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Autore: Claire Riordan    17/05/2020    2 recensioni
Remake del nuovo decennio di una mia vecchia, ma a me carissima, fanfiction, intitolata "Believe in Fate", riscritta in chiave più potteriana e meno "teen drama" americano, come era inizialmente nata, con una rivisitazione dei personaggi e delle loro storie.
Dal prologo: "[...] il Gran Galà del Quidditch prevedeva che Hogwarts mettesse in campo un'unica squadra, formata dai migliori giocatori della scuola, i quali sarebbero stati selezionati da un’apposita commissione composta dagli esponenti più importanti e competenti in materia. Questa squadra, poi, avrebbe dovuto competere con le più grandi nazionali di Quidditch del momento, tra le quali spuntavano i nomi di Inghilterra, Germania e Spagna, segnalate come le favorite per il grande torneo."
ATTENZIONE: nessun collegamento di nessun genere con "The Cursed Child".
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Altro personaggio, Famiglia Weasley, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Rachel era certa che il suo cuore sarebbe esploso da un momento all’altro. Lo stadio di Quidditch non le aveva mai fatto così paura e mai prima d’allora, in due anni, si era sentita così colma d’ansia prima di scendere in campo. Di solito lo considerava un luogo che la faceva sentire tranquilla, a casa. Ora, invece, si sentiva come una condannata al patibolo.
Sapeva che stava facendo la cosa sbagliata: stava infrangendo le regole del torneo e solo ora che si trovava lì, in fila per tentare il provino, si rese conto che partecipare alle selezioni era stata una pessima idea. Se il suo Capitano, Noah, avesse saputo cosa stava facendo, non le avrebbe certo risparmiato una bella strigliata.
Più e più volte, mentre attendeva il suo turno, Rachel prese in seria considerazione l’idea di fuggire e tornare al castello. Ma era lì, a pochi passi dalla commissione che l’avrebbe giudicata e che, al cinquanta percento, avrebbe potuto ammetterla nella squadra di Hogwarts. Il Gran Galà del Quidditch poteva essere la sua occasione per farsi notare ed avere una possibilità di giocare, un giorno, in una squadra celebre, di entrare nella nazionale. E da quando la professoressa Shacklebolt aveva dato l’annuncio della competizione, Rachel non aveva atteso altro se non quel momento.
Il pensiero di avere una minuscola possibilità di far parte del Galà le provocava uno strano formicolio allo stomaco. Ma ogni volta che l’idea che l’avrebbero cacciata non appena avessero scoperto la sua età le balzava in mente, sprofondava in un mare d’amarezza.
«Avanti il prossimo!»
La voce squillante di Rowena Temple, direttrice dell’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale – Rachel aveva scoperto la sua identità grazie ad alcuni studenti che chiacchieravano qualche posto più avanti di lei –, richiamò la sua attenzione. La piccola Tassorosso si rese conto con terrore che era arrivato il suo turno.
Si fece avanti a passi insicuri, piazzandosi di fronte al tavolo dei giurati, evitando accuratamente di guardarli negli occhi.
«Nome?» domandò Rowena.
«Rachel Finch-Fletchley» rispose lei, con quanta più sicurezza riuscisse a mettere in quella frase.
«Età?»
Ecco il fatidico momento, il momento della verità, quell’attimo in cui si sarebbe giocata tutto.
Deglutì impercettibilmente prima di rispondere con un balbettio: «Q-quindici anni»
Il suo sguardo saettò per un attimo in direzione di Cormac McLaggen e Dean Thomas, entrambi impegnati a scribacchiare qualcosa – probabilmente i suoi dati – su un foglio di pergamena. Rowena, invece, teneva gli occhi fissi su di lei, sospettosa.
«Sembra molto giovane, signorina Finch-Fletchley» disse, diffidente.
«Lo so, me lo dicono tutti» buttò lì Rachel, cercando di non far trasparire il nervosismo dalle sue parole.
«È sicura di avere quindici anni?» chiese ancora la donna, senza dare il minimo segnale di ammorbidirsi.
«Ovvio» esclamò Rachel stizzita, ritrovando un po’ della sua grinta.
Rowena sembrava irremovibile «Lei non ha quindici anni» continuò, fissandola al di sopra delle dita intrecciate.
