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Autore: Cassidy_Redwyne    14/05/2020    1 recensioni
Quattro amiche diversissime fra loro, eppure inseparabili, vengono a conoscenza del prestigioso liceo di St. Elizabeth. In cerca di una nuova sistemazione scolastica, le ragazze decidono di iscriversi, del tutto ignare di ciò che le attende all’interno dell’istituto.
L’aspetto e il comportamento degli studenti, infatti, sono davvero bizzarri, per non parlare di quei quattro affascinanti ragazzi in cui le protagoniste si imbattono durante i primi giorni di scuola… si tratta di un colpo di fulmine o di un piano magistralmente architettato alle loro spalle?
Tra drammi adolescenziali e primi batticuori, le quattro sono pronte a smascherare una volta per tutte il segreto che si cela fra le mura del misterioso istituto.
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Dopo l'iniziale euforia, Brook ci aveva bruscamente riportate con i piedi per terra.

«Non possiamo andare dalla preside» disse, spegnendo i nostri entusiasmi. «Non abbiamo prove. È la nostra parola contro la sua.»

«In realtà...»

Ci voltammo all'unisono verso Arianna, che ci fissava con uno strano sorrisetto stampato sul volto.

«Potremmo avere un testimone» disse e, di fronte ai nostri sguardi confusi, diede una rapida occhiata all'orologio. «Se andiamo adesso in presidenza, dovremmo trovare Gérard ad attenderci.»

Spalancai la bocca. «Sul serio?»

Angie assunse un'espressione colpita. «Arianna... non avrei mai pensato di dirlo, ma sei un genio.»

Lei si voltò verso la bionda e sogghignò. «Questa me lo ricorderò.»

«Come cavolo hai fatto a far collaborare quel matto di Gérard?» domandò Beth, a bocca aperta.

Arianna assunse un'espressione pensierosa. «Non lo so. Ma aveva l'aria davvero provata. Sembrava volersi disperatamente confidare con qualcuno.»

Mi scambiai un'occhiata d'intesa con Brook. Potevamo immaginare quel che intendeva dire.

«Mi ha fatto pena» ammise Arianna, abbassando gli occhi a terra per un attimo. Poi si rivolse a me. «Non so cosa l'abbia spinto a dire la verità ma, quando gli ho spiegato cos'avevate intenzione di fare tu e Brook, di andare dalla preside e portare tutto alla luce, si è offerto di aiutarci.»

«Allora andiamo!» proruppe Angie, già sul punto di aprire la porta.

«Aspetta» dissi, poggiandole una mano sulla spalla.

Lei si voltò verso di me e assunse un'aria confusa. Ma fu solo un attimo.

«Night» disse, come leggendomi nel pensiero.

Annuii. «Non so se vorrà recarsi dalla preside con noi, ma è importante. Questa storia lo riguarda in prima persona, dopotutto.»

«Proverò a parlarci» mormorò lei, aggrottando le sopracciglia. «E cercherò di convincerlo. È così ingiusto...»

La scrutai, senza riuscire a mascherare del tutto il mio stupore. Il turbamento di cui era vittima era una totale novità per me. Da quando Beth aveva ipotizzato che lui potesse essere il responsabile della morte di Henry, Angie era cambiata. Doveva aver finalmente ammesso a se stessa che provava qualcosa di più che dell'odio nei confronti di quel ragazzo. Il sollievo che aveva provato dopo aver ascoltato le parole di Arianna ne era la prova.

«Voi avviatevi» disse la bionda, fissandomi con rinnovata sicurezza. «Vi raggiungeremo al più presto.»

Il fatto che avesse parlato al plurale mi riempì di speranza. Se Angie si metteva in testa una cosa, era difficile che non la portasse a termine.

La osservai lasciare la stanza e poi mi voltai un attimo verso gli altri.

«Allora, ci siamo?» domandai, il cuore che mi batteva forte nel petto. Stavamo per recarci dalla preside: il momento della verità era finalmente arrivato.

Incontrai gli sguardi sicuri di Brook ed Arianna ma, quando incrociai quello di Beth, lei lo evitò per un attimo e abbassò gli occhi sul pavimento.

«Beth...» mormorai, piano. «Te la senti di venire dalla preside anche tu?»

Non doveva essere facile per lei, che con quella donna misteriosa aveva già avuto a che fare in abbondanza. Probabilmente avrebbe preferito non fare ritorno in presidenza.

Beth scosse la testa. «Non è questo. È che...» si bloccò, guardandosi intorno nella stanza.

Sotto i nostri occhi perplessi, la ragazza si diresse verso il comodino, dal quale afferrò quella che aveva tutta l'aria di essere una lettera.

Me la passò senza dire una parola ed io le diedi una rapida occhiata. Non era una lettera, realizzai con un certo stupore, ma lo spartito di una canzone di John Lennon. Perché mai... no, c'era una scritta, proprio di fianco al titolo, che parlava di un incontro in pineta, quel pomeriggio. Firmato John.

Alzai gli occhi su Beth, che mi fissava in trepidante attesa, come se spettasse a me dirle cosa fare. Scossi il capo, vagamente divertita di fronte a quell'espressione così seria e obbediente.

«Ci vuoi andare?» chiesi, abbozzando un sorriso.

Ma sapevo che si trattava di una domanda retorica. Per quanto John potesse non starmi simpatico, per quanto Beth avesse sofferto a causa sua, non potevo competere con lo sguardo che in quel momento lei aveva negli occhi. Era lo sguardo di una persona follemente innamorata.

«Io...» Beth esitò. Sembrava preda di un feroce conflitto interiore. Strinse i pugni, levò gli occhi al cielo e, dopo un momento, esplose. «Sì, dannazione! Nonostante tutto, sì. Vorrei davvero sentire cos'ha da dire.»

Scossi la testa, non riuscendo a trattenere un sorriso. Le restituii il foglio e nel farlo le strinsi forte le dita della mano, lanciandole uno sguardo d'intesa.

«Allora vai» dissi, per poi scoccarle una scherzosa occhiata d'avvertimento. «Ma cerca di fare in fretta!»

****

John l'aspettava nella pineta, vicino alla panchina in cui, mesi e mesi prima, i due si erano incontrati, una notte in cui nessuno dei due aveva particolarmente sonno.

Certo, l'atmosfera era molto meno intima, con gli altri studenti che gironzolavano nei paraggi, passeggiando o prendendosi a pugni, con un'avvincente colonna sonora di grida animalesche di sottofondo che Beth si decise a ignorare, mentre si avvicinava a passo svelto verso John. Il ragazzo era in piedi e camminava avanti e indietro, dando calci agli aghi di pino come fosse sovrappensiero, la sua chitarra adagiata sopra la panchina.

«Ciao» mormorò Beth, bloccandosi ad un passo da lui e lanciandogli un'occhiata incerta.

John si arrestò e si voltò di scatto a fissarla, sgranando gli occhi. Sembrava stupito della sua presenza.

«Sei venuta» disse.

Perspicace

Beth tirò fuori lo spartito dalla tasca, ormai un po' spiegazzato, e glielo sventolò davanti. «Sai com'è, non posso resistere al richiamo di Lennon.» Facendo un sorrisino storto, aggiunse: «I tuoi gusti musicali sono migliorati!»

John levò gli occhi al cielo ma, a giudicare dal sorriso che gli spuntò sulle labbra e tradì quell'iniziale gesto d'insofferenza, sembrava piuttosto divertito.

«Sai...» esitò, evitando per un attimo il suo sguardo, come se tirare fuori le parole di bocca gli costasse un grande sforzo. «...devo ammettere che non è poi così male. Mi rivedo un po' in lui. Sembra che stia sempre a rimediare ai casini, scusandosi a destra e a manca. Tipo in Jealous Guy

«Ah sì?» fece lei lapidaria, posandosi le mani sui fianchi e pensando che, effettivamente, facesse proprio al caso loro.

Come ogni altra canzone di John Lennon, ovviamente, la conosceva a memoria. «Come la parte che fa:

I didn't mean to hurt you
I'm sorry that I made you cry
Oh my I didn't want to hurt you

I'm just a jealous guy»

Cantò con voce salda, l'accusa che si insinuava fra le note, e ben presto John si ritrovò a fissare il tappeto di aghi di pino con improvviso interesse.

