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Autore: CaskettCoffee    13/05/2020    4 recensioni
Questo racconto prende il via dopo gli eventi del series finale, e racconta la storia di quaranta settimane della vita di Castle e Beckett. Quaranta settimane molto importanti. Quaranta settimane di attesa.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Kate Beckett, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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VENTITRÉ SETTIMANE 

"Sei sicura che starai bene?" Castle chiese a Beckett per la nona volta mentre raccoglieva alcune carte sparse sul tavolino del salotto. Si lasciò cadere sul divano accanto a lei. "Posso rimanere qui se hai bisogno di me” si offrì.

“Castle,” iniziò pazientemente Beckett, “non sono completamente invalida, per fortuna. Ed è già la terza volta che tua madre ti chiede di andare al loft per vedere i lavori. Sta già aiutandoci abbastanza, almeno quando ti chiama devi andare tu a New York"

"Kate, ti stai ancora riprendendo", protestò lui.

"Mi sento molto meglio", replicò Beckett con fermezza, "Il taglio è praticamente guarito e non ho quasi più dolore. Ho anche la fisioterapia dopo pranzo, e per quando avremo finito sarò talmente stanca che crollerò a dormire. Starò bene."

Nessuno dei due voleva parlare del vero problema. Oggi sarebbe iniziato il cosiddetto processo Loksat. L'attenzione della stampa era tutta focalizzata sul tribunale, dove fra poche ore avrebbero sfilato Mason Wood e i suoi complici. Beckett non voleva parlarne. Castle non voleva parlarne. Eppure nessuno dei due riusciva a pensare ad altro. Di tutti gli scogli emotivi, gli sfoghi, le difficoltà che avevano avuto negli ultimi mesi, la questione processo era argomento che non avevano nemmeno tentato di affrontare. Anche nella morte, Caleb Brawn stava continuando a tormentarli.

Castle non sapeva come muoversi. Beckett aveva categoricamente rigettato l'idea di testimoniare, e Castle per primo sapeva che non poteva forzarla a parnarne. Doveva essere pronta lei ad aprire il discorso, doveva essere pronta ad affrontare gli incubi che la facevano ancora agitare di notte, di tanto in tanto.  E anche adesso, mentre osservava lo sguardo di Kate, perso, sapendo esattamente cosa sua moglie stesse pensando, Castle si costrinse a non forzarla a parlare.

Le accarezzò delicatamente la mano. "Sarò di ritorno il prima possibile", le disse, "e ti racconterò tutto di come vanno i lavori. La camera di mia madre è stata completamente ridipinta ieri, sarà una nursery bellissima, vedrai." 

Beckett annuì ma rimase in silenzio, senza aggiungere altro. 

“Lupe verrà per riordinare la casa e per prepararti il pranzo verso le 11”, le disse allora Rick "E hai il suo numero se hai bisogno di qualcosa, giusto?"

"Castle, per favore", sussurrò Kate, "posso sopportare di rimanere qui da sola qualche ora, okay?"

"Okay," concordò lui con riluttanza.

Non volendo lasciarla per tornare a NY con quella inquietudine tra loro, Castle cercò di allentare la tensione. "Devi concedermi le raccomandazioni canoniche però", l’avvertì, allora, accigliando le sopracciglia, "Hai preso le tue vitamine prenatali oggi?"

Beckett accennò un sorriso. "Fatto"

"E hai bevuto un bicchiere di latte?"

"Ho bevuto un succo d'arancia”

"Il nostro bambino ha bisogno di calcio, Kate," Castle le ricordò con tono di rimprovero, "Devo prenderti il libro sulla dieta in gravidanza?"

"Il succo era arricchito con il calcio", rispose lei quasi compiaciuta, "Sai, se questo è quello che dovrò sopportare per le prossime 17 settimane, potrei finire per fare un falò in spiaggia con tutti i tuoi libri sulla gravidanza ”

"Pazienza," ribatté Castle, "vorrà dire che in quel caso tornerò a prepararmi il caffè la mattina, e a berlo davanti a te."

Beckett socchiuse gli occhi e lo fulminò con lo sguardo. "Questo è un colpo basso."

“Te lo meritavi”, dichiarò Castle mentre saltava dal letto, “Come puoi essere così ingrata verdo tutte le mie premurose cure?" Sebbene il tono di Castle fosse esageratamente indignato, il luccichio che nei suoi occhi smentiva qualsiasi vero rancore. "Adesso vado”.

