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Autore: Claire Riordan    22/05/2020    1 recensioni
Remake del nuovo decennio di una mia vecchia, ma a me carissima, fanfiction, intitolata "Believe in Fate", riscritta in chiave più potteriana e meno "teen drama" americano, come era inizialmente nata, con una rivisitazione dei personaggi e delle loro storie.
Dal prologo: "[...] il Gran Galà del Quidditch prevedeva che Hogwarts mettesse in campo un'unica squadra, formata dai migliori giocatori della scuola, i quali sarebbero stati selezionati da un’apposita commissione composta dagli esponenti più importanti e competenti in materia. Questa squadra, poi, avrebbe dovuto competere con le più grandi nazionali di Quidditch del momento, tra le quali spuntavano i nomi di Inghilterra, Germania e Spagna, segnalate come le favorite per il grande torneo."
ATTENZIONE: nessun collegamento di nessun genere con "The Cursed Child".
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Altro personaggio, Famiglia Weasley, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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«Rachel, il Boccino ti è passato di fianco!» gridò Noah Shacklebolt alla piccola Cercatrice «Possibile che te lo sia lasciato sfuggire di nuovo
Rachel sbuffò guardando Noah di sotto, in piedi al centro del campo, una mano sul fianco e il fischietto ancora tra le dita dell’altra. Serrò la presa sul suo manico di scopa e lo raggiunse a terra.
«Che c’è?» sbraitò «È il secondo allenamento dell’anno, sono… un po’ arrugginita!»
«Vorrei ricordarti» ribatté lui, puntandole un dito contro «che sei considerata la miglior Cercatrice dai tempi di Harry Potter e per questo hai una grande responsabilità sulle spalle. È grazie a te se Tassorosso ha vinto la coppa del Quidditch per tre anni di fila! Che c’è, non t’importa più?»
Eccome se le importava. Noah era quasi un fratello maggiore, si preoccupava di lei più di chiunque altro, era la giocatrice a cui prestava più attenzione e Rachel non poteva che essergliene immensamente grata. Amava quel gioco, era la sua passione, ciò in cui vedeva il suo futuro. Ma la delusione per l’esito del provino per il Galà aveva demolito tutte le sue aspettative, e l’entusiasmo che metteva in ogni caccia al Boccino sembrava essersi dissolto.
«Sì che m’importa» borbottò, risentita «Te l’ho detto, sono solo arrugginita»
«Beh, io non credo proprio che tu lo sia» riprese il Capitano, severo «Sei distratta, tutto il tempo, si può sapere che c’è?»
Rachel avvertì il calore sulle guance. Sapeva che Noah si sarebbe infuriato come non mai se gli avesse confessato di aver partecipato ai provini per la squadra di Hogwarts, di aver infranto le regole perché troppo giovane per prendervi parte. Ma anche Isabella l’aveva fatto – al solo ricordo di quell’episodio, a Rachel si torsero le budella dalla rabbia – e, come loro, chissà quanti altri studenti sotto i quindici anni. Noah era un amico e una sorta di mentore… avrebbe capito?
«E va bene» confessò allora Rachel «Io… io ho… tentato il provino per la squadra di Hogwarts»
«Tu… tu che cosa?!» sbottò lui, gli occhi fuori dalle orbite.
«Lo so, è contro il regolamento» fece lei, rischiando di scoppiare in lacrime: deludere Noah era l’ultima delle sue intenzioni «ma… era troppo bello per non provarci! Ci tenevo, davvero, perché sarebbe stata un’occasione importante, per me, e se non avessi…»
«Rachel» la interruppe Noah, posandole una mano sulla spalla con un sospiro, d’un tratto calmo «non è l’età che fa un giocatore, e su questo siamo d’accordo. Cauldwell ti ha dato la possibilità di entrare in squadra al primo anno, quando di norma non sarebbe permesso, e questo perché hai innegabilmente un grande talento. Ma… parliamo di squadre nazionali, quelle che vedi giocare alla Coppa del Mondo. Saranno almeno il doppio di te e rischieresti di farti molto male. Ma sarebbe comunque… sarebbe insostenibile per chiunque»
Rachel annuì in silenzio, assorbendo quella piccola lezione che, in realtà, le sarebbe servita ben poco: la delusione l’aveva già avuta.