«Ma sì che ce li ho!»
La Temple sospirò «Senta, facciamo così. Lasci che i suoi compagni facciano il provino, dopodiché convocheremo qualcuno che ci confermi la sua età, d’accordo?»
«No, per niente!» sbottò lei «Ho lo stesso diritto degli altri di…»
«Eventualmente» fece Rowena, alzando la voce per sovrastare le proteste di Rachel «potremmo farle sostenere un provino alla fine della giornata»
Rachel, sconfitta e imbarazzata, annuì «D’accordo» borbottò, andandosi a sedere a bordo campo assieme agli studenti che avevano già fatto il loro test. Giocherellò annoiata e delusa con un filo d’erba del prato, buttando un’occhiata di tanto in tanto alla fila di aspiranti giocatori. Fu quando una divisa color smeraldo, un ciuffo di capelli neri come la pece e un mento appuntito si presentarono davanti alla commissione che lo stelo verde perse completamente il suo interesse: Isabella Nott stava per fare il provino.
Non la prenderanno, pensò Rachel, nemmeno lei ha quindici anni.
Fissò lo sguardo sull’odiata Serpeverde, attenta a non perdersi nemmeno un frammento della conversazione fra lei e i giurati.
«Nome?» domandò Rowena.
«Isabella Nott»
«Età?»
«Quindici anni»
Isabella aveva pronunciato quelle due parole con molta più sicurezza di Rachel. Ma ora l’avrebbero smascherata, si sarebbero accorti che mentiva.
«Ruolo?»
«Cacciatore»
«Prego»
CHE COSA?!
«Ehi!» gridò Rachel, balzando in piedi «Questo non è giusto!»
Partì alla carica verso la commissione, sotto gli occhi stupiti di tutti i presenti allo stadio, fossero essi in campo o sulle tribune.
«Signorina Finch-Fletchley, mi spiega qual è il problema?» le domandò Dean Thomas con calma.
«Oh, glielo spiego eccome!» sbottò infuriata, frapponendosi fra il tavolo dei giurati ed Isabella «Il problema è che questa ragazza ha tredici anni e non può partecipare al torneo!»
Alle spalle di Rachel, Isabella scoppiò a ridere teatralmente.
«Cosa ci si inventa quando si è invidiosi, vero Finch-Fletchley?» la canzonò.
«Signorina Nott, per favore» esclamò severa Rowena, alzandosi in piedi «non si intrometta»
«Se non sbaglio, è Rachel ad essersi intromessa» cinguettò Isabella, con quella sua voce così falsa «Io stavo per fare il provino»
«Voglio solo che i giudici si comportino equamente!» le urlò in faccia la Tassorosso «Se nessuno studente sotto i quindici anni può partecipare, la regola vale sia per me che per te!»
Terminò la frase picchiando l’indice sul petto di Isabella, la quale non sembrava minimamente turbata dal fatto che la sua età fosse stata messa in dubbio da un altro studente proprio davanti alla giuria.
«Ma io ho quindici anni, posso…»
«NON HAI QUINDICI ANNI!» strillò Rachel fuori di sé. Odiava Isabella: si era accaparrata Theo e ora avrebbe pure rubato un posto in squadra. Era scorretta, viscida e crudele.
«Basta così!» tuonò McLaggen, inserendosi fra le due ragazzine «Signorina Nott, ora lei farà il provino, mentre lei, signorina Finch-Fletchley, è pregata di non presentarsi nuovamente alle selezioni o sarò costretto a rivolgermi a chi compete perché prenda provvedimenti, è chiaro?»
Rachel abbassò gli occhi, frustrata «Certo» mormorò.
«Può andare» la congedò Rowena, gli occhi freddi e impassibili. Rachel tirò su col naso, recuperò il suo manico di scopa e si diresse verso gli spogliatoi. Prima di entrare si voltò indietro: Isabella era appena decollata. Un attimo dopo, mandò a segno il suo primo, perfetto gol.
Aveva mentito. Aveva mentito e i giudici le avevano creduto, senza battere ciglio. Certo, Isabella aveva talento ed era innegabile. Probabilmente l’avrebbero pure ammessa in squadra. Rachel non ci mise molto prima di maturare un’idea di cui, mentre risaliva verso il castello, fu sempre più convinta e nulla e nessuno avrebbero potuto distoglierla da quel pensiero: nel Gran Galà del Quidditch c’era qualcosa che decisamente non andava.
