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Autore: crazyfred    07/06/2020    4 recensioni
{FRANCESCO & EMMA} "La neve aveva assunto l'odore dei suoi baci sotto i portici, del cioccolato, della cannella e delle arance che aromatizzavano i bicchieri bollenti di vin brûlé"
Prosieguo ideale della storia d'amore di Emma e Francesco, dove li abbiamo lasciati alla fine della quinta stagione. La voglia di ricominciare da zero, ma anche di non cancellare quello che è stato, il ricordo indelebile di errori da non commettere più. E chissà, magari coronare il loro amore con un nuovo arrivo...
Ma anche la storia di quella banda di matti che li circonda: Vincenzo, Valeria, ma anche Isabella, Klaus e naturalmente Huber.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Commissario Nappi, Emma, Francesco
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5 - Terzo mese o "Tumtum, tumtum"
 






 
"Sei preoccupata?" le chiese Francesco, ma Emma non rispose. La stretta più energica alla mano del marito, intrecciata alla sua, così come il leggero tremolio delle gambe accavallate, tradiva la tranquillità che si affaticava a dimostrare.
In quel momento, mille pensieri affollavano la mente di Emma, su tutti la paura che quello che era già successo una volta, a cui la donna si rifiutava di dare un nome, potesse ripetersi di nuovo. In quel momento, non le interessava nulla delle statistiche, di sapere che "la prima volta capita molto spesso", né che la sua patologia poteva essere stata una delle cause scatenanti. Voleva solo che il suo bambino stesse bene.
In attesa del suo turno, seduta nel corridoio dell'ambulatorio di ginecologia, quell'odore alcolico di medicinali e disinfettanti le era entrato dalle narici risalendo fin nella testa, premendo sulle tempie. Era l'odore dei reparti degli ospedali che negli anni aveva visitato, in cui era stata ricoverata e dei quali conservava pochissimi ricordi positivi.
 
"Ehi!" una voce familiare la chiamò, e il volto di Francesco fece capolino dal corridoio del reparto. La sua voce come il suo sorriso sembravano voler trasmettere serenità, emozione anche, per il grande giorno. Ma, a guardarli bene, i suoi occhi erano quelli di un condannato a morte e, dentro di sé, l'uomo stava combattendo la battaglia più grande della sua vita. Da un lato la volontà di trasmettere ad Emma tutta la forza che aveva in corpo e, dall'altro, la voglia di strapparle tutti i tubi, caricarla di peso e portarla via da quel posto. Ma lei aveva deciso e lui doveva starle vicino. Vederla seduta su quel letto, il camice chirurgico indossato, i capelli raccolti in una cuffietta, le cannule per le flebo che le pendevano dall'incavo del braccio, fece perdere il respiro a Francesco, proprio come quando sulle giostre si viene catapultati di colpo verso il basso, ma quello non era un gioco.
"Ehi!" rispose Emma, calma; la preanestesia stava pian piano facendo effetto su di lei. L'infermiera che l'aveva aiutata a prepararsi tirò il paravento tra lei e la paziente nel letto a fianco, concedendo loro un po' di privacy prima che fosse il momento di andare in sala operatoria; la ringraziarono sommessamente. Per loro, quello, non era affatto un giorno di festa. Entrambi avrebbero solo voluto fermare il tempo, disperatamente, o quanto meno farlo scorrere il più lentamente possibile.
Francesco entrò timidamente nella stanza, la giacca di pelle tra le mani; si sedette sul bordo, attento e timoroso, quasi fosse coperto di chiodi. La separazione imminente e la consapevolezza che potessero essere gli ultimi istanti che trascorrevano insieme, appesantivano i loro cuori e bloccavano in gola le parole più importanti. Al loro posto, futile conversazione, una parvenza di normalità per nascondersi la paura e le incertezze per le ore a venire. "Hai messo il mio maglione preferito" commentò Emma, infilando la mano tra manica del maglione di lana blu scuro, che tanto le piaceva, e il braccio del suo uomo, scorrendo le dita tra le maglie intrecciate. "Per te" fu solo in grado di risponderle.