«Grazie per… per quello che hai detto» mormorò. Si rese conto che quelle parole suonarono vagamente scocciate quando Noah proseguì: «Rachel, lo so che tieni tanto al Quidditch, ma questo torneo… insomma, sei ancora molto giovane e…»
«Lo so, Noah, ho capito» tagliò corto lei. Quella conversazione non la stava di certo aiutando a stare meglio, anzi.
«Torno ad allenarmi» disse dopo un po’, buttando una gamba a cavalcioni del suo manico di scopa, pronta a ripartire «C’è comunque il campionato da vincere»
«Rachel» la fermò Noah «sei sicura di stare bene?»
«S-sì, io… sto bene» rispose «Devo solo… non devo pensarci più e concentrarmi sulle gare della scuola»
Abbozzò un sorriso un po’ incerto prima di scalciare a terra e rialzarsi in aria. Planò sul campo alla ricerca del Boccino, passando accanto alle tribune. Non si stupì nel riconoscere, tra i pochi presenti ficcanaso, la tronfia espressione di Isabella Nott, seduta sugli spalti accanto al suo immancabile fidanzato, Theo HIggs. Probabilmente era lì per ricordarle quanto mediocre fosse stato il suo tentativo di convincere i giudici di avere l’età giusta per partecipare al Galà, quando invece lei, Isabella, era riuscita a barare ed essere ammessa alle selezioni senza troppi giri di parole. Con uno sbuffo, Rachel si abbassò sul suo manico di scopa e prese velocità, lanciandosi in una perfetta picchiata verso il basso, nella migliore imitazione della caccia al Boccino. A pochi centimetri da terra, balzò giù dalla scopa senza alcun tentennamento, atterrando a piè pari sul prato.
Sogghignò fra sé quando, voltandosi, scoprì di aver sortito l’effetto voluto: Theo ed Isabella avevano gli occhi puntati su di lei, l’uno ammirato, l’altra astiosa e con una vaga ombra d’invidia sul volto.
Il fischio di Noah a pochi centimetri dal suo orecchio la riportò nuovamente alla realtà.
«Rachel» ringhiò «pensi di iniziare a darti da fare seriamente o…»
«Credevo di aver visto il Boccino, scusa» mentì lei.
«Non c’era nessun Boccino» sbuffò il Capitano, scaldandosi «Avresti potuto farti male! Che diavolo pensavi di fare?»
«Nulla» si affrettò a rispondere Rachel.
«Ne sei proprio sicura?» chiese Noah con fare inquisitorio, incrociando le braccia sul petto.
Per niente. Voleva dimostrare ad Isabella che lei aveva molto più talento, che meritava quel posto in squadra molto più di lei, anche se Isabella, evidentemente, era una bugiarda migliore. Il suo sguardo saettò per un momento verso le tribune, nel punto esatto in cui sedevano Theo e la Nott. A Noah non sfuggì.
«Lo sospettavo» sospirò, ammorbidendosi «Isabella Nott, eh?» constatò, seguendo lo sguardo della sua Cercatrice. Sapeva dell’astio che Rachel provava nei suoi confronti, tutta la squadra di Tassorosso lo sapeva.
«Cosa devi dimostrarle?» continuò lui «Puoi avere di meglio di quella specie di… Asticello con i capelli»
Rachel sorrise, ma non era Theo il vero problema, non in quel momento «Isabella ha mentito sull’età alle selezioni» disse Rachel «esattamente come ho fatto io. Solo che io sono stata spedita fuori, mentre lei… beh, i giudici l’hanno lasciata provare comunque»
«Quindi le hanno lasciato fare il provino anche se palesemente non ha l’età per partecipare?» fece lui, sgomento.