 
 
 
Margaret non aveva più avuto occasioni di parlare con Dylan dopo il loro incontro in sala comune il giorno dell’arrivo a Hogwarts. Certo, l’aveva incontrato nei corridoi e più volte l’aveva visto nella sala di ritrovo dei Corvonero, ma le loro conversazioni non erano mai durate più del tempo necessario a pronunciare un semplice “ciao” di circostanza. Sebbene continuasse a ripetere quanto fosse carino quel tale Connor Abercrombie di Grifondoro, non poteva negare che i suoi pensieri continuavano ad essere abitati da Dylan e dai migliori ricordi di loro due assieme.
Non aveva detto nulla a Dominique. La sua migliore amica detestava Dylan con tutte le sue forze per come si era comportato con Margaret, e lei voleva restasse nella convinzione che lo stava pian piano dimenticando.
In realtà, Margaret nemmeno si sforzava, a dimenticarlo. Non poteva riuscirci, non con Dominique che la trascinava di forza ad Hogsmeade assieme al suo insopportabile fidanzato, Montgomery Flint, e non faceva altro che sbaciucchiarlo tutto il tempo ripetendogli che era “così adorabile” e che non poteva fare a meno di lui.
Dimenticare Dylan avendo attorno persone che trasudavano sdolcinatezza era pressoché impossibile, e trascorrere il pranzo del primo finesettimana ad Hogsmeade dell’anno nella zuccherosa saletta di Madama Piediburro era stato a dir poco vomitevole. Non solo i due piccioncini si erano sbaciucchiati con assai poco ritegno per tutto il tempo, ignorando del tutto il terzo incomodo, ma Margaret aveva rivissuto i pochi momenti passati là dentro insieme a Dylan e la cosa non le era di certo stata d’aiuto. Del resto, reggere il moccolo non era l’aspirazione di nessuno, men che meno di Margaret.
Fu quando passarono davanti all’Emporio degli scherzi di Zonko che la sua giornata sembrò risollevarsi. Dal negozio colorato, infatti, uscì Albus… in compagnia di una ragazza bellissima, ma dall’aria piuttosto annoiata.
Grazie a Merlino!
«Al!» lo chiamò Margaret, sventolando una mano per aria. Lasciò Dominique e Montgomery, impegnati come sempre a guardarsi stucchevolmente negli occhi come se non ci fosse un futuro, e raggiunse il suo migliore amico, guadagnandosi un’occhiata non troppo entusiasta dalla sua accompagnatrice.
«Ehi, Maggie!» la salutò lui «Stai bene?»
«Sì» rispose lei. Sentendosi un po’ in colpa per aver interrotto l’appuntamento, tese una mano alla ragazza di Albus «Scusami… sono Margaret» disse, cercando di suonare amichevole.
«Dalia» fece l’altra con disinteresse, la mano morta nella stretta di Margaret.
Margaret si sentì terribilmente in imbarazzo: era ovvio che quella Dalia non fosse affatto contenta che un’altra ragazza avesse interrotto il loro pomeriggio.
«Beh, ehm… è stato un piacere» disse, un po’ a disagio, vedendo che quell’incontro non avrebbe portato da nessuna parte «Vi lascio continuare la vostra passeggiata»
«Nessun problema» disse Dalia, e Margaret percepì una nota d’irritazione nella sua voce «Mi sono ricordata che ho un tema di Pozioni da finire e devo tornare al castello»
«Davvero?» le chiese Albus, confuso «Credevo avessi detto che avevi il pomeriggio libero»
«Mi sbagliavo» rispose lei, spiccia, iniziando a muovere qualche passo in direzione della scuola «È stato un piacere, Magdalen. Ciao, Albus!»
Pronunciò le ultime parole con una certa stizza, prima di voltarsi con fare teatrale e avviarsi su per la strada del villaggio.
«Comunque, si chiama Margaret» disse Albus ad un interlocutore immaginario.
Margaret scoppiò a ridere «Ma che le è preso?» esclamò.
