albus dovette guardare un paio di volte per accertarsi di non essersi sbagliato, aveva i capelli rosa.
Senza esitazioni, con un coraggio che non credeva di avere, le si avvicinò.
«Anche tu qui per i provini?» le domandò, cercando di suonare amichevole.
Lei lo guardò, pronunciandosi in un’eloquente alzata di sopracciglia «Non mi sembra che distribuiscano caramelle, là fuori» rispose. Aveva una voce piuttosto stridula, molto melliflua.
Albus abbassò gli occhi, imbarazzato. Che domanda stupida! E che modo sciocco per approcciarsi! Era ovvio che fosse lì per i provini, che altro?
Cercò di rimediare e diede in una risatina, appellandosi a quel coraggio di poco prima «Scusami, è che… a prima vista sembri così fragile» mormorò, cercando di non indugiare troppo con lo sguardo sul suo corpo filiforme.
La ragazza si infilò la maglia della divisa da gioco con uno strattone prima di rispondere: «Sono tosta invece, lo sai?»
«Beh, non vedo l’ora di scoprirlo» fece Albus, staccandole a fatica gli occhi di dosso e iniziando a cambiarsi. Lei gli rivolse con un sorriso piuttosto malizioso.
Ben presto, scoprì dalla sua divisa smeraldina che la sua vicina di spogliatoio era una Serpeverde.
«Sei Albus Potter, vero?» gli chiese lei dopo un po’.
«Beccato» rispose lui «E tu?»
«Dalia Cardon» disse la ragazza, tendendogli la mano.
Albus la afferrò «Dalia… la Metamorfomagus?» domandò, esterrefatto.
«Per un quarto» precisò Dalia.
Albus annuì, continuando a stringerle la mano finché lei non gli rivolse un’occhiata piuttosto eloquente.
«Scusa» borbottò imbarazzato, lasciandola andare «Per… per che ruolo provi?»
«Battitore» disse lei.
Albus annuì di nuovo. Si sentiva come ipnotizzato.
«Beh, ci vediamo in campo, Potter» lo liquidò Dalia superandolo e dirigendosi verso il terreno di gioco.
Albus rimase lì impalato, sorridendo inebetito. Scrollò la testa, come per scacciare un insetto, finì di cambiarsi, recuperò la sua scopa ed uscì in campo, accodandosi agli altri aspiranti giocatori. La ragazza Serpeverde era tre posti avanti a lui.
Non seguì il suo provino con troppa attenzione: era ancora imbambolato dalla sensazione che aveva provato parlando con lei, tanto che, quando venne il suo turno, quasi non si rese conto della voce della donna che lo invitava a farsi avanti preso com’era dai suoi pensieri su Dalia. Ripresosi, si presentò dinanzi al tavolo della commissione.
«Nome?» gli domandò la donna, che sedeva tra Cormac e l’uomo di colore, che, solo in quel momento, realizzò essere Dean Thomas.
«Albus Potter» dichiarò con sicurezza.
«Età?»
«Diciassette anni»
«Ruolo?»
«Portiere»
«Prego»
Albus inforcò il suo manico di scopa, scalciò a terra e si librò in aria, volando verso gli anelli. Subito, di fronte a lui, apparvero tre Cacciatori grossi almeno il suo doppio. Certo che fossero giocatori professionisti, Albus strinse saldamente il legno lucido fra le dita, pronto a parare i loro colpi.
Uno dei tre volò immediatamente nella sua direzione con la Pluffa tra le mani. Stava per tirare…
Albus si preparò alla parata, ma proprio nel momento in cui credette che il suo avversario stesse lanciando la palla nell’anello alla sua sinistra, quello scartò e passò la Pluffa ad un altro Cacciatore, che tirò con precisione nell’anello alla destra di Albus, concludendo il tutto con un gol spettacolare.
Nonostante fosse ancora presto – probabilmente non erano nemmeno le nove –, diversi curiosi erano seduti sugli spalti; applaudirono alla rete del Cacciatore, facendo sentire Albus un grandissimo incapace.