«Già» sospirò Rachel «E, come minimo, la ammetteranno pure in squadra»
«Parola mia che non lo faranno» ribatté Noah.
Rachel lo guardò interrogativa.
«Ne parlerò con la preside» disse Shacklebolt «Voglio dire, sono pur sempre suo nipote… e come Capitano di una squadra, credo di poter obiettare decisioni come questa»
«Direi, piuttosto, come nipote della preside» lo sbeffeggiò Rachel «E non dimentichiamo che tuo nonno è stato Ministro fino a pochi anni fa»
Noah gonfiò il petto con fare pomposo, divertito.
Rachel rise e lo abbracciò «Grazie Noah, grazie davvero»
«E per cosa?» fece lui «Voglio solo che le cose funzionino correttamente. Ma sappi che, Galà o no, io sarò sempre fiero di te»
La Cercatrice sorrise, sciogliendosi dall’abbraccio del suo Capitano. Molto più sollevata ora che sapeva che Noah avrebbe discusso con la preside dell’ammissione di Isabella, Rachel si rimise in sella alla sua scopa, pronta a ripartire a caccia del Boccino e decisa a restare concentrata per quanto le sarebbe stato possibile. Prima di levarsi in aria si rivolse un’ultima volta al suo Capitano: «Noah, perché non tenti tu i provini al posto mio?» gli disse «Potresti colpire Isabella per sbaglio con un Bolide, se foste entrambi ammessi in squadra»
«No, quel Galà non fa per me» rispose lui, con una risata amara «Devo portare avanti la squadra e quest’anno ho i M.A.G.O. Non ho tempo per il torneo»
 
 
 
Alle dodici in punto, la campana che segnava la fine delle lezioni mattutine risuonò lungo i corridoi del castello. Seduto strategicamente in ultima fila, Albus si precipitò fuori dall’aula di Incantesimi al primo rintocco, premurandosi di uscire prima di uno qualsiasi dei Corvonero con cui i Grifondoro avevano seguito quella lezione. Aveva tenuto d’occhio la testa bionda di Dylan Kirke, seduto in seconda fila, per quasi tutto il tempo: mentre lui schizzava fuori dalla classe, il Corvonero era ancora impegnato a riporre libri e pergamene nella sua borsa. Tutto perfettamente secondo i piani.
Mentre scendeva le scale a rotta di collo, diretto nel salone d’ingresso, non riusciva a smettere di domandarsi se avesse fatto la scelta giusta decidendo di dare man forte a Margaret, nel suo tentativo di riconquistare Dylan. Ma erano amici e si sarebbe sentito troppo in colpa se le avesse detto di no.
Margaret lo aspettava in fondo alla scalinata principale, le dita che tamburellavano sulla tracolla della borsa mentre si guardava nervosamente attorno.
«Eccomi» esclamò Albus col fiato corto, raggiungendola «Credo che Dylan arriverà a momenti»
«Ottimo» rispose Margaret, che ora aveva preso a torcersi agitatamente le mani.
Albus restò in silenzio. Avevano pianificato tutto, ma, ora che era giunto il momento di passare all’azione, tra loro aleggiava un imbarazzo tale da poterlo fendere con una lama.
Improvvisamente, Margaret sobbalzò.
«Che c’è?»
«Sta arrivando Dylan» disse Margaret in tono concitato, gli occhi che saettavano a intervalli regolari verso la cima delle scale «Fai finta… fai finta che una mia battuta ti abbia fatto ridere»
«Che cosa?» esclamò Albus, confuso.
«Fai finta di ridere!» sibilò lei.
Albus tentò di emettere una risatina, ma, nel giro di pochi secondi, si rese conto che il suono che usciva dalla sua bocca somigliava più al belato di una pecora col mal di pancia piuttosto che alla risata di qualcuno che si stava divertendo. Margaret, presumibilmente, notò quanto fosse in difficoltà, quindi scoppiò in una fragorosa risata con fare teatrale. Un gruppetto di ragazzini del primo anno li oltrepassò, scrutandoli come se fossero ammattiti.
