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Autore: Cassidy_Redwyne    19/05/2020    1 recensioni
Quattro amiche diversissime fra loro, eppure inseparabili, vengono a conoscenza del prestigioso liceo di St. Elizabeth. In cerca di una nuova sistemazione scolastica, le ragazze decidono di iscriversi, del tutto ignare di ciò che le attende all’interno dell’istituto.
L’aspetto e il comportamento degli studenti, infatti, sono davvero bizzarri, per non parlare di quei quattro affascinanti ragazzi in cui le protagoniste si imbattono durante i primi giorni di scuola… si tratta di un colpo di fulmine o di un piano magistralmente architettato alle loro spalle?
Tra drammi adolescenziali e primi batticuori, le quattro sono pronte a smascherare una volta per tutte il segreto che si cela fra le mura del misterioso istituto.
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Dopo lo scoppio dell'allarme, Brook, Arianna ed io avevamo lanciato un simultaneo sguardo al soffitto, dove un pannello continuava ad illuminarsi di rosso. C'era un incendio?

Mi ero voltata con improvvisa ansia verso Gérard, ma lui non aveva occhi che per la preside.

«Non posso crederci» mormorò scuotendo la testa, i pugni serrati. La sua voce era quasi impercettibile per via della sirena. «Non lo avete ancora ripreso?»

La preside si alzò in piedi, barcollando. Sembrava aver perso d'un colpo tutta la sicurezza che aveva avuto durante lo scontro con Gérard.

«Io... La polizia... stiamo facendo il possibile...»

«Chi?» proruppe Brook, ma la sua domanda si fuse nel suono assordante dell'allarme.

Gérard scosse energicamente la testa, come per riscuotersi. «Se ha appiccato un incendio a scuola, non c'è un solo minuto da perdere. Dobbiamo cercare di fermarlo.» Lanciò un'occhiata penetrante alla preside. «Devi provare a parlargli.»

Alla parola "incendio" scattammo tutti e tre in piedi, mentre la preside fissò Gérard come se il custode le avesse appena consigliato di piantarsi il tagliacarte della scrivania nella giugulare.

«Sei matto?» balbettò. «Non mi ascolterà mai!»

Con movimenti incerti, la donna si fece avanti. Il terrore le si agitava negli occhi. «Lui... mi odia. Mi odia.» Pronunciò l'ultima frase in un sussurro strozzato, così flebile che riuscii solo a cogliere il movimento delle sue labbra.

Gérard nel frattempo si era avvicinato alla finestra e, approfittando della sua lontananza, la preside afferrò la borsa e scattò verso la porta.

«FERMA!» urlai, capendo quello che aveva intenzione di fare ma, come prevedibile, la donna mi ignorò e uscì correndo dall'ufficio, sbattendosi la porta alle spalle.

Una frase sovrastò per un momento quella sirena infernale.

«Brutta stronza.»

Ci voltammo tutti e tre verso Arianna, ammutoliti. La ragazza aveva i pugni serrati e fissava con espressione truce la porta dalla quale la preside era appena fuggita.

«Cosa sta succedendo, Gérard?» domandò Brook, il primo a riscuotersi dall'exploit di Arianna, voltandosi verso il bidello.

«Henry» rispose lui, gli occhi fissi su qualcosa oltre il vetro. «Dio santo» disse in un soffio.

«Henry?» ripetei, a bocca aperta.

La sirena, nel frattempo, continuava implacabile a trapanarci i timpani.

Forse non avevo sentito bene.

«Ma non è...»

«È un piromane» tagliò corto Gérard, senza mai distogliere lo sguardo dalla finestra.

Seguimmo il suo sguardo e lo spettacolo che ci si profilò davanti ci gelò il sangue nelle vene ancor più della frase che Gérard aveva pronunciato: sotto di noi, in giardino, gli alberi che circondavano la scuola erano avvolti dalle fiamme.

Gérard si voltò bruscamente verso di noi. «Era stato rinchiuso da sua madre in un ospedale psichiatrico dopo ciò che successe, ma è riuscito ad evadere.»

«Noi pensavamo che Henry fosse morto» mormorò Arianna, disorientata.

«Era quello in cui sperava la madre, probabilmente.»

Gérard girava nervosamente per la stanza, borbottando qualcosa a proposito di un estintore.

«Quindi impazzì, dopo quello che gli fece la banda di Kyle?» chiesi, fissando con apprensione la porta dell'ufficio, l'allarme che strepitava implacabile. Dovevamo uscire.

«Impazzì dopo che sua madre lo rinchiuse laggiù.»

«Ma perché fare una cosa del genere al proprio figlio?»

«Temeva che parlasse di quegli avvenimenti che lei voleva disperatamente mettere a tacere. Henry era un po' strano, ma non da strizzacervelli.»

Il custode si bloccò in mezzo alla stanza, dopo essersi probabilmente reso conto che lì non c'era più alcun estintore.

«La preside deve aver falsificato una perizia psichiatrica per farlo internare» disse, per poi liquidare quelle parole con un gesto della mano. «Stiamo perdendo tempo. Dobbiamo andare.»

«E la sua perizia medica psichiatrica si trova qui?» domandò Brook, guardandosi intorno nell'ufficio, apparentemente incurante delle parole del custode.

«Immagino di sì» tagliò corto Gérard. «Henry deve aver dato fuoco anche ad una parte dell'edificio, oltre che alla pineta, o l'allarme non suonerebbe. Forza, andiamo!»

Non aspettavo altro. Ci accodammo al custode, che fece per aprire la porta, quando una nube di fumo proveniente dal corridoio ci investì in pieno, facendoci tossire.

«Merda!» imprecò Gérard, coprendosi la bocca con una mano.

Il fumo mi mozzò il fiato e mi artigliò la gola, con i miei colpi di tosse che ben presto si confusero con quelli di Arianna e si persero nello strepitare della sirena. Il cuore mi pulsava nelle orecchie. Henry era vivo... Henry aveva dato fuoco alla pineta e, a quanto pareva, anche ad una parte dell'edificio... in mezzo al fumo, la consapevolezza mi colpì come uno schiaffo. Quale parte dell'edificio migliore dell'ufficio della madre che lo aveva sbattuto in manicomio?

Arianna e Gérard erano davanti a me, sebbene indistinti per via del fumo, ma non vedevo Brook. 

Voltandomi, in preda all'ansia, lo vidi intento a trafficare tra le scartoffie della preside e ad aprire i cassetti della sua scrivania, con la goffaggine di chi era costretto ad usare un braccio solo.

«BROOK!» gridai, senza riuscire a credere ai miei occhi. Un colpo di tosse mi mozzò il fiato. «CHE CAZZO STAI FACENDO?»

Lui alzò lo sguardo verso di me. «Se troviamo la perizia psichiatrica, avremo incastrato la preside!»

Non riuscivo a credere alle mie orecchie, ormai tramortite dall'allarme. «Ma è come cercare un ago in un pagliaio!» urlai. «DOBBIAMO ANDARE!»

La mia isteria dovette infine farlo ragionare. Con un'ondata di sollievo, vidi Brook abbandonare l'impresa e venire verso di me. In quel momento mi sentii afferrare per il polso con una stretta ferra e, voltandomi di scatto, vidi Gérard, una mano sul mio braccio e una su quella di Arianna.

«Forza, sbrighiamoci!» gridò.

Trattenendo il fiato, ci lanciammo attraverso il fumo.

****

«Cos'è questo rumore?» gridò Angie, guardandosi intorno nella classe deserta.

Una sirena assordante era partita improvvisamente a tutto spiano, talmente assordante che la ragazza fu ben presto costretta a tapparsi le orecchie. Sopra le loro teste, una spia rossa lampeggiava ad intermittenza da un pannello sul soffitto, ma non aveva idea di cosa significasse. Un grumo d'ansia le si insinuò nel petto e fu colpita da un pensiero: che fosse l'allarme antincendio?

Abbassò lo sguardo su Night e l'espressione del ragazzo parve confermare i suoi sospetti, oltre che renderla ancora più inquieta. Il ragazzo, infatti, era inorridito e fissava pietrificato la spia rossa come se si aspettasse di vederla esplodere da un momento all'altro.

