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Autore: dispatia    28/05/2020    0 recensioni
[riscrittura della mia ff del 2015 "Un anno da incubo, ovvero: quando un fratello pestifero non è abbastanza" ; just for fun!]
Fin dove può arrivare l'odio di un essere umano per altri esseri umani? Quanto è profondo il baratro della follia, quando ci cadi dentro per brama di vendetta?
Quanto può distorcersi la visione del mondo, prima di spezzarsi?
Amaaris pensava di averlo capito quando per la prima volta si era affacciata sull'enorme mare della guerra. Dopo più di una vita passata col fratello, legati da un'alleanza violenta e immorale nei secoli, credeva finalmente di aver trovato la pace, di essersi guadagnata la sua vita normale. Ma doveva ancora capire come la realtà trovasse sempre un modo di rigirarsi, ferire, e complicare le cose; come la ruota girasse così in fretta da farla passare in una settimana da una normale studentessa liceale a membro di un corpo speciale, in una disperata corsa contro il tempo per salvare tutto ciò che le rimaneva, per non ritrovarsi ancora una volta con un pugno di cenere in mano…
(MOMENTANEAMENTE IN PAUSA)
Genere: Angst, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bekuta/Vector, Nuovo personaggio, Yuma/Yuma
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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STAGE 4
DOMANDE
 
 



 
« Padre? »
Ciò che ricordava meglio del suo ritorno era indubbiamente l'odore.
Metallico, pungente, salino per i mesi di mare; le entrava dentro ogni crepa dell'anima, cancellando la stupida fantasia infantile di un padre che non aveva mai visto né avuto - uno tranquillo, uno vero, uno presente, uno che le avesse dato una carezza, oltre che cento schiaffi.
Si mischiava bene con il buio che gli si attaccava addosso, e non andava più via. Forse era una maledizione, come diceva Lei, lanciata da tutte le persone che aveva strappato alla vita troppo presto. Vector aveva detto che era un'idiozia, ma lei ne era sempre più sicura ogni volta che incontrava quegli occhi crudeli.
"La pace è un mezzo imperfetto per perfetti codardi", non diceva così?
« Amaaris. » Solo la sua voce bastava a farla irrigidire. « Cosa c'è? »
La bambina deglutì, un paio di volte, spostandosi di malavoglia dalla porta.
Ogni volta che tornava la guardava in modo più strano - non avrebbe saputo dire se disgusto, o disprezzo, o un tentativo fallimentare di comprendere quanto avrebbe guadagnato ad avere un unico figlio maschio invece di qualcosa di perfettamente inutile. Forse un giorno l'avrebbe data in sposa a qualche regno troppo potente per essere soggiogato con la forza. Forse l'avrebbe mandata all'altare con un boccetta di veleno ed un copione da recitare...
« Sono felice siate tornato - si schiarì la gola, giusto un istante, prima di abbassare gli occhi - ecco, io avrei una richiesta da farvi... »

 
« Vector me lo devi promettere! »
Lui fece una risatina, incapace di soffocare le tenerezza che gli faceva vederla così determinata. Nonostante non avessero un granché di differenza d'età lei rimaneva ai suoi occhi una perenne bambina, non solo perché non aveva ancora raggiunto la paburtà e a fatica gli arrivava al viso, ma perché sempre rinchiusa fra il tempio e le stanze della madre, senza nessuna reale consapevolezza del mondo esterno, non aveva nessun appiglio su quanto fosse tragico il mondo esterno. Era un fiore appena sbocciato, una vergine sacrificale; sarebbe durata pochissimo, e sperava che la lasciassero stare.
« Ci tieni così tanto? »
« Ti prego. »
C'era vento di mare, e la luce soffusa del tramonto. Amaaris intrecciò il mignolo con quello del fratello, e l'espressione corrucciata finalmente si distese.
