Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: MystOfTheStars    11/08/2009    4 recensioni
Fiction ispirata alla storia di "Prophet of the Last Eclipse" di Luca Turilli.
Kurogane è il giovane principe del regno di Suwa, dove la vita scorre pacifica, adombrata solo da una funesta profezia: un giorno, da oltre le stelle, arriverà qualcuno che porterà morte e distruzione.
Tuttavia, la leggenda nulla dice su chi esso sia, e sul legame che potrebbe instaurarsi tra lui e il principe, destinato a fronteggiare la minaccia.
Genere: Romantico, Science-fiction, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ashura Oh , Altro Personaggio, Fay D. Flourite, Kurogane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao! Scusate per il ritardo nell'aggiornamento, ma ero al mare senza nemmeno un internet point decente XD

@ LawlietPhoenix: figurati. So che Luca Turilli non è particolarmente conosciuto, era il minimo! ^^
@ Tsukino: sì è questa! Beh il livello di sadismo delle Clamp raggiunge vette ineguagliabili, questo è certo. Però questa trama non è proprio rose e fiori.. ^^'''
@ Pentacosiomedimni: grazie :) sì, so che sono poco conosciuti.. però io personalmente adoro questo CD e anche gli altri che hanno fatto, come adoro quelli dei Rhapsody!





II.

ZAEPHYR'S SKIES




Strumentale.


(ascoltatela qui)



Venne l’alba, con il sole che sorgeva timidamente tra i monti in un cielo dove le stelle non facevano altro movimento che il loro abitudinario e lento errare nella volta celeste.
Era ormai giorno fatto quando il gruppo si mise in cammino verso la capitale.
Kurogane fu impegnato a coordinare la partenza: lui e metà dei suoi uomini avrebbero scortato i sopravvissuti alla capitale, mentre gli altri guerrieri sarebbero rimasti sul posto alla ricerca di eventuali altri superstiti.
Il principe avrebbe preferito tornare nella valle, a cercare di scoprire qualcosa di più su quanto era accaduto, ma era suo dovere fare rapporto di persona alle loro maestà.
Inoltre, aveva un altro piccolo mistero da risolvere, tornando a palazzo.