Per un attimo i loro sguardi si incrociarono. Non avevano bisogno di parole, gli occhi parlavano per loro. Emma ruotò la mano che era ancora nella manica del maglione per accarezzare il braccio di Francesco, scendendo lentamente fino a che le loro mani non si incontrarono e si strinsero forte.  Forza! - sembravano urlare - Torna da me!
"C'è qualcuno che è venuto a salutarti" le confidò lui "ha tanto insistito che alla fine nessuno ha saputo né potuto dirgli di no!"
Emma lo guardò, interdetta; allora Francesco si alzò dal letto e uscì dalla stanza ed Emma lo vide fare dei cenni a qualcuno lontano nel corridoio, incitandolo ad avvicinarsi. Era il piccolo Leo.
"Entra su, non avere paura!" Francesco lo incoraggiò ad entrare, guidandolo delicatamente con le sue grandi mani sulle spalle del bambino. Il piccolo, intimorito da quel luogo così insolito, le luci fredde, gli odori sgradevoli e le persone tutte vestite in maniera strana, aveva tutta l'aria di chi aveva cambiato improvvisamente idea. Chissà cosa si era immaginato di trovare, entrando nella stanza di Emma.
"Cucciolo!" lo salutò Emma, aprendo le braccia per accoglierlo. Il bambino, rincuorato dalla voce familiare e dal suo sorriso così dolce, corse ad abbracciarla, tuffandosi a nascondere il viso nel suo petto. Gli piaceva quando Emma, nell'abbracciarlo, lo cullava dolcemente. Era da pochissimo tempo che i due si conoscevano, avevano passato qualche serata insieme, colorando e leggendo qualche storia, quando Emma aveva lavorato per i Moser e poi, a seguito dell'arresto dei suoi genitori adottivi, aveva iniziato a prendersi cura di lui assieme a Francesco. Avevano avuto pochissimi giorni per legare, ma erano bastati per farli diventare quasi inseparabili. Francesco le diceva sempre che era una calamita naturale per le persone, con il suo modo di fare gioioso ma mai eccessivo riusciva a trasmettere a chiunque benessere e positività. Era un po' il sole di quel sistema di pianeti quale era diventato il loro gruppo di amici più intimi.
"Lo sai che questo bambino ha un regalo per te?" disse Francesco, facendole l'occhiolino.
"Davvero?!" Il piccolo, staccatosi dall'abbraccio, annuì, porgendole il foglio che stringeva forte tra le mani quando si era avvicinato e, abbracciandola, aveva fatto scivolare sul letto. Nonostante la semplicità delle linee, erano ben distinguibili le montagne, il lago con la palafitta più piccola, lontana, e loro tre, sulla spiaggia, intenti a far volare un aquilone.
"Hai disegnato la nostra gita al lago?" "Sì" "Amore è bellissimo!" lo ringraziò, baciandogli la fronte. "Adesso facciamo una cosa" aggiunse, ripiegando il foglio da disegno "lo metto sotto al cuscino … così … e lo porto in sala operatoria con me, come portafortuna. Va bene?!"
Il bambino annuì, ma difficilmente capiva quello che stava accadendo attorno a lui. Gli avevano spiegato che Emma aveva una "bua alla testa" e che un dottore l'avrebbe tolta. Ma che ci fosse la possibilità concreta di non rivedersi, lui non poteva neanche immaginarlo.
"Di' ad Emma quello che mi hai detto prima?" lo incalzò Francesco, vedendo il bimbo un po' impacciato. "Ho detto a Francesco che … che mi deve insegnare le cose sui lupi perché poi … perché poi quando tu torni, noi dobbiamo andare in alto in alto in montagna a vederli!" disse, enfatizzando l'idea di alta montagna aiutandosi con le braccia. Quell'immagine strappò un sorriso ad entrambi: ad Emma, che distolse il pensiero dall'operazione imminente e a Francesco, che per un attimo dimenticò tutto quello che di brutto era successo nella sua vita e ritrovò quella sensazione di famiglia e di casa che aveva perso anni prima. Ma la cruda realtà di quel luogo li spinse di nuovo con forza e spietatezza con i piedi per terra.