Probabilmente lo siamo, pensò Albus fra sé, mentre ululava come un’orca marina.
Dylan passò lì accanto, ma parve non notarli più di tanto. Lanciò loro un’occhiata interrogativa e un sorrisetto imbarazzato gli solcò il volto mentre entrava in sala grande assieme alla sua combriccola di amici.
«Forse eravamo troppo… normali» constatò Margaret, sconsolata, guardando verso il tavolo di Corvonero.
«Per il San Mungo saremmo stati perfetti» fece Albus.
Lei sbuffò, possibilmente ancora più demoralizzata. Ma non passò molto prima che le cose prendessero una piega del tutto inaspettata.
Improvvisamente, videro Dylan alzarsi dal tavolo e dirigersi di nuovo verso l’ingresso. Voleva parlare con Margaret? Aveva dimenticato qualcosa nell’aula di Incantesimi e stava tornando indietro a prenderla? Stava semplicemente raggiungendo qualcuno seduto qualche posto più in là?
Successe tutto in un attimo confuso: mentre guardava Dylan avvicinarsi, perso nelle sue elucubrazioni, Albus udì indistintamente la voce di Margaret bisbigliare “Sta tornando qui”; avvertì uno strattone e, prima che potesse rendersene conto, si trovò col viso incollato a quello di Margaret.
Margaret lo stava baciando.
Rimase impietrito, rigido come uno stoccafisso, incapace di fare alcunché. Non sapeva dire se fosse imbarazzato, terrorizzato o entrambe le cose.
Così com’era iniziato, il bacio finì. Margaret si separò da Albus con uno schiocco: sul suo volto, c’era un’espressione colpevole.
«Scusami, Al» disse, e sembrava davvero dispiaciuta «Mi ha preso alla sprovvista, ho pensato che… ti senti bene?»
Ora Margaret lo scrutava preoccupata. Doveva avere un colorito orribile e lo sguardo sconvolto; le gambe gli tremavano e lo stomaco gli si attorcigliava come se avesse dovuto vomitare da un momento all’altro.
«S-sì, io…» disse, non appena ritrovò l’uso della parola «è che… non avevo mai…»
«Oh, cavolo» esclamò Margaret, arrossendo «Era… era la prima volta?»
«Già» fece Albus a disagio, fissandosi i piedi. Aveva sempre tralasciato con la sua migliore amica che non aveva mai baciato nessuna di quelle poche ragazze con cui era uscito. Forse Margaret pensava che ormai, giunto al settimo anno, fosse qualcosa di… normale?
«Oddio, Albus, mi dispiace così tanto!» disse lei, la testa fra le mani «Sono un’idiota»
«Non fa nulla» bofonchiò lui «Era… faceva parte del piano»
Annuì, cercando di convincersi. Margaret lo guardò affranta «Vieni… vieni a pranzo?» gli domandò, imbarazzata.
«Sì, io… tu vai, arrivo subito»
Margaret sembrò decidere di non ribattere e sparì oltre le porte aperte della sala grande in un battibaleno. Albus, rimasto solo nell’ingresso, si sedette sull’ultimo gradino delle scale, ancora tremante.
Era scioccato. Margaret l’aveva baciato. Così, per gioco. Tuttavia, era stato… strano. Insomma, baciare una ragazza era davvero così? Non riusciva nemmeno a ripensare a cos’aveva provato in quel folle attimo fugace. L’unica cosa di cui era certo, era che l’irruenza di Margaret gli aveva spaccato un labbro.
«Al?»
La voce di Derek lo distrasse dai suoi pensieri.
«Mc!» esclamò Albus scattando in piedi, felicissimo di vedere una faccia amica in quel momento «Che ci fai qui? Perché non sei a pranzo?»
«Mi sono fermato a chiedere un chiarimento alla professoressa Chang» rispose lui, come se fosse la cosa più ovvia del mondo «Stavo per dirtelo, ma sei corso via come un pazzo, che è successo? Perché sei… seduto sulle scale?»