Cercò di concentrarsi sui tiri successivi – aveva ancora quattro parate a disposizione – ma si rese presto conto che l’incontro con Dalia doveva averlo scosso in maniera tale da distogliere la sua attenzione dal resto. Tentò comunque di dare il meglio di sé, terminando la sua performance con due lanci persi.
Planò verso terra, atterrando accanto a Dalia che, ne era sicuro, l’aveva osservato per tutto il tempo.
«Ti credevo un giocatore migliore, Potter» lo punzecchiò.
«In condizioni normali, lo sono» rispose lui, imbarazzato.
«Ovvero?»
«Quando non… ci sono belle ragazze a distrarmi» ridacchiò lui, stupidamente.
Dalia restò apparentemente impassibile, ma i suoi occhi brillavano in maniera particolare «Ci stai provando, forse?» disse, con un sorrisetto compiaciuto.
«Assolutamente sì» Albus annuì vigorosamente, totalmente ammaliato.
Dalia sorrise, leziosa «Questo finesettimana ci sarà la prima uscita ad Hogsmeade» cinguettò «Che ne dici, mi accompagni?»
 
 
 
Roxanne si era catapultata fuori dall’aula di Aritmanzia non appena la campana che segnava la fine delle lezioni aveva suonato il primo rintocco: quel pomeriggio, avrebbe finalmente avuto il tempo libero che le sarebbe servito per tentare i provini per la squadra di Hogwarts.
Non avendo mai giocato a Quidditch, non possedeva né una divisa, né un proprio manico di scopa, ma date le centinaia di studenti che si sarebbero presentati alle selezioni pur non appartenendo alle squadre delle case, era sicura che la scuola avesse messo a loro disposizione scope e divise.
Giunta negli spogliatoi, non si stupì nel vedere mezza casata Grifondoro intenta a cambiarsi o a scambiare quattro chiacchiere con altri studenti. La sorpresa più grande, però, fu suo fratello.
«Fred!» esclamò.
«Rox!» sobbalzò lui portandosi una mano al petto «Mi hai fatto prendere un colpo! Che ci fai qui?»
Lei roteò gli occhi «Sono venuta a distribuire Cioccorane» disse sarcastica «Faccio il provino, salame»
«Cosa?!» fece Fred, esterrefatto.
«Hai capito bene» tagliò corto Roxanne, dirigendosi verso gli armadi sgangherati per cercare una vecchia divisa. Fred trotterellò al suo fianco.
«Mi stai dicendo che hai preso sul serio le parole di Lizzie?» le domandò.
«Esattamente» fece Roxanne, frugando fra i panni che puzzavano di stantio. Estrasse una divisa che apparentemente avrebbe potuto andarle bene, una vecchia tenuta di Grifondoro tutta sbiadita: sulla schiena vi era il numero cinque e, sopra di esso, il cognome “Weasley”.
«Secondo te era la divisa di zia Ginny?» domandò al fratello.
«Rox, ascoltami bene» cominciò Fred ignorandola e richiudendo con forza l’armadietto «Questo torneo non sarà come le nostre partite alla Tana. Hai talento, ti ho vista giocare, ma questo non fa per te»
«Per te invece va bene, non è vero?» sbottò, infervorandosi «Alle selezioni di Grifondoro l’anno scorso ho perso solamente per un punto! E non credere che per te sarà più facile affrontare una gara di questo livello!»
«Rox, lo dico solo perché Olivia tenterà in tutti i modi di…»
«Olivia? Siete così intimi che la chiami per nome?»
Fred sbuffò e scosse la testa, facendo dondolare i riccioli «Lascia stare, questo torneo non ti farà bene!»
«Smettila!» gridò Roxanne, attirando su di sé gli sguardi degli altri presenti in spogliatoio «In quindici anni non ti sei mai preoccupato per me, non vedo perché cominciare a farlo adesso»
«Io…» boccheggiò Fred, senza riuscire a proferire verbo.
Roxanne sospirò e passò accanto al fratello dandogli un lieve pugno sulla spalla, congedandolo con un “Ci vediamo fuori”.
Si allontanò, scegliendo un attaccapanni lontano da quello di Fred, indossò la divisa slavata e legò velocemente i capelli in una coda. Dopodiché scelse una scopa apparentemente non troppo malridotta e una mazza da Battitore dalla scorta della scuola, poi uscì in campo.