"Torni presto?" domandò Leo. "Non lo so, tesoro, sono i dottori a decidere…" tentò di spiegargli Emma, baciandogli la fronte. Respirò più forte che poteva quel dolce profumo d'infanzia, di latte e di fiori delicati. Voleva trattenere, quanto più poteva, ricordi delle persone a lei più care.
L'infermiera rientrò nella stanza "Mi dispiace interrompere Emma…ma dobbiamo andare"
"Un minuto solo, la prego" la voce di Francesco si era completamente trasformata, Emma non l'aveva mai sentita così, implorante "Leo, vai da Vincenzo … io arrivo subito". La ragazza acconsentì, gentilmente, prendendo per mano il piccolo che, prima di uscire, lasciò un bacio sulla guancia di Emma, e accompagnandolo fuori.
"Vincenzo?!" domandò Emma, stupita "c'è anche lui?"
"Sono venuti tutti … Vincenzo, Valeria … persino Huber" sorrise, tornando a sedere di fianco a lei "speriamo che per oggi il crimine a San Candido si sia preso una pausa"
Emma, sorprendendo Francesco, si buttò al suo collo. "Ho paura" confessò. Il suo corpo era composto, la sua voce ferma, forse leggermente stordita, ma era facile intuire che era solo per via dei tranquillanti che le avevano dato per portarla in sala operatoria con più facilità. Una lacrima, però, bagnò il collo dell'uomo, là dove Emma aveva nascosto il suo volto e gli stava lasciando dei baci leggeri.
"Sshhh" tentò Francesco di consolarla. Meccanicamente portò la mano sulla testa, come per accarezzarle i capelli, ma la sua bella chioma era intrappolata sotto una cuffietta di cotone. Avrebbe voluto toccarli un'ultima volta, aspirare il loro sentore dolce e vanigliato. "Emma …" disse, pesando le parole con estrema cura "sei ancora in tempo … se non vuoi …"
Francesco temeva la sua reazione, ma sperava che capisse che non c'era egoismo nelle sue parole. Ovvio, avrebbe fatto di tutto per evitarle l'intervento, ma aveva iniziato a capire anche lui che era l'unica possibilità che aveva per poter vivere una vita normale, nonostante il rischio così dannatamente alto.
"No" disse, riportandosi di fronte a lui e asciugandosi le lacrime "devo farlo. Per me, per te … e anche per quel piccolino …"
Era la sua famiglia. Se fosse andato tutto come sperava, sarebbe tornata da loro e avrebbero costruito insieme quel futuro che lei non si era più potuta permettere il lusso di immaginare. Era bello vivere nel presente, godersi ogni singolo attimo; ma quanto bello ancora sarebbe stato fare dei progetti, programmare anche solo una giornata da trascorrere insieme … figurarsi una vita, una casa, un figlio.
Poggiò la sua fronte su quella del suo compagno, come quando, nel loro posto speciale, lui finalmente le aveva detto -ti amo-. Restarono così per pochi secondo, ma ad entrambi sembrò un'eternità, loro fermi ed il mondo intorno che girava, vorticosamente.
"Non mi lasciare sola" "Sono qui, non ti lascio sola … tu però promettimi che torni da me"
Lei andò a cercare aria sulle labbra di lui; la cercava affamata, come se fosse una finestra aperta sulle loro montagne, assaporando con voracità tutto quello che lui aveva da offrirle: tutto sé stesso, la forza del suo corpo per combattere, il coraggio del suo cuore per affrontare il nemico a testa alta, l'abilità della sua mente di difendersi dagli attacchi.
L'infermiera, di ritorno, si schiarì la voce per segnalare la propria presenza.