«Cazzo» stava dicendo lui, così piano che Angie riuscì a capirlo solo leggendogli il labiale. «Non posso crederci...»

«A CHE COSA NON PUOI CREDERE?» urlò lei, confusa e spaventata, avvicinandosi alla cattedra, dalla quale il ragazzo era appena sceso con un balzo.

Se si trattava davvero dell'allarme antincendio dovevano uscire, e alla svelta.

Night la fissò. I suoi occhi erano enormi per la paura. «Henry.»

«CHE COSA?!» Angie boccheggiò. «MA NON ERA IN MANICOMIO?»

«Hai detto bene» fece Night, correndo verso la finestra. «Era

Angie si affrettò a seguirlo, il cuore che le martellava nel petto, stordita dalla sirena. Che cosa diavolo significava?

«Un po' di tempo fa ho letto che è riuscito ad evadere.» Night parlava dandole le spalle, mentre faceva scorrere orizzontalmente la finestra, in modo da aprire uno spiraglio. «Sono sicuro che è stato lui ad uccidere Kyle.»

Si bloccò e si voltò verso Angie, che lo fissava a bocca aperta, sconvolta dalle parole di lui. Quel rumore insopportabile le impediva di concentrarsi, eppure, si scoprì a pensare Angie, l'ipotesi di Night aveva perfettamente senso: i giornali dicevano che Kyle era stato assassinato e, se Henry era fuggito dall'istituto psichiatrico in cui la madre lo aveva rinchiuso ed era davvero disturbato... il campione di basket poteva non averlo torturato nelle docce, ma era stato comunque il suo aguzzino per anni.

«Io non...» Night si interruppe bruscamente. Il suo volto era distorto in una smorfia e, abbassando gli occhi, Angie vide che le mani gli tremavano febbrilmente. «Dovevo immaginarlo. Dovevo immaginare che, dopo Kyle, sarebbe venuto qui in cerca di vendetta.»

Angie fissò quel ragazzo sconvolto dal terrore e in un lampo comprese quello che gli stava passando per la testa. Capì che Night credeva che Henry fosse venuto lì per lui.

«Dobbiamo uscire da qui.» Night si issò sulla finestra e si calò giù, voltandosi poi verso di lei come per assicurarsi che lei lo stesse seguendo.

«Io...» Angie esitò, le dita che artigliavano la finestra, la sirena che le esplodeva nelle orecchie. «Forse dovremmo raggiungere il resto della scuola, riunirci ad un punto d'incontro, o che so io. E se fosse armato?»

Aveva pensato a quell'eventualità quando Night aveva menzionato l'omicidio di Kyle, ma esprimerla ad alta voce la fece sembrare dolorosamente reale. Il cuore di Angie prese a battere all'impazzata.

«Forse è più sicuro rimanere a scuola. Dopotutto l'edificio è in muratura, no?»

Ad accogliere le parole di Angie fu uno scricchiolio sinistro, così forte da coprire per un attimo la sirena antincendio.

I ragazzi si voltarono all'unisono in direzione del rumore, giusto in tempo per scorgere uno degli enormi abeti del giardino baluginare di rosso e caracollare di lato come se stesse perdendo i sensi. Col fiato sospeso, Angie e Night lo osservarono accasciarsi fra gli altri alberi in una pioggia di aghi e rami spezzati e abbattersi con lentezza inesorabile sull'edificio, schiantandosi contro l'ala opposta a quella dove si trovavano loro. Là dovevano trovarsi i dormitori, pensò confusamente Angie.

Come in un sogno, la ragazza vide che i rami dell'albero, che avevano distrutto colonne e vetrate al loro passaggio, erano avvolti dalla fiamme.

«Oh merda» mormorò, incapace di distogliere lo sguardo.

In lontananza, delle urla terrorizzate si sovrapposero per un attimo alla sirena antincendio che risuonava in tutta la scuola.

«L'edificio sarà anche in muratura, ma dimentichi la fottuta pineta che circonda questo posto!» sibilò Night, lanciandole un'occhiata spazientita. «Che stai aspettando?!»

Come risvegliatasi bruscamente da un sogno, Angie si issò in piedi sulla finestra e saltò giù. Quando i suoi piedi toccarono terra, tremava così tanto che per un attimo credette che sarebbe caduta lunga distesa sul prato.

«Andiamo!» la incalzò Night, afferrandola per un braccio e iniziando a correre.

Intontita, Angie si sentiva incapace di muovere un passo dietro l'altro e incespicò più volte nell'erba. Si lasciò trascinare da Night mentre, intorno a loro, una spessa cortina di fumo iniziava a levarsi dalla pineta. La puzza di bruciato le si insinuò nelle narici e ben presto le iniziarono a lacrimare gli occhi, tanto che la visione della schiena di Night, di fronte a lei, si fece sempre più appannata.

Eppure continuò a correre, sempre più veloce, avvertendo come amplificate le sensazioni che stava provando dentro di sé per via dell'adrenalina: le lacrime date dal fumo, il raschio alla gola e il cuore che le martellava nel petto. Sensazioni che percepiva perché era viva e forse non lo sarebbe stata per molto, se fosse rimasta bloccata tra le mura di quell'edificio.

Riprese a muoversi con più energia, affiancando e poi superando Night, che le lanciò una breve occhiata, come rincuoratosi del fatto che fosse tornata in sé, ed insieme attraversarono il giardino in direzione del cancello d'ingresso.

Mentre si avvicinavano, Angie si rese conto che lei e Night non erano stati i soli a reagire così tempestivamente alla sirena. Il vialetto di fronte al cancello, infatti, era gremito di studenti, probabilmente coloro che si erano attardati in giardino anziché recarsi in mensa per la cena. Davanti a tutti loro, c'era una custode che tremava tutta, mentre armeggiava con chiave e serratura per aprire il cancello.

Entrambi con il fiatone, Angie e Night rallentarono il passo e si unirono a loro. La ragazza prese a guardarsi freneticamente intorno, alla ricerca di qualche volto familiare, ma non riconobbe nessuno. Si ricordò che le sue amiche erano in presidenza e con un groppo alla gola tornò a guardare l'edificio.

L'albero infuocato che era caduto sulla scuola era di modeste dimensioni e non sembrava aver provocato gravi danni all'edificio, limitandosi a rovinare le colonne e l'intonaco esterno. Ma, al di là della facciata di muratura, gli interni erano tutti in legno: le tavole e le sedie delle classi, i letti e i comodini dei dormitori, la biblioteca, nonché tutti i corridoi e i pavimenti, compresi il parquet della palestra. Se l'incendio si fosse propagato all'interno, sarebbe stato il caos.

E, senza riuscire a staccare gli occhi dall'albero che si era abbattuto sulla scuola, Angie realizzò che era proprio quello che era successo: l'albero era sì piccolo, ma era completamente avvolto dalle fiamme e aveva fatto da miccia. Con un crescente senso di nausea, Angie vide dei bagliori rossi baluginare all'interno delle stanze sulle quali l'abete si era abbattuto, da dietro i vetri rotti delle finestre.

Si riscosse quando sentì Night afferrarla per il polso e, voltandosi, Angie vide che la bidella era finalmente riuscita ad aprire il cancello e i ragazzi si stavano riversando all'esterno come formiche.

La ragazza si affrettò a seguire Night e gli altri al di là del cancello, con il senso di colpa che le cresceva nel petto per starsi allontanando sempre di più dalle sue amiche. La custode, infatti, li stava facendo costeggiare l'inferriata, e sembrava intenzionata a condurli in un parcheggio in lontananza.

Angie notò che una folla di curiosi si era fermata sul marciapiede ad osservare la scena: vedendo quel che stava succedendo alla scuola, presero a vociare tutti insieme e, malgrado le loro frasi sconnesse, la ragazza capì che stavano chiamando il 999.

Angie rivolse un'altra occhiata alla scuola, dalla quale il fumo si innalzava sempre più consistente e, quando il peso della colpa divenne insopportabile, puntò i piedi per terra e obbligò Night a fermarsi.