«Che ne so!» esclamò Albus, allargando le braccia «Prima mi chiede di uscire insieme e poi mi scarica… è pazza!»
Margaret rise di nuovo «Dai, andiamo a berci una Burrobirra» disse, prendendo Albus sotto braccio ed incamminandosi verso il pub più frequentato del paese.
Percorsero la strada fino ai Tre Manici di Scopa prendendo in giro Dalia e la sua piccola sceneggiata, ridendo di gusto. Ma il sorriso di Margaret si spense non appena entrò nel locale: seduto ad un tavolo poco distante dalla porta, c’era Dylan in compagnia di una ragazza dai capelli corvini, il cui viso non era particolarmente familiare a Margaret. I due erano impegnati in una chiacchierata che doveva essere piuttosto divertente, poiché la ragazza rideva divertita alle battute di Dylan. Nonostante la sintonia che pareva esserci fra loro, sembrava che, tuttavia, si conoscessero da poco.
Margaret diede di gomito ad Albus, indicandogli il tavolo con un cenno del capo.
«E allora?» fu il suo unico commento.
«Secondo te… insomma, stanno assieme?» gli domandò lei preoccupata, dando voce al pensiero che le rimbombava in testa da quando aveva messo piede nel locale. Vedere Dylan in compagnia di un’altra era stato un colpo al cuore.
Albus li osservò per alcuni secondi – un tempo che a Margaret parve un’eternità – prima di sollevare le spalle.
«Non saprei» sospirò «Anche se fosse, la scuola è cominciata da poco…»
Poco o tanto che fosse, faceva male ugualmente. Soprattutto dopo che Dylan l’aveva lasciata dicendo che anche lui avrebbe sofferto della loro separazione.
Certo, si sta strappando i capelli per la disperazione!, pensò Margaret.
«Dai, sediamoci» disse Albus, tentando di distrarla. Margaret lo seguì fino in fondo al locale, accomodandosi ad un tavolo da cui era impossibile vedere Dylan e la misteriosa ragazza in sua compagnia.
Ordinarono due Burrobirre, trascorrendo i primi minuti in un silenzio rotto solo dal rumore dei bicchieri che, di tanto in tanto, venivano posati sul legno del tavolo. Margaret cercava in continuazione di sbirciare verso il tavolo a cui sedeva Dylan, ma la ressa crescente le impediva di vedere alcunché.
«Maggie, ti prego, smettila di perdere tempo con quello» saltò su Albus all’improvviso, seccato «Se davvero gl’importasse di te sarebbe seduto con te, non con quella»
Margaret rimase senza parole per la schiettezza spiazzante del suo migliore amico. Difficilmente Albus era così diretto: certo l’aveva sempre ascoltata, le aveva dato pareri, senza mai giudicarla o criticarla per le sue scelte, giuste o sbagliate che fossero. Ma soprattutto, era sempre stato piuttosto pacato. Ed ora eccolo lì, a sputare fuori quell’amara realtà senza troppi giri di parole, e non si poteva certo negare che avesse totalmente ragione.
Chissà se Dylan l’aveva vista in compagnia di Albus. Magari era successo e si era ingelosito, perciò aveva deciso di ripagarla con la stessa moneta. Oppure aveva visto la realtà, la semplice seppur salda amicizia che li legava. Forse, se si fosse sparsa la voce a scuola che Margaret e Albus si frequentavano, e non solo come amici…
«Voglio che lasci Dalia» disse improvvisamente Margaret.
«Ma non stiamo insieme!» ribatté Albus tossicchiando dopo che una grossa quantità di Burrobirra gli era finita di traverso.
«Uscite assieme»
«E non è affatto la stessa cosa» disse lui come se stesse parlando con una bambina un po’ dura di comprendonio «Era il nostro primo appuntamento, quello di oggi. E ti ricordo che mi ha praticamente mollato in mezzo alla strada, quindi non penso proprio che…»
«Beh, ottimo. Non voglio che tu ci esca di nuovo»
Albus tracannò un lungo sorso di Burrobirra prima di continuare: «Senti, Maggie, apprezzo che tu prenda le mie difese dopo il modo in cui Dalia si è comportata, ma… insomma, sai che non sono… non sono come mio fratello, lui era molto più spigliato e… voglio dire, mi fa molto piacere che ti stia così a cuore che…»
«Voglio che noi due usciamo assieme»
Albus aggrottò la fronte «Ma lo facciamo già» ridacchiò.