"Voglio che lo tieni tu" disse Emma, restituendo a Francesco l'anello che lui le aveva donato pochi giorni prima. Nonostante le sue proteste, lui aveva insistito … non c'era tempo di andare all'altare, le aveva detto, che almeno avesse un simbolo di quella promessa che si erano fatti: una vera sottilissima, in oro giallo, con tre piccoli diamanti incastonati; minimalista, proprio come loro. Mentre l'infermiera sistemava gli ultimi dettagli del trasferimento in sala operatoria, Francesco sganciò la catenina che di solito aveva al collo e vi inserì l'anello, accanto alla medaglietta, ricordo di Marco.
"Hai tolto la fede?" domandò Emma, sorpresa. Lui, si inginocchiò di fianco al letto " Come te lo devo dire che ci sei solo tu?"
Per Francesco era arrivato il momento di aprire gli occhi e ammettere che quel matrimonio non era finito per colpa di Deva, del Maestro; non era finito neanche a causa dell'incidente occorso a suo figlio: si era arenato molto tempo prima, ma per la lontananza e il bene del bambino, avevano continuato a credere che andasse tutto bene, nonostante le differenze, nonostante i silenzi, nonostante la distanza persino in quei pochi momenti che trascorrevano insieme.
Era tutto pronto, il momento della verità si stava avvicinando. Due uomini in divisa bianca entrarono nella stanza per far uscire il letto direzione camera operatoria. Senza dirsi nulla, le mani di Emma e Francesco si cercarono e si trovarono, strette quasi ad arrestare la circolazione. Non c'era dolore, né torpore. Seguendo la barella lungo il corridoio del reparto, il forestale non si accorse nemmeno di aver lasciato cadere a terra la sua giacca. Un ultimo bacio sfiorato, un ti amo sussurrato sulla bocca prima che l'ascensore inghiottisse Emma. Poi, per entrambi, una lunga apnea, buia e silenziosa.
 
Francesco lasciava che Emma gli stringesse forte la mano. Non importava che gli facesse male, perché conosceva bene i cattivi pensieri che tornare in un ospedale, qualsiasi fosse il motivo, le provocava. Dal canto suo, invece, era eccitato. L'idea di vedere per la prima volta il bambino lo lasciava senza fiato: nonostante avesse interiorizzato la prospettiva di star diventando padre di nuovo, nonostante avessero già, insieme, avuto a che fare con alcuni tappe tipiche di una gravidanza, la possibilità di vedere con i suoi quel piccolo esserino che gli stava sconvolgendo l'esistenza rendeva tutta l'esperienza più concreta. Con la mano libera dalla stretta, si mise a giocherellare con gli anelli all'anulare di Emma: quel passatempo scacciapensieri sembrò funzionare non solo per lui, ma anche per Emma che, con un leggero sorriso, appoggiò delicatamente la testa sulla sua spalla. La sua testa era ancora altrove, ma almeno sembrava rasserenarsi.
"Giorgi?! Emma Giorgi?!" fuori dalla porta del suo studiolo, la ginecologa li chiamava. A San Candido si mormorava che l'ospedale avesse avuto un occhio di riguardo per la moglie del comandante della Forestale, facendola seguire direttamente dal primario, ma non era vero, ed Emma stava ben attenta che questo dettaglio rimanesse il più possibile lontano dalle bocche delle pettegole: si era rivolta alla stessa dottoressa che l'aveva seguita quando aveva perso il suo … il loro … primo bambino. Sulla sessantina, i tratti tipicamente nordici, la dottoressa Rainer era una di quelle donne che, grazie all'eleganza e alla delicatezza dei modi, riusciva a dimostrare molti meno anni di quanti ne avesse in realtà.
"Emma…amore, tocca noi"
La reazione di Francesco, che quasi saltò dal sedile quando sentì pronunciare il nome della moglie, irradiò il volto di Emma con un gran sorriso ed ebbe l'effetto di scacciare ogni brutto ricordo. Non era sola questa volta e, orgogliosamente, mantenendo le loro mani intrecciate lo trascinò tra le due ali di madri e padri che, come loro, erano in attesa del proprio turno. Ricordava ancora troppo bene la sensazione di disagio che aveva provato quando si era presentata da sola all'appuntamento per l'ecografia durante la prima gravidanza; magari era solo suggestione data dalle circostanze, ma aveva percepito degli sguardi indagatori e giudicanti posarsi su di lei quando si era seduta su uno di quei seggiolini da sola, senza un compagno a sostenerla, come se le paure e i dubbi che sentiva dentro fossero in bella mostra su un cartello luminoso davanti a lei.