«Le ragazze!» gridò con voce rotta. «Le ragazze sono ancora là dentro!»

Night si voltò a guardarla, spintonato da ogni parte dai ragazzi che correvano terrorizzati in direzione del parcheggio. Nei suoi occhi Angie lesse un misto irritazione e comprensione, in uno sguardo che la scrutò e le fece perdere un po' di presa sul terreno in cui aveva puntato i piedi.

«Angie» mormorò. Il suo tono era stranamente paziente. «Metà scuola è lì dentro.»

Angie lo ignorò, continuando a fissare la scuola con aria disperata. Si liberò con uno strattone dalla stretta del ragazzo, ma l'attimo dopo lui l'aveva riacciuffata per il polso.

«Lasciami andare!»

«Da sola non puoi fare nulla, rischi solo di metterti in pericolo. Dobbiamo aspettare qui.»

Angie deglutì e odiò ammettere a se stessa che, probabilmente per la prima volta in tutta la sua vita, Night poteva anche avere ragione. Se anche fosse riuscita a tornare dentro la scuola, non avrebbe saputo come muoversi. Forse a quell'ora le ragazze erano uscite dalla presidenza, forse si stavano dirigendo verso l'uscita in quell'esatto momento. Quel pensiero le gonfiò il cuore di speranza.

Si rassegnò a seguire Night verso il parcheggio ma, quando si voltò per lanciare un'ultima occhiata da lontano alla scuola, Angie notò un'altra cosa. L'abete che era stato abbattuto sulla scuola non era l'unico in fiamme: era il solo il cui tronco era stato tagliato così che potesse cadere ma, da quella distanza, poteva vedere chiaramente che tutti gli alberi della pineta che circondava la scuola erano stati dati alle fiamme, in un anello di fuoco che non avrebbe lasciato scampo a chi fosse rimasto là dentro.

«Una trappola mortale.»

Angie trasalì e si voltò a guardare Night, anch'egli intento a guardare la scuola, lo sguardo privo di qualsiasi emozione.

«Henry ha pensato proprio a tutto.»

****

Gérard ci lasciò andare solo quando fummo riemersi dalla coltre di fumo, dopo quella che mi parve un'eternità. Arianna ed io quasi crollammo a terra, riprendendo fiato come se fossimo appena tornate in superficie dopo una gara di apnea, ma l'attimo dopo avevamo già ripreso a correre dietro al custode, che puntava con sicurezza la fine del corridoio.

Mi aspettavo da un momento all'altro di trovarmi davanti il familiare sgabuzzino e i bagni, ma Gérard doveva averci condotti molto più avanti e non avevo idea della zona della scuola in cui ci trovassimo. In ogni caso, Gérard era un bidello e sembrava conoscere quel posto a menadito, mentre ci guidava verso i corridoi, e seguirlo mi parve l'unica cosa sensata da fare.

Quando svoltammo a destra, mi voltai un attimo verso il corridoio che ci eravamo lasciati alle spalle e, nel farlo, il mio cuore perse un battito. Non avevo fatto che guardare dritto davanti a me tutto il tempo, verso la salvezza, e così non me n'ero neanche resa conto.

«Gérard...» mormorai, ma la voce mi si strozzò in gola e il custode non riuscì a udirmi per via della sirena, mentre proseguiva correndo lungo il nuovo corridoio, seguito a ruota da Arianna.

«GÉRARD!» urlai allora, afferrandolo per un braccio.

Lui si voltò verso di me, confuso, ma gli bastò un'occhiata alle mie spalle per capire.

«Il biondino» mormorò, lo sguardo fisso su un punto dietro di me, sul muro di fumo che ci eravamo appena lasciati alle spalle.

Le lacrime mi pizzicavano le palpebre. «L-lui...» balbettai, il corpo in preda agli spasmi. «Lui dev'essere rimasto indietro...»

Il volto di Gérard era una maschera di impassibilità.

«Calmati» disse, ed esitò un momento prima di poggiarmi una mano sulla spalla e stringere, come se volesse conficcarmi quelle parole nella pelle. «Ci penso io.»

Come in trance, lo osservai proseguire avanti ancora per qualche metro ed ero sul punto di urlargli contro – che cavolo stava facendo? Brook era dalla parte opposta! – quando capii che cos'aveva intenzione di fare.

A lato del corridoio c'era un estintore: Gérard si affrettò ad infrangere il vetro con il martelletto e lo tirò fuori, per poi tornare correndo verso di noi.

«Conoscete la strada da qui in poi. Dritto lungo tutto il corridoio e poi a destra. Gli altri dovrebbero essere lì. A regola, l'atrio è uno dei punti di raccolta in caso di incendio.» Gérard si bloccò e, dopo un attimo, aggiunse: «Fate attenzione quando uscite.»

«Faccia attenzione anche lei!» gridò Arianna, mentre il bidello brandiva l'estintore e si avventurava nuovamente in mezzo al fumo.

Brook era ancora là dentro. Eppure mi aveva seguito fuori dall'ufficio, lo avevo visto con i miei occhi... Forse il fumo gli aveva fatto perdere l'orientamento. Perché diavolo non gli avevo teso la mano?

Arianna mi strattonò per un braccio, riportandomi bruscamente alla realtà.

«Kia, che stai facendo? Sbrigati!» berciò, mettendosi a correre.

I miei piedi si mossero da soli e in un attimo ero dietro di lei, attraversando di filata il corridoio, con i polmoni che sembravano scoppiarmi nel petto e la testa che era rimasta in quella coltre di fumo, insieme a Brook e Gérard.

Eppure corsi.

Non ero una fanatica dello sport e mai lo sarei stata, ma quella volta corsi, eccome se corsi. Ero così spaventata da non sentire neanche la fatica e il corpo mi sembrava straordinariamente leggero, con i piedi che volavano lungo il corridoio.

Adesso, come Gérard ci aveva detto, sapevo dove ci trovavamo. Quante volte lo avevo percorso, quel corridoio. Nell'angolo, sulla sinistra, sapevo che c'era la nostra classe, ma in quel momento mi parve un luogo del tutto nuovo e sconosciuto. Nella mia mente c'era spazio solo per l'esile figura di Arianna davanti a me e, appena un po' più in là, per Brook e per Gérard, tornato indietro per salvarlo. Pregai silenziosamente che ce la facessero.

Quando infine svoltammo a destra e ci apparve davanti la familiare struttura dell'atrio, tirammo un sospiro di sollievo. Rallentammo istintivamente il passo, vedendolo gremito di studenti, che professori e custodi stavano mettendo in fila indiana prima di farli uscire dal portone d'ingresso. Per una volta, i ragazzi stavano obbedendo senza fare storie ai loro ordini e stavano rigidi e impettiti come soldatini, le loro espressioni tese per la paura.

«Ehi, voi!»

Una custode ci venne incontro correndo, spaventata al pari degli studenti. Urlava così forte che la sentimmo chiaramente, malgrado la sirena antincendio.

«Che state facendo lì? Sbrigatevi a mettervi in fila!»

Arianna ed io ci scambiammo un'occhiata, prima di affrettarci a fare come ci era stato detto.

Non eravamo ancora in salvo.

Se non altro, però, non eravamo più sole.

 

Non alzai mai lo sguardo per tutto il tempo.

Sapevo che il giardino era in fiamme, sapevo che il fuoco era tutt'intorno a noi e che, se non ci fossimo sbrigati, il cerchio di fuoco intorno alla scuola ci avrebbe precluso ogni via d'uscita.

La tentazione di liberarmi da quella fila, che precedeva in modo insopportabilmente lento, e di mettermi a correre lungo il giardino era fortissima, ma mi sforzai di ignorarla e rimasi al mio posto, intrappolata tra Arianna e un ragazzo grande come un armadio a due ante.

Tenni lo sguardo fisso sulle scarpe, che avanzavano incerte sull'acciottolato, il puzzo di fumo che mi mozzava il fiato e il rumore degli alberi che si accartocciavano tra le fiamme nelle orecchie sostituitosi alla sirena antincendio.