«Già» s'interruppe Beth, decisa a punzecchiarlo ancora un po', mentre la canzone continuava a tutto spiano nella sua testa. «John si doveva scusare con un sacco di donne.»

Gli piantò gli occhi in faccia, aspettandosi che cogliesse anche questa frecciatina e, nonostante John di norma possedesse più o meno l'acume della sua chitarra, anche stavolta sembrò andare a segno.

«Ti devo delle scuse» esclamò lui di getto. Il suo sguardo e il suo tono erano spaventosamente sinceri. «E delle spiegazioni. Anche se non sono molto bravo con le parole, lo sai.»

Beth incrociò le braccia sul petto e inclinò leggermente la testa, come per invitarlo a parlare. «Dimmi.»

«Quello che è successo con Annie...» John si bloccò ed evitò il suo sguardo, prima di tornare a guardarla, gli occhi color antracite fissi nei suoi. «...non me lo spiego neanche io. Per questo ti ho evitata in quel modo e non sono riuscito a spiegarti come sono andate davvero le cose. Vedi, Annie è la mia più cara amica.»

John stava dicendo la verità. Beth poteva percepire il suo sforzo nell'articolare le parole, nello sputare fuori la confusione che gli si agitava dentro. E, proprio perché si trattava di un momento di sincerità, Beth percepì una fitta al petto nell'udire quelle parole su Annie. Cercò tuttavia di non far trapelare niente all'esterno e di continuare ad ascoltare il ragazzo.

«Ci conosciamo da sempre e lei mi è stata sempre accanto, soprattutto...» La voce gli tremò e i suoi occhi si fecero velati per un lungo attimo. «...quando ho perso una persona cara.»

Beth trasalì di colpo. Non sapeva niente di tutto ciò. Scrutò John con attenzione, il suo dolore che minacciava di traboccare fuori, e d'un tratto lo vide con occhi diversi. Si era sempre cullata nel suo, di lutto, credendo di aver vissuto una situazione unica nel suo genere e che nessuno avrebbe mai capito cosa stava passando, ma in un soffio realizzò che il dolore era uguale per tutti. Forse anche John aveva avuto la sua Lucy, forse anche lui sentiva tutti i giorni la sua mancanza come se di punto in bianco gli avessero strappato via un braccio.

«Ma, quando le ho detto di quello che era successo con te, lei ha dato di matto. Non l'ho mai vista così. È scoppiata in singhiozzi e poi mi ha baciato. Questo è quello che è successo.»

John aveva un'aria talmente confusa, con le sopracciglia aggrottate e lo sguardo perso, che a Beth fece tenerezza, anche se la descrizione di ciò che Annie aveva fatto aveva provocato in lei ben altri sentimenti, riconducibili più che altro all'omicidio.

John non era affatto uno stupido né un bonaccione come Lucas, ma era evidente che nelle faccende amorose non ci vedesse ad un palmo dal naso. Non avrebbe voluto insistere sulla questione Annie, che la infastidiva terribilmente, ma capì che doveva dirglielo.

«John» mormorò lei piano.

Il suo tono dolce gli fece alzare di colpo gli occhi verso di lei, un'espressione ancor più confusa che si faceva spazio sul suo volto.

Dopo una lunga pausa, la ragazza sospirò e disse: «Annie si comporta così perché è cotta di te.»

Come prevedibile, John fece la stessa faccia che avrebbe fatto se lei gli avesse detto che Annie in realtà era un uomo. 

Magari, pensò Beth, maledicendosi tra sé e sé l'attimo dopo.

«CHE COSA?»

Beth sbuffò. «Lo noterebbe chiunque.»

John scosse la testa, come per scrollarsi di dosso quella notizia. «No, non è possibile, noi siamo amici! E poi a me Annie non piace in quel modo!»

Beth si trattenne a stento dal fare un sospirone di sollievo. Almeno su quello, John sembrava avere le idee molto chiare. «Be', allora devi dirglielo.»

John annuì. «Sì. Glielo dirò.»

Beth tossicchiò. «Bene.»

Ne aveva abbastanza di quella seduta psicologica non prevista incentrata sulla sua arcinemica! Voleva riportare l'attenzione su loro due e, nella furia di pensare ad un espediente con cui tornare sulla questione, si ritrovò a dire, tutto d'un fiato: «Be', quando avrai fatto chiarezza sui tuoi sentimenti, mi dirai anche cosa provi per me.»

Dopo aver realizzato ciò che aveva appena detto, si coprì la bocca con le mani e arrossì di colpo.

Non ebbe il coraggio di guardare subito John in faccia e, quando infine riuscì a lanciargli un'occhiata di sottecchi, vide che il ragazzo aveva assunto di colpo un'aria molto seria.

«Ho una gran confusione in testa, non lo nego» asserì lui, abbozzando un sorriso. «Ma credo di sapere già cosa provo.»

Beth deglutì a vuoto e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, il cuore che le si impennava nel petto.

«È per questo che ti ho scritto quel messaggio, dopotutto.»

John le diede un attimo le spalle, afferrò la chitarra dalla panchina e tornò a fronteggiarla, mentre Beth faceva il possibile per non andare in iperventilazione.

«Come ti ho detto, però, non sono molto bravo con le parole, quindi...»

John fece per pizzicare le corde della chitarra, quando il trillo della campanella che annunciava la cena li interruppe.

Beth si voltò di scatto verso il vialetto d'ingresso, già preso d'assedio da un branco di ragazzi affamati, e in un soffio realizzò che doveva raggiungere gli altri in presidenza.

Imprecò tra i denti. A forza di parlare di Annie, aveva dimenticato lo scorrere del tempo.

Si voltò di scatto verso John, rimasto con le dita a mezz'aria, e lo fissò con occhi imploranti. «Mi dispiace John, devo scappare. Ma tornerò ad ascoltare quello che hai da dirmi, te lo giuro.»

Piantò i suoi occhi in quelli del ragazzo, nei quali era balenata un'ombra di delusione, e aggiunse, ignorando il groppo che le stava serrando la gola: «Non vedo l'ora.»

A malincuore, fece per dargli le spalle ed allontanarsi, ma lui le afferrò il polso e la costrinse a voltarsi di nuovo verso di lui.

«Aspetta» bisbigliò. «Almeno questo.»

Beth vide John chinarsi su di lei e non fece neanche in tempo a realizzare quello che stava succedendo che le labbra del ragazzo furono sulle sue.

Il cuore di Beth per poco non resse il colpo e la ragazza si dovette aggrappare a John con tutte le sue forze; in ogni caso, lui non ne sembrò troppo dispiaciuto, anche se fece tutto il necessario per proteggere la sua chitarra da quel contatto ravvicinato.

Beth sorrise contro la sua bocca, una miriade di emozioni che le sfarfallavano nello stomaco.

Si staccò da lui dopo quello che poteva benissimo essere un secondo o un intero secolo. 

Altro che secolo, io devo andare in presidenza!

Si allontanò dalle sue braccia a malincuore e, con gli occhi fissi in quelli di lui, Beth capì che non aveva bisogno di ascoltare nessuna canzone. Le bastò ricambiare quello sguardo per sapere che John era innamorato tanto quanto lo era lei.

Il sorriso sul suo volto le si allargò ancora di più, mentre si incamminava a passo svelto verso l'ingresso, senza dire una parola. Voltandosi verso John, vide che lui era sempre fermo vicino alla panchina, con la chitarra fra le braccia, che la osservava sorridendo a sua volta.

Era così concentrata a fissarlo come un'idiota che non fece caso alla direzione in cui stava andando e, camminando sempre più veloce, finì per stamparsi rumorosamente contro qualcosa, o meglio qualcuno.

«Cazzo!» imprecò Beth, quando qualcosa di caldo e bruciante le inzaccherò la camicia, scottandole la pelle al di sotto.

L'odore intenso del caffè le si insinuò nelle narici e, abbassando gli occhi, la ragazza vide con orrore una macchia marrone allargarsi sulla sua camicia bianca e gocciolare a terra.

«Accidenti, mi dispiace!»

Alzando gli occhi su colui contro cui si era scontrata, Beth vide che un povero ragazzo le stava rivolgendo un nervoso sorriso di scuse. In mano stringeva un bicchierino, ormai vuoto, ipotizzò Beth, visto che quel fottuto caffè le era arrivato anche nelle mutande.

«Fa niente» tagliò corto lei, sbuffando e superandolo di slancio.