"Allora Emma, come andiamo?" domandò la dottoressa, mentre Emma si sistemava sul lettino, dando uno sguardo agli esami che le aveva prescritto. Aver avuto l'opportunità di avere al suo fianco la stessa ginecologa che l'aveva seguita la prima volta, la faceva sentire più tranquilla; forse si comportava così con ogni paziente ed era solo professionalità, ma Emma sentiva l'impegno e la cura che la dottoressa stava impiegando per far sì che tutto andasse nel migliore dei modi. La calma, la gentilezza e al contempo la risolutezza dei suoi modi avevano fatto nascere un feeling speciale tra le due donne, fondamentale in circostanze così delicate.
"A parte le nausee e mio marito … tutto bene, grazie!" spiegò, inviando una smorfia di scherno nei confronti di Francesco che aveva provato a controbattere.
"Per le nausee possiamo trovare un rimedio" scherzò la dottoressa "per il marito, mi dispiace ma non rientra nelle mie competenze, ho paura che dovrai tenertelo così."
"Dottoressa mi creda" rispose lui "non faccio nulla che lei stessa non approverebbe, Emma deve sempre esagerare". La donna sorrise, fin troppo abituata alle apprensioni delle coppie al primo figlio; Emma, invece, si lasciò andare ad un sospiro di capitolazione. Ormai aveva capito che avrebbe dovuto fare l'abitudine a convivere con quel maniaco ossessivo compulsivo e, se lo conosceva bene, poteva permettersi di sperare che, una volta iniziati i lavori nella nuova casa, avrebbe canalizzato lì tutte le sue energie.
"Le analisi sono tutte in ordine" affermò il medico, posizionandosi davanti all'ecografo "ora diamo un'occhiata a questo pargoletto. Pronti?" Annuirono entrambi. Emma, allungata sul lettino, allungò il braccio verso Francesco, per raggiungere ancora una volta la sua mano. Si era sentita troppo sola, meno di un anno prima, quando si era seduta in quello stesso punto a guardare quel monitor senza sapere cosa fare, nessuno che le desse un'alternativa all'inevitabile, impaurita, sfiduciata. Vederlo lì, al suo fianco, agitato e coinvolto, le mosse un dubbio che già in passato l'aveva turbata: se lo avesse avvertito prima, se gli avesse dato l'opportunità di vivere assieme a lei quella stessa esperienza, forse la sua reazione sarebbe stata diversa, forse tante cose sarebbero andate diversamente. Stai calma, Emma, pensò, ricordando le parole che sua zia le aveva detto tante volte, la storia non si scrive con i se e con i ma.
Il gel ecografico posto sul suo basso ventre, freddo e appiccicoso, la fece sussultare per un breve istante e la sonda ecografica che premeva sulla pancia iniziava a dare i suoi effetti sulla vescica che, per facilitare l'esame diagnostico, aveva dovuto riempito per un'ora intera con un litro d'acqua. Oltre all'ansia per il risultato, Emma sperava anche di non dover aggiungere un altro genere di brutte figure.
"Ecco qua" affermò la ginecologa quando sullo schermo apparvero le prime immagini. Emma però, anziché focalizzare la sua attenzione sul monitor, preferì mantenere il suo sguardo sul volto del marito e da lui capire se la situazione era buona o meno. Lui, seduto su uno sgabello alla sua destra, non riusciva a smettere di sorridere. Il burbero e tenebroso Francesco, i cui sorrisi Emma aveva potuto contare sulla punta delle dita da quando si conoscevano, aveva stampata sul volto un'espressione di completa e totale meraviglia. Gli occhi lucidi, anche le lacrime sembravano essersi fermate per lo stupore. Non era sicura che il marito si stesse rendendo pienamente conto di quanto stava vedendo; così, fattasi coraggio e preso un respiro profondo, Emma si voltò verso il monitor.