Alzai gli occhi solo quando, un'eternità e mezzo dopo, sentii Arianna darmi un colpetto sulla spalla, che mi ricordò quello di Gérard e mi provocò un'improvvisa ondata di nausea. Era riuscito a trovare Brook? Ce l'avevano fatta?

«Siamo fuori» mi disse lei, il sollievo che emergeva dalla voce e tradiva il suo tono monocorde.

Era vero. Dopo aver sollevato appena il capo, mi accorsi con aria trasognata che ci avevano condotti in un parcheggio, a debita distanza dalla scuola. In mezzo a noi c'erano centinaia di altri ragazzi, gli occhi muti di terrore fissi sull'incendio, come se fossero spaventati a morte ma allo stesso tempo incapaci di distogliere lo sguardo su ciò che stava succedendo alla loro scuola.

I professori stavano dividendo i ragazzi per classe e, come in un sogno, intravidi la nostra, in un angolo del parcheggio, con il professor Anderson che girava tra gli alunni e teneva un foglio tra le mani, preparandosi a fare l'appello.

La fila indiana con la quale eravamo uscite dalla scuola si stava smembrando e Arianna ed io ci affrettammo a raggiungere la nostra classe, le gambe che minacciavano di farmi cadere sull'asfalto da un momento all'altro.

Mentre ci avvicinavamo al capannello di ragazzi, riconobbi tra loro un volto molto familiare e sentii il macigno che avevo nel petto farsi un po' più leggero.

«ANGIE!» gridai, accelerando il passo.

La ragazza si voltò di scatto nella nostra direzione, gli occhi traboccanti di sollievo. Corse verso di noi e si lanciò tra le mie braccia, stringendomi in un abbraccio così forte da risultare quasi doloroso.

«Ero così preoccupata!» mormorò, quando infine si staccò da me. «Anche per te, Arianna» aggiunse con un filo di voce e, dopo un attimo di esitazione, strinse anche la ragazza in un abbraccio tritura-ossa.

Fu un vero miracolo se la fragile ragazza ne uscì tutta intera, anche se notai con la coda dell'occhio che ansimava parecchio per riprendere fiato.

«Dov'eri?» le chiesi a bruciapelo. Vidi che Night era poco lontano da lei, attorniato dagli altri ragazzi, ma non la perdeva d'occhio un istante. «Mi hai fatto così spaventare... »

Angie seguii il mio sguardo e parve capire il vero senso di quella domanda. «È una lunga storia... alla fine non siamo riusciti a raggiungervi in presidenza.»

Chinò un momento il capo e, quando incrociò di nuovo i nostri sguardi, ogni traccia di gioia era svanita dai suoi occhi.

«Henry è ancora vivo» disse con voce incrinata. «È stato lui ad appiccare l'incendio.»

Arianna annuì. «Ce l'ha detto Gérard» mormorò, mordendosi il labbro.

Il pensiero del bidello mi riportò a Brook e lanciai un'occhiata disperata alla scuola.

«Sappiamo anche che Night ha confessato unicamente per proteggere Kyle, anche se non sappiamo il perché» proseguì Arianna, aggrottando le sopracciglia.

«Già...» rispose Angie, in tono evasivo. «Sembra che... be', ecco, che i due fossero molto legati.»

Arianna sembrava sul punto di aggiungere qualcosa, ma in quel momento una voce s'inserì nella conversazione.

«Arianna!»

D'istinto pensai che fosse Beth, ma quella profonda voce maschile non poteva certo appartenere a lei. Voltandomi, infatti, vidi che si trattava di Lucas: il ragazzo biondo si stava facendo avanti tra i nostri compagni, il volto teso dalla preoccupazione e gli occhi fissi sulla mia amica. Udendo la sua voce, lei si era illuminata in viso e aveva sorriso. Un sorriso tremolante, come se stesse cercando in ogni modo di non mettersi a piangere.

«Lucas» mormorò con voce incrinata, lasciando che il ragazzo la stringesse fra le braccia.

«Beth è con te?» domandai ad Angie, guardandomi intorno tra i ragazzi della classe, un po' inquieta.

Mi ero aspettata di vederla spuntare subito tra la folla, al pari – o al posto – di Lucas e temevo la reazione che la mia amica avrebbe avuto di fronte all'incendio.

Angie corrugò la fronte. «No» rispose e, dopo un attimo, aggiunse: «Non era con voi in presidenza? A proposito, Draco dov'è?»

«Brook è rimasto indietro» mormorò Arianna, abbassando gli occhi e facendosi più vicino a Lucas. «Gérard è tornato dentro per salvarlo.»

«Ragazze, Beth non c'è» dissi, l'ansia che cresceva nel petto.

Dove diamine si era cacciata? Dopo tutto quello che le era successo, Beth non avrebbe mai potuto far fronte al fuoco da sola!

«Doveva vedersi con John» mi ricordò Arianna.

«Giusto» dissi precipitosamente, osservando le altre classi finché non individuai la sagoma del familiare ragazzo moro, tra gli studenti della sezione A, con la custodia della chitarra sulla spalla.

Incurante dell'appello che il professor Anderson stava facendo proprio in quel momento, mi precipitai da lui, ignorando deliberatamente il fatto che, almeno ad una prima occhiata, Beth non sembrasse essere con lui.

No. Non può essere rimasta là dentro da sola.

«JOHN!» gridai con tutto il fiato che avevo in corpo.

Il ragazzo si voltò verso di me, la solita aria indifferente stampata sul volto. «Che c'è?»

«Beth è con te?»

L'espressione sul volto di John cambiò repentinamente.

«No» rispose in un soffio. «Perché?»

Il cuore aveva preso a battermi all'impazzata nel petto. «Non la troviamo. L'ultima volta che l'abbiamo vista ha detto che doveva incontrarti nella pineta.»

Lo sguardo che John mi rivolse era così serio che sentii lo stomaco sprofondarmi nelle scarpe. Dov'era la mia amica?

«Sì, è venuta» rispose, corrugando la fronte. La sua voce tremava impercettibilmente. «Ma non è rimasta molto, ha detto che doveva andare via.»

«Sì, doveva raggiungerci in presidenza. Ma non è mai arrivata.»

«Ah, no?» John sgranò gli occhi, come se si fosse improvvisamente ricordato di qualcosa di cruciale. «Ecco, mentre si allontanava l'ho vista finire contro un tizio che le ha rovesciato un caffè addosso. Forse è andata in camera a cambiarsi.»

Lo sguardo di John si fece esitante per un attimo, come se avesse formulato d'istinto un pensiero e poi lo avesse scacciato altrettanto velocemente. Capii che avevamo pensato alla stessa cosa.

«Credi che sia sempre in camera?»

«Non credo» risposi. «Ne sono certa.»

Feci per voltargli le spalle, andare dal professor Anderson, avvertirlo, fare qualsiasi cosa per portare Beth al sicuro, ma John mi afferrò per una spalla e mi impedì di proseguire.

«Sei sicura che non abbia raggiunto gli altri al punto d'incontro?» mi chiese tutto d'un fiato. «Non credo sia rimasto nessuno nei dormitori.»

«Lei sì» ribattei testardamente.

Avrei potuto metterci la mano sul fuoco, letteralmente. Conoscevo la mia amica come le mie tasche, le sue debolezze e la sua fragilità. Sapevo quali orribili ricordi il fuoco avrebbe scatenato in lei e come avrebbe reagito ad essi.

«Si è fatta prendere dal panico ed è rimasta lì, lo so.»

Quando ricambiai lo sguardo di John, capii che mi credeva. Non lo avevo mai visto in quel modo e l'espressione spaventata che aveva dipinta sul volto, con gli occhi sgranati per la paura, non faceva che attanagliarmi ancor più lo stomaco.

«Vado ad avvertire il professor Anderson» dissi con voce strozzata, ma lui non aveva ancora finito.

Mi afferrò per le spalle e si chinò su di me, guardandomi fisso negli occhi con una serietà tale da farmi tremare le gambe.

«Kia» mormorò molto lentamente. «Ne sei certa?»

«Sì» risposi, ma me ne pentii l'attimo dopo.