« Per sempre, ricordatelo. »
Che nella vita, nella morte, nella tragedia, nel lento digradare della mente nell'oblìo, non vi separiate mai.


Mi svegliai di soprassalto con la certezza di star morendo.
Perché, non lo so dire. Un momento prima stavo sognando la stessa cosa per l'ennesima volta, il secondo dopo stavo cadendo nel buio, nelle fauci umide di un mostro.
Cercai di recuperare un respiro più regolare, mentre lentamente la realtà intorno a me iniziava a riprendere forma
Che diavolo è successo?
La stanza era di un bianco asettico, ordinato, quasi doloroso per gli occhi se non fosse stato per le decorazioni dorate qua e là; fuori dalla finestra brillava la luna. Alle pareti, dei quadri poco familiari...
La luna.
Mi tirai a sedere di scatto, un dolore lancinante al retro del cranio mi risvegliò completamente come una doccia ghiacciata. L'ultimo ricordo che avevo era Luna che mi chiedeva di duellare.
E poi?
Le orecchie fischiavano. A tastoni, toccai il punto della testa che mi faceva male, e lo trovai fasciato. Scesi un poco con le dita, sul collo, e mi rilassai un poco avvertendo la corda della collana.
Non avevo intenzione di rimanere in un letto sconosciuto, neanche con la testa che stava per esplodere. Non ci avrei perso molto, era sempre stata vuota.
Mi trascinai giù dal letto, notando distrattamente che chiunque mi avesse rapita - mi sembrava l'ipotesi più plausibile al momento - si era premurato di togliermi la divisa e mi aveva messo una veste.
Grandioso. Se è un pedofilo, ha gusto.
Dio, quanto era difficile pensare. Specialmente cose intelligenti. Cercai il mio telefono con gli occhi, ma non era da nessuna parte. Come, del resto, la mia cartella e tutto il resto.
Doppiamente grandioso.
Cercando di fare meno rumore possibile aprii la porta e sgattaiolai in un corridoio, ugualmente candido e asettico. La luce al neon bianca rendeva la notte irrealistica, illuminando una sequela di porte chiuse oltre alla mia e un incrocio di corridoi poco più avanti in ombre troppo nitide e dettagli accurati.
Forse è un ospedale psichiatrico.
Almeno in quel caso ero sicura di trovare mio fratello da qualche parte.
Stavo iniziando a incamminarmi verso gli altri corridoi nella speranza di trovare una via di fuga verso l'esterno, o almeno una spiegazione, quando dei passi e due voci concitate mi presero in contropiede.
« C'erano un miliardo di soluzioni migliori. Sei stata stupida e immatura. »
« Non ho avuto altra scelta. Lo ha afferrato prima che potessi reagire, e quell'idiota ha iniziato ad agitarsi- »
« La violenza non risolve tutto Luna. »
Non feci in tempo a scappare di nuovo in camera che due figure familiari mi si pararono davanti. Una era Luna, e l'altra...
« Christopher? »
Five distolse lo sguardo da Luna per concedermi la sua piena attenzione, e la quantità di domande che sentivo di dover fare aumentò notevolmente. Aprii e chiusi la bocca, un paio di volte, sempre più confusa.
Christopher, Thomas e Michael Arclight non si facevano vedere da un po' ad Heartland. Non avevo avuto modo di legarmi particolarmente a nessuno dei tre - se non si contava l'astio che avevo avuto verso Thomas da piccola, che ancora faticavo a mandare giù -, ma era impossibile non farci caso. Durante le vacanze precedenti al ritorno a scuola mi era capitato occasionalmente di vedere Michael e Yuma insieme a duellare o parlare da amici, come nelle mie uscite con Vector, Merag e Nash - lunga storia imbarazzante che non ho il cuore di spiegare al momento - di fermarmi a parlare con Thomas. Insomma, non erano perfetti sconosciuti; la loro assenza era visibile di riflesso nei miei amici, e mi aveva dato da preoccuparmi, almeno un poco.