Razionalmente ogni mattina, davanti allo specchio, si ripeteva di non affezionarsi, almeno fino alla fine del primo trimestre, per non subire di nuovo il dolore per il distacco, se qualcosa di brutto fosse accaduto di nuovo. Ma era il suo bambino, il loro bambino, lo avevano desiderato così tanto che non poteva non amarlo. Se avesse sentito tutto l'amore che i suoi genitori provavano per lui, sicuramente avrebbe preferito restare con loro piuttosto che volare via. E doveva sentirlo forte più che mai il loro amore in quel momento, il cuore della sua mamma doveva rimbombargli attorno come un rullante, tanto batteva all'impazzata. Ed il piccoletto sembrava partecipe di quel momento di gioia collettiva, quasi sapesse quanto fosse importante l'appuntamento del giorno da non voler sfigurare di fronte a mamma e papà: le braccine e le gambette, per quanto piccole e ancora poco sviluppate, si muovevano senza sosta, girandosi e rigirandosi nel sacco amniotico come fosse tutto solo in una grande piscina dall'acqua caldissima.
Emma non riusciva a staccare gli occhi da quel pesciolino di soli 3 cm e dovette sforzarsi quanto più poteva per trattenere le lacrime che altrimenti le avrebbero appannato la vista. Portò istintivamente la mano davanti alla bocca, come a voler trattenere un urlo liberatorio; conviveva da giorni con i malesseri tipici del suo stato, ma in quel momento faticava a credere che una cosa tanto bella stesse succedendo proprio dentro di lei. La grandezza di quel miracolo la faceva sentire così minuscola, al suo cospetto.
Mentre la dottoressa parlava loro di misurazioni, di sacco vitellino e altre parole poco comprensibili, l'unica cosa che attirava l'attenzione di Francesco era quella manina, ancora abbozzata, che era curiosamente vicina al volto del bambino; non ne era sicuro, ma gli piaceva immaginare che si stesse succhiando il pollice. Non poteva evitare di immaginarlo fare la stessa cosa, solo fra le sue braccia, avvolto in una copertina, cullandolo si notte mentre Emma riposa al suo fianco. Già si immaginava l'odore di latte e talco che avrebbe riempito la stanza, il silenzio ricercato a tutti i costi per poter ascoltare al meglio il suo respiro, i sorrisetti beati durante il sonno.
"E adesso controlliamo il battito" dichiarò la ginecologa. All'inizio della gravidanza, per aiutare i futuri genitori ad allentare le ansie dovute alla perdita precedente, la dottoressa aveva effettuato un'ecografia interna per controllare che fosse tutto apposto, ma erano ancora nelle primissime settimane e il battito non era ancora apprezzabile.
Tumtum tumtum tumtum tumtum…
Emma avrebbe riconosciuto quel suono tra mille altri, in una stanza affollata e con la musica da discoteca ad altissimo volume. Era il cuore del suo bambino. Perfettamente normale e straordinariamente in salute, come confermato dalla dottoressa. Non le interessava altro.
"Quello…quello è…?" biascicò Francesco, staccando le sue mani da quelle di Emma e puntando il dito verso il monitor. "Il suo battito?!" indagò la dottoressa, provando a completare la frase "assolutamente sì! Straordinario vero? Dopo tutti questi anni, non riesco ancora a farci l'abitudine"
Francesco liberò un sospiro d'incredulità. "È il nostro bambino …" gli sussurrò Emma, commossa. "Il nostro bambino" ripeté lui, stordito ma felice, accarezzandole i capelli. Tra i due lui avrebbe dovuto essere quello con più esperienza, la persona matura, in controllo della situazione; eppure tra i due Emma, in quel momento, sembrava quella più in grado di gestire razionalmente l'ondata di emozioni che li aveva investiti.