John, infatti, aveva preso a sfilarsi la custodia dalla spalla e un sospetto fece capolino in un angolo della mia testa. Quel pazzo patentato non aveva mica intenzione di...?

Invece sì.

Kia, idiota che non sei altro!

Senza che riuscissi a fermarlo, John mi lasciò la chitarra e si mise a correre in direzione della scuola.

 

Night osservava la scuola bruciare con un nodo allo stomaco.

Oh, aveva sognato infinite volte di darle fuoco lui stesso, di vedere quel posto in cui era rinchiuso da anni scomparire tra le fiamme, ma non certo in quel modo.

Vedeva i ragazzi terrorizzati intorno a lui, percepiva la loro paura; sentiva i professori fare l'appello e mutare espressione quando qualcuno non rispondeva al proprio nome, per poi lanciare un rapido sguardo alla scuola con gli occhi pieni di dolore.

Quando i membri della sua banda, vedendolo così incupito, gli scoccarono delle occhiate preoccupate, Night si sentì ancora peggio. I suoi ragazzi erano in pensiero per lui, del tutto ignari del fatto che fosse a causa sua se degli studenti stavano morendo, là dentro.

Trasalì di colpo quando udì delle sirene e pensò di stare impazzendo, visto che nel parcheggio l'allarme antincendio della scuola non li aveva raggiunti. Voltandosi, però, vide che erano arrivati i pompieri, i quali si piazzarono proprio di fronte all'ingresso della scuola. Night si augurò che potessero fare qualcosa per aiutare i ragazzi rimasti dentro.

Quell'apparizione gli diede un po' di sollievo, ma non contribuì ad alleviare il suo senso di nausea. Gli veniva da vomitare alla sola idea che Henry fosse lì per lui. Il pensiero di ciò che gli aveva fatto passare negli anni in quel momento faceva più male del solito: lui, infatti, non era mai riuscito ad andare oltre quei ricordi.

Night sapeva che gli altri avevano superato quella questione da un pezzo e Kyle, d'altronde, ne era la prova. Forse non si ricordava neppure più di lui, tantomeno di Henry. Forse il poverino era il soggetto di qualche suo incubo, ma l'espressione spensierata che aveva sul volto quando lo fotografavano per qualche articolo non era certo la faccia tormentata di chi non poteva sopportare il fatto di aver aizzato la propria gang contro un ragazzino un po' strambo.

Lo stesso valeva per il resto della banda. Gli altri dovevano aver imparato a convivere con il peso di ciò che avevano fatto e, se non era così, ci avrebbe pensato il tempo a lenire i loro sensi di colpa. Dopotutto si erano diplomati da un pezzo, andavano all'università, avevano le loro distrazioni, le loro vite.

Lui invece no. Lui era rimasto intrappolato là dentro, costretto a dover guardare in faccia la realtà di ciò che aveva fatto ogni fottutissimo giorno.

Tutte le mattine attraversava i corridoi dove la sua banda aveva spintonato Henry, lo aveva picchiato, gli aveva strappato i quaderni o i vestiti.

Tutte le mattine passava di fronte alle docce dove le sue urla gli avevano fatto accapponare la pelle, quelle stesse urla che continuavano a disturbargli il sonno.

Vedendo la scuola bruciare, Night si rese conto che per Henry doveva essere lo stesso. Rinchiuso in manicomio dalla madre, doveva aver rivissuto quegli orribili momenti all'infinito, prima di poter finalmente mettere in atto la sua vendetta. Capì che, proprio come lui, anche Henry era rimasto fermo al giorno dell'incidente nelle docce.

Forse erano più simili di quanto sarebbe stato mai disposto ad ammettere.

Forse fu per quello che fu l'unico che lo notò.

Nessuno degli studenti della scuola, dopotutto, poteva sapere chi fosse. Quanto alla preside, era subito accorsa ad aiutare i pompieri, probabilmente per assicurarsi che riuscissero a mettere in salvo gli ultimi studenti ma che lasciassero scomparire nelle fiamme le prove degli esperimenti a cui li aveva sottoposti negli anni.

Night, invece, lo vide, perfettamente mimetizzato tra i curiosi che si erano radunati poco lontano dal parcheggio, tutti con gli occhi fissi sulla scuola che bruciava in un misto di stupore e paura.

Tutti tranne Henry.

Lo sguardo di Henry, sebbene seminascosto dal cappuccio della felpa che si era calato sul capo, infatti, non era né curioso né impaurito. Era fiero. Godeva di quel che aveva fatto, come un regista che osserva con aria soddisfatta la prima del suo film. Night avrebbe potuto descrivere in una parola il sorriso soddisfatto che Henry aveva sul volto: folle.

I suoi piedi si mossero istintivamente verso di lui, ignorando il professor Anderson prima e i custodi dopo, quando gli intimarono di tornare indietro. Non aveva mai ascoltato una parola di quel che dicevano gli insegnanti in quella scuola, e non avrebbe certo iniziato a farlo adesso.

Man mano che si faceva vicino ad Henry e vedeva il sorriso allucinato del ragazzo farsi sempre più largo, la rabbia di Night montava. Era lecito che ce l'avesse con lui, come con Kyle. Era il minimo, dopo gli orrori che gli avevano fatto passare. Ma perché non ammazzare lui e basta, allora? Perché far morire degli studenti che in quella storia non c'entravano assolutamente niente?

Maledetto.

«HENRY!» tuonò, serrando i pugni.

Intuendo la minaccia nella sua voce, il capannello di persone si aprì come un'onda al suo passaggio. Henry, l'unico rimasto immobile al centro della folla, si voltò di scatto verso di lui, gli occhi enormi come quelli di un cerbiatto che si sgranavano per la sorpresa.

Se in lui era rimasto qualcosa del gracile studente che aveva preso in giro nei suoi primi anni di scuola, era appena visibile. Era sempre alto e magro come uno stecco, ma aveva la pelle pallida e smunta, che pareva appesa alla faccia per miracolo, solcata di cicatrici.

Le ustioni.

Sembrava un cadavere. Cerchiati di nero, i suoi grandi occhi inquieti, specchio degli orrori che doveva aver vissuto in manicomio, erano irriconoscibili.

«Night...?» La voce di Henry era un sussurro rauco.

I suoi occhi non stavano mai troppo fermi in un posto. Dopo aver passato in rassegna l'opera di cui era stato l'artefice, si posarono sulla strada che portava all'uscita del parcheggio. Lì rimasero per un momento di troppo, prima di tornare a fronteggiare Night, che capì in un attimo le sue intenzioni.

Quando Henry si mise a correre, Night si lanciò al suo inseguimento.

Attraversarono il parcheggio come saette, con i passanti si affrettavano a farsi di lato al loro passaggio, ma per Night non erano che ombre ai margini del campo visivo: aveva occhi solo per la schiena di Henry. Il cappuccio della felpa, sfilatosi, gli rimbalzava sulle spalle e Night intravide chiazze di cranio calvo, dove i capelli non erano ricresciuti, che lo facevano assomigliare un cucciolo spelacchiato.

Con gli occhi fissi su di lui, Night si scostò appena in tempo, un attimo prima di essere investito da un auto, che gli suonò prepotentemente il clacson. Il ragazzo evitò per un soffio altre due vetture e balzò sul marciapiede, dove Henry lo precedeva di qualche metro.

Il piromane era agile come uno stambecco, mentre correva sul marciapiede, scansando violentemente i passanti al suo passaggio, ma ben presto Night si accorse che stava perdendo terreno. Era rimasto chiuso fra quattro mura per i sei anni precedenti, dopotutto, e non poteva competere con un giocatore di pallacanestro.

Quando vide Henry cambiare di nuovo marciapiede, cercando di depistarlo, Night si lanciò in mezzo alla strada, rischiando nuovamente di essere investito. Clacson e bestemmie esplosero nelle sue orecchie, ma il ragazzo li ignorò.