Mentre le prime persone iniziavano ad avviarsi lungo il sentiero, si voltò alla ricerca dello strano sconosciuto.
Dalla notte prima, non gli aveva più parlato, occupato com’era con l’organizzazione del campo, ma aveva continuato a lanciargli qualche occhiata, di tanto in tanto.
Non era difficile da notare, vestito di bianco, in mezzo ai soldati ed ai contadini che indossavano abiti scuri; in quel momento, era inginocchiato accanto ad un carretto di legno, attorniato da un piccolo gruppo di persone. Lì vicino, anche Gantai stava osservando in silenzio.
Come vide il generale avvicinarsi, il tenente gli si fece incontro salutando, e, a sentire la sua voce, si voltò anche il biondo. Si alzò e raggiunse i due soldati, congedandosi con un sorriso ed un cenno del capo dalle persone vicino a lui, che lo stavano ringraziando profusamente.
“Hyuuuu, Kuropon!” esclamò il giovane, agitando una mano nella direzione del principe.
“E questo cosa diamine significherebbe?!” commentò il guerriero, di cattivo umore.
“Credo che sia il suo modo di augurarvi il buongiorno…” tradusse Gantai, divertito.
“E’ tutto fuorché una buona giornata” rispose Kurogane, la fronte corrugata in un cipiglio tra il preoccupato e l’arrabbiato “Dobbiamo partire. Io cavalco in testa, tu invece rimani a chiudere la retroguardia.” disse, mentre Gantai andava a prendere i loro cavalli.
L’uomo annuì, porgendo al generale le briglie del suo destriero.
“…e lui?” fece, accennando al biondo che, a pochi passi da loro, stava fissando i cavalli con aria incuriosita.
“Che cosa vuol dire, ‘e lui’?” replicò secco Kurogane.
“Nessuno di questi contadini dice di averlo mai visto prima. Ho provato a parlargli di nuovo, ma credo sia ancora piuttosto confuso. Forse ha perso la memoria, o qualcosa del genere… ma sembra avervi preso in simpatia, principe.”
Kurogane sollevò un sopracciglio, mentre osservava lo straniero accarezzare il muso del suo cavallo.
“O forse è solo scemo.”
“Questo non direi. Li vedete quelli là?” fece Gantai, indicando con un cenno della testa le persone che fino ad un attimo prima avevano attorniato il biondo: un paio di uomini con le mogli ed i figli. Avevano questo piccolo carro di legno, trainato da un asino, e vi avevano caricato i pochi averi che avevano potuto portare via.
“In qualche modo, sono riusciti a far scendere quel carro giù dal passo, ma deve essersi rotto o danneggiato… fatto sta che stamattina stavano disperatamente cercando di ripararlo per farlo ripartire, senza riuscirci.
Ad un certo punto, è arrivato il biondino, ci ha dato un’occhiata, e in men che non si dica il carro camminava di nuovo.”
Kurogane tornò ad aggrottare le sopracciglia. Ora l’altro giovane lo fissava, sentendosi chiamato in causa. Forse non era uno stupido, ma ciò non toglieva che fosse piuttosto strano. Sospetto, anzi.
“Sali a cavallo.” gli ordinò il principe, indicando la sella del suo destriero. Nel caso si fosse verificato un episodio simile, preferiva tenerlo d’occhio.
L’altro si avvicinò al fianco dell’animale, ma dopo un attimo si voltò con aria interrogativa.
“Non sai cavalcare?” chiese Gantai un po’ stupito “E’ facile, fai così…” gli disse, salendo in groppa al suo cavallo lentamente, così da mostrare i vari movimenti che compiva.
Il biondo lo guardò e indugiò ancora qualche attimo.
Kurogane, spazientito, stava per prenderlo e sollevarlo di peso, ma il giovane lo precedette, arrampicandosi agilmente sulla sella.
Il principe sbuffò, ritirando le mani, in un attimo di fugace imbarazzo. Che diamine, perché mai gli era saltato in mente di aiutarlo? Se non sapeva cavalcare, sarebbe andato a piedi, senza che lui avesse dovuto preoccuparsene.
Accigliato, salì in sella davanti all’altro e spronò il cavallo verso la cima di quella carovana improvvisata.

Cavalcarono tutta la mattina, scendendo lungo i versanti della montagna, il sole che lentamente risaliva nel cielo sereno.
Il giovane biondo osservava ammirato quell’azzurro senza fine che si dispiegava sopra le loro teste, voltandosi a guardare l’orlo frastagliato delle montagne e lo smeraldo intenso del fogliame appena nato degli alberi.
Tutti i colori riverberavano di luce, splendenti, un caleidoscopio di innumerevoli gradazioni di verde, suscitando nel suo animo una strana commozione.
Osservò una piccola nuvola bianca, un minuscolo sbuffo di vapore che si dimenava lentamente in quel mare turchese.
“Il cielo… è azzurro. Così azzurro.” disse ad un certo punto, come trasognato.
Kurogane si voltò verso di lui, sorpreso dal suono della sua voce.
“Sai parlare, allora.” commentò.
L’altro gli sorrise, socchiudendo le palpebre a causa dell’intensità della luce.
“Non ricordavo che potesse essere così blu.” rispose semplicemente.
Kurogane indugiò un attimo di troppo, scrutando nelle sue iridi turchesi, prima di tornare a voltarsi e a prestare attenzione al sentiero davanti a loro.
Per un momento, lo aveva colpito il pensiero che anche lui si era dimenticato che potesse esistere un celeste così intenso.

Finalmente scesi a valle, raggiunsero le sponde del largo fiume che avrebbero costeggiato fino a raggiungere la capitale.
Si fermarono per far abbeverare i cavalli e riposarsi.
Irrequieto, Kurogane fece il giro del piccolo campo, e mandò uno dei suoi uomini in avanscoperta, affinché avvisasse del loro arrivo.
Quando tornò all’albero dove aveva lasciato il cavallo, non trovò più il biondo.
Lì vicino, Gantai stava accudendo il suo animale.
“Dov’è finito quello?”
“Quello? E’ sceso al fiume…”
Kurogane spinse lo sguardo sulle sponde, senza scorgere la chioma chiara dello sconosciuto in mezzo alle altre persone.
“… pensate che potrebbe essere un nomade?”
“Ne hai mai visto uno vestito così?”
Gantai ci pensò con aria assorta.
“Magari faceva parte di una spedizione proveniente da un qualche paese lontano, erano appena arrivati nella valle che è successa la catastrofe… o forse, è arrivato proprio cavalcando quella cometa!” scherzò.
Alla sua battuta, Kurogane gli lanciò un’occhiataccia di sbieco. Non replicò, ma si incamminò lungo il fiume, senza tuttavia scendere fino alla sponda. Ne percorse le rive con gli occhi, finché non furono deserte.
Poi, oltre un piccolo gruppo di massi bianchi, le iridi rosse del guerriero scorsero quello che stavano cercando.