"Bene, per me basta così" concluse la ginecologa, porgendo un asciugamano di carta per ripulirsi "puoi risistemarti e poi ci accomodiamo di là per pianificare i prossimi step"
"Grazie mille, dottoressa" Francesco, approfittando del paravento che separava l'area dedicata all'ecografo e la scrivania, non appena la ginecologa si era allontanata, avvolse sua moglie, che si era appena tirata su dal lettino, le gambe penzoloni, in un lungo abbraccio, cogliendola alla sprovvista, e posandole un tenero bacio sulla guancia. Emma si strinse forte al suo collo, comprendendo totalmente la gioia piena che suo marito stava provando. Erano entrambi su una nuvola; difficile scendere da lì.
"Buon compleanno" gli sussurrò. "Non potevi farmi regalo più bello".
Usciti dal parcheggio dell'ospedale, Emma si rese conto immediatamente che la strada che avevano preso, portava in direzione opposta che solitamente facevano per tornare a casa.
"Dove stiamo andando?" "Sorpresa!" rispose il marito, mimando una zip serrata sulle labbra. "Mmmm, va bene" Emma alzò le mani in alto, in segno di resa "ma non è giusto. È il tuo compleanno, sarei io a dover fare una sorpresa a te"
"Tu me ne hai fatta una bella grossa negli ultimi mesi…non ultimo l'ecografia nel giorno del mio compleanno"
"A chi lo dici, quando alle prenotazioni mi hanno detto la data, non potevo crederci neanche io. Non me lo sono fatto ripetere due volte"
"Comunque abbiamo proprio un bambino…." "…o bambina" lo corresse Emma "o bambina, certo, non c'è differenza. Comunque sia…è un prodigio: hai visto che già aveva la manina in bocca?"
"Vogliamo parlare per un attimo di come nuota qui dentro … quello l'ha preso tutto da me" "Ah. Ah. Ah."
Ad Emma piaceva punzecchiare il marito; non che lei non sapesse nuotare, ma ovviamente il merito era tutto dell'istruttore della forestale che le aveva impartito delle lezioni private. Era palese che, se quel fagiolino che aveva nella pancia aveva doti da nuotatore, l'aveva ereditato dal padre.
Il segreto, tuttavia, non durò a lungo. Emma riconobbe ben presto, infatti, la strada che, uscendo dal paese, portava verso il maso che stavano acquistando. "Stiamo andando al maso, vero?"
"Non ti si può proprio nascondere nulla, eh!?" ironizzò "Guarda nel cassetto"
Emma aprì lo sportello del vano portaoggetti. Frugando, trovò un mazzo di chiavi che non aveva mai visto prima. "Le chiavi di casa nostra" dichiarò Francesco orgoglioso. "Ma come?" "Tecnicamente manca ancora la firma dal notaio…lo so. Ma Zoe me le ha date per iniziare a dare un'occhiata dei lavori da fare".
Era strano, per entrambi, visitare una casa in cui erano già stati diverse volte, sapendo però che, a breve, sarebbe diventata la loro casa di famiglia. Dopo l'ecografia, ancora di più. Il grande prato antistante la casa, con una staccionata sarebbe diventato un giardino perfetto per far scorrazzare il piccolino in tutta tranquillità.
"Dovremmo adottare un cane" propose Emma, uscendo dall'auto. "Prego?!" "Dovremmo adottare un cane … una casa isolata e un bimbo in arrivo hanno bisogno di un guardiano" già si immaginava la cuccia, vicino alla legnaia, anche se sapeva che probabilmente avrebbe finito col dormire ai piedi del loro letto o della culla. "Una cosa per volta, amore mio, non corriamo" per quanto l'idea lo allettasse, il ricordo di Argo era ancora troppo forte. Il suo compagno di avventure se n'era andato troppo all'improvviso e prendere un nuovo cucciolo gli sembrava quasi fosse un rimpiazzo.