Mentre correva, il paesaggio gli scorreva rapidissimo ai lati degli occhi e Night si rese conto che si erano allontanati parecchio dalla scuola, perché di colpo ai lati della strada non c'erano più prefabbricati, ma le sponde del fiume Aln. Dovevano trovarsi sul ponte, a giudicare anche dai numerosi turisti che affollavano i marciapiedi.

Night sapeva che quella scena non stava passando inosservata ai loro occhi, vista anche l'espressione truce sul suo volto e quella terrorizzata di Henry, mentre si voltava continuamente indietro per controllarlo. Ma si girò una volta di troppo: mentre correva col capo rivolto in direzione di Night, Henry investì in pieno un anziano signore che stava passeggiando, facendolo cadere e ruzzolando a terra insieme a lui.

Night lo raggiunse correndo e lo afferrò per il cappuccio, impedendogli di sgattaiolare via di nuovo.

«CHE CAZZO CREDI DI FARE, EH?»

Night lo spinse contro il parapetto, bloccandogli qualsiasi possibilità di movimento, e dovette fare appello a tutto se stesso per non scaraventarlo giù nel fiume.

Fece un respiro profondo, prima di incrociare lo sguardo spaventato di Henry. Quegli occhi gli ricordarono in un lampo ciò che lui aveva fatto e gli fecero lo stesso effetto di un calcio nello stomaco.

Sospirando, Night allentò la presa sul ragazzo, che continuava ad ansimare come un animale ferito.

«Come hai potuto...» Night si bloccò, scuotendo la testa. «Come hai potuto farlo?»

Henry si limitava a fissarlo, ansimante, immobile e spaventato. Era come una bambola di pezza fra le sua braccia e Night si chiese come una figura apparentemente così fragile e innocua potesse essere il responsabile di quell'incendio.

«Perché non hai ucciso me?» domandò. Il suo tono era quasi implorante, anche se sapeva che Henry – o quel che rimaneva di lui – non gli avrebbe dato risposta.

Si allontanò un po' dal ragazzo per lasciargli modo di respirare, sempre tenendolo saldamente per le spalle.

«Tutto quel fuoco, per cosa? Degli innocenti stanno morendo, mentre io sono sempre qui.»

«Il fuoco?»

Henry si riscosse di colpo e i suoi occhi si illuminarono, come se Night avesse detto una parolina magica. Sotto il suo sguardo attonito, il ragazzo scosse la testa.

«Il fuoco era per la mamma» disse socchiudendo gli occhi, l'aria terribilmente seria. «Tu e Kyle non vi meritate certo il fuoco.»

Poi tirò fuori dalla tasca il coltello a serramanico.

****

Beth aveva visto l'incendio dalla finestra.

Malgrado lo shock provocato dalla notizia che aveva letto sul giornale, in cui si diceva che Henry Jefferson non era affatto defunto, bensì un ricercato fuggito da un manicomio, aveva subito capito che c'era qualcosa che non andava. Quella sirena antincendio non poteva significare niente di buono. Così si era alzata, ignorando l'improvviso giramento alla testa dato da quella scoperta, e si era diretta barcollando alla finestra.

E lì le aveva viste. Le fiamme. Quelle che le danzavano dietro le palpebre se osava chiudere gli occhi un momento di troppo. Ma non era la sua immaginazione, erano proprio lì, oltre la finestra, che avanzavano serpeggiando fra i rami degli alberi e divoravano il giardino al loro passaggio. 

Era scoppiato un incendio nella pineta della scuola.

Beth aveva artigliato il bordo della finestra con le unghie, soffocando un conato di bile. L'incendio era di fronte a lei, proprio come nei suoi peggiori incubi. Solo che stavolta era reale, e la sirena che le esplodeva nelle orecchie ne era la dolorosa conferma.

«No... no...» balbettò.

Serrò le palpebre e indietreggiò per non osservare quello spettacolo raccapricciante un minuto di più, ma urtò lo spigolo del letto e rovinò a terra, soffocando un gemito di dolore.

Nel tentativo di zittire l'allarme, Beth si tappò le orecchie, ma nella sua testa c'era un rumore ancora più assordante ed erano le sue urla: aveva perso la voce a forza di gridare, quand'era caduta in mezzo alle fiamme, mentre Lucy moriva accanto a lei, il sangue che si allargava intorno alla sua testa come una grottesca aureola.

Beth gattonò fino all'angolo della stanza più lontano dalla finestra, quello tra la parete del bagno e l'armadio di fianco al letto di Angie, e vi si rannicchiò, portandosi le braccia intorno alle ginocchia e dondolandosi avanti e indietro, il corpo scosso dai singhiozzi.

L'incendio l'aveva raggiunta di nuovo. Era tutta colpa sua, quella volta, quando aveva tanto insistito a voler fare quella maledetta passeggiata. 

Povera Lucy. Ci provava, lei, a ricordarla viva, con la sua risata argentina, il suo sorriso contagioso, la ventata d'aria fresca che aveva portato nella sua vita, ma le immagini di morte finivano sempre per prendere il sopravvento. Ricordi marchiati a fuoco nella sua testa, che le scorrevano davanti contro la sua volontà. I suoi occhi aperti ma privi di vita, quando Kia aveva fatto per voltarle il capo, ma aveva visto la sua testa piegarsi in un angolo innaturale come quello di una bambola, e tutto il sangue intorno. E intanto Beth gridava e gridava, mentre le fiamme la divoravano.

Raggomitolata nell'angolo della stanza, Beth gridò come quel pomeriggio che non avrebbe mai dimenticato, ma l'allarme era troppo forte perché qualcuno potesse udirla.

Una parte di lei sapeva che era un'idiozia rimanere lì, che doveva uscire in corridoio, dove era sicura si stessero già radunando gli studenti che si trovavano nei dormitori, ma non ce la faceva. Sapeva di non esserne in grado. Le gambe non la reggevano, la testa le scoppiava e poteva sentire il sapore acido della bile in bocca, insieme alle lacrime che stava inghiottendo fra i singhiozzi.

Già una volta aveva affrontato il fuoco, e il solo ricordo di com'erano andate le cose era tanto doloroso da piegarla in due. Stavolta non aveva la forza di lottare.

Si nascose il volto fra le mani.

Forse, dopotutto, era meglio rimanere lì.

****

Quando Angie aveva visto Night iniziare a correre, era rimasta spiazzata. Cosa diavolo stava facendo?

Poi, però, aveva notato l'esile figura incappucciata fuggire a gambe levate da lui, la stessa che fino solo ad un attimo prima era ferma in mezzo alla folla, ad osservare la scuola che bruciava.

Aveva letto da qualche parte che ai piromani piace assistere agli incendi da loro appiccati, che dà loro un senso di perversa soddisfazione. Ed Angie era sicura che quell'individuo che aveva Night alle calcagna fosse Henry.

In quel momento, a dirla tutta, non riusciva a pensare ad altro che non fosse Beth. Lei ed Arianna si erano affrettate ad avvertire il professor Anderson dell'assenza della loro amica, mentre Kia era corsa a parlare con John ma, proprio come Night le aveva detto all'inizio, non c'era molto che loro potessero fare e quel senso di impotenza la divorava.

Il pensiero di Night, però, le aveva fatto voltare gli occhi verso la strada, contro la quale iniziava a stagliarsi il crepuscolo. I due ragazzi si erano allontanati parecchio dal parcheggio e le loro ombre disegnavano sagome scure sull'asfalto, mentre correvano zigzagando fra le auto in movimento, in direzione del ponte.

Night procedeva come una furia ed Angie fu improvvisamente colpita dal sospetto che volesse uccidere Henry. Il cuore aveva iniziato a pomparle nel petto come un tamburo, mentre teneva gli occhi fissi sulla strada: dopotutto Henry non aveva assassinato Kyle?

L'ansia aveva preso a morderle lo stomaco e, dopo aver scoccato un'occhiata al professor Anderson, che stava fissando a sua volta Night con apprensione, ma con l'aria di chi non aveva alcuna intenzione di intervenire e avrebbe lasciato che quel teppistello si scavasse la fossa con le sue stesse mani, Angie capì che se la sarebbe dovuta cavare da sola.