Per questo rimasi a fissarlo come un fantasma, prima di riprendermi, un poco sollevata ci fosse lui e non solo l'assassina.
« Siete tornati? » Spiccicai alla fine, tirandomi comunque un poco indietro rispetto a loro, una nuova ombra di dubbio nella mente.
Erano in combutta?
Sarei morta per l'ennesima volta?
Dovette leggere qualcosa nel mio volto, perché sospirò, facendo un cenno a Luna che lessi come uno sparisci per ora, ordine eseguito ben volentieri da quest'ultima dopo una tremenda occhiataccia finale.
Non sembrava mai contenta di vedermi.
« Non dovresti alzarti da letto, sei ancora debole. »
« Sto benissimo. » Mi resi conto di essermi messa in difensiva, e indietreggiai un altro po'. Avrei dovuto fidarmi di lui, eppure ultimamente sembrava non mi potessi fidare di nessuno.
« Lo so che hai paura. Luna mi ha raccontato tutto. »
« Non ho paura! »
Mi pentii immediatamente di averlo detto in quel tono stridulo.
Mi strofinai il retro del collo, cercando risposte a domande evanescenti e dolorose, la più pressante delle quali mi danzava sulla lingua, implorando una risposta. Era calato un silenzio imbarazzato, e mi sentivo sempre più stanca di tutto quel teatrino incomprensibile.
« Christopher, ascolta », mormorai alla fine, obbligandomi a guardarlo negli occhi, « Per favore. Voglio la verità. Se sai quello che ha fatto Luna allora perché... »
« Hai frainteso la situazione Amaaris. Se ci lasci il tempo di spiegare capirai tutto. »
Altro silenzio. Poi riprese la parola.
« Tuo fratello non voleva... »
« Che venissi coinvolta sì, lo so. » borbottai, abbassando lo sguardo. Annuì.
« Però a questo punto tenerti all'oscuro va contro i tuoi interessi e i nostri. -- non mi sfuggì lo scintillìo seccato nel suo sguardo -- Ma anche quando saprai come stanno le cose, non potrai agire. Se non credi di poter resistere, allora non sprecherò tempo a darti una spiegazione. »
Esitai. Non avevo idea di cosa stesse parlando, e le sue parole non avevano un gran senso nella mia testa; mi appoggiai al muro e chiusi gli occhi, massaggiandomi le tempie mentre il fischio dentro ai timpani tornava a farsi acuto e presente.
« Cosa è successo prima? Quando ho duellato con Luna. »
Fece una smorfia, gettando un'occhiata al corridoio lungo il quale si era allontanata.
« Non posso darti una risposta completa adesso, ma c'è stata una... complicazione, ed è stata costretta ad interrompere il duello. »
I ricordi mi riafforarono, piano piano, come tante bollicine che dal fondo del bicchiere risalivano alla memoria, solo per poi scoppiare in dolorosissimi pop.
« E mi ha tirato una botta alla testa. Mi sembra una soluzione geniale. »
« Potevi peggiorare una situazione già delicata. »
Mi stava risalendo la rabbia lungo la gola, corrosiva. Odiavo la tranquillità con cui aveva detto che mi aveva atterrata di principio.
Ed odiavo essermi fatta dare un maledetto colpo alla testa. Mi ero rammollita.
« Yuma invece? »
« Lui... » mi guardò di sbieco, e poi scosse la testa. « Ne riparleremo domani. Adesso cerca di riposare, Amaaris. »
Non riuscii a protestare che era già sparito lungo la stessa strada che aveva percorso la mia incomprensibile nemica.
Passai le ore seguenti scorrendo il mio deck, senza riuscire ad addormentarmi. Non era solo per aver praticamente dormito per metà della giornata - anche se di certo non aiutava -, ma anche per la semplice paura di sognare ancora una volta quella... cosa.
Se c'era qualcosa che accomunava me e Merag era una certa propensione per le visioni e le predizioni. Quando succedeva qualcosa di grosso potevi star sicuro che mi sarei risvegliata di soprassalto da un brutto sogno, nello stesso momento in cui lei sveniva dopo un paio di parole criptiche; i motivi di questa similitudine, per'altro, non erano così diversi l'uno dall'altro.
Solo che a me succedeva solo nel sonno.
E quella sera non avevo la forza di reggere uno scenario post apocalittico.
Sospirai, posando il deck sul comodino ed alzandomi. Potevo perlomeno farmi un giro ovunque fossi, e magari scoprire qualcosa di più per i fatti miei prima di parlare con Christopher alla mattina.
Il corridoio era freddo e, adesso, cupo, dato che avevano spento la luce. Senza neanche il conforto delle lampade bianche, camminavo nel silenzio fra i miei pensieri tra speculazioni e predeterminate congetture che svanivano quando tentavo di costruirvi una logica attorno. Le stanze si susseguivano sempre uguali, corridoio scelto a caso per corridoio scelto a caso, finché non s'interruppero in un ascensore metallico.
Ci pensai un po' su, valutando sia il fatto che quel posto sembrava un labirinto sia la possibilità che potesse fare rumore e svegliare qualcuno. Non sapevo che razza di coinquilini avessi, o come avrebbero preso l'essere richiamati alla terra nel cuore della notte da una ragazzina insonne.
Ci stavo ancora pensando, mentre lo chiamavo ed entravo dentro.
Il touch screen, tirato a lucido, segnava altri due piani superiori e due inferiori. Il solito sesto senso mi diceva di andare su, in cima, e così feci, senza prendermi la briga di metterlo in discussione.
Nel riflesso dello specchio sembravo assurdamente pallida e stanca; quella situazione non doveva avermi fatto bene alla salute, evidentemente; con quei capelli spettinati, le occhiaie marchiate di viola e una benda intorno alla testa avrei potuto fare da controfigura a qualche zombie in un film di serie z.
Il terzo piano era decisamente diverso dal primo. Dopo una stanza piena zeppa di documenti strani, mappe e computer, una rampa di scale apriva finalmente sul cielo aperto, in un pavimento di freddo cemento che sarebbe benissimo potuto essere una pista d'atterraggio.
Mi avvicinai al bordo e mi sporsi, lentamente, cercando visivamente qualche indizio su dove mi avesse trascinato quella psicopatica di Luna. Riuscivo a vedere la torre di Heartland, in lontananza, ma per il resto solo i boschi che circondavano la città stesi per chilometri come un mare verde contro il piatto cielo cobalto.
Ancora altre domande che si affacciavano alla mie mente. Perché quel posto? Perché così lontano dalla città? Perché...
« Non affacciarti così tanto, potresti cadere. »
Sobbalzai, e per poco non caddi davvero, voltandomi di scatto verso una voce più che familiare.
« Oh... Arito! »
Gli corsi incontro, saltandogli addosso per abbracciarlo. Non mi ero mai sentita più sollevata di vederlo in tutta la mia vita, nonostante fosse decisamente ammaccato. Lui mugolò qualcosa, e mi allontanai, realizzando che avrei dovuto andarci più piano con qualcuno che era stato in ospedale fino a forse qualche ora prima.
Per quanto io fossi così felice di vederlo, lui aveva la faccia di uno che aveva appena visto un fantasma, per quanto un sorriso stentato tentasse di nasconderlo. Era la faccia del "perché sei qui?" con una punta di preoccupazione vivida che non poteva sfuggirmi.
Beh, più di una punta.
Come se mi avesse vista in una vasca piena di pirhanna.
« Anch'io sono contento di vederti », chissà perché sembrava una bugia, « ma cosa ci fai qui? Che ti è successo? »
« Non... non ne sono sicura. Ma non è importante adesso. Piuttosto come stai? Perché non sei in ospedale? Chi ti ha attaccato? Guarda che sono pronta a- »
« Calma, calma. »
La sua risata sembrò più genuina, e bastò a rincuorarmi un poco.