"Vieni, Emma" la invitò Francesco, aprendo la porta di casa. In quell'istante, un déjà-vu. Francesco vicino alla porta, lei pietrificata nel bel mezzo del prato. Lui che la invitava a visitare la casa, lei che non poteva farlo. Lo aveva tradito e gli aveva mentito; il suo entusiasmo le aveva fatto capire che non poteva continuare a nascondergli la verità troppo a lungo. Ogni tentativo di spiegazione sembrava un'arrampicata sugli specchi, l'umiliazione di gettarsi ai suoi piedi era servita solo a farlo montare a cavallo e lasciarla lì, da sola, in lacrime. "Emma!!!" "Sì arrivo!"
Valeria aveva ragione. Effettivamente il maso era ridotto veramente male. Non era sua intenzione portarsi sfortuna da sola, ma rimetterlo in sesto, probabilmente, avrebbe significato non abitarlo prima che il bambino avesse iniziato l'asilo.  Si domandava se la sua voglia di restare in palafitta un po' più a lungo non l'avesse spinta ad imbarcarsi in un progetto più grande di loro. L'ingresso ed il corridoio, stretti e dal soffitto basso, erano provati dall'incuria e dalle infiltrazioni di pioggia e neve che il tetto danneggiato non avevano potuto evitare: l'intonaco, di fatto, veniva via al solo passaggio delle mani sulle pareti. Gli infissi in legno, mangiucchiati dalle tarme, erano completamente da rifare, così come il sistema elettrico e le varie tubature. Emma sperava che almeno i pavimenti in legno potessero essere salvati.
In fondo a sinistra c'era la cucina, abitabile, una vecchia stufa economica al posto dei fornelli e le tipiche panche a muro invece delle sedie intorno al tavolo. "Non è molto grande, ma ci si può lavorare" commentò Francesco. "È molto di più del … nulla che abbiamo adesso, potrei perdermici dentro" "Non ironizzare Giorgi …" le disse, prendendola alle spalle, facendo attenzione che le sue mani rimanessero delicate sulla pancia ancora perfettamente piatta e poggiando la testa sulla sua spalla. Emma sorrise, divertita. "Se vuoi la bicicletta" continuò il forestale "poi devi anche pedalare" "Non mi spaventa mica andare in bici, sai…" Lui fece per chiederle un bacio, lei rispose fingendo un morso. "Ah sì?! Davvero tratti così tuo marito…e allora possiamo anche andarcene e le camere da letto non te le faccio vedere…"
"Eddai no Francesco!!!" Emma stette al gioco. "Continuiamo solo se mi dai un bacio …" lo accontentò "e un altro … e un altro ancora" "Sei incontentabile!!!" "Dei tuoi baci di sicuro … non mi bastano mai" decretò, stringendo a sé sua moglie.
Mentre giravano la casa Francesco provò una sensazione strana che mai prima di allora, fuori dall'ambito lavorativo, gli era capitata: una delle sue esperienze extrasensoriali, quelle che tutti attorno a lui avevano ribattezzato molto semplicemente visioni. Ad ogni porta che apriva, vedeva davanti ai suoi occhi la vita che avrebbe vissuto con la sua famiglia, vera che ne poteva percepire gli odori e i suoni: vide Emma seduta di fianco alla stube del soggiorno che  leggeva un libro, Leonardo riverso su un quaderno a quadrettoni, concentrato a scrivere le sue prime paroline e il piccoletto di casa affacciato alla finestra, in trepidazione, controllato dallo sguardo vigile della madre. Guardò anche lui fuori dalla finestra e vide sé stesso di ritorno dal lavoro, mentre un cane gli corre incontro, scodinzolando; al piano superiore si ritrovò assieme ad Emma, chini sul fasciatoio e, nella loro stanza, entrambi addormentati, distrutti e rannicchiati agli estremi del letto, con i bambini che, come impone la tradizione, aveva rubato loro tutto lo spazio, il cane ai piedi del letto, proprio come se l'era prefigurato Emma.
Quella era la vita che aveva cercato fino a quel momento, per cui aveva lottato ogni singolo istante. Semplice, abitudinaria, fatta di piccole cose. Quella era la sua felicità.
   
 
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