«Intendo come due persone che stanno assieme»
L’espressione sconvolta di Albus in quel momento era impagabile. Margaret sarebbe scoppiata a ridere se non fosse stata così seria e determinata nel suo obiettivo. Albus ci mise un po’ prima di ritrovare l’uso della parola.
«Temo… di non seguirti» borbottò.
«Dai, Al, sarebbe semplicissimo!» esclamò lei, saltellando sulla sedia «Dovremmo solo… andare in giro tenendoci per mano, magari sederci assieme a pranzo, essere affettuosi…»
«Affettuosi tipo… baciarci?» balbettò Albus, le guance infuocate «Perché, in quel caso, non… non credo potrei farlo»
«Perché no?» replicò lei, vagamente divertita.
«Perché sei come una sorella per me, sarebbe come… baciare Lily, bleah!» esclamò lui.
«Oh, finiscila!» rimbeccò Margaret «Non ci sarebbe nulla di così strano… Ti prego, sei l’unico che può farlo»
«Senti, Maggie» Albus rischiò d’ingozzarsi deglutendo una grossa boccata di Burrobirra «prendi da parte Dylan, parlagli di questa cosa e… falla con lui, no?»
Margaret sbuffò, spazientita «È proprio per questo che mi serve il tuo aiuto» disse «Per cercare di farlo ingelosire»
Passò qualche secondo prima che Albus scoppiasse a ridere «Lo sai che non funzionerà, vero?»
«E se invece funzionasse?»
Albus sospirò «Maggie, non voglio. Siamo amici da sei anni, rovineremmo tutto»
«Sarebbe solo per gioco, non rovineremmo niente!»
«E se uno di noi dovesse… insomma… innamorarsi?» fece Albus, bisbigliando l’ultima parola nemmeno stesse pronunciando una Maledizione Senza Perdono.
«Al, io lo faccio per riprendermi Dylan» replicò Margaret, decisa «E la nazionale irlandese sarà qui fra qualche settimana, una volta che ti troverai davanti Breeana Walsh avrai occhi solo per lei»
Albus sbuffò una risata, gli occhi bassi sul suo bicchiere ormai vuoto. Margaret attese in un agitato silenzio che dicesse qualcosa.
«E va bene» si arrese lui dopo un po’ «ma se… se qualcosa dovesse andare storto, metteremo fine a questa faccenda immediatamente» continuò poi, in un tono che non ammetteva risposte negative.
Margaret esitò qualche secondo, così Albus le tese una mano per suggellare il patto.
«O così, o niente» disse.
Non avendo altra scelta, Margaret strinse con forza la mano del suo migliore amico. Chissà cosa avrebbe detto Dominique…
 
 
 
L’atmosfera in sala grande, quella sera, era a dir poco elettrica. I piatti attendevano di essere riempiti, ma nessuno degli studenti seduti ai quattro tavoli sembrava avere fame: l’arrivo delle nazionali di Quidditch distoglieva la loro attenzione da qualunque cosa, perfino dalla cena.
Anche Scorpius, al tavolo di Serpeverde, continuava a lanciare occhiate impazienti al portone della sala, in attesa di vederlo aprirsi per lasciar entrare le tre più grandi squadre d’Europa. Nel frattempo, notò, al tavolo degli insegnanti erano stati aggiunti altri sei posti, oltre ai tre riservati ai giurati; si chiese a chi fossero destinati.
«Secondo te i giocatori siederanno con noi?» gli chiese Kyle Bletchely, il suo compagno di dormitorio.
Scorpius scrollò le spalle «Mio padre mi ha detto che quando c’è stato il Torneo Tremaghi gli studenti stranieri sedevano con loro» disse «ma qui si tratta di giocatori di fama internazionale»
«Sono solo famosi, non alieni» ribatté Montgomery Flint, dal lato opposto del tavolo.
«Beh, spero solo che si sbrighino, perché ho una fame da lupi» commentò Aiden Pritchard.