Superati i gradini d'ingresso e giunta nell'atrio, si fermò. Abbassando lo sguardo sul pavimento dietro di sé, vide che si stava lasciando alle spalle una scia di macchie di caffè e sospirò rumorosamente. Kia avrebbe dovuto aspettare, pensò, mentre invertiva la rotta e si dirigeva verso i dormitori.

Mentre correva sulle scale, si chiese sovrappensiero se la caffeina le sarebbe arrivata nel sangue per osmosi. Ne avrebbe avuto un disperato bisogno.

****

Come Arianna ci aveva preannunciato, Gérard ci aspettava davanti alla porta della preside.

«Allora, siete pronti?» esclamò quando Brook, Arianna ed io lo raggiungemmo, lanciandoci un'occhiata d'intesa.

Non riuscii a trattenermi dal fissare Gérard come se gli fosse improvvisamente spuntato un terzo occhio in mezzo alla fronte. Era così strano... quell'uomo che ci aveva rimproverato, lanciato occhiate di disprezzo, osteggiato in ogni modo, oltre all'aver assegnato ogni genere di punizione ad Angie e Night, adesso ammiccava verso di noi con aria complice.

Continuai a fissarlo come un'idiota e ringraziai silenziosamente Arianna per la sua prontezza di spirito.

«Sì, certo» si affrettò a dire lei. «Ci siamo.»

«Bene» disse lui. «Dobbiamo fare in fretta.»

Gérard bussò alla porta e, senza attendere risposta, la aprì di slancio.

Non so esattamente cosa mi aspettassi all'interno. Forse che la preside, seduta alla scrivania con l'aria di chi stava tramando qualcosa di sospetto, avrebbe alzato gli occhi su di noi con aria colpevole, colta nel bel mezzo dei piani malefici che stava architettando alla scrivania; forse che la preside, in piedi contro un'immaginaria finestra, con aria assorta e malinconica, si sarebbe voltata verso di noi sospirando, come se sapesse esattamente il motivo per cui eravamo lì.

Ma non certo che la preside, in piedi a lato della scrivania, stesse gettando frettolosamente il suo foulard ed un paio di fogli nella sua borsa come stava facendo, con l'aria nervosa di chi era sul punto di andarsene e aveva anche abbastanza fretta.

Vedendoci entrare tutti assieme, la donna si bloccò a fissarci con aria visibilmente confusa, facendo vagare lo sguardo su noi ragazzi, per poi lanciare uno sguardo interrogativo a Gérard.

Avendolo alle spalle, non so che espressione dovette assumere il custode, ma dovette bastare. La donna abbandonò la borsa a terra e si lasciò cadere sulla sedia della scrivania con un sospiro.

«Che succede?» domandò. Non potei fare a meno di notare che il suo tono di voce sembrava essere molto stanco.

Ci indicò con lo sguardo le due sedie di fronte alla scrivania e, dopo esserci scambiati un'occhiata, fummo Arianna ed io a sederci. Brook si appoggiò al bracciolo della mia sedia, mentre Gérard rimase in piedi. Scoccandogli un'occhiata di sottecchi, così immobile e saldo, il bidello mi ricordò un albero vecchio e nodoso.

Mi diedi una rapida occhiata intorno, troppo nervosa per riuscire a incontrare lo sguardo della preside. Il suo ufficio era piuttosto spoglio, sebbene molto elegante, con lucidi mobili in legno di mogano e un enorme tappeto dall'aria paurosamente costosa. Di fronte a noi, il volto di Henry ci fissava da una foto appesa al muro e mi scoprii a trattenere il fiato. Non avevo mai visto una sua immagine che non fosse stata sfigurata ma, adesso che me la ritrovavo davanti, capii perché Beth l'aveva riconosciuta subito: era la stessa identica foto dell'annuario, sebbene non scarabocchiata di nero, e ritraeva un gracile ragazzo dai corti capelli biondi e lo sguardo un po' vacuo.

Un colpetto di tosse da parte della preside mi riportò bruscamente alla realtà. Mi scambiai un'occhiata con Brook ed Arianna, ugualmente tesi e incerti su chi avrebbe dato inizio alle danze, ma inaspettatamente fu Gérard a parlare per primo.

«I ragazzi sono qui per dirle una cosa» mormorò, in tono neutro.

La preside si limitò ad inarcare un sopracciglio e poi spostò il suo sguardo indecifrabile su di me, che presi a sudare freddo. Doveva essersi trattato di un caso, ma capii che ormai non potevo più tirarmi indietro e mi schiarii la voce.

«In questo periodo ci siamo trovati a fare delle ricerche su questa scuola» spiegai, bloccandomi per studiare la sua reazione.

Il volto fermo della preside mi ricordò l'espressione peculiare di Arianna: sembrava che niente dei nostri affari terreni potesse smuoverla.

«Vede, noi... abbiamo scoperto cosa successe a suo figlio.» Mi interruppi di nuovo e stavolta vidi un lampo di sorpresa attraversare lo sguardo della donna.

«Quello che è accaduto è terribile, ma c'è stato un errore. Non fu Night a fare...» esitai, vagamente a disagio all'idea di nominare l'omicidio di Henry di fronte a sua madre, non sapendo come avrebbe reagito. Sì, fino a quel momento il massimo dello sbalordimento erano stati sopracciglia inarcate e lampi di sorpresa ma, suvvia, si trattava pur sempre della morte del proprio figlio.

«Non fu Night a fare quello che lei crede abbia fatto ad Henry, ma Kyle» intervenne Brook e gli lanciai uno sguardo colmo di gratitudine.

«Kyle Marsh» precisò Arianna.

«Non è possibile.»

Alzammo gli occhi sulla preside. Nel nominare Night, il suo sguardo si era improvvisamente indurito, al pari del suo tono di voce, che si era fatto tagliente almeno quanto il tagliacarte che teneva in un angolo della scrivania.

«Lui è stato accusato ingiustam...» fece per dire Arianna, ma la preside la interruppe bruscamente.

«No» disse. I suoi occhi erano ridotti a fessure. «Lui confessò.»

Per poco non caddi dalla sedia. «Lui confessò?»

«Ma perché?» domandò Brook, a bocca aperta, lanciandomi uno sguardo confuso.

Ero confusa almeno quanto lui. Perché Night si era preso la colpa di un omicidio che, almeno secondo Gérard, non aveva compiuto?

«Perché Night è il colpevole» mormorò la preside, in un tono che non ammetteva repliche. «Se non avete altro da dire, potete andare.»

Lanciai un'occhiata disperata a Gérard, l'unico testimone della vicenda, colui che aveva promesso di darci una mano. Nel ricambiare il mio sguardo, vidi un lampo attraversargli gli occhi. 

C'è dell'altro.

«Night confessò solo per proteggere Kyle» disse infine lui con un sospiro, rivolto alla preside.

****

Non era stato Night. Non era stato Night. Non era stato Night!

Angie continuava a ripeterselo nella testa e si sentiva leggera, mentre correva sulle scale così velocemente che più di una volta volte pensò che si sarebbe spezzata l'osso del collo. Ma in quel momento, a dire la verità, non le poteva importare di meno.

Era come se Arianna le avesse dato la migliore notizia della sua vita e, quando l'aveva fatto, Angie si era trattenuta a stento dal gridare il suo nome, dall'abbracciarla, dal portarla in trionfo. Si trattava pur sempre di Arianna, dopotutto.

Adesso voleva soltanto parlare con Night e, mentre lo realizzava, la ragazza si stupì del suo stesso pensiero. Parlare, non picchiare, prendere a pugni, sprangate nei denti, calci nelle palle. Eppure era proprio così. In lei si agitavano il senso di colpa per aver dubitato di lui e una marea di altre emozioni a cui non avrebbe saputo dare nome.

Uscita dalla sua stanza, Angie aveva bussato alla porta della camera diciotto con persino più foga del solito, ma era stato Shadow ad aprirle e, nel vederlo, la ragazza aveva trattenuto a stento la delusione.

Il ragazzo era rimasto visibilmente confuso, tanto da quella reazione quanto dalla sua agitazione nel chiedergli dove diamine fosse il suo amico.

Stando alle parole di Shadow, Night doveva trovarsi in giardino ed Angie uscì dal portone d'ingresso come una furia, bloccandosi sui gradini per potersi guardare intorno tra i ragazzi che bighellonavano in attesa della cena. Si era alzato un bel po' di vento e i ricci biondi le volteggiavano intorno al viso come dotati di vita propria.

E poi lo vide. Night era nei pressi della fontana e stava fumando, attorniato da Adam e altri membri della sua banda che aveva conosciuto la notte dell'incontro ma di cui aveva già scordato il nome. Nel vederlo, Angie ebbe un tuffo al cuore.

Gli occhi fissi su di lui, la ragazza lo raggiunse correndo e lo afferrò per un braccio, costringendolo a voltarsi verso di lei.

«Ehi» esclamò lui, sorpreso.

A giudicare dallo sguardo confuso che le rivolse, la ragazza doveva avere un'aria davvero turbata.

Il suo tono era freddo ed Angie si ricordò come in un sogno di come si erano lasciati l'ultima volta, della paura che aveva provato, del pugno di lui contro la tela, della porta dell'aula che sbatteva.

La sua apparizione, in ogni caso, suscitò l'entusiasmo e l'ilarità degli amici di Night, che presero a chiacchierare fitto fitto tra di loro e a lanciare delle occhiate maliziose in direzione di quella che doveva essere la loro coppietta preferita.

«Ti devo parlare» disse lei, cercando di suonare il più seria possibile. «Da solo» precisò, lanciando un'occhiata eloquente ai suoi amici.

«Non ho molta voglia di parlare» replicò lui, portandosi la sigaretta alle labbra. «Lasciami in pace, per favore.»

Angie lottò contro l'improvviso impulso di gettarlo nella fontana. Razza di idiota! Lei si era precipitata lì apposta e lui faceva l'offeso. Possibile che non capisse la gravità della situazione?

La sua mente correva veloce, alla ricerca di un modo per convincerlo. Abbandonò a malincuore l'ipotesi della violenza e gli piantò gli occhi in faccia, optando per l'arma della dialettica.

«Ho scoperto come stanno veramente le cose» disse quindi, alzando il mento in segno di sfida. Non aveva idea di quanto ne sapessero gli amici di Night di quella storia, ma decise che non gliene importava niente. «Che non sei stato tu, ma Kyle.»

Al nome del ragazzo, qualcosa si agitò negli occhi di Night. Qualcosa che Angie non avrebbe saputo definire, ma che provocò in lui una reazione immediata.

Sotto gli occhi attoniti di Angie, Night gettò ciò che rimaneva della sigaretta nell'acqua della fontana, la afferrò per un braccio e iniziò a trascinarla lungo il vialetto, verso l'ingresso.

«Ci vediamo dopo, ragazzi!» disse, voltandosi un attimo in direzione della sua banda, prima di tornare con gli occhi sulla strada davanti a sé.

Angie era così sconvolta da quel repentino cambio d'atteggiamento che non riuscì neanche a protestare. In ogni caso, Night non le disse una parola per tutto il tempo e non fu soddisfatto finché non l'ebbe trascinata dentro una delle classi, a quell'ora deserte, non prima di aver litigato con una bidella per lasciarli passare.

Solo allora si decise a lasciarla andare, per poi affrettarsi a chiudere la porta della classe con un tonfo.

Angie si massaggiò il braccio dolorante, guardando in cagnesco il ragazzo, che continuava a darle le spalle, le mani poggiate sulla porta. «Si può sapere che diavol...»

«Chi ti ha detto di Kyle?» gridò Night, voltandosi di scatto a fissarla.

Sembrava tornato quell'animale che l'aveva attaccata nell'aula di arte, ma stavolta Angie non si lasciò intimorire dal suo tono rabbioso. Non subito, almeno.

«Gérard» rispose, incrociando le braccia al petto.

«Gérard?» ripeté lui. Poi levò gli occhi al cielo e bestemmiò.

«A proposito» aggiunse lei, inarcando un sopracciglio, «devo fare i complimenti ad entrambi per le scenette che avete recitato in mia presenza, quando facevate finta di odiarvi. Siete davvero due attori pieni di talento.»

Night non diede neanche segno di averla sentita. Stava facendo avanti e indietro lungo la classe, borbottando tra sé improperi contro Gérard.

Angie era certa di non averlo mai visto così nervoso e quell'atteggiamento in lui la destabilizzava. Non sapeva cosa aspettarsi.

«Tu non puoi capire» disse, bloccandosi un momento per guardarla dritta in faccia. I suoi occhi si strinsero all'improvviso. «Eppure, con quell'aria strafottente, ti ostini a credere di aver capito tutto. Tu non sai niente.»

Le sputò in faccia quelle parole con una tale rabbia che l'atteggiamento di Angie si fece di colpo un po' meno baldanzoso.

«Che mi dici di Henry e Kyle, eh? Cos'hai scoperto sul loro conto?» Avanzò verso di lei, sempre con quel tono da presa in giro. «Credi di conoscerli?» Scosse la testa. «Sono solo due nomi, per te.»

Le diede le spalle e, traendo un lungo sospiro, ritornò alla cattedra con passi pesanti. Vi si appoggiò contro, facendola cigolare sinistramente e, quando tornò a guardare Angie, il ragazzo sembrava di colpo aver allentato la tensione.

Dal canto suo, Angie era rimasta immobile nel bel mezzo della classe e continuava a fissarlo, all'erta.

Il trillo della campanella che annunciava la cena risuonò nell'aula, ma nessuno dei due diede segno di averla sentita, impegnati com'erano a studiarsi, uno di fronte all'altra.

Angie deglutì. Night sembrava essersi fatto di colpo meno aggressivo, ma non sapeva quale sarebbe stata la sua prossima mossa. Doveva essere pronta al contrattacco. Ma, contro ogni sua previsione, il ragazzo iniziò a parlare.

«Kyle era il ragazzo più brillante di tutta la scuola, sai?» disse. «Ai nostri occhi... era come una divinità. I professori stravedevano per lui, aveva tutte le ragazze della scuola ai suoi piedi e, per quanto riguarda lo sport, be', puoi immaginare. Era un fuoriclasse. Venivano apposta dalla televisione per intervistarlo, come fosse stata una celebrità. Lo era, in un certo senso. Il suo futuro era già scritto.» Night si interruppe. «Di certo era un'ottima pubblicità per la scuola.»

Il ragazzo parlava con lo sguardo rivolto verso la finestra, verso il suo passato. Angie non sapeva cosa dire, dato che sembrava essersi completamente dimenticato della sua presenza, quando di colpo il ragazzo spostò lo sguardo su di lei.

«Quando entrai nella sua banda, mi sembrò il giorno più bello della mia vita.»

Angie non riuscì a mascherare il suo stupore. Ciò che aveva appena detto strideva con tutto quel preambolo su Kyle. «Un ragazzo del genere... faceva parte di una banda?»

«Era il leader di una banda» la corresse lui, per poi abbozzare un sorriso. Sembrava comprendere la sua confusione. «Per noi era come un dio, te l'ho detto, ma questo non voleva certo dire che lo fosse sul serio. Noi, però, avremmo fatto qualsiasi cosa ci avesse chiesto di fare.»

Night si interruppe ed Angie rifletté sul significato di quelle parole, sentendo un brivido percorrerle la schiena.

«Non so come dire... lui aveva potere su di noi, così come lo aveva sui professori. Si divertiva a tormentare gli altri studenti, sembrava quasi voler vedere fin dove potesse spingersi. E, visto che era inattaccabile sotto il profilo scolastico, i professori chiudevano un occhio, quando si trattava di lui. Così poteva continuare a perseguitare gli studenti.»

«Studenti... come Henry?» fece Angie, esitante.

Night ruotò anche il busto nella sua direzione, come se volesse porre fine una volta per tutte a quella posa sfuggente.

«Oh, Henry era il suo preferito» mormorò.

Il suo tono distaccato fece tremare impercettibilmente le gambe ad Angie.

«Non so perché lo odiasse così tanto, in realtà. A me, a dirla tutta, faceva un po' pena. Ma non ho mai fatto nulla per aiutarlo, niente di niente.»

Scrollò le spalle e distolse lo sguardo da Angie con una risata amara. «Non potevo certo sfigurare agli occhi di Kyle. Ormai ero il suo braccio destro.»

Nonostante non la stesse più guardando, la ragazza riuscì a cogliere un guizzo di rammarico nello sguardo di Night.