Albus sospirò, prendendo a passarsi nervosamente una mano fra i capelli «È… è successa una cosa» ansimò, il fiato corto per l’agitazione.
«Parla»
Albus cercò di inspirare a fondo. La testa prese a vorticargli fastidiosamente, costringendolo a sedersi di nuovo sui gradini; poggiò i gomiti sulle ginocchia e seppellì il viso fra le mani. Si accorse solo in un secondo momento che stava tremando. Ancora.
«Maggie mi ha… baciato» sussurrò.
«Scusa?» fece Derek, con tanto d’occhi.
«Io e Maggie ci siamo baciati!» ripeté, la faccia ancora nascosta dietro le dita.
«Non ci credo! Era ora! Quando è successo?» esclamò Derek, dandogli un’entusiasta pacca sulla spalla.
«Cinque minuti prima che arrivassi tu»
«Ma aspetta, lei non era persa di quel… Keith? Quello che gioca nei Corvonero?»
«Kirke» lo corresse Albus con noncuranza «Sì, ma… vuole cercare di farlo ingelosire»
Derek lo fissò, confuso «Mi sono perso qualcosa?»
Un po’ riluttante, Albus alzò il capo e raccontò all’amico della conversazione avuta con Margaret ai Tre Manici di Scopa dieci giorni prima e di quel che era successo proprio poco prima.
«Non capisco cosa ci sia di male» commentò Derek alla fine del racconto di Albus «Insomma… credo sia forte se una ragazza prende l’iniziativa, no? Dovresti esserne felice»
«Ma questo non era nei piani» sbottò lui «Io e lei… siamo amici»
«Forse no» disse Derek, con l’aria di chi la sa lunga «Non solo, intendo»
«No… no, affatto» disse Albus, alzandosi in piedi «Le sto solo facendo un favore. Dimenticheremo questa cosa e tornerà tutto come prima. Tra me e lei non ci sarà mai nulla di più di… dell’amicizia»
Detto ciò, si decise ad andare a pranzo, con Derek che lo seguiva perplesso, ben determinato a non guardare nemmeno per sbaglio verso il tavolo di Corvonero a cui sedeva Margaret. Mentre acchiappava qualche fetta d’arrosto da mettersi nel piatto, la sua mente continuava a lavorare frenetica, nel tentativo di mettere in un ordine preciso gli ultimi eventi. La cosa più difficile fu gestire quella strana sensazione che sentiva all’altezza della pancia, come se avesse le farfalle nello stomaco… che pensavano di fare nella sua pancia?
 
 
 
Se Derek aveva mai pensato che gli allenamenti di Adam Baston fossero pesanti, ben presto scoprì che quelli di Lily Potter erano, se possibile, ancor più faticosi. Sebbene ora vedesse Lily sotto una luce diversa, dopo aver ascoltato i motivi che avevano spinto la giovane Potter a nominarlo suo vice-Capitano, non le avrebbe certamente confessato che, con gli altri membri della squadra, capitava spesso che si lamentasse dei suoi metodi di direzione degli allenamenti.
Lily era così determinata da risultare perfino severa, rigida, un piccolo dittatore, come l’aveva chiamata. Pretendeva il massimo da tutti e non annunciava la fine dell’allenamento finché non era soddisfatta della prova dell’intera squadra, il che significava tornare sempre negli spogliatoi con la lingua sotto le scarpe.
Fu in uno dei rari momenti di pausa che Derek si sedette sul campo assieme a Lysander Scamandro, a sua volta sudato e stanco.
«Tosta la ragazza, eh?» ansimò Lysander, prendendo una lunga sorsata d’acqua dalla sua borraccia.
«Non me ne parlare» fece Derek col fiato corto, asciugandosi con una manica il sudore dalla fronte «È la prima volta in tre settimane che ci concede una pausa, e ho pure dovuto insistere per averla»
Sbuffò e si lasciò cadere sull’erba fredda; l’umidità serale cominciava ad appiccicarsi fastidiosamente alla pelle.
