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Autore: Hoon21    13/06/2020    2 recensioni
In questa storia cercheremo di conoscere realmente Percy Weasley guardando oltre quella maschera che negli anni si è costruito per combattere contro la sua profonda insicurezza. Perchè dietro lo sguardo di ognuno di noi c'è molto più da scoprire.
Tratto dal capitolo:
"-Davvero Percy, va tutto bene?- gli chiese dolcemente mente attendevano di arrivare al loro piano. Percy deglutì rapidamente; come poteva rispondere sinceramente a quella ragazza sempre onesta e dolce? Scelse di annuire leggermente nel timore che la propria voce potesse tradirlo in qualche modo. Tuttavia Audrey doveva essersi accorta di quella sorta di lotta interiore che Percy stava vivendo perchè gli accarezzò brevemente la guancia prima di rispondere:- Lo sai che non è mai troppo tardi, vero?-
Percy la fissò stupito da tanta perspicacia.
-Lo sai che nessuno è mai stato in grado di leggermi dentro, vero?-"
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Audrey, Famiglia Weasley, Fred Weasley, George Weasley, Percy Weasley | Coppie: Arthur/Molly, Audrey/Percy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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Forgiveness



6:00 a.m.


Beep!Beep!


Il suono incessante della sveglia svegliò Percy Weasley in quella fredda mattina di metà novembre. Ancora assonnato allungò una mano da sotto il tepore delle coperte e spense la sveglia che aveva comprato in uno di quei mercatini babbani che tanto piacevano a suo padre. Rimase qualche istante sotto le coperte e poi con un gesto deciso le calciò via pronto ad affrontare l'ennesima grigia e patetica giornata.

Se c'era una cosa che Percy Weasley poteva affermare di amare era la sua routine mattutina. Quei piccoli gesti quotidiani e ripetitivi lo aiutavano ad allontare via il silenzio di quella piccola casa a cui non si era ancora abituato- lui che era cresciuto in una casa sempre affollata dove non poteva mai ritagliarsi uno spazio per sè.

Come ogni mattina da quando era andato a vivere da solo, si gettò sotto il getto freddo della doccia. Nonostante le temperature non fossero mai state clementi durante l'inverno londinese aveva sempre preferito fare la doccia fredda, quasi a voler incosciamente lavare via quel senso di vergogna e di imbarazzo che pian piano gli si era infilato sotto la pelle e che sembrava deciso a non abbandonarlo.

Ricordava ancora quando era un ragazzino e aveva iniziato a frequentare Hogwarts e sentiva più che vedere gli sguardi beffardi dei suoi compagni posarsi sui suoi vestiti di seconda mano e i libri malandati. L'unico modo con cui Percy era riuscito a sopportare allora quel velo di imbarazzo che gli imporporava le guance in quei momenti era stato impegnarsi ancora di più nello studio. