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Autore: heliodor    21/05/2020    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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La battaglia dei Colossi / 5 (-3)

 
“Adesso devi andare” disse Gladia rivolta a Eryen.
La ragazza si fermò di botto. “Devo uccidere l’arcistregone?”
“O lui o Persym” disse Gladia. “Noi ci occuperemo del colosso. So che puoi farcela.”
“Zia” disse Eryen. “Non morirai, vero?”
Gladia avrebbe voluto dirle di no, ma pensava che sarebbe stata una bugia troppo grossa. “Ormai sei una strega adulta. Dovrai imparare a fare a meno di una guida. E di me. Prenderai da sola le tue decisioni.”
“Spero di esserne capace” disse Eryen. “Gajza diceva sempre che dovevo restare nascosta e fingere di essere un’inetta. Diceva che sarebbe stato facile per me, visto che non ero affatto abile. Ma io mi sono allenata duramente e fingevo di essere un’incapace, proprio come lei mi aveva detto di fare.”
Gladia cercò di ignorare la sua confusione e di rassicurarla. “Tu sei una strega abilissima” disse con voce ferma. “E nessuno può affermare il contrario. Se non fosse così non ti avrei portata con me oggi e non ti avrei affidato un compito così importante.”
Eryen abbozzò un timido sorriso. “Grazie zia.”
La guardò sparire nella boscaglia. Solo allora si ricordò di Robern.
L’uomo la fissava con sguardo accigliato. “È per impedire tutto questo che ho lottato.”
“Gajza ha commesso un errore imperdonabile.”
“Non dare a lei la colpa. Sei stata tu a concepire gli eredi.”
“Io ho solo proseguito un progetto iniziato da altri.”
Robern scosse la testa. “Sono tutte scuse. Essere complice non ti assolve.”
“Tu sei complice di un rinnegato” rispose lei con tono accusatorio. “Ora trova quel portale.”
“Ci siamo quasi” disse lui indicando un punto davanti a loro con un cenno del capo.
“Quanto manca di preciso?”
“Ho bisogno di tempo per evocare e stabilizzare il portale.”
Un bagliore si accese a valle. Gladia si voltò di scatto e vide una figura gigantesca emergere dalla luce abbagliante.
Si ergeva sul fianco della montagna, un gigante dalla pelle grigia e le fattezze di un uomo, ma privo di qualsiasi attributo.
Persino da quella distanza poteva avvertire il suolo che vibrava sotto i passi del colosso che mentre si spostava distruggeva gli alberi calpestandoli.
Ora so cosa deve aver provato la strega rossa, si disse. Come ha fatto a sopravvivere per ben due volte a quelle creature?
“Persym ha evocato il colosso” disse. “Non ci rimane più molto tempo.”
“Affrettiamoci allora” rispose Robern.
Si fermarono davanti a una parete d roccia coperta da arbusti, su un pianoro dal quale potevano dominare la valle sottostante. Da quel punto l’Artiglio di Okromuhan volgeva la punta verso di loro, come il dito di un rapace rivolto al cielo azzurro.
Robern si piazzò davanti alla parete di roccia dandole le spalle, il corpo teso e gli occhi socchiusi come se stesse raccogliendo i pensieri.
Gladia lo aveva già visto evocare un portale, ma non ricordava una procedura così lunga e complicata. Ogni volta che l’aveva fatto davanti a lei, c’erano voluti pochi minuti per veder apparire il cerchio di luce pulsante.
“Sei sicuro di sapere quello che fai?” gli chiese.
Robern inspirò col naso. “Non è facile come pensi.”
“Che c’è di diverso dalle altre volte?”
“Siamo vicini a un nodo di potere. I portali sono potere. Colgo delle interferenze. Minime perturbazioni che mi distraggono. È difficile da spiegare.”
Gladia trovò un tronco spezzato e vi si sedette, un occhio rivolto alla valle. Da quel punto non vedere il colosso, ma lo immaginava dietro la montagna, che svettava sopra gli alberi e si moveva alla ricerca d Malag.
O di qualsiasi altro avversario.
No, non sta cercando noi, si disse. Persym non sa che siamo venuti con Malag. Crede che lui sia venuto a nascondersi qui prima della battaglia.
Il pensiero corse alle due armate che si stavano scontrando a miglia di distanza. Da quel punto non poteva vedere la spianata dove si stava combattendo, ma anche in quel caso poteva immaginare cosa stesse accadendo, con i due colossi rimasti all’orda di Persym che si muovevano contro l’esercito dell’alleanza.
Dovrei essere lì a dare una mano, pensò. Invece si starmene qui ad aspettare che qualcosa accada. Non so nemmeno se tutto questo funzionerà. Mi sto fidando del piano di una ragazzina bugiarda che sembra amica di Malag.
Un rumore di rami spezzati la fece trasalire. Si alzò di scatto, i dardi pronti in entrambe le mani. Gettò una rapida occhiata a Robern, che si era voltato.
Il suo viso era sereno e i suoi occhi guardavano verso la boscaglia.
Le fronde si agitarono a una figura emerse dagli arbusti. Era un vecchio dalla schiena curva e l’aspetto esile, vestito con una tunica grigia stretta in vita da una cintura nera.
Che ci fa qui, sull’Artiglio? Si chiese.
Il nuovo arrivato si fermò al limitare della salita, l’espressione serena in viso. Rivolse un cenno di saluto a Robern, che rispose muovendo appena la testa.
Gladia sollevò le mani e gli puntò contro i dardi. “Tu” esclamò con voce incrinata. “Come hai fatto a trovarci?”
Il vecchio alzò le braccia come in segno di resa. “Prima che tu mi colpisca, permettimi di spiegarti, inquisitrice.”
“Metti via i dardi, Gladia” disse Robern.
Gladia lo ignorò. Scagliò i dardi verso il vecchio. I proiettili esplosero in migliaia di scintille contro lo scudo magico che aveva evocato.
“Gladia” disse Robern. “Per favore.”
Si bloccò per un attimo. “Tu sapevi?”
“Sono stato io a dirgli dove trovarci.”
“Perché?”
Lo scudo di Malag scomparve. “Sono l’unico che può usare il potere del nodo, inquisitrice” disse con voce rassegnata. “Non che questo mi renda felice. È probabile che muoia nel tentativo, come chiunque mi accompagni, ma credo sia mio dovere tentare.” Gettò una rapida occhiata al colosso. “Quel mostro non si fermerà da solo.”
“A lui ci penserà Eryen.”
“Se è così, allora perché non è ancora stato distrutto?”
Gladia non aveva una risposta, ma non voleva concedere quella vittoria all’arcistregone. “Persym ha fallito. Ora io ti ucciderò” disse evocando altri due dardi.
Malag allargò le braccia. “Possiamo duellare fino alla morte di uno di noi due o di entrambi, ma questo rimanderà solo l’inevitabile. Chiunque entrerà in quel nodo non farà più ritorno. Robern, puoi spiegarlo tu all’inquisitrice per favore?”
“Ha ragione” disse Robern. “Sono anni che cerca i nodi di potere. Ha mandato Rancey a cercare la mappa nel santuario di Lotayne.”
Malag annuì grave. “Gli avevo detto di offrire il nostro aiuto agli Alfar contro i loro oppressori di Nazedir, ma loro hanno rifiutato.”
“Così li hai attaccati, scatenando una guerra” disse Gladia.
“Ordinai a Rancey di ritirarsi in caso di rifiuto, ma lui non ha mai ubbidito ai miei ordini, come fece a Taloras e a Valonde.” Sospirò. “Quel povero ragazzo voleva solo compiacermi.” Scosse la testa. “Come Robern. Non è vero?”
Lo stregone distolse lo sguardo.
“Ora che sai la verità” proseguì Malag. “Che cosa farai, inquisitrice?”
“Ti ucciderò.”
“Morirò in ogni caso entrando in quel nodo, te l’ho detto. Hai solo da guadagnare se mi lasci vivere fino a quel momento.”
Che cosa devo fare? Si chiese. Che cosa posso fare?
Era più forte di Robern, ma non sapeva se sarebbe sopravvissuta in uno scontro con Malag. L’arcistregone aveva ucciso Galyon e Mardik in duello, insieme, se voleva credere alle parole della strega rossa.
La parola di una bugiarda, si disse. Mi sono fidata delle persone sbagliate. Mi serve tempo per riflettere.
Abbassò le mani e fece sparire i dardi. Robern sembrò rilassarsi un poco. “Sbrigati e evocare quel portale” gli disse.
Robern tese le braccia in avanti e sul terreno davanti alla parete rocciosa apparve un cerchio di luce pulsante.
Gladia si accigliò. “Da quanto era pronto?”
“Da giorni” disse Robern. “Da quando seppi del vostro piano. Tuo e della strega rossa.”
Malag si avvicinò. “Un buon piano” disse. “Ma che non avrebbe funzionato senza il mio aiuto. Robern mi disse del nodo. Solo per quel motivo accettai.”
“Era una trappola.”
“È un accordo” disse l’arcistregone. “Tra Robern e me.”
Gladia ghignò. “Lo immaginavo.” Guardò Robern. “Che ti ha promesso?”
Robern indicò il portale. “Non posso tenerlo aperto a lungo. Sarà meglio sbrigarsi.”
Entrarono insieme nel cerchio. Il mondo si colorò d’azzurro e poi scomparve per qualche istante. Ebbe la sensazione di precipitare e un attimo dopo il chiarore scomparve sostituito dal buio.
Evocarono le lumosfere illuminando la zona circostante. Erano circondati da pareti di pietra grigia attraversata da venature più scure. Il condotto procedeva dritto in una singola direzione.
C’erano dei segni incisi nella roccia. Linee, cerchi, croci e quello che sembrava un sole con nove raggi.
Malag si avvicinò alla parete e appoggiò la mano sui segni.
“Che posto è questo?” chiese Gladia.
“Una delle fonti del potere” disse l’arcistregone studiando i segni da vicino.
Robern guardò verso l’alto. “Sembra sia stata scavata nella rocca. Ma da chi?”
“I maghi supremi hanno ereditato la conoscenza dei nodi da chi è vissuto prima di loro” disse Malag. “Una civiltà più antica di tutte le altre, forse un culto che adorava i nodi e non ne comprendeva l’utilità. Chi può dirlo ormai?”
“Che importa?” chiese Gladia impaziente. “Hai detto di aver studiato questo posto. Che dobbiamo fare adesso?”
“Troviamo il nodo” rispose Malag.
“Dove?”
L’arcistregone indicò il condotto con il braccio teso. “Credo che seguendo il corridoio troveremo la risposta alla tua domanda.”
Avanzarono nel buio rischiarato solo dalle lumosfere. Chiunque avesse scavato quel condotto lo aveva fatto in modo che avanzasse dritto nelle viscere della montagna.
“Non potevi trasportarci più vicino al nodo?” chiese a Robern.
“C’era solo questa entrata” rispose.
“Come faremo a uscirne?”
“Mi occuperò di quel problema non appena avremo trovato il nodo.”
“Preferirei che te ne occupassi adesso, visto che da questo dipende la nostra sopravvivenza.”
“Gladia” disse lui con voce impaziente. “Non è facile come pensi.”
“Sei tu quello abile con i portali.”
“Proprio perché sono molto abile so che aprire un portale vicino a un nodo potrebbe essere” fece una pausa. “Spiacevole.”
Gladia si accigliò.
“Il nodo è una fonte di potere” disse Malag. Camminava un paio di passi davanti a loro, la schiena curvata in avanti. “Se usi il potere nelle sue vicinanze, puoi scatenare una reazione imprevedibile. È come gettare olio sul fuoco, inquisitrice.”
“Puoi chiamarmi Gladia, rinnegato.”
Malag le rivolse un sorriso. “Sai, ti ho vista a Taloras, quando eri giovane.”
Gladia serrò la mascella.
Malag annuì solenne. “Eri giovane e avevi una guida. Come si chiamava?”
“Alinar” mentì Gladia.
Malag ridacchiò. “Non direi. Se non sbaglio il suo nome era Sarya, giusto? Una donna notevole, se non ricordo male.”
Gladia non rispose.
“Tu affrontasti quello stregone, Zeravim. Anche io gli stavo dando la caccia, ma mi precedesti. Fu allora che ti notai, inquisitrice.”
Sta cercando di impressionarmi, si disse. Non devo permettergli di riuscirci.
“Perché davi la caccia a Zeravim?”
“Era un assassino” rispose Malag. “E meritava di morire. Tu non credi?”
Gladia annuì. “Era un rinnegato. Come te.”
“Ti sorprende che lo considerassi una persona odiosa?”
“Pensavo che ci fosse un codice d’onore tra voi rinnegati.”
Malag le sorrise. “Siamo rinnegati, lo hai detto tu. Per noi non ha senso parlare d’onore.”
“Hai ragione” disse soddisfatta.
Un bagliore apparve sul fondo del condotto e li spinse ad accelerare il passo. Avvicinandosi il chiarore aumentò d’intensità e annullarono le lumosfere.
Il condotto si allargava in una grande caverna circolare scavata nella roccia. Un foro largo un migliaio di passi occupava il centro del pavimento, circondato da una passerella di roccia larga una ventina di passi.
Oltre il bordo frastagliato si intravedeva il chiarore pulsare come al ritmo di un gigantesco cuore che batteva nelle viscere della montagna.
Gladia esitò quando si avvicinarono al bordo.
“Il mio consiglio” disse Malag. “È di non procedere oltre. Almeno voi. Non ho idea di cosa potrebbe accadervi se vi avvicinate troppo al bordo.”
Gladia guardò Robern. “Cerca il portale per uscire di qui.”
Lui si allontanò, lasciandola da sola con Malag. L’arcistregone osservava con sguardo attento il bordo del pozzo. “Credo sia arrivato il momento di separarci, Gladia di Taloras.”
“Ti auguro di soffrire prima di morire, arcistregone.”
Malag respirò a fondo e marciò verso l’orlo del pozzo.
Gladia raggiunse Robern. “L’hai trovato?”
Robern puntò il braccio verso il pavimento ed evocò un cerchio di luce pulsante. “L’ho già trovato.”
Gladia annuì. “Bene.” Gli puntò contro la mano e lasciò partire un dardo magico.
Il proiettile trapassò la gamba di Robern e lui cadde in ginocchio. Con calma Gladia evocò un secondo dardo e lo colpì all’altra gamba, facendolo crollare al suolo.
Robern gemette, le mani premute sulle ferite. “Perché?”
“Che accordo avete fatto tu e Malag?”
Robern distolse lo sguardo.
“Dimmelo” gridò. “Mi hai venduta a lui? Ora che iniziavo a fidarmi di nuovo di te?”
“No” gemette.
“Qual è il vostro accordo? Cosa hai ottenuto in cambio?”
Robern scosse la testa e lei gli puntò contro un altro dardo magico.
“Dimmelo” disse con voce incrinata.
“Tu” disse Robern. “Eri tu, Gladia.”
Lei si accigliò.
“Sapevo che se ti avessi portata qui saresti morta. Ti saresti gettata in quel pozzo, facendoti consumare dal potere del nodo.” Cercò di rimettersi in piedi ma scivolò e dovette puntellarsi sulle braccia.
Gladia scosse la testa. “Stai mentendo.”
“No, è la verità. Volevo salvarti. Per questo ho detto a Malag del piano. Sapevo che lui sarebbe venuto se gli avessi dato questa possibilità. Sono decenni che sta cercando un nodo attivo.”
“Perché?”
“Non lo so. È la sua ossessione. Una delle tante.”
La mente di Gladia lavorò frenetica. “Non ti è venuto in mente che ti stesse ingannando, Rob? Che lo avesse sempre fatto?”
“Che importanza ha ormai? Quando si lancerà in quel nodo morirà.”
“Questo te l’ha detto lui?”
Robern tacque.
“Lo sapevo.” Gladia si voltò e corse verso il punto dove aveva lasciato Malag. L’arcistregone era sull’orlo del baratro, il corpo circondato da un alone di energia pulsante.
Gladia avanzò decisa verso di lui, ma a una ventina di passi dovette arrestarsi. L’energia che sentiva sprigionarsi dal pozzo era così forte da bruciarle la pelle. La sentiva penetrare la sua carne, incendiarle i muscoli e persino confonderle i pensieri.
“Malag” gridò.
L’arcistregone di voltò verso di lei facendola sussultare. Non sembrava più il vecchio acciaccato di poco prima, ma un uomo nel pieno delle sue forze. La pelle era distesa e non più grinzosa e cadente, i muscoli erano più netti e persino i capelli non erano più di un grigio uniforme ma tendevano al castano scuro.
“Gladia” disse. “Non dovresti essere qui. Non voglio che tu muoia, non è necessario.”
Gladia gli puntò contro il braccio. “Non ti permetterò di farlo.”
Malag allargò le braccia. “E io non ti impedirò di uccidermi. È una tua scelta e io concedo sempre una scelta ai miei nemici. Anche se sono certo di non averti mai fatto del male.”
“Stai mentendo, come sempre. Hai ucciso il mio figlio non ancora nato.”
“Ti sbagli. È stato Robern a farlo.”
“Dopo che tu glielo ordinassi” rispose Gladia. “Rob si fidava di te. Ancora adesso si fida al punto da averti portato qui. È sempre stata la sua debolezza.”
“No, Gladia” disse Malag. “È sempre stata la sua forza. Ma quel giorno, quando venne da te per uccidere il vostro bambino, non gli avevo dato nessun ordine.”
“Non è vero” disse Gladia.
Malag guardò oltre la sua spalla. “Diglielo anche tu, Robern. Dille se sto mentendo.”
Gladia vide Robern avanzare verso di lei trascinandosi dietro una gamba mentre si reggeva a stento sull’altra.
“Dice il vero, Gladia” disse Robern. “Non mi ha mai ordinato di uccidere nostro figlio. Né mi ha mai ordinato di uccidere la figlia di Marget di Valonde o un qualsiasi altro erede.”
Gladia scosse la testa. “No, è falso. È stato lui, Rob” disse indicando Malag. “È stato lui.”
“Nemmeno sapeva degli eredi” disse lo stregone. “Fino al giorno in cui glielo dissi.”
“Il segreto meglio custodito del circolo supremo” disse Malag. “Siete stati molto abili a nasconderli, Gladia, ma non è servito a niente. Dopo questa guerra non saranno più un problema. E ora ho una speranza.” Guardò Robern. “L’ho vista Rob. L’ho vista. È come un sole luminoso che attende di sorgere. E queste sono le ore che precedono l’alba.”
“Rob” disse Gladia con tono supplice. “Dimmi che sta mentendo.”
Robern fece un passo verso di lei. Gladia sentì le forze mancarle e si inginocchiò. Lui la raggiunse e la strinse.
“Mi dispiace” le disse.
“Portala via” gridò Malag. “Ora.”
Il chiarore attorno all’arcistregone aumentò fino ad avvolgerlo. Un attimo prima che sparisse lo vide lanciarsi oltre l’orlo.
Robern l’afferrò per le ascelle e la trascinò di peso lontano dall’orlo, i tacchi che strisciavano sulla roccia.
“Rob” piagnucolò Gladia. “Dimmi che non è vero.”
Dal pozzo sorse una luce abbacinante che l’accecò per un istante. Robern la strinse forte e lei si sentì spingere e chiuse gli occhi mentre precipitava.
 
***
 
La sfera infuocata esplose a pochi passi da lei spandendo fiamme e detriti in tutte le direzioni. Joyce si protesse con lo scudo magico ma la forza dell’esplosione la scaraventò lontana. Atterrò sulla schiena e si rialzò a fatica.
Eryen emerse dalle fiamme, una lama magica nella mano. Le tirò un fendente che parò con lo scudo.
Sorrideva mentre la incalzava e lei indietreggiava sperando di avere spazio libero alle sue spalle. Usò la forza aumentata per afferrarle il braccio e scagliarla lontano.
Eryen ne approfittò per darle un calcio nell’addome e scagliarla a una ventina di passi di distanza.
Joyce volteggiò nell’aria e atterrò in piedi, gli occhi socchiusi per il dolore che avvertiva in tutto il corpo.
“Perché non vuoi morire?” le chiese Eryen in una pausa. “Perché combatti?”
Udì il ruggito del colosso.
Sollevò un braccio per indicarlo. “Lo vedi, Eryen? È quello il tuo nemico, non io.”
“Penserò a lui dopo, strega rossa.”
“Dovresti pensarci adesso. Sei qui per distruggerlo” disse Joyce disperata. “È il tuo scopo.”
Eryen la guardò perplessa. “Cosa sai tu del mio scopo, rinnegata?”
“Tu sei un Erede” disse Joyce. “La più forte di tutti. Persino la strega suprema ti è inferiore.”
“Ma non più forte di te, visto che sei ancora viva.”
E se voglio restarlo dovrò convincerti a combattere contro quel mostro, pensò. E temo ci sia un solo modo per farlo.
“Io non sono un’avversaria degna di te” disse Joyce. “Riesco a malapena a resistere ai tuoi attacchi.”
Eryen la guardò diffidente. “Forse la tua è solo una tattica. Stai aspettando che mi distragga per colpirmi alle spalle.”
Lo volessero gli dei che fosse così, pensò. Devo trovare un altro modo per farla scontrare col colosso.
Pensò alla formula dell’invisibilità.
“È un trucco inutile con me” disse Eryen facendo luccicare gli occhi.
Brava, pensò Joyce. Come speravo.
Evocò una lumosfera. Eryen socchiuse gli occhi per un istante e distolse lo sguardo da lei. Joyce si gettò verso la macchia di alberi, correndo senza badare a dove mettesse i piedi.
Dietro di lei udì l’eco di un’esplosione e il terreno vibrò facendola barcollare. Guardò verso l’alto, individuando il colosso.
Il mostro si stava spostando verso l’altro lato della montagna, ma era lontano meno di un migliaio di passi da lei.
Corse nella sua direzione fermandosi a metà strada. Da quella distanza al colosso sarebbero bastati due o tre passi per raggiungerla.
Ora devo avere la sua attenzione, pensò.
Evocò una sfera infuocata, poi una seconda e una terza concentrandole in un singolo incantesimo, come aveva fatto nel santuario di Urazma, Lune prima.
Lì aveva combattuto contro i ragni divoratori. Su quella montagna si preparava a colpire un colosso.
“Sei qui” disse Eryen apparendo da dietro gli alberi.
Joyce la ignorò e puntò le braccia verso il colosso, lasciando partire la sfera infuocata. L’incantesimo colpì il petto del colosso.
Il mostro si arrestò e sembrò fremere, come se qualcosa lo avesse infastidito. Una delle gambe si sollevò per abbassarsi subito dopo, schiantando sotto il piede un tratto di foresta. Gli alberi vennero proiettati in tutte le direzioni.
Il terreno vibrò e Joyce dovette lottare per restare in piedi. Eryen venne sbalzata di lato dal contraccolpo, atterrando sul fianco.
Joyce evocò il raggio magico e lo diresse verso di lei. Eryen usò lo scudo per assorbire l’incantesimo.
Joyce evocò un raggio dopo l’altro, aumentandone la forza. Eryen fu avvolta da una cascata di scintille.
Si lanciò verso di lei, come aveva fatto con Malag quando lo aveva affrontato nella fortezza. Il mondo sembrò esplodere nella luce accecante dell’incantesimo che si infrangeva contro lo scudo di Eryen.
Joyce avvertì il potere della strega riversarsi contro di lei per bloccare il suo attacco e respingerla a ogni passo che faceva verso Eryen. Giunta davanti a lei sentì il dolore pervadere ogni muscolo e ogni osso del suo corpo. Era come se stese scavando nella roccia viva a mani nude, ferendosi a ogni colpo, ma proseguì ignorando la sofferenza.
Lo scudo cedette all’improvviso e lei vide uno spiraglio. Lo usò per avvicinarsi a Eryen e allungò una mano per colpirla con un pugno allo stomaco.
La strega cadde al suolo, l’espressione sorpresa, lo scudo magico che si dissolveva. Joyce annullò il raggio magico e le puntò contro un dardo.
Per un attimo desiderò colpirla e vederla trapassata da parte a parte da quel dardo, ma il colosso che incombeva sopra di loro le ricordò che era lì per un motivo diverso.
Combatti per i vivi, non per i morti, si disse.
Eryen, l’espressione sorpresa e inorridita, fece per dire qualcosa.
Joyce allungò una mano verso il suo volto e le afferrò il naso tra l’indice e il pollice. “Sei morta” disse con un mezzo sorriso.
Eryen gridò di rabbia e scattò in avanti, colpendola con un pugno al viso.
Joyce volò di lato, batté il fianco sul terreno e cercò di rialzarsi. Eryen le fu addosso, le diede un calcio all’addome che le tolse il fiato e l’afferrò per il bavero, sollevandola senza alcuno sforzo.
“Ti uccido” ringhiò Eryen.
Joyce indicò il colosso con un cenno della testa.
Eryen la scaraventò via, facendola rotolare per il pendio finché non si fermò colpendo una roccia.
Joyce si rialzò ed evocò lo scudo magico prima che il mondo attorno a lei prendesse fuoco. Le fiamme bruciarono con tale violenza che il contraccolpo la scaraventò all’indietro, facendole urtare un albero che si spezzò e proseguire oltre.
Urlò per il dolore quando atterrà sulla schiena, ritrovandosi a fissare il cielo azzurro e sgombro di nuvole.
È davvero una bella giornata, si disse. È un peccato dover morire proprio oggi.
Sentì i passi di Eryen e il terreno che vibrava sotto quelli del colosso. Sollevò la testa e vide la strega fissarla.
“Perché non vuoi morire?” le domandò Eryen. “Perché non resti nella polvere invece di rialzarti ogni volta?”
Joyce si puntellò sulle braccia. “Perché ci sono rimasta per troppo tempo” disse con voce roca.
Eryen la fissò accigliata.
“Ho passato tutta la mia vita nella polvere” proseguì Joyce raddrizzandosi a fatica. “Tutti che pensavano che fossi inutile e patetica e bisognosa di essere difesa. Mi odiavo per quello che ero, finché non ho deciso di diventare la strega rossa.” Le mostrò il pugno. “Avanti, Eryen di Nazedir, finiamo questo duello. Ho conservato un incantesimo per te. E quando avrò vinto, distruggerò il colosso. Da sola, se sarà necessario.”
Gli occhi di Eryen si volsero al colosso. Il mostro avanzava tenendo gli occhi bassi, come se stesse cercando qualcosa tra la boscaglia.
O qualcuno, si disse Joyce.
Quando Eryen tornò a guardarla, aveva gli occhi lucidi. “Quando ero una bambina, Gajza mi diceva sempre che dovevo restare nascosta, che dovevo fingere di essere un’incapace o sarebbero venute delle persone cattive a farmi del male. Una volta, per punirmi, mi rinchiuse in una cella dei sotterranei per tre giorni perché in una gara avevo colpito troppi bersagli con precisione. Mi disse che ero stupida e che non sarei mai diventata una strega degna di questo nome e che quelle persone cattive che mi odiavano sarebbero venute a fare del male a me e a zia Selina. Tutto per colpa mia.” Tirò su col naso come una bambina e guardò il colosso. “Scappa.”
“Eryen” disse Joyce.
“Scappa” ripeté.
Joyce non si mosse.
“Scappa” urlò Eryen.
Il suo corpo venne avvolto da un bagliore azzurro che esplose attorno a lei come un sole che sorge all’improvviso da dietro una montagna.
La forza di quel potere era tale da piegare gli alberi vicini e agitare le fronde di quelli lontani.
Come attratto da quella immensa esplosione di potere, il colosso lanciò un ringhio profondo che la scosse fin nelle viscere e si diresse dalla loro parte.