«Almeno ti ascolta» commentò Lysander «A quanto pare, hai una buona influenza su di lei»
«Lo spero» asserì McLaggen stancamente, fissando il cielo che iniziava ad imbrunire.
«Perché non provi a chiederle di terminare quest’allenamento?» mugugnò il Cercatore «Sono distrutto»
Derek scoppiò a ridere «Non siamo nemmeno a metà» rispose «Credo dovremo rimanere qui almeno un’altra ora»
Si rialzò a sedere, i muscoli indolenziti dalla testa ai piedi.
«Forza fannulloni, sulle scope! Si ricomincia!» gridò Lily dall’altra parte del campo.
«Oh, basta, pietà!» mugugnò Lysander, alzandosi in piedi con una lentezza esasperante.
«Buon lavoro, Cercatore» gli disse Derek, mentre Lysander montava in sella alla sua scopa e decollava assieme al resto della squadra. Derek afferrò la sua mazza da Battitore e seguì l’esempio dei suoi compagni, quando un fischio di Lily richiamò la loro attenzione.
«Seb e Connor, allenamento su lanci liberi e rigori» annunciò da terra «Albus, agli anelli»
A Derek parve di scorgere il suo migliore amico roteare gli occhi prima di fluttuare verso la propria postazione.
«Fred, tu con Lysander» ordinò ancora Lily «Voglio che si alleni a scartare i Bolidi in velocità. Derek a terra, devo parlarti»
Un po’ interdetto, Derek eseguì, atterrando sul prato di fronte al suo Capitano.
«Qualcosa non va?» le domandò, un po’ preoccupato «Mi pare che lo schema nella prima parte della seduta sia andato bene»
«Quello andava benissimo» tagliò corto lei «Che c’è che non va in Albus?»
Derek aggrottò le sopracciglia «Beh, chiediglielo» disse «È tuo fratello»
«Con me non ne parlerebbe» brontolò Lily incrociando le braccia sul petto, lanciando una rapida occhiata al fratello impegnato a parare i tiri dei due Cacciatori «Per caso c’è qualcosa che non gli sta bene nella tattica di gioco?»
«Non credo, mi è sembrato abbastanza sicuro» rispose Derek, scrutando Albus a sua volta. Che aveva Lily? Improvvisamente si sentiva in colpa?
«Splendido, allora che c’è che non va?» domandò di nuovo lei.
«Continuo a non capire perché tu lo stia chiedendo a me»
«Perché sei il mio vice-Capitano e prima di prendere qualsiasi tipo di decisione, voglio parlarne con te» disse Lily «O non sei stato tu a dirmi che è giusto che il Capitano accetti l’appoggio della squadra?»
Derek non riuscì a trattenere un sorriso compiaciuto.
«Bene» riprese Lily «allora, che ha Albus? Mi sembra… non lo so, come se avesse altro per la testa»
Il giovane McLaggen s’irrigidì. Era così, Albus aveva decisamente altro per la testa. Ma era stato chiaro, gli aveva esplicitamente chiesto di tenere la bocca chiusa su quel che era successo con la sua migliore amica - sebbene lei volesse che la voce circolasse per far ingelosire quel Keats, o come diavolo si chiamava -, perciò non ne avrebbe fatto parola nemmeno con Lily.
Scosse la testa «Non ne ho proprio idea» mentì «Forse… s-so che ha fatto il provino per la squadra di Hogwarts, magari è un po’ teso per il risultato»
Lily sollevò un sopracciglio, con aria scettica «Beh, non ha certo l’aria di qualcuno pronto a fare a fettine tre squadre nazionali» esclamò «se al provino si è comportato come agli ultimi due allenamenti»
Derek si sentiva sempre più in difficoltà «Beh, a me non è sembrato così… così male» buttò lì, sapendo che il suo Capitano difficilmente avrebbe abboccato: Albus aveva lasciato entrare in porta la maggior parte dei lanci, nei giorni precedenti, e lo avevano notato tutti.