«Era palese che Henry facesse la spia per sua madre» proseguì lui. «Era sempre nei paraggi, ronzandoci intorno, sperando di cogliere Kyle con le mani nel sacco perché la madre potesse incriminarlo. La preside lo odiava a morte, ma allo stesso tempo non poteva fare molto contro di lui, un po' perché i professori lo adoravano... ma soprattutto perché quel ragazzo significava troppo per la scuola.»

«Significava troppo?» ripeté Angie, confusa.

«Te l'ho detto, era un'ottima pubblicità. Il St. Elizabeth, nell'anonima cittadina di Alnwick, era di colpo diventato uno dei collegi più popolari di tutta l'Inghilterra. Certo, tristemente noto per gli episodi di bullismo.» Night fece spallucce. «Ma, per l'immagine della sua preziosa scuola, la preside era pronta anche a sacrificare suo figlio.»

Angie deglutì. Mentre mettevano insieme i pezzi, si era fatta l'idea, come tutti gli altri, che Kyle fosse il vero mostro di quella storia. Con un nodo allo stomaco, Angie realizzò che non era il solo. 

«Così continuavamo, senza subire pressoché alcuna conseguenza. Credevamo di essere invincibili, che niente ci avrebbe fermato.» Night si bloccò e trasse un lungo sospiro. «E alla fine perdemmo il controllo.»

«Quello che è successo a Henry...»

«A voler essere precisi, non fummo né io né Kyle a farlo» la interruppe Night. «Ma poco cambia. Non avevamo fatto altro che aizzare la banda contro Henry, in quegli anni, quindi la colpa, in un certo senso, fu comunque nostra.»

Il cuore avevamo iniziato a martellare nel petto di Angie.

«Kyle e gli altri decisero di tenermi all'oscuro di tutto. Forse avevano capito che sotto sotto Henry mi faceva compassione, che avrei disapprovato un'azione del genere. Doveva essere uno scherzo, lo sai?» si bloccò, facendo un sorriso amaro. «Uno scherzo.»

Angie non riusciva a dire nulla. Sentiva la tensione salire nelle parole di Night. Temeva e allo stesso tempo moriva dalla voglia di sapere cos'era successo.

«Portarono Henry nelle docce.»

La voce di Night s'incrinò ed Angie ricordò come in un sogno come il ragazzo aveva cambiato atteggiamento, quando l'aveva condotta nelle docce, il giorno in cui si erano baciati. 

È lì che è successo...

«Non so...» Il ragazzo sembrava lottare per fare uscire le parole di bocca. «...non so se lo violentarono. Ma so cosa successe dopo. Mi dissero che lo avevano visto in un film, quando Kyle venne a chiamarmi e chiesi loro spiegazioni.»

«Kyle venne a chiamarti?»

Gli occhi di Night si fecero velati. «Corse da me in cerca d'aiuto. Non lo avevo mai visto in quello stato. Era terrorizzato. Era uscito dalle docce per andare a prendere una videocamera, credo che volesse filmare Henry. Ma, quando tornò, i ragazzi avevano completamente perso il controllo e non riuscì a fermarli.»

Angie si portò una mano alla bocca, inorridita.

«Lo spogliarono, lo legarono al rubinetto e poi...» Night sospirò rumorosamente. «lo lasciarono sotto l'acqua bollente.»

Angie si dovette appoggiare ad un banco per non cadere a terra. Sentiva che il suo corpo non la reggeva più.

«Gérard accorse quando sentì le urla.» Night si portò le mani alla testa, coprendosi gli occhi.

Angie vide che stava tremando.

«Ma i ragazzi non lo lasciarono intervenire. Poco dopo arrivammo anche io e Kyle. È una scena... una scena che non dimenticherò mai. Urlava disperato... urlava come un animale.»

Paralizzata tanto dall'atteggiamento del ragazzo quanto dalle sue parole, Angie non sapeva cosa dire, ma lui non aveva ancora finito.

«Però era proprio quello che voleva la preside, in fin dei conti, no?» mormorò cupamente, alzando il capo. «Un fatto gravissimo con cui poter finalmente incriminare Kyle. Poco importava che fossero stati gli altri ad agire. Lui era il capo.»

Scosse appena la testa. «Per lui sarebbe stata la fine di tutto. Si sarebbe dovuto diplomare quell'anno, aveva già una borsa di studio per la pallacanestro, un contratto firmato con una squadra...» Night fece un gesto con le mani, come se stesse sgretolando qualcosa di immaginario fra le dita. «Tutto svanito.»

Solo allora Angie capì e la verità la colpì dolorosamente come se qualcuno le avesse assestato un pugno dritto in faccia. Pensò alla carriera sfolgorante di Kyle, a Night rinchiuso in quella scuola per otto anni. Capì infine cos'aveva fatto Night.

«No» disse. Le lacrime le pizzicavano gli occhi. «Non puoi aver...»

«Sì» rispose lui, inchiodandola con lo sguardo. «Dissi che ero stato io.»

Angie boccheggiò. 

«Ma perché?» non riuscì a trattenersi dall'urlare. La sua voce era isterica, ma se ne fregò. «Non potevano incolpare gli altri ragazzi? Furono loro a farlo!»

Night scosse la testa. Paragonato a lei, il ragazzo sembrava così tranquillo... la cosa la faceva imbestialire ancora di più.

«Non capisci. La preside punì i ragazzi e li obbligò a tenere la bocca chiusa sulla questione, ma quello che lei voleva era un capro espiatorio, una punizione esemplare per uscirne pulita. Fu ciò che io le diedi e, dicendo che Kyle non era presente, lo liberai da ogni accusa.»

Angie scosse la testa. Stava piangendo, ma non le importava. Il senso di ingiustizia le mozzava il fiato.

«E Gérard? Lui vide che tu non c'entravi. Avrebbe potuto dire la verità!»

«E mandare tutto a puttane?» Night la inchiodò con lo sguardo. «Gérard voleva dire la verità alla preside, credimi. Ha sempre disapprovato la mia scelta di proteggere Kyle, ma l'ha rispettata. Sapeva bene che, se avesse parlato, tutto quello che ho fatto sarebbe stato inutile. Tu, lui... non capite. Fu la cosa migliore da fare. Il futuro di Kyle era già scritto. Io non avevo niente da perdere.»

Angie scosse la testa, le lacrime che le appannavano la vista, la rabbia, l'ingiustizia ed il peso di quelle rivelazioni che le facevano girare la testa. Tirò rumorosamente su col naso. Non riusciva a credere che il ragazzo stesse parlando sul serio. Non poteva davvero aver deliberatamente scelto di sacrificarsi solo per salvare la reputazione dell'amico. Possibile che non riuscisse a vedere tutto quello a cui aveva rinunciato?

«Non so perché Gérard ti abbia detto di Kyle.» Night si fece d'un tratto pensieroso. «Forse credeva che adesso la verità dovesse venire alla luce, adesso che Kyle è morto...»

«Io non riesco a crederci...» bisbigliò Angie, incurante delle sue parole.

La sua mente non riusciva a distogliere l'attenzione dal sacrificio che aveva fatto il ragazzo, delle ingiustizie di cui era stato vittima. Otto anni rinchiuso in quel posto, a subire le angherie di una preside che lo considerava l'assassino del figlio.

«Ti rendi conto di quello che hai fatto?» Angie lo fissò, scuotendo appena la testa. Si sentiva a pezzi per lui. Come poteva il ragazzo apparire così calmo? «Non avevi niente da perdere? Hai rinunciato a otto anni della tua vita. Otto anni, Night. Solo per salvare la faccia ad un amico.»

Night teneva gli occhi bassi ed Angie pensò che fosse l'atteggiamento di una persona pentita, che stesse finalmente realizzando ciò che aveva fatto. Ma non era affatto così.

Quando alzò il capo, Night fissò Angie con uno sguardo che la fece tremare.

Era uno sguardo consapevole di ciò che aveva fatto.

Uno sguardo che sarebbe stato pronto a fare tutto di nuovo.

«Avrei fatto qualsiasi cosa per lui. Te l'ho detto, tu non capisci.» Dopo una lunga pausa, disse: «Kyle era molto più di un amico per me.»

****

La voce di Gérard risuonò nel silenzio. Ci voltammo tutti e quattro a fissarlo.

«Proteggere Kyle?» Per la prima volta in quella conversazione, la voce della preside suonò sinceramente sopresa. «Cos'è questa storia?»