« Sono uscito oggi pomeriggio, i medici hanno deciso che le mie condizioni erano abbastanza buone. Riguardo a chi mi abbia attaccato... » distolse lo sguardo, socchiudendo gli occhi « non ti preoccupare, non lo farà più. »
Non mi sembrava una risposta da lui. Era come se volesse girarci intorno, e alimentò quel senso di ansia che si era appena affievolito, tornando a farlo pesare come un macigno.
« Arito... perché non vuoi dirmelo? »
Sembrava vecchio di mille anni. Il che forse, in un certo senso... esausto, ecco. Davvero esausto.
« Vector me lo ha fatto promettere. E anche se non andiamo esattamente d'accordo ha i suoi motivi. Per favore, non farmi altre domande. »
Calò un silenzio strano, teso e confuso. Voltai lo sguardo, andandomi a sedere al bordo, le gambe a penzoloni, improvvisamente senza voglia di parlargli.
Non riuscivo neanche più ad arrabbiarmi. Mi dicevano tutti la stessa identica cosa. Nessuno voleva dirmi niente, era paradossale.
Un paio di secondi e lo sentii sedersi di fianco a me. Non alzai lo sguardo da terra, rimanendo concentratata sul nulla.
« Amaaris so che non ti piace essere trattata da bambina. Però vorrei che tu capissi che lo stiamo facendo per te. E forse un giorno saprai tutto... no. Prima o poi lo saprai in ogni caso. Vogliamo solo che tu ti goda un po' di normalità prima. »
« Quindi tutti gli altri imperatori sono qui? »
« Sì. Probabilmente li vedrai domani. »
« Oh. Figo. Per questo non vengono a scuola? »
Suonavo più cinica del solito.
Sospirò, e con la coda dell'occhio lo vidi guardarmi fra il preoccupato e il troppo esausto per rispondermi a tono.
« Più o meno. Sono importanti qui. »
« Bene. Mi sono mancati. »
Non sapevo neanche io se era sarcasmo o meno.
« Anche tu ci sei mancata Amaaris. Siamo una squadra. »
« Beh, non mi sembriamo molto uniti. »
Accennò ad un sorriso, alzandosi in piedi, e allungandomi una mano come gesto di fare lo stesso.
« Lo siamo più di quanto tu creda. »

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NOTE DELL'AUTRICE


Oddio, sono viva!
Sì, ho pubblicato, sì, sono passati credo tre mesi dall'ultimo aggiornamento. Ma con la pandemia sono giustificata, no? :D
Ok, seriamente. Quando era appena iniziata la quarantena credevo avrei avuto più tempo per scrivere e pubblicare, ma alla fine sono stata semplicemente sommersa di compiti tanto quanto prima... chiedo scusa!
In ogni caso, appena trovo la voglia e il tempo di aggiustarlo, potrei pubblicare una one-shot sulla negativeshipping fra poco! (Yay!).
Infine, mi scuso se non c'è il duello affettivo fra Amaaris e Luna ma avevo paura fosse troppo noioso da leggere, e dopo averlo riscritto un miliardo di volte ho finito per cambiare totalmente idea su dove volevo andasse a parare questa storia. Prima o poi ci sarà un duello scritto, promesso, anche solo perché vorrei dare ad Amaaris un deck decente.
Sperando che riesca ad aggiornare più in fretta la prossima volta, vi saluto!
E sperando anche che io non sia inciampata in uno dei buchi di trama che continuo ad evitare per un soffio dato che mi ostino a non seguire lo schema che mi ero prefissa e a cambiare cose ad minchiam a mezza strada. So che mi dimenticherò qualcosa che ho detto prima e mi contraddirrò. Lo so. Lo so e basta.
   
 
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