Mentre si allontanava dalla stanza, Beckett lo richiamò strillando "Bene ... vai pure e prenditi un bel caffè! Le tue abilità infermieristiche comunque sono piuttosto carenti! ”

Lui si voltò e gli tirò fuori la lingua. Stavano litigando tra loro proprio come avevano sempre fatto. "Allora ci vediamo dopo?" le disse con un sorriso smagliante.

Kate sorrise. "Non mi muovo di qui". 

Tuttavia, il suo sorriso svanì pochi minuti dopo quando sentì sbattere la porta mentre Castle usciva di casa. Kate non voleva che andasse al loft, non voleva che andasse a New York. Avrebbe preferito trascorrere la giornata con lui a far passare il tempo, impegnandosi magari in un'altra dolorosa conversazione... qualsiasi cosa per distogliere la mente dal fatto che quel giorno sarebbe iniziato il processo.

Ciò che era peggio era che non provava alcuna rabbia, almeno, non come avrebbe dovuto. Non provava niente. Non si sentiva personalmente toccata da quell’evento, il che era abbastanza allarmante perché avevano trascorso un anno a dare la caccia a quell’uomo, e gli era quasi costato la vita. Eppure, per come si sentiva Kate, era come se quanto accaduto fosse successo a qualcun altro. E non riusciva a capire se la sua apatia fosse dovuta al fatto che stava effettivamente superando quanto successo, o se piuttosto il suo inconscio stava reprimendo i suoi veri sentimenti.

Kate avrebbe voluto parlare con Castle di come si sentiva, sentiva un naturale desiderio di condividere i suoi sentimenti. Tuttavia, non sentiva come giusto sfogarsi con lui, non voleva che lui si preoccupasse, e soprattutto perché sentiva istintivamente che quella faccenda era una ferita ancora aperta anche per Castle. Non poteva forzare Rick a una conversazione che sapeva sarebbe stata spiacevole per lui, forse perfino dolorosa.

Castle era il tipo di persona che l’ascoltava anche quando sentire ciò che lei aveva da dire gli causava dolore. Tante volte negli anni aveva detto o fatto cose che l’avevano ferito, eppure non aveva mai detto una sola parola, l’aveva sempre lasciata sfogare, l’aveva sempre supportata, l’aveva sempre incoraggiata e sostenuta, anche quando non era convinto che fosse la cosa giusta da fare. Castle aveva sempre messo i bisogni di lei davanti ai propri, e Kate voleva disperatamente ricambiare.

Ma la situazione era difficile, perché voleva stare bene e sapeva che la cosa più importante, per Castle, per lei stessa e soprattutto per la bambina, era che superasse tutto questo. E in quel momento Kate sentiva che sarebbe potuta impazzire se non avesse parlato con qualcuno.

All’inizio, pensò di chiamare suo padre, ma Beckett sapeva che, per quanto lui la conoscesse e l’adorasse, non avrebbe mai capito fino in fondo. Le avrebbe detto ancora di non sentirsi in colpa, che quello che era accaduto non era sua responsabilità, di voltare pagina, ma non sarebbe stata in grado di aiutarlo ad affrontare davvero tutto quello.

Kate fissò il cellulare sul tavolino. Se avesse chiamato Rick ora non dubitava che sarebbe tornato a casa per essere al suo fianco. E aveva bisogno di qualcuno con cui parlare…

Infine, prese il telefono, ma invece di chiamare Castle, digitò un numero che non aveva composto da parecchio tempo. 

Il suo cuore le batteva veloce mentre il telefono squillava, e poi sentendo rispondere dall’altra parte. "Dottor Burke?" Kate quasi balbettò, nervosamente, "Sono Kate Beckett… si ricorda… del dodicesimo"

Il suo interlocutore si fermò un momento in silenzio. “Kate?” esclamò sorpreso, "Non mi aspettavo di sentirla. Come sta?”

"Sto bene" Kate rispose rapidamente, "Ho chiamato per sapere... Voglio dire, ovviamente vorrei sapere se anche lei sta bene... ma ho chiamato perché in realtà io... oggi…"

"Mi ha chiamata perché oggi inizia il processo" l’uomo concluse per lei, gentilmente.

"Sì ... esattamente," sospirò lei.