Joyce si lanciò di corsa giù per il pendio, il terreno che vibrava sotto i suoi piedi come se fosse animato da vita propria.
Dietro di lei udì i passi del colosso che si facevano più vicini. Il terreno tremò, gli alberi si piegarono verso di lei, come se stessero cercando di afferrarla.
Inciampò in una pietra e cadde rotolando per il pendio. Mentre cadeva cercò un appigliò con le mani affondando le dita nel terreno riuscendo a rallentare la sua corsa.
Un’ombra nascose il sole e per un attimo pensò con orrore che il colosso ‘avesse raggiunta e si preparasse a schiacciarla con un piede.
L’ombra passò e un masso grande quanto una casa si abbatté sugli alberi, spezzandoli e sradicandoli.
Si voltò verso il colosso, in quel momento piegato in avanti. Il mostro raccolse un masso e lo scagliò verso il bagliore azzurro che ardeva lungo il pendio. La pietra esplose in mille pezzi che si proiettarono in ogni direzione.
“Eryen” gemette.
Non posso lasciarla da sola, si disse.
Balzò in piedi e risalì il pendio per cinquanta passi, portandosi su di un pianoro da dove poteva guardare il colosso.
Raccolse le forze che le rimanevano ed evocò una sfera infuocata. Ripeté l’operazione altre volte fino a perderne il conto. Un piccolo sole ardeva tra i suoi palmi spargendo lingue di fuoco attorno. Osservò affascinata quello spettacolo per qualche attimo e poi liberò l’incantesimo dirigendolo verso il colosso.
La sfera infuocata lo raggiunse ed esplose sull’addome del mostro. Il colosso si piegò in due e fece un passo indietro, come se stesse lottando per non perdere l’equilibrio.
Gli occhi privi di espressione del mostro si posarono su di lei. Joyce sentì le gambe tremare a quella vista.
Ora mi vede, pensò.
Il colosso si mosse verso di lei.
Rimase per qualche istante a osservarlo, poi si voltò di scatto e si lanciò di corsa per il pendio.
Il terreno vibrò e un masso volò sopra di lei, schiantandosi a una trentina di passi di distanza. Joyce si protesse il viso con le mani e cambiò direzione.
Un secondo masso, grande quanto una nave, si abbatté dietro di lei facendo sollevare il terreno. Joyce venne proiettata in avanti da quella forza spaventosa e rotolò per il pendio, fermandosi contro la base di un albero.
Gemette per il dolore alle gambe e alla schiena ma strinse i denti e si rialzò, solo per venire sospinta di nuovo dal terreno che si sollevava sotto la spinta di un piede gigantesco che atterrò a un centinaio di passi da lei.
Si ritrovò a lottare contro rocce e terreno che cercavano di seppellirla e toglierle il fiato. Tossendo e sputando emerse dal cumulo che l’aveva ricoperta. Quando alzò la testa incontrò gli occhi del colosso.
Il mostro era a un centinaio di passi da lei e si ergeva sopra gli alberi e la foresta che cresceva lungo i fianchi della montagna.
Era alto quanto cento uomini, forse di più. Ed era magnifico, nella sua terribile potenza.
Chiunque l’abbia creato, pensò Joyce, non voleva solo creare un’arma, ma incutere terrore nei suoi avversari.
Joyce evocò i dardi magici e li scagliò contro il colosso, colpendolo a una caviglia. I proiettili scomparvero al contatto con la pelle grigia e simile alla pietra del mostro.
Questi abbassò gli occhi verso di lei.
“Andiamo” gridò Joyce. “Sono qui. Vieni a prendermi.”
Il colosso sollevò un piede, trascinandosi dietro rocce e terreno che vi erano rimasti attaccati e che precipitarono al suolo.
Ecco, sta per accadere, si disse. Non credevo che sarebbe avvenuto così, ma che importanza ha? Ho paura, Joane. Ho paura, ma tu mi hai detto che è normale avere paura. E per questo non scapperò. Sono scappata per tutta la vita, ma non oggi. Non ora. Non qui.
Il piede del colosso rimase sospeso a mezz’aria per un tempo che le parve infinito, poi iniziò a calare veloce.
Il terreno tremò e si aprì, dividendosi. Una crepa si formò sotto il colosso e lui scivolò di lato, sbilanciato dal piede ancora alzato. Cadde da un lato, inginocchiandosi. L’impatto fu così forte da sbalzare Joyce indietro e farla cadere.
La montagna vibrava come una bestia in preda agli ultimi spasmi prima di morire. Poteva udire l’urlo della pietra che si spaccava e divideva sotto l’azione di una forza gigantesca, impensabile.
Sta accadendo qualcosa, si disse. Qualcosa di enorme.
Anche il colosso doveva averlo compreso e ora non guardava più lei né Eryen, ma la cima della montagna. Si rialzò e risalì il pendio travolgendo tutto ci che incontrava.