«Qualcuno di voi ha fatto il provino per la squadra?» domandò Montgomery agli amici dopo un po’ – i quattro ragazzi giocavano tutti per Serpeverde.
«Io no» disse Kyle «Le probabilità di essere scelti sono una su cento»
«Statisticamente, hai un cinquanta percento di possibilità» lo corresse Aiden.
«Beh, qualunque sia la percentuale non credo mi prenderebbero in squadra»
Scorpius smise di badare alle chiacchiere dei suoi amici. Sapevano parlare solo di Quidditch e doverli sopportare sia in dormitorio sia in squadra, oltre che, ovviamente, ai pasti e alla maggior parte delle lezioni, stava iniziando a diventare snervante. Era già abbastanza pesante dover seguire un’intera squadra, figuriamoci sentir parlare continuamente di quel che si faceva in squadra!
Poggiò stancamente il mento sul palmo della mano, puntellandosi su un gomito, lasciando scorrere lo sguardo sulla sala e soffermandosi su punti imprecisati di tanto in tanto. Al tavolo di Grifondoro individuò i capelli rossi di Rose Weasley: rispetto ai primi anni, quando aveva gli incisivi troppo sporgenti e il volto invaso dalle lentiggini, aveva subìto un netto miglioramento. Era molto carina, con quell’aria un po’ timida e l’ampio sorriso che mostrava i denti perfettamente allineati – doveva averci lavorato nel corso del tempo. Si accorse di starla fissando da alcuni secondi quando lei ricambiò un’occhiata interrogativa, e anche abbastanza seccata.
Si ridestò dai suoi pensieri, affrettandosi a distogliere lo sguardo, proprio nello stesso istante in cui udì la sala immergersi nel silenzio: davanti al tavolo delle autorità, la professoressa Shacklebolt fronteggiava l’intera scuola.
«I nostri ospiti sono arrivati» annunciò la preside, scatenando un lieve brusio eccitato fra gli studenti «So che siete tutti impazienti, perciò non attendiamo oltre e diamo il benvenuto alla Nazionale inglese»
Scorpius si voltò di scatto verso la porta, che si spalancò con lentezza esasperante, lasciando intravedere solamente il salone d’ingresso. Dopo pochi secondi di silenzio, sette scope sfrecciarono come proiettili dentro la sala grande, sette schegge bianche e luminose che vennero accolte da uno scroscio di applausi.
«Merlino, ma è davvero Isaac Jenkins!» strillò una ragazza poco distante da Scorpius.
«E quello è Monty Murray!»
«Wyatt Purs! Wyatt Purs!»
«Certo che Kathryn Broadmoor è proprio fica!» Kyle diede di gomito a Scorpius.
Scorpius si limitò ad annuire, applaudendo. A suo parere, Kathryn era meglio sulle riviste – forse per merito del magi-ritocco.
I giocatori atterrarono davanti alla Shacklebolt, la cui espressione tradiva un briciolo di disapprovazione - Scorpius era certo di averla vista sillabare qualcosa che somigliava molto a “non ci avevano avvertito di eventuali entrate ad effetto” - mentre due uomini sfilavano tra i tavoli di Grifondoro e Corvonero: Aldous Bagman e Ritchie Coote, rispettivamente presidente e allenatore della squadra.
«Ben arrivati» disse la preside, stringendo la mano prima a uno poi all’altro «E… bentornati»
«È un piacere essere di nuovo qui» commentò Aldous gioviale, fissando il soffitto incantato «Spero che la nostra presenza, e con “nostra” intendo della squadra, non sia d’intralcio»
«Non lo sarà di certo» asserì la Shacklebolt «I nostri ex studenti sono sempre ben accetti. Volete accomodarvi?»
Fece loro un cenno verso due sedie libere accanto a Dean Thomas e i due presero posto al tavolo delle autorità – i sei posti extra dovevano essere destinati ai presidenti e agli allenatori -, mentre i giocatori si voltarono verso i tavoli delle quattro case.
«Qui! Qui!» esclamò Kyle sventolando una mano in aria, ma la nazionale inglese andò a sedersi al tavolo di Grifondoro. Kyle si afflosciò deluso sulla panca.