Sapeva che, proprio di fronte all’uscita degli spogliatoi, avrebbe trovato un tavolo occupato dai tre giurati. E infatti eccoli là, composti, impassibili e austeri, con piume e pergamene alla mano.
Quel pomeriggio soffiava una leggera brezza frizzantina, segnale dell’imminente arrivo dell’autunno. Mentre attendeva il suo turno in fila, Roxanne udì distintamente alcune ragazze lamentarsi del fatto che “non si possono fare provini con un freddo simile”.
Stupide oche.
La giovane Weasley sghignazzò: se soltanto una di quelle ragazzette fosse entrata a far parte della squadra di Hogwarts, probabilmente si sarebbe rifiutata di disputare un qualsiasi incontro in pieno inverno, magari a novembre o dicembre, quando il clima si faceva davvero rigido. La sua mente formulò velocemente l’idea che quelle sciocche fossero lì soltanto per poter avvicinare un po’ di più i giocatori famosi.
Dopo quella che parve un’eternità venne il suo turno. Non era agitata, non sentiva l’adrenalina scorrerle in tutto il corpo. Era tranquilla, serena, sapeva che aveva buone possibilità di farcela.
«Nome?» le domandò la donna seduta al centro, proprio di fronte a lei. I suoi occhi chiarissimi, di un azzurro glaciale, la mettevano leggermente a disagio, ma riuscì comunque a non vacillare.
«Roxanne Weasley» rispose con sicurezza.
«Età?»
«Sedici anni»
«Battitore?» chiese ancora la donna, osservando la mazza che Roxanne stringeva in mano.
«Esatto»
«Prego»
Roxanne buttò una gamba a cavalcioni della scopa, ma poco prima di librarsi in aria qualcosa la bloccò. Furono le parole di Olivia, pronunciate durante la prima settimana di scuola, che presero a rimbombarle in testa: “Scommetto che speri tanto che Aiden sia sugli spalti ad applaudirti… ti si sarà spezzato il cuore quando hai scoperto che non ricambiava i tuoi sentimenti…”
Era vero, era maledettamente vero. Aveva urlato contro Aiden davanti a tutti, nella sala d’ingresso gremita, e lui, spalleggiato dai suoi amici, le aveva riso in faccia, spavaldo. Non aveva ottenuto nulla da quella sfuriata, se non i suoi soli sentimenti feriti. E avrebbe voluto davvero che Aiden fosse lì ad applaudirla, quel giorno.
Si stava trasformando in una di quelle ragazze frivole che stavano lì, poco distanti da lei, pronte per sostenere un provino che non avrebbero mai passato, ma che almeno avrebbe dato loro un briciolo di notorietà? Era lì perché lo voleva davvero? O soltanto perché voleva farsi notare? Pritchard era sugli spalti? L’avrebbe vista? In tal caso l’avrebbe derisa, probabilmente…
«Signorina Weasley, può cominciare» la esortò l’uomo di colore alla sinistra della donna, distogliendola dalle sue elucubrazioni.
«S-sì, certo, mi scusi» balbettò. Soffiò fuori l’aria dalla bocca, ora l’agitazione pervadeva il suo corpo e la sua mente. Si dette una spinta coi piedi e la facilità con cui riuscì ad alzarsi in volo la lasciò stupefatta ed euforica al tempo stesso. Non appena raggiunse in aria i giocatori di supporto ai ragazzi che si sottoponevano ai provini, uno dei Battitori dalla stazza enorme le scagliò contro un Bolide ad una velocità impensabile. Presa alla sprovvista, Roxanne strattonò il suo manico di scopa piroettando a mezz’aria in maniera ridicola.
Così non va bene.
Si voltò velocemente e inseguì il Bolide; lo colpì con forza e sicurezza, spedendolo contro uno dei Cacciatori, sfiorando per un pelo il suo orecchio sinistro. Un Battitore alle sue spalle restituì il colpo e la palla nera sfrecciò pericolosamente verso Roxanne, la quale, senza esitazioni, rispedì il Bolide al mittente.