Così si era messa a correre, ignorando gli avvertimenti che le rimbalzavano sulla schiena: Arianna, Lucas, Shadow, il resto dei suoi compagni di classe, così come il professor Anderson e le custodi, che le gridavano di tornare indietro.

Uscì correndo dal parcheggio e proseguì a tutta velocità lungo il marciapiede, in direzione dello scenografico ponte costruito sopra il fiume Aln, in quel momento affollato di vetture e pedoni.

Angie sfrecciò tra i passanti, con il cuore che le martellava nelle orecchie, peraltro senza riuscire a vedere il suo obbiettivo. Eppure era sicura che si fossero diretti sul ponte!

Improvvisamente si trovò davanti un muro di persone, così consistente che alcune stavano anche affollando la strada, suscitando l'ira degli automobilisti. Con uno sbuffo d'impazienza, Angie fu costretta a rallentare.

Spintonò senza troppo garbo i passanti che si erano assiepati sul marciapiede per riuscire a passare ma, quando fu finalmente riuscita ad emergere da quella marea umana, capì perché si erano tutti radunati lì.

Night ed Henry erano davanti a loro, uno di fronte all'altro, immobili contro il parapetto. 

La folla li osservava trattenendo il fiato, senza avere il coraggio, o forse l'intenzione, di intervenire.

Mentre si fronteggiavano, pronunciando parole che da lì Angie non riusciva a sentire, la ragazza lo aveva visto, rapido ma inconfondibile: il baluginio argenteo di un coltello nelle mani di Henry.

«Oddio, è armato!» urlò qualcuno nella folla.

«Chiamate la polizia!»

Sotto gli occhi atterriti di Angie, i due intanto avevano ingaggiato una furiosa lotta contro il parapetto, in un intrico di corpi tra i quali di tanto in tanto s'intravedeva lo scintillio dell'acciaio.

Angie aveva la gola secca e lì per lì rimase di sasso, ma si riscosse in fretta. Doveva intervenire. Ricacciando la paura in fondo al petto, Angie si diresse verso di loro, strattonandosi per liberarsi quando qualcuno cercò di trattenerla per un braccio e di impedirle di avvicinarsi. Procedeva piano, trascinando a forza i piedi sull'asfalto, perché temeva che, se Night l'avesse vista, si sarebbe distratto ed Henry ne avrebbe approfittato. Oltretutto, Angie non poteva prevedere la reazione del piromane se una terza persona si fosse unita allo scontro.

Con un colpo di reni, nel frattempo, Night aveva ribaltato le loro posizioni. Adesso c'era lui contro il parapetto, mentre lottava per tenere Henry e il suo coltello lontani da sé, con l'esile ragazzo che si agitava convulsamente nel tentativo di colpirlo.

Angie aveva il cuore in gola e si era di nuovo bloccata, con le gambe molli. Che Night avesse intenzione di gettarsi nel fiume? Era molto più forte di Henry, ma il ragazzo si dimenava come un animale e il suo coltello era già andato a segno più volte, aprendogli dei tagli superficiali sul petto e sulle braccia.

Vedendo Night sanguinare e trattenere un gemito di dolore, Angie non ci vide più. In barba all'avvicinamento di soppiatto, scattò in avanti in direzione dei due ragazzi, incurante delle macchine che sfrecciavano da un lato e dall'altro.

Fu proprio in quel momento che successe.

Abbandonando la propria posizione di difesa e lasciando che Henry si accanisse contro il suo torace, Night riuscì a puntellarsi contro il parapetto e a dare uno spintone al ragazzo, che venne catapultato all'indietro, verso la strada.

Henry perse l'equilibrio e barcollò mulinando le braccia, un'espressione di muta sorpresa comparsagli sul volto. Era ancora sospeso in aria quando Angie realizzò con orrore ciò che sarebbe successo, ma era troppo lontana per intervenire. Non poté fare altro che coprirsi la bocca con le mani, incapace di distogliere lo sguardo da quella scena.

Anche Night parve infine accorgersi delle conseguenze della spinta che aveva dato ad Henry e scattò in avanti per afferrargli la mano, ma era troppo tardi per salvarlo. Così come, per la macchina che in quel momento stava attraversando il ponte a cento all'ora, era troppo tardi per rallentare.

Henry crollò sull'asfalto nel preciso istante in cui l'auto stava passando e venne travolto con un orribile scrocchio che schizzò di sangue Night, il paraurti della macchina e la strada.

Angie udì qualcuno gridare nella folla, qualcun altro vomitare sull'asfalto, ma forse se li era solo immaginati.

Era rimasta pietrificata, così come i passanti che stavano arrivando dal ponte nella direzione opposta e le macchine tutt'intorno, che inchiodarono in mezzo alla strada non appena videro cos'era successo.

Dall'auto che aveva colpito Henry uscì barcollando un uomo dall'aria visibilmente scossa. Angie osservò senza vederli davvero Night e il guidatore chinarsi sul corpo di Henry e probabilmente accertarsi che il piromane era morto sul colpo, visto che non si era più mosso dopo la fatale colluttazione.

Quando Night si tirò su, Angie vide che tremava tutto, con il corpo e le mani coperte del sangue di Henry. Indietreggiò, gli occhi fissi sull'incidente, con l'aria scossa di chi sembrava voler negare a se stesso quello che era appena successo.

Angie percepì le sue gambe muoversi nella sua direzione. Quando Night alzò gli occhi e la vide, sembrò sul punto di dire qualcosa, ma tutto quello che gli uscì di bocca fu un verso strozzato.

La ragazza deglutì, cercando di non guardare il sangue che gocciolava dalle mani di Night e che scorreva a rivoli sull'asfalto, il corpo senza vita di Henry straziato dalle ruote.

Con gli occhi fissi in quelli del ragazzo, gli si fece sempre più vicina, finché non lo ebbe stretto fra le braccia. Nessuno dei due disse una parola. Night si abbandonò contro di lei ed Angie lo udì singhiozzare, come se fino ad allora si fosse sforzato di non crollare, ma adesso non riuscisse più a trattenersi.

****

John non aveva avuto un solo attimo di esitazione.

Era un azzardo e lo sapeva, ma gli occhi dell'amica di Beth non mentivano: la ragazza doveva essere rimasta dentro l'edificio.

Così era scattato, approfittando del caos che regnava nel parcheggio e, se anche qualcuno lo aveva visto correre verso la scuola, non aveva fatto niente per fermarlo.

Al cancello ebbe più difficoltà, dato che l'ingresso era presieduto dai pompieri.

«Che cosa cerchi di fare?» gli gridò uno di loro, facendosi avanti con le braccia tese, come per impedirgli di proseguire.

John si avvicinò con fare remissivo e il pompiere, credendo di averla spuntata, abbandonò quella posizione e gli si fece vicino. Il ragazzo ne approfittò per dargli uno spintone e spingerlo lontano da sé, per poi dirigersi a tutta velocità verso il cancello d'ingresso.

«FERMATI!» gli gridò un altro, cercando di placcarlo.

John lo schivò per un soffio, evitando i tentativi di acciuffarlo da parte di altri due uomini, e si lanciò sul vialetto d'ingresso. Aveva in mente un solo pensiero e niente avrebbe potuto distoglierlo da lei.

Beth aveva paura del fuoco. Se lo ricordava benissimo, perché aveva tentato invano di scucirle qualcosa sulla vicenda e poi si era rassegnato a parlarne con la sua amica, che peraltro era stata altrettanto vaga. John soffocò il pensiero che, semplicemente, Beth non l'aveva considerato all'altezza di saperlo. Forse pensava che volesse servirsi di quella debolezza come un'arma contro di lei. Non poteva certo immaginare che il motivo avesse a che fare con ciò che stava per suonarle alla chitarra, un attimo prima che lei lo piantasse in asso per un altro appuntamento.