Il ragazzo biondo era sceso al fiume imitando le altre persone, più per curiosità che non per reale bisogno. Aveva visto gli altri bere e lavarsi, ed improvvisamente si era reso conto di essere assetato e ancora coperto di terra.
Ma qualcosa, dentro di lui, gli aveva consigliato di allontanarsi dalle altre persone, e così lui aveva fatto, fermandosi poi solo al riparo di alcune rocce bianche che formavano una piccola laguna: qui, l’acqua veloce del fiume veniva catturata in mezzo ai sassi, che ne rallentavano la corsa.
Tra quelle onde, il ragazzo cercava di carpire il suo riflesso.
Si scostò le ciocche di capelli bagnati dalla faccia, gettando uno sguardo ai vestiti di cui si era spogliato lentamente, esaminandoli con attenzione mentre li toglieva. Li aveva guardati come se li vedesse per la prima volta.
Del resto, questo non era molto distante dalla realtà. Per quel che ne sapeva, poteva essere nato nell’esatto istante del suo risveglio il giorno prima, con quei vestiti indosso.
Tornò a sciacquarsi la faccia, tastando cautamente un taglio che aveva sulla fronte. Gli doleva un pochino, ma niente di grave.
Se la sua vita era iniziata il giorno prima in quella valle, non si poteva certo dire che fosse stato un grande inizio. Ammaccato e dolorante, con un guerriero di umore perennemente nero che lo osservava con occhi di fuoco.
Sentendo dei rumori alle sue spalle, si voltò, ritrovandosi a osservare il guerriero in questione che stava camminando verso di lui.
Gli rivolse un sorriso festoso. Era un sorriso in buona parte sincero: anche se non si poteva esattamente dire che l’uomo fosse stato gentile con lui, certamente l’aveva aiutato. La sua figura era stata il suo unico punto di riferimento fin da quando aveva aperto gli occhi, e, in fondo, il biondo trovava che la compagnia di quel guerriero dai capelli scuri fosse anche abbastanza piacevole.

Kurogane non rispose al saluto dell’altro, che ancora agitava le braccia nella sua direzione.
Aveva studiato la sua figura alta ed esile, avvicinandoglisi da lontano, mentre il biondo - a torace nudo, le gambe avvolte in pantaloni neri abbastanza stretti da sottolineare le sporgenze delle anche del bacino – si lavava nel fiume.
L’aveva osservato, ed aveva notato qualcosa.
“Che cos’è quel disegno che hai sulla schiena?” chiese il principe senza preamboli, non appena gli si fu avvicinato.
Il ragazzo lo guardò stupito “Cos’è…?”
Si guardò con aria preoccupata. Vide delle curve nere che si intrecciavano sulla pelle delle braccia, sotto le spalle.
Nonostante le avesse viste anche prima, parve notarle soltanto ora. Erano parte di lui, ma adesso che l’altro gliele aveva fatte notare, sembravano le spire di serpenti pronti a morderlo.
Tentò di osservarsi la schiena, senza successo; l’acqua gli restituiva solo un’immagine confusa del colore pallido della sua pelle, e di un’ombra nera che la oscurava.
Si guardò intorno: c’era una piccola lingua di sabbia, vicino a loro. Si chinò a raccogliere un rametto tra le piante della riva, e lo porse a Kurogane, indicandogli lo spiazzo sabbioso con un cenno del volto.
Il guerriero lo guardò per un istante con aria scettica, prima di capire cosa l’altro intendesse.
“Macché, non so certo disegnare, io.” rifiutò seccamente.
Il biondo, allora, si toccò la schiena con una mano, l’indice che alternativamente toccava la sua stessa pelle, in mezzo alle scapole, per passare poi a indicare Kurogane.
Il principe sbuffò. Questa volta, comprese subito cosa voleva dire l’altro. Gli si avvicinò ancora, e gli poggiò con malagrazia un dito sulla schiena, cominciando a percorrere le linee nere che si intersecavano su quella pelle diafana.