«Merito di McLaggen» commentò Scorpius con un sospiro, osservando Christopher salutare il fratello Derek con una pacca sulla spalla prima di sedersi accanto a lui, mentre la preside tornava a rivolgersi agli studenti.
«E ora, accogliamo i nostri ospiti d’oltremanica, la Nazionale francese»
Questa volta, le scope fluttuarono in sala con molta più grazia. Cinque delle giocatrici francesi, con indosso la loro divisa celeste, sedevano sulle loro scope come se cavalcassero all’amazzone ed atterrarono con leggiadria davanti al tavolo delle autorità, attirando gli sguardi interessati della maggior parte dei ragazzi in sala; dietro di loro, sfilarono tra i tavoli gli unici due ragazzi della squadra, anche loro vestiti d’azzurro e con i loro manici di scopa in mano. Chiusero quel piccolo corteo Adèle Mitterrand, la presidentessa, e il figlio Balthazar, l’allenatore.
«Questi si siederanno al nostro tavolo» bisbigliò Kyle all’orecchio di Scorpius, mentre la preside accoglieva Adèle e Balthazar parlando fitto in francese.
«Non contarci troppo» fece lui, fissando la Cacciatrice Nymphe Rochefort – le cui foto riempivano la stanza di Scorpius a Villa Malfoy, ma lui non lo aveva mai ammesso e mai lo avrebbe fatto – dirigersi verso il tavolo di Corvonero.
Quando la sala tornò nel silenzio, la Shacklebolt terminò: «Infine, accogliamo la terza ed ultima squadra che parteciperà a questo torneo: l’Irlanda»
Gli irlandesi fecero il loro ingresso accompagnati da una musica tipica del loro Paese – trasmessa da chissà quale apparecchio magico – esibendosi in acrobazie spettacolari sui loro manici di scopa: capriole, piroette, il tutto reso ancor più eccezionale dal verde brillante delle divise. Entrarono per ultimi il presidente e l’allenatore, Finbar Quigley e Barry Doherty.
«Ben arrivati» disse loro la preside, la cui voce risuonò alta nella sala. A differenza delle precedenti squadre, tutta la scuola era ammutolita all’ingresso di Quigley: ormai oltre che sessantenne, aveva abbandonato il gioco da parecchi anni, ma qualunque appassionato di Quidditch – anche chi non lo era, a dirla tutta – lo ricordava come uno dei campioni del mondiale del novantaquattro, che aveva visto vincitrice, appunto, l’Irlanda, nonché come uno dei migliori Battitori nella storia della squadra nordirlandese dei Ballycastle Bats. Ora si dedicava alla direzione della squadra nazionale, ma il suo successo continuava ad essere ricordato nel tempo.
Quigley e Doherty si sedettero al tavolo degli insegnanti ai posti a loro designati, mentre la squadra si mescolò ai Tassorosso; la Shacklebolt, prima di raggiungerli, si rivolse agli studenti un’ultima volta: «Prima di dedicarci alla nostra squisita cena, vorrei dire alcune parole. Innanzitutto, ringrazio il signor McLaggen e il signor Thomas per aver scelto Hogwarts come cornice di questo splendido torneo. Inoltre, vorrei darvi alcune informazioni in più riguardanti il Gran Galà del Quidditch: i nostri giudici ci tengono a ricordarvi che i provini per la squadra sono aperti fino al quindici di ottobre, dopodiché le selezioni saranno sospese in modo da dare alla commissione la possibilità di valutare i giocatori che parteciperanno al Galà. La proclamazione della squadra avverrà durante il banchetto del trentuno ottobre. E ora, buon appetito!»



[ Claire Says ]
Buonasera a tutti.
Dunque... capitolo introduttivo al Galà e ad un po' della follia che si vedrà andando avanti.
E' abbastanza ovvio che il Gran Galà si rifà un pochino al Tremaghi sotto alcuni aspetti, ci sono infatti dei richiami (vedi l'amico di Scorpius che cerca di attirare l'attenzione dei giocatori, un po' come fece Ron con Viktor Krum quando ancora lo aveva in simpatia) e ce ne saranno più avanti.
Non ho granché da dire, penso ci sia abbastanza nel capitolo... e forse sto smettendo di essere tremendamente prolissa.
Alla prossima puntata!
Much love,
C.

 
  
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