Gérard guardava dritto davanti a sé, serio ed impettito, come se stesse confessando un crimine davanti alla corte marziale.

«Night era il braccio destro di Kyle. Dopo di lui, era la figura più importante della sua banda. Pensava che, se si fosse immolato, avrebbe distolto la tua attenzione da Kyle e così fu. Tu ti accanisti contro Night e Kyle poté diplomarsi e avere salva la sua borsa di studio.»

La preside boccheggiò, indietreggiando sulla sedia. «Quindi è stato Kyle...»

Gérard scosse la testa. «In realtà, non fu neanche lui. I veri colpevoli furono gli altri ragazzi della sua banda, ma tutti sapevano che tu te la saresti presa con Kyle. Ammettilo, non vedevi l'ora di incastrare quel ragazzo.»

Noi tre intanto continuavamo a seguire quello scambio a bocca aperta, voltando di volta in volta la testa di scatto come se stessimo assistendo a un torneo di ping-pong.

L'aspetto ariannesco della preside, così tranquillo e pacato, parve incrinarsi di colpo.

«Maledetto...» disse fra i denti, serrando i pugni con rabbia.

Dal canto mio, ero a bocca aperta. Non era stato un malinteso, quindi. Night aveva confessato spontaneamente per proteggere il capo della sua banda... ma perché? Mi sembrava assolutamente folle. Dagli sguardi confusi che mi lanciarono Brook e Arianna, anche loro dovevano essere dello stesso avviso. Forse Night era stato ricattato da quel Kyle. Era l'unica spiegazione sensata che riuscivo a darmi.

Scoccai a Gérard un'occhiata in tralice. Il bidello aveva protetto il segreto di Night per tutti quegli anni. Ecco perché il custode non aveva mai detto la verità alla preside ed inizialmente era stato così restio a parlare con Arianna!

«A prescindere da come siano andate le cose» proruppe coraggiosamente Brook e la preside si voltò a fissarlo come se si fosse ricordata solo in quel momento della sua esistenza, «resta il fatto che Night non è il colpevole della faccenda. Lei deve lasciarlo andare.»

Fissava la preside dritta negli occhi, apparentemente senza alcun timore, e mi scoprii a provare un brivido d'emozione nel sentirlo parlare a quel modo. Non sapevo che nascondesse un lato così impavido.

«No.»

Mi voltai di scatto verso la preside.

«Che cosa?» non riuscii a trattenermi dall'esclamare. «Non può farlo!»

La preside mi fissò, trattenendo a stento una smorfia. «Voi non avete la minima idea di che individuo sia Night. È un ragazzo violento e pericoloso. Non fu lui, non fu Kyle, furono i suoi ragazzi... non m'importa un bel niente!» La sua voce s'impennò. «Tutti prendevano di mira Henry. Tutti. Chiunque di loro avrebbe potuto benissimo essere il responsabile. Io non lascerò andare Night!»

Sbattei le palpebre, non del tutto certa di aver sentito bene. Spostando lo sguardo, vidi che Gérard tremava impercettibilmente, rosso in volto, come se si stesse trattenendo con tutte le sue forze dall'esplodere.

«Sono già d'accordo con i suoi genitori» proseguì lei, incurante del nostro silenzio, apparentemente tornata tranquilla. «Continueremo a trattenerlo qui fino alla maggiore età. È per il suo bene che lo stiamo facendo... così come è per il vostro se ho fatto installare la macchina.»

«La macchina?» esclamò precipitosamente Brook.

La preside annuì. «È per proteggervi.»

Corrugai la fronte. La preside aveva installato la macchina per la nostra salvaguardia?

«Lei non ci ha migliorati esteticamente?» Arianna inarcò un sopracciglio, perplessa.

«Quello è solo uno degli effetti collaterali.»

«Uno dei tanti effetti collaterali.»

La preside ignorò Gérard e proseguì. «Il preciso scopo della macchina è rendervi più sicuri di voi, per reagire alle prese in giro.»

«Rendervi più violenti.»

La preside scoccò a Gérard un'occhiataccia.

«Per reagire alle prese in giro» ripeté, con un tono che non ammetteva repliche, «da parte di quel mostro di Night e della sua banda. Ve ne sarete sicuramente accorti. Siete più spavaldi, più coraggiosi, rispondete a tono senza quasi rendervene conto.»

«E venite alle mani senza quasi rendervene conto. Venite e basta, a pensarci bene.»

«Gérard, la finisca!»

Abbassai gli occhi sui motivi del tappeto. Io non avevo mai picchiato nessuno, né prima né dopo aver iniziato a frequentare quel liceo, così come le mie amiche, del resto; Angie non faceva testo, dato che era sempre stato un tipo violento. In un lampo, però, ricordai alcuni avvenimenti che inizialmente non ero riuscita a spiegarmi: la mia spavalderia nell'affrontare John, poco prima che decidesse di farmi fare un bagno nel laghetto, la violenza con cui avevo aggredito Lucas, in palestra, la mia sfacciataggine nel rivolgere la parola a Brook, la prima volta... le parole di Beth mentre parlava della preside. 

"Ha detto che era stupita dall'effetto che la macchina ha avuto su di me. Che quel giorno, in mensa, non fossi ricorsa alla violenza fisica per difendermi come tutti gli altri."

Gérard aveva ragione. Quella macchina rendeva la maggior parte di noi ingiustificatamente violenti. Gli effetti di cui parlava la preside – quelli che avevamo sperimentato noi – a quanto pare erano molto rari. Così rari da obbligare una ragazza a collaborare con lei per il bene della scuola.

Il pensiero di Beth mi riscosse di colpo e mi ritrovai a lanciare un'occhiata nervosa alla porta chiusa della presidenza. Dove diamine si erano cacciate lei ed Angie?

«La banda di Night, però, non se la prende con gli studenti» puntualizzò Brook, incrociando le braccia sul petto.

«La banda di Night non se la prende più con gli studenti» ribatté la preside a tono, «perché ha trovato pane per i suoi denti. I ragazzi adesso sono in grado di difendersi da soli, a differenza di Henry. Night non ci trova più gusto, così se la prende con il corpo insegnanti.»

Lo sbuffo ironico di Gérard costrinse nuovamente tutti a voltarsi verso di lui.

«Lo trova divertente, Gérard?»

Il custode inchiodò la donna con lo sguardo. «Avanti, dì la verità.»

Fissai Gérard con rinnovato interesse. Di colpo il fatto che non stesse dando del "lei" alla preside non mi parve più maleducazione, ma un atto di grande coraggio, come se non temesse affatto le ire di quella donna.

«Io non so cosa...»

«Dì la verità» ripeté Gérard, serrando la mascella.

«Proprio come nei bagni» mi bisbigliò Arianna all'orecchio, in tono d'ammirazione. «Questo è il suo gioco del bidello buono e del bidello cattivo.»

«Night non se l'è mai presa con gli studenti!» tuonò infine Gérard, spazientendosi. «Mai più, dopo quel che è successo a Henry! Se la prende con i professori per vendicarsi di come lo tratti, perché lo tieni qui da otto anni, rendendogli la vita un inferno! E lui fa di tutto per riscattarsi ai suoi occhi, ha smesso di saltare le lezioni, ha smesso di dare noia in classe, si è pure trovato una ragazza, ma non t'importa nulla! Dì la verità, non vuoi che Night lasci la scuola perché così non avresti più modo di controllarlo, non è vero?»

La preside boccheggiò ed indietreggiò sullo schienale, schiaffeggiata da tutta quella rabbia. Ogni suo gesto, in quella posa, gridava colpevolezza.

«Non vuoi che dica la verità, dopo tutto l'impegno che ci hai messo per coprire l'incidente nelle docce!» proseguì Gérard, inarrestabile. «Non vuoi che rovini la reputazione di questo posto!»

«Tu non hai idea dei sacrifici che ho fatto per questa scuola!» urlò allora la preside, scattando in piedi.

Noi tre ci limitammo a scambiarci uno sguardo terrorizzato. Gridavano così forte che temevo che, anche senza ormoni, presto i due sarebbero passati alle mani.

«Oh, credimi, lo so bene» sibilò Gérard, schiumante di rabbia. «Hai rovinato la vita di un ragazzo solo per l'immagine di questa scuola.»