Un fischio proveniente da terra segnò la fine del suo provino.
Ma come?!
Un po’ delusa dal fatto che la sua prova fosse già terminata, ridiscese sul prato, atterrando davanti al tavolo dei giurati.
«Lei gioca a Quidditch, signorina Weasley?» le domandò Cormac McLaggen – Roxanne lo riconobbe grazie alle sue foto viste sulle innumerevoli riviste di Quidditch che aveva comprato nel corso degli anni.
«Non proprio» rispose, un po’ imbarazzata «Gioco… nel cortile di casa, assieme ai miei cugini»
McLaggen assunse un’espressione indecifrabile, a metà fra l’ammirato e il sorpreso. Roxanne si rese conto di quanto suonasse tremendamente ridicolo affermare di “giocare nel cortile di casa”.
«Può andare» le disse Cormac, facendo un cenno col mento verso l’uscita.
Roxanne abbozzò un sorriso e corse verso gli spogliatoi, le lacrime che iniziavano a premere insistenti contro gli occhi. Una volta dentro, le lasciò scendere, singhiozzando in silenzio.
La sua prova era stata tremenda: aveva esitato alla partenza, non aveva avuto prontezza nel colpire il primo Bolide e per poco non spediva in infermeria un giocatore. Probabilmente la domanda di McLaggen era sorta spontanea dopo aver visto una giocatrice così mediocre, anzi, terribile presentarsi alle selezioni per un torneo di tali dimensioni.
Seduta su una panca, il capo fra le mani e i gomiti poggiati sulle ginocchia, avvertì qualcuno sedersi accanto a lei. Sollevò il capo tentando di asciugare in fretta e furia le lacrime, terrorizzata all’idea di trovarsi faccia a faccia con Fred – suo fratello non l’aveva mai vista piangere, eccetto quand’erano bambini – o, peggio, qualcuno come Olivia Montague. Invece, vicino a lei, sedeva una ragazza con un caschetto di capelli castani e un viso dolce, ma determinato, una ragazza di Tassorosso che doveva chiamarsi Grace. Stava infilandosi gli stivaletti della sua divisa, ma aveva tutta l’aria di qualcuno intenzionato a cominciare una conversazione.
«Non buttarti giù» disse amabilmente a Roxanne «Ho visto il tuo provino… è stata un’ottima prova»
«Ma se mi hanno cacciata subito!» singhiozzò lei «È stato un disastro»
«Niente affatto» fece Grace «Gli hai fatto vedere quel che avevano bisogno di vedere. Sei stata veloce, precisa… hai talento»
Roxanne scosse la testa e sbuffò, per poi alzarsi e cominciare a cambiarsi.
«Immagino tu sia qui per tentare come Cacciatrice» disse a Grace, la voce ancora rotta dal pianto «Giochi nei Tassorosso»
«Esatto» rispose lei, alzandosi in piedi a sua volta, pronta per uscire.
«Beh, buona fortuna» disse Roxanne, con una punta d’ironia «Non sono molto amichevoli, là fuori»
«Non ho dubbi» disse ancora Grace, prendendo il suo manico di scopa «ma magari ci rivedremo in squadra»
«Non ci conterei troppo» sbuffò Roxanne, più a sé stessa che a Grace.
Grace, che si stava avviando fuori dagli spogliatoi, si voltò indietro un’ultima volta «Mai dire mai, Weasley!»



[ Claire Says ]
Ciao amici!
Lo so, avevo detto che avrei pubblicato il giovedì, ma, a quanto pare, il mio lockdown durerà ancora un po' e ho constatato di aver accumulato abbastanza capitoli da poter pubblicare con una certa regolarità, quindi eccomi qui con un po' di anticipo sulla tabella di marcia.
Non sono particolarmente entusiasta di questo capitolo, è determinante per certi versi, ma di passaggio per altri, e anche vagamente trash, ma blame it on la versione precedente di questa storia... non ho saputo fare di meglio, gli argomenti ci stavano.
Bene, ehm... vado a fare danni tentando di mettere in piedi cose nuove.
Much love,
C.

 
  
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