Joyce l’osservò affascinata per qualche istante, poi si voltò e prese a correre dalla parte opposta. Qualsiasi cosa stesse per accadere, sentiva di doversi allontanare il più possibile da quel posto.
Corse senza voltarsi indietro mentre la montagna veniva scossa dai brividi. La terra si aprì all’improvviso davanti a lei ingoiando una dozzina di alberi. Joyce scartò di lato un attimo prima di precipitare nella voragine e continuò a correre.
Non osava voltarsi indietro per guardare dove fossero il colosso ed Eryen o cosa stesse accadendo alla cima della montagna.
Era sicura che se avesse ceduto alla tentazione, sarebbe rimasta lì senza più riuscire a muoversi. Invece doveva correre, correre, correre.
La terra si sollevò come un’onda gigantesca e precipitò verso di lei. Joyce saltò di lato evitando la pioggia di pietre e terreno. Un albero si schiantò a pochi passi da lei, divelto dal terreno con tutte le radici.
Era come se qualcosa sepolto nella montagna stesse spingendo verso l’esterno per venire fuori.
Il terreno si gonfiò ed esplose proiettando verso l’alto pietre e alberi che ricaddero al suolo come una pioggia.
Joyce evocò lo scudo magico per proteggersi e riprese a correre.
All’improvviso il pendio scomparve e lei si ritrovò ad annaspare nel vuoto. Lì il terreno aveva ceduto provocando una frana che sembrava aver trascinato a valle parte del fianco della montagna.
Urlò mentre precipitava. Pensò alla formula della levitazione, colpì una pietra che pendeva dal precipizio e si diede la spinta per allontanarsi in volo dalla montagna.
Sfrecciò sopra il terreno che si gonfiava ed esplodeva formando fontane di pietra e terra che si innalzavano verso l’alto e ricadevano al suolo con fragore.
Fu tentata di chiudere gli occhi, ma doveva vedere dove stava andando o avrebbe corso il rischio di schiantarsi su una delle rocce che volavano in tutte le direzioni.
L’incantesimo di levitazione perse forza e lei rallentò, iniziando ad abbassarsi. Dieto di lei udì un rombo sommesso che la fece trasalire.
Si voltò per guardare. Il colosso aveva raggiunto la cima della montagna e la stava colpendo con i pugni. A ogni colpo strappava le rocce che venivano scagliate in ogni direzione.
Lungo il pendio, il bagliore azzurro era diventato più intenso e pulsava come al ritmo di un cuore, ingrandendosi e comprimendosi.
Il colosso ruggì, non sapeva dire se per la rabbia o la frustrazione. Fu come un segnale. La montagna si aprì sul fianco e da essa sorsero dei tentacoli di energia che saettarono nell’aria.
Il colosso si staccò dalla montagna e fece per allontanarsi, ma i tentacoli lo raggiunsero e lo avvolsero.
Il grido del mostro fece vibrare l’aria mentre lottava contro i tentacoli per liberarsi. Ne strappò uno o due, ma altri si aggiunsero intrappolandolo.
La montagna stava collassando su sé stessa, afflosciandosi come se fosse stata svuotata dall’interno. Nel foro da cui i tentacoli erano emersi vide pulsare l’energia.
È il nodo, pensò Joyce affascinata. Sto guardando il nodo con i miei occhi. L’origine del potere stesso.
Non riuscì a staccare gli occhi da quello spettacolo, troppo affascinata da quell’esplosione di forza, nemmeno quando il bagliore azzurro aumentò e divenne un fascio di energia cangiante che raggiunse il colosso e lo avvolse.
Il mostro gridò e lottò per liberarsi, ma scomparve nel bagliore azzurro e bianco combinati insieme.
All’improvviso la montagna si gonfiò, come se qualcosa che si trovasse al di sotto di essa avesse trovato la strada verso l’esterno.
Joyce si aspettava che collassasse di nuovo sotto il suo peso come aveva fatto in precedenza, ma non accadde.
L’energia del nodo si liberò in un’unica, gloriosa esplosione che l’accecò. L’aria vibrò sotto la spinta di quell’energia liberata in una sola volta.
Joyce avvertì il calore scottarle la pelle. Aprì gli occhi e vide il bagliore aumentare come se volesse avvolgere lei e tutto il mondo.
Il calore aumentò diventando doloroso e lei evocò lo scudo per difendersi. Il bagliore l’avvolse e la spinse nella direzione opposta. Urlò mentre veniva scaraventata via.

Nota
Mi spiace aver diviso in tanti capitoli questa Battaglia dei Colossi, ma non potevo proporvi 30000 parole in un sol colpo, quindi ho preferito fare così.
E ora godetevi i capitoli finali :)
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