«Ho rovinato la sua vita come lui ha rovinato quella di mio figlio!» strillò lei.

In quel momento, il rumore acuto di una sirena, persino più acuto della voce della preside, si sovrappose alla loro urla e ci trapanò i timpani, costringendoci a tapparci le orecchie.

Alzammo gli occhi sul soffitto. Una spia rossa si era accesa ad intermittenza, mentre quel rumore assordante, che sembrava direttamente uscire dalle pareti, si propagava per tutta la stanza e, ipotizzai, anche nel resto della scuola. Era l'allarme antincendio.

Osservai la preside. Anche lei aveva alzato gli occhi sul soffitto e aveva spalancato la bocca, un sentimento che non avrei saputo definire che le si agitava negli occhi. Si lasciò cadere pesantemente sulla sedia e, dopo un lungo attimo, alzò gli occhi su di noi.

«Lui è qui» disse.

****

Il mondo franò sotto i piedi di Angie.

Fu un autentico miracolo che fosse poggiata contro il banco, perché ebbe un mancamento e pensò che sarebbe crollata a terra.

Non successe. Rimase lì, a bocca aperta, incapace di distogliere lo sguardo da Night. Il ragazzo seduto sulla cattedra a pochi metri da lei di colpo le parve lontano anni luce.

«Tu...»

Night la fissava con un sorriso triste, uno sguardo insolitamente comprensivo negli occhi, come se quella che Angie stava avendo fosse esattamente la reazione che si era immaginato.

Angie fece un paio di respiri profondi. Si raddrizzò e si sedette a sua volta su uno dei banchi, ignorando il corpo che le tremava come in preda agli spasmi. Non sapeva cosa pensare. Era umanamente possibile che si sentisse peggio di quando Beth le aveva detto che Night poteva aver ucciso Henry?

Incrociò lo sguardo del ragazzo. La sua espressione doveva essere tante cose: confusa, ferita, incredula. Night continuava a sorriderle mestamente, senza dire una parola.

«Lui sapeva?» udì se stessa chiedere, dopo un silenzio lungo un'eternità.

Night piegò il capo all'indietro e rise, una risata amara e priva d'allegria. Quando tornò a guardarla, il sorriso era scomparso dal suo volto.

«Ovviamente no. Nessuno lo sapeva. Mi accontentavo di stare al suo fianco... una magra consolazione, ma tant'è.»

Fece una pausa e si morse il labbro, rivolgendole uno sguardo strano.

Uno sguardo... esitante.

«Sei la prima persona a cui lo dico.»

Angie cercò di deglutire, ma aveva un groppo alla gola che non andava né su né giù.

Night le stava rivelando il suo segreto più inconfessabile, mentre lei aveva ripreso a piangere senza ritegno come una bambina, come se entrambi avessero gettato via le maschere una volta per tutte. Non c'era spazio per l'orgoglio, in quel momento. 

Ammetterlo bruciava, ma su una cosa Night aveva dannatamente ragione. Lei non sapeva niente. Niente di niente. Non conosceva Henry né Kyle, le loro relazioni, cos'era avvenuto nelle docce e, a quanto pareva, non conosceva neppure Night.

«Anche se credo che Gérard abbia capito. Non mi ha mai chiesto nulla, ma negli anni deve aver sospettato qualcosa» proseguì lui dopo un po', colmando il silenzio.

Angie scosse la testa, come per scrollarsi di dosso quella rivelazione, e si asciugò le lacrime dagli occhi, nel tentativo di calmarsi un po'.

«Ero venuta per chiederti di venire con me dalla preside» mormorò poi la ragazza con voce flebile, tenendo gli occhi bassi. «Kia e gli altri sono già lì. Credevo che tu non vedessi l'ora di dire la verità. Pensavamo che fosse tutto malinteso. Io... non avevo idea che tu l'avessi fatto di proposito .» La voce di Angie si incrinò. «Per Kyle...»

Se Night era arrivato a rinunciare a parte della sua vita per lui, doveva averlo amato sul serio, realizzò Angie. E di certo adesso non sarebbe andato dalla preside a scaricare la colpa su di lui.

Night sbuffò ed Angie alzò gli occhi su di lui. Il ragazzo sembrava vagamente divertito.

«Lascia perdere Kyle» disse, e le rivolse uno strano sorriso. «Andare dalla preside... tu non hai ancora capito con chi abbiamo a che fare, eh?»

Il suo tono era cambiato all'improvviso ed Angie fece per replicare, ma lui non gliene diede il tempo.

«Alla preside non importa la verità» disse. «Per lei conta solo la reputazione di questo posto. Secondo te perché sono qui da otto anni? Ti sei mai chiesta perché non sono finito in carcere, in riformatorio o che so io?»

Angie sgranò gli occhi, capendo all'improvviso.

«Non voleva divulgare la notizia» disse in un soffio.

Night annuì. «Lei mise a tacere tutto. Se la notizia fosse trapelata all'esterno, sarebbe scoppiato uno scandalo. La reputazione della scuola sarebbe stata compromessa per sempre.»

Angie aveva preso a sudare freddo. I suoi amici in quel momento erano nell'ufficio di quella donna, a credere di risolvere il mistero, quando il suo preciso intento era sempre stato quello di insabbiare tutto.

«Ti ho già detto che la preside obbligò i ragazzi della banda a tacere. Li minacciò e disse che, se avessero rivelato ciò che era successo nelle docce, la loro vita sarebbe stata rovinata. Quanto a me, venni rimandato per un breve periodo, ma niente di più. Ma, mentre loro arrivarono a diplomarsi, io continuai ad essere bocciato.»

«E i tuoi genitori? Non si fanno domande?»

Night scrollò le spalle e il suo sguardo si incupì. «Sono solo un teppistello per i miei genitori. La preside li ha in pugno. Continua a dire loro che sono un elemento estremamente pericoloso e che è per il mio bene che mi trattengono qui. Loro se la bevono.»

Angie scosse la testa, incredula. «È davvero così subdola?»

Night sorrise tristemente. «Assolutamente. Secondo te perché ha deciso di installare quella fottuta macchina? Poteva parlare dell'incidente delle docce e mettere i ragazzi in guardia dal pericolo del bullismo, ma ha preferito imbottirli di ormoni e renderli preparati a reagire alle prese in giro.» Scosse la testa. «Mi dispiace per quello che abbiamo fatto al figlio, ma quella donna è matta da legare.»

Angie sgranò gli occhi. «Questo è il motivo per cui esiste la macchina?»

Night annuì. «Per potenziarvi. Per permettervi di rispondere alle prese in giro.» Il ragazzo si interruppe e scosse la testa. Pareva divertito. «Almeno, questo era l'intento della preside. Sappiamo tutti com'è finita. L'overdose di ormoni vi crea un po' di problemi a controllare le vostre... pulsioni.»

Angie rifletteva ad alta voce, ogni tassello che andava al suo posto. «Ecco perché in questa scuola non ci sono episodi di bullismo, perché i ragazzi sono così violenti gli uni con gli altri.» Alzò gli occhi su di lui. «Ecco perché voi ve la prendete solo con i professori.»

Night sembrò riflettere sulle parole di Angie. «In un certo senso, sì. Ma il vero motivo per cui ce la prendiamo con i professori è perché è l'unico modo che ho per vendicarmi della preside.»

«Quindi la tua banda sa la verità?» Angie esitò, ripensando all'incontro a cui aveva assistito, all'assenza del vivace compagno di stanza di Night. «E Shadow?»

Night scosse la testa. «No. I ragazzi sanno solo che tra me e la preside è guerra aperta e che io voglio vendicarmi di lei, anche se non posso espormi troppo. Gérard infatti vuole che mi comporti bene e che tenga un profilo basso, nella speranza che la preside cambi idea, ma è un povero illuso. Per questo...» Evitò lo sguardo di Angie per un attimo. «Per questo ti ho costretta a far finta di stare insieme a me. All'inizio» ci tenne a precisare lui, ma la mente della ragazza era altrove.

Ora Angie capiva perché Night l'avesse obbligata a recitare quella farsa con Gérard. Lo scrutò di sottecchi, cercando di capire cosa stesse passando nella mente del ragazzo, ma il suo sguardo era imperscrutabile. Angie si morse il labbro. Era sempre stata una finzione per lui?