«Mc» lo redarguì lei, come previsto.
«E va bene» sospirò Derek sconfitto, ciondolando un po’ per temporeggiare e farsi venire in mente una scusa plausibile «So che, ultimamente, Al è… insomma, ha un po’ di cose da fare e…»
«Cose? Quali cose
«Sì, ha… beh, lui è…»
«Non è che c’è una ragazza di mezzo?»
Bingo.
Derek soffiò fuori dal naso un’enorme quantità d’aria, rendendosi conto solo in quel momento che stava trattenendo il respiro da chissà quanto «Sì» si arrese. Lily era troppo furba.
«E, di grazia, sarebbe possibile sapere di chi si tratta?»
«Oh, nessuno d’importante» ridacchiò Derek, cercando di mascherare il nervosismo «Sai com’è fatto Albus, la deluderà in meno di uno sventolio di bacchetta, lei sparirà e…»
«Non mi sembra» lo interruppe Lily «che sia così poco importante. Se lo fosse davvero, non si distrarrebbe così»
Come avesse fatto Lily a centrare immediatamente il punto, Derek non sapeva spiegarselo. Certo, non aveva dubbi su quanto fosse intelligente e sì, Albus era suo fratello, probabilmente lo conosceva bene, ma lui non avrebbe mai afferrato tanto in fretta il vero motivo di quel disinteresse verso la squadra.
È una ragazza, si disse. Le ragazze sono molto più sveglie, in queste cose.
«Avanti, sputa il rospo»
Derek strinse le labbra: non poteva tradire Albus.
«Non dirò nulla, giuro» continuò il Capitano, poggiandosi una mano sul cuore «È mio fratello, gli vorrò bene lo stesso, anche se si dovesse trattare di… che ne so, Mirtilla Malcontenta»
Con un sospiro, Derek si decise a parlare: «Beh, Albus è… io non ti ho detto niente, eh!»
«Derek» ringhiò lei.
«Va bene, va bene!» esclamò lui, ormai consapevole di non avere più vie di scampo da quella conversazione «Albus sta uscendo con… Margaret O’Neill»
«COSA?!»
Derek fu certo di aver sentito alcuni uccelli levarsi in volo dagli alberi della Foresta Proibita, infastiditi dallo strillo di Lily. Di certo, il resto della squadra si era voltato verso di loro.
«Sssh!» intimò al suo Capitano, mentre i loro compagni tornavano all’allenamento.
«Con Maggie?» fece Lily «Ma… in che senso, cioè, perché
«Storia lunga» buttò lì Derek, cercando poi di svicolare «Posso… posso tornare ad allenarmi? Credo che Fred abbia bisogno di…»
Non fece in tempo a terminare la frase che Lily afferrò il fischietto tra le labbra e soffiò forte, trapanandogli i timpani.
«Per oggi, l’allenamento termina qui!» gridò, e Derek immaginò la gioia che in quel momento avrebbe provato Lysander «Potete andare negli spogliatoi. Tranne Albus»
Derek guardò la squadra scendere a terra, perplessa; il suo migliore amico atterrò sul campo proprio accanto a loro.
«Qualcosa non va?» domandò dubbioso, guardando prima la sorella, poi Derek.
«Derek, puoi andare» gli disse Lily, gli occhi puntati sul fratello. Derek eseguì senza battere ciglio, lanciando un’occhiata ad Albus prima di dirigersi verso gli spogliatoi: non avrebbe voluto essere al suo posto.



[ Claire Says ]
Buongiornon a tutti quanti.
Ordunque... altro capitolino di passaggio per sviluppare un po' i rapporti tra i personaggi, ma so che qualcuno apprezzerà ;)
Niente di eclatante da dire, incredibilmente, stamattina mi sento stranamente di poche parole (sarà il sonno).
Segnate questo giorno sul calendario.
Much love,
C.

 
  
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