John si riscosse bruscamente da quei pensieri, che lo stavano facendo solo rallentare, e si voltò un attimo verso l'inferriata. Con un'ondata di sollievo, vide che aveva ormai distanziato parecchio i suoi inseguitori, i pompieri a guardia dell'ingresso, mentre quelli all'interno della pineta erano troppo occupati a svolgere il loro lavoro per prestargli alcuna attenzione. Il grosso degli uomini stava liberando dal fuoco il vialetto, nel tentativo di aprire un passaggio e permettere a chi era rimasto intrappolato all'interno della scuola di mettersi in salvo, mentre pochi altri si stavano dedicando a spegnere gli incendi circostanti, appiccati agli alberi della pineta.

In ogni caso, il vialetto era pressoché sgombro, sebbene invaso dal fumo. Le poche fiamme che non erano state estinte dai pompieri, dopo aver divorato gli alberi che costeggiavano la stradina e ridotto in cenere le panchine circostanti, parevano come incerte sul da farsi, visto che sull'acciottolato non c'era niente da bruciare, e avanzavano con meno sicurezza.

In compenso il fumo era ovunque, così denso da mozzargli il fiato. John non aveva idea di come avrebbe potuto proseguire fino all'interno della scuola con tutto quelle esalazioni ad artigliarli la gola quando, nello scorgere la familiare sagoma della fontana, ebbe un'idea.

Invertì la rotta verso il laghetto, si sfilò velocemente la felpa e la immerse un momento dentro l'acqua, prima di ricominciare a correre come un matto verso il portone d'ingresso.

Quando ebbe raggiunto i gradini, John si era già sistemato l'indumento fradicio sul naso e sulla bocca, annodandoselo dietro la nuca, ed era di nuovo in grado di respirare. Le goccioline d'acqua gelida che gli solleticavano la pelle e s'infilavano sotto la maglietta erano refrigeranti, ma nulla potevano contro il calore rovente che aveva tutt'intorno.

John varcò l'ingresso della scuola, ignorando gli occhi che avevano preso a lacrimargli e la paura che gli serpeggiava nel petto.

L'atrio, davanti a lui, era in fiamme.

C'era passato così tante volte che il suo aspetto irriconoscibile lo colpì alla sprovvista e lo fece tentennare per un attimo. Il fuoco lo stava divorando e pezzi di intonaco crollavano dal soffitto, mentre una figura, che riconobbe come un pompiere, stava guidando un paio di ragazzi nella sua direzione, verso l'uscita. Dietro di loro, il corrimano in ferro battuto delle scale era incandescente e stava iniziando a fondere.

Quell'immagine lo riportò bruscamente alla realtà. Le scale. I dormitori. 

Beth.

Si mise a correre verso la scalinata, cercando di non guardare quello spettacolo raccapricciante per non farsi prendere ulteriormente dal panico.

Tossendo a tutto spiano, John si lanciò in una corsa a perdifiato sui gradini di marmo bianco, gli unici rimasti intatti. Facevano uno strano effetto vicini al corrimano, che si stava afflosciando su se stesso come se fosse stato fatto di cera e dal quale John si tenne a debita distanza.

Giunto nel corridoio del primo piano, si bloccò bruscamente. Le lingue di fuoco non lo avevano ancora invaso del tutto, ma avanzavano minacciose lungo il tappeto disposto lungo il pavimento e si avvinghiavano alle porte di legno, salendo fino al soffitto.

Maledettaschifosavecchia scuola di legno, non riuscì a trattenersi dal pensare John, con il cuore in gola.

Quella catapecchia stava bruciando come se l'avessero coperta di benzina e vederla disintegrarsi sotto i suoi occhi era più di quanto riuscisse a sopportare. La sua testa stava per esplodere, la felpa fradicia che si era messo intorno al volto non era più di nessun aiuto.

La stanza numero diciassette. La diciassette.

Per un attimo, John fu colpito dal pensiero che fosse una delle camere le cui porte erano state invase dalle fiamme ma, avanzando nella parte del corridoio ancora intatta, scoprì che la stanza non era stata ancora raggiunta dal fuoco, poiché si trovava in posizione piuttosto centrale.

Il cuore di John gli martellava nelle orecchie, mentre fissava il pomello d'ottone incandescente. Si sfilò la felpa bagnata e la poggiò sulla maniglia per proteggersi le dita, sperando che Beth non avesse avuto la malsana idea di chiudersi dentro a chiave.

Fece forza sulla maniglia, ma la porta non si aprì.

«MERDA!» gridò, le fiamme che saettavano intorno a lui, facendosi sempre più vicine. «Merda!»

Cominciò a prendere a spallate e calci la porta e forse fu la disperazione, forse fu il legno che si era ristretto per via del calore, ma alla fine la sentì cedere e poi spezzarsi con un suono secco, aprendo un angusto passaggio verso la camera di Beth.

John vi si passò attraverso, ignorando il legno che gli graffiò la pelle e, superato il piccolo ingresso, si bloccò nel bel mezzo della stanza. Faceva uno strano effetto: era così ordinata, così normale, paragonata al caos che regnava nel corridoio e che molto presto l'avrebbe raggiunta.

John scandagliò la stanza con lo sguardo e, quando inizialmente non vide nessuno, pensò che Kia si fosse sbagliata e sentì la paura crescere dentro di lui.

Ma poi la vide.

Beth era lì, rannicchiata in posizione fetale in un angolo della stanza, stretta tra l'armadio e il muro, con una marea di fogli sparpagliati in terra vicino a lei.

A vederla in quello stato, il cuore di John ebbe un sussulto. La ragazza era squassata dai tremiti, come se stesse singhiozzando, e non sembrava intenzionata a muoversi di lì.

John si riscosse. Non c'era un solo attimo da perdere. Attraversò la stanza e si chinò su di lei, prendendole delicatamente il volto tra le mani perché lo alzasse su di lui.

Due occhi enormi e pieni di lacrime ricambiarono il suo sguardo e sbatterono le palpebre più e più volte, come se non riuscissero a credere a ciò che vedevano.

«Va tutto bene, Beth» mormorò John. «Sono qui.»

Sollevò la ragazza fra le braccia e corse verso la porta.

 

Ehilà!

Vi scrivo in delle condizioni pietose, con la schiena a pezzi, il culo che ha preso la forma della mia sedia e gli occhi iniettati di sangue nemmeno avessi fatto una visitina dallo spacciatore di Nathan (magari!). L'università mi sta uccidendo, ve lo giuro. Sono reduce da circa dieci ore di studio (di fronte al pc, per diventare cieca il prima possibile) e in teoria stasera avrei dovuto continuare, ma ho deciso di sfanculare tutto e di pubblicare un capitolo di Love School.

E non un capitolo qualunque, signori e signori (voce fuori campo: ma signori cosa, che non ti s'incula nessuno!). IL PENULTIMO CAPITOLO. 

Vi aspettavate (*zittisce la voce fuori campo con un calcio nei denti, peraltro suscitando l'ammirazione di Angie*) tutto questo DRAMA? No, probabilmente no, considerando che la storia parte da premesse quali scuole popolate da manzi e ormoni a palla. Ma io vi avevo avvertito che la trama avrebbe preso una piega decisamente diversa, verso la fine! ;) Spero davvero che vi stia piacendo comunque. Tra parentesi, scrivere questo capitolo è stato un PARTO. Grazie a Dio non ho mai vissuto una situazione del genere (e tocco ferro!) e quindi sono del tutto ignorante in materia. Vi dicolo solo che per giorni e giorni la mia cronologia è stata popolata da ricerche del tipo "a che temperatura fonde il ferro", "il marmo negli incendi", "sistema anticendio nelle scuole", "comportamento legno con il calore". Spero di non aver scritto troppe castronerie al riguardo XD

Ci vediamo al prossimo (e ultimo, sigh!) capitolo, dove scopriremo se i nostri eroi sono riusciti a non arrostire! Vera Angie, tra parentesi, ti invoco, perché non mi ricordo come avevamo soprannominato Brook (Fuocherello? Arrosticino?), che sta riscuotendo un inaspettato successo tra le nostre lettrici. Kia, se non te lo pigli sei una broccola al pari di John.

Un bacio,

Cassidy.   

PS: Night la fissò. I suoi occhi erano enormi per la paura, ERAN GLI SPECCHI DI UN'AVVENTURA LALALALA LALA LALA, LALALALA LALA LALA

 

  
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