«Quanto a Shadow, non fa neanche parte della banda. È un bravo ragazzo, non voglio metterlo nei guai.» Night scrollò le spalle. «Non mi rimane altro che questa guerriglia. Lei ha insabbiato tutto ed io non ho potuto parlarne fino ad adesso, perché farlo avrebbe significato distruggere la reputazione di Kyle.» Si fece di colpo pensieroso. «Se anche venissi con te dalla preside a dire la verità, nessuno mi crederebbe, a parte voi e Gérard. Kyle è morto, non so che ne sia stato degli altri ragazzi della banda e, quanto ad Henry... dopo l'incidente, era stato spedito dalla madre in un ospedale psichiatrico. Ah, l'amore materno! Non mi resta che aspettare di compiere diciott'anni e lasciarmi questa storia alle spalle.»

Nel sentire Night ponderare l'eventualità di andare con lei dalla preside, Angie si era riscossa, ma qualcosa nella frase di lui la lasciò pietrificata.

«Aspetta» mormorò, sbattendo le palpebre.

Night le rivolse uno sguardo stupito. «Che c'è?»

«Henry non è morto?»

Night aggrottò le sopracciglia. «No. Sopravvisse all'incidente delle docce, anche se fu un autentico miracolo.»

Oh, merda

Con orrore, Angie realizzò che nessuno aveva mai detto loro esplicitamente che Henry era morto. Ripercorse con dolorosa precisione le indagini che avevano compiuto e le parole usate dalla preside, da Gérard e adesso da Night. Henry che spariva dagli annuari dal terzo anno di liceo in poi, la preside che diceva che "era un bravissimo ragazzo" e che "non si meritava quello che gli avevano fatto", Gérard che correggeva Arianna parlandole di "ciò che Kyle aveva fatto ad Henry". Neanche Night le aveva mai parlato dell'omicidio di Henry. Perché non era mai avvenuto. Si era trattato di un gigantesco malinteso. Ma questo Kia e gli altri non lo sapevano.

«E adesso...» Angie scosse la testa, cercando di metabolizzare quell'informazione. «È in un ospedale psichiatrico?»

«Non so come stiano esattamente le cose. Henry aveva sempre avuto qualche problema, ma non so se impazzì sul serio dopo quello che gli successe.» Il ragazzo si rabbuiò. «Credo piuttosto che la preside volesse sbarazzarsi di lui, perché avrebbe intralciato il suo piano di insabbiare ogni cosa. Così lo rinchiuse laggiù, ma poi...»

Night si interruppe bruscamente. Di colpo aveva assunto un'espressione pensierosa. «Aveva tante di quelle ustioni... da quel che ne so, fu per quello che sviluppò come... un'ossessione per il fuoco.»

****

Beth sbatté la porta della camera dietro di sé, trattenendo un'imprecazione.

Sentiva la camicia bagnata appiccicata sulla pelle e l'odore del caffè nelle narici le dava la nausea. Doveva fare in fretta, mettersi qualcosa di pulito e raggiungere gli altri dalla preside.

L'ansia che fosse in uno spaventoso ritardo, unita alle parole e al bacio di John, le stava facendo venire le palpitazioni e tremare febbrilmente le mani.

Fu probabilmente per quello che, mentre apriva l'armadio, l'anta le sfuggì dalle mani e sbatté contro il comodino di Angie, facendo cadere a terra tutto quello che c'era poggiato disordinatamente sopra. Beth inorridì quando vide che, sparsi sul pavimento, c'erano tutti i disegni e i progetti di arte della ragazza.

«Oh merda!» esclamò, dimenticandosi in un attimo della camicia e gettandosi a terra, nel tentativo di rimetterli in ordine. Se avesse sciupato uno dei disegni di Angie, avrebbe potuto considerarsi morta.

«MERDAMERDAMERDA!»

Cercò di rimetterli in ordine alla bell'e meglio, cercando di non spiegazzare troppo i fogli né di fare le orecchie ai bordi, mentre li impilava frettolosamente uno sopra l'altro. Mentre era nel bel mezzo dell'operazione, non poté fare a meno di notare che Angie, tra i suoi disegni, aveva del materiale parecchio strano: ritagli di giornale, scampoli di stoffa... erano pezzi di tenda, quelli? Beth si ricordò in un soffio del compito che la Rooth aveva assegnato loro, quello sul materiale di recupero, e si diede dell'idiota, visto che lei non aveva ancora pensato a niente. Si sarebbe fatta fare qualcosa da Angie, pensò, convinta. Arte e ginnastica non erano decisamente il suo forte... menomale che c'era inglese a risollevare le sorti della sua pagella.

Di colpo, un titolo di giornale tra quelli che Angie aveva conservato attirò la sua attenzione. Beth lesse il titolo: era un articolo sulla morte di Kyle Marsh, l'assassino di Henry. Si bloccò e tenne il foglio stretto fra le mani, scorrendo rapidamente l'articolo con lo sguardo alla ricerca di qualche informazione interessante, ma non diceva nulla che non sapessero già. Le circostanze della morte erano misteriose, ma il giornalista parlava chiaro: il suo accoltellamento era senza ombra di dubbio un omicidio.

Beth fece per riporre il giornale sulla pila vertiginosa che aveva eretto, quando l'occhio le cadde su un trafiletto al lato dell'articolo su Kyle Marsh. Qualcosa le si rimestò nello stomaco e la ragazza prese a sudare freddo.

Due notizie apparentemente slegate l'una dall'altra, poste vicine per pura casualità. Ma, adesso che lei sapeva la verità – o almeno così credeva – tutto le apparve chiaro, come un disegno di cui era infine riuscita a collegare i punti. Perché, a giudicare da quel che c'era scritto, lei e gli altri di quella storia non avevano capito un bel niente.

L'articolo parlava della fuga di un paziente da un istituto mentale, con sotto segnato un numero da chiamare nel caso qualcuno l'avesse visto.

Beth aveva la gola secca. C'era anche una sua foto, ma non ci fu bisogno di guardarla. Lei conosceva quel nome.

Il suono della sirena antincendio esplose all'improvviso nelle sue orecchie, ma Beth, pietrificata com'era, lì per lì non ci fece neppure caso.

Il nome del paziente era Henry Jefferson.

 

*La canzone non mi appartiene. Si tratta di "Jealous Guy", di John Lennon.

Non intendevo ferirti

Mi dispiace averti fatta piangere

Oh Dio, non volevo ferirti

Sono solo un ragazzo geloso


Ehilà!

Ho sbagliato a guardare gli orari delle lezioni (geniale, lo so) e mi sono ritrovata con la mattina libera, quindi ne approfitto per aggiornare! Eccomi quindi con un nuovo capitolo... siamo a meno due! :) Spero di avervi lasciato (miei amici fantasma, Sue Sylvester docet) almeno un pochino con il fiato sospeso! Non nego che la parte del mistero mi piaccia molto, mi è piaciuto scriverla e mi piace rileggerla. La vera Beth l'ha paragonata un po' alle indagini che fanno gli Archies in Riverdale, condotte dai teenagerz XD Non sono una grandissima fan della serie tv (i fumetti in compenso li adoroo) però ho super apprezzato il paragone (che anzi, è probabilmente esagerato) **

Questo è il capitolo delle verità, dove tutto viene alla luce: Henry non è affatto morto, come le nostre ragazze credevano e, anzi, a dirla tutta sembra piuttosto incazzato, mentre Night ha scelto deliberatamente di prendersi la colpa del suo incidente e non è vittima di alcun malinteso.

Ah, il nostro Night... vi aspettavate una confessione simile da parte sua? Non ho dato molti indizi al riguardo (a proposito, gli unicorni non c'entrano niente con questa storia, sono un tocco trash senza capo né coda voluto dalla vera Angie XD), se non che Night non si è mai sentito attratto da determinate cose (larga perifrasi per dire LE DONNE!). È una cosa a cui non avevamo pensato subito, nell'organizzare la trama, ma dal momento che Night si "sacrifica" per Kyle, mi sembrava, non so, perfettamente naturale che provasse qualcosa di più che del semplice affetto per lui :) Fortunatamente la vera Angie è stata d'accordo fin da subito (perché in realtà lei spera chiaramente nella coppia NightXShadow) e quindi... et voilà. Per la Angie della storia, in compenso, si tratta di un vero shock.

Ci vediamo al prossimo capitolo, spero non tra un secolo! Un bacio,

Cassidy. 

 

  
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