L’altro rimase immobile, gli occhi chiusi, mentre si concentrava sui percorsi che quel dito ruvido tracciava sul suo corpo: si avvolse intorno alle scapole, finendo poi in un solco tra le costole, attraversando più volte la spina dorsale, fino a poco sopra le natiche - zona in cui, gli parve di notare, il dito tracciò il suo disegno un po’ più in fretta.
Man mano che Kurogane eseguiva la sua opera di ricalco, le dita del giovane si stringevano sempre di più intorno al ramoscello che aveva raccolto.

Il principe non era nemmeno a metà del tatuaggio, quando il biondo si scostò improvvisamente e, chino a terra, iniziò a tracciare freneticamente dei segni sulla sabbia.
Kurogane sbirciò oltre la sua spalla, e vide che stava disegnando gli stessi tratti contorti che aveva tatuati sulla schiena.
Smise all’improvviso come aveva iniziato, e si alzò a contemplare il risultato. L’aveva riprodotto in maniera estremamente fedele.
“Allora, che cos’è?” ripeté Kurogane.
Il biondo si voltò verso di lui, un sorriso di scusa sul volto. “Non lo so.”
“L’hai appena disegnato senza nemmeno vederlo, non puoi non sapere che cosa sia.” insistette.
L’altro scrollò le spalle, sempre sorridendo.
“Non ricordo.”
Il principe aggrottò le sopracciglia, ma l’altro si scusò e, raccolti i suoi indumenti, si allontanò in fretta.

Mentre si rivestiva, sentiva gli occhi del guerriero fissi su di lui.
Dopotutto, sembrava esserci qualcosa, oltre al buio, prima del momento del suo risveglio sotto quelle iridi scarlatte.
Quando le dita del guerriero gli avevano sfiorato la schiena, il contatto non era stato spiacevole. La sua pelle era ruvida, il suo tocco un po’ ruvido, ma non certo violento.
Eppure, dopo qualche attimo, quel contatto vagamente impacciato e innocuo si era trasformato nel dolore lancinante di mille aghi che gli trafiggevano la carne, e nella sua mente si era stagliato chiaro e ben definito il disegno che le dita del guerriero stavano seguendo, come se lo avesse sotto gli occhi, come se anche lui lo avesse già tracciato innumerevoli volte.

Mentre si rivestiva il più velocemente possibile, sentiva ancora la pelle formicolargli al contatto del tessuto.
Deglutì a vuoto – aveva la gola secca – perché era consapevole del fatto che l’altro lo stava guardando.
Non sapeva perché, ma non gli piaceva l’idea che il guerriero osservasse quel disegno. Ma gli voltava la schiena comunque: anche se non ne capiva il motivo, pensava che sarebbe stato ancora peggio, se avesse mostrato l’espressione di dolore e paura che improvvisamente gli si era dipinta sul volto.


Quando furono di nuovo in viaggio, il biondo non smise un momento di osservare il cielo. Quell’azzurro lo riempiva di meraviglia e stupore, e tanto più lo guardava, tanto più non poteva fare a meno di pensare che avrebbe voluto averlo davanti agli occhi ancora e ancora. Lo beveva con lo sguardo, era assetato di quel celeste limpido e profondo; in qualche modo, era come se quella luminosità gli fosse mancata.
“Ma è sempre così blu?”
“Eh?”
“Il cielo.”
Kurogane sbuffò alla domanda.
“Quando piove, è grigio per le nuvole, e non è azzurro. Quando è notte, nemmeno, perché è nero. Ma quando durante il giorno fa bel tempo come oggi, è sempre azzurro… insomma, sì, è normale.”
Una risposta stupida per una domanda stupida.
Ma il biondo la valutò attentamente, rimuginandoci.
Se era normale, perché quell’azzurro lo stupiva così tanto?

  
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