"Da stamattina non si parla d’altro in televisione," replicò il dottore cautamente, "E anche fra le file della polizia se ne è parlato spesso. Sarà un grosso processo". Tra loro passò un momento silenzio. "Ho saputo che lei non testimonierà, capitano Beckett" le disse lui attimo dopo.

"Non riuscivo ad affrontare tutto quanto", Kate ammise con sorprendente facilità. "Ho pensato che la cosa migliore fosse concentrarmi su di me e cercare di passare oltre, e andare avanti."

"E’ comprensibile da parte sua" replicò lo psicologo, "quando si vive un trauma del genere, volerlo mettere da parte è un istinto di sopravvivenza. Ma non si può fuggire per sempre dai propri fantasmi, e lei lo sa bene."

"Lo so," balbettò Kate, "è solo che... pensavo che sarei stata arrabbiata, invece mi sento solo incredibilmente vuota. E’ folle?"

"Certo che no," la rassicurò lui dolcemente. "Lei non è assolutamente folle. Lei si sente solo, diciamo, persa"

Sebbene Kate Beckett avesse detto ben poco, il dottore la conosceva abbastanza da capire perché la sua paziente lo avesse chiamato. "Kate, mi lasci dire che non deve sentirsi in colpa per aver deciso di non testimoniare al processo" lui la rassicurò "nessuno si aspettava che lei testimoniasse ... ha già fatto e dato abbastanza per questo caso. Non deve preoccuparsi di questo ora, ma deve preoccuparsi di cosa sia meglio per lei"
 
"Io non so cosa sia meglio," mormorò Kate più a se stessa che al dottore. "Io non so se provare a dimenticare, sia la cosa migliore."

"Io penso invece che lei lo sappia bene, Kate" replicò il dottore, piano, "Altrimenti, non mi avrebbe chiamato." Quando Beckett non disse nulla, il dottore le chiese: "Perché mi ha chiamato?" 

"Pensavo solo che lei avrebbe potuto aiutarmi," rispose piano lei.

“E posso farlo, se lei me lo permetterà,” la rassicurò dolcemente lui. “Ma questo vuol dire che dovremo parlarne, e lo sa anche lei. Dovremo affrontare tutto "

"Stavo per morire" confessò, di botto.

"Ma non è morta", rispose lui, fermo. "lei è viva Kate. Si goda la sua vita."

"È questo che pensa che dovrei fare?" Kate chiese con un cenno di sarcasmo, "Guardare il lato positivo?"

"Penso che lei dovrebbe lasciar andare tutto quel rimorso che ha dentro", consigliò lui saggiamente, "Sì, hanno sparato a lei e a suo marito, ma è troppo tardi per tornare indietro e aggiustare le cose. Tuttavia, non è troppo tardi per affrontare la questione e dare un senso a quell’enorme sacrificio. Forse si sentirà meglio facendo un ultimo sforzo per fare giustizia, testimoniando al processo. O forse si sentirà meglio semplicemente parlandone con me. Ma deve affrontare la questione. La vita non ci dà nulla che non possiamo affrontare. Lei dovrebbe saperlo, era sua madre a dirlo"

Kate si sentì quasi scossa dalle sue parole. "Pensa che potrebbe aiutarmi ad affrontare tutto quanto?"

"Ehi, sono uno psicologo" il dottore scherzò cercando di allentare la tensione. "Sono qui esattamente per aiutarla ad affrontare i suoi problemi."

Kate ridacchiò più per educazione che per vera ilarità. "Sì ... immagino lei abbia ragione." Cadde in un silenzio pensieroso, la sua mente affollata di tutte le cose che il dottore le aveva detto. "Probabilmente potrei richiamarla prossimamente"

"Spero che lo farà," concordò lui. “So che si sta riprendendo, e non serve necessariamente che venga nel mio studio. Possiamo sentirci e parlare quando preferisce. Io sono qui per aiutarla”

Kate cominciò a congedarsi ringraziandolo, ma all'ultimo momento pronunciò un sentito “grazie”. 

"Non deve, sa? Ringraziarmi, intendo". Poi il dottore la esortò: “Abbia cura di se stessa, Kate. Il suo cuore è così delicato in questo momento ... Si lasci aiutare, da me, da suo marito, dalla sua famiglia, dai suoi amici. Permetta a se stessa di essere felice "

"Lo farò" Kate promise sinceramente "Sicuramente lo farò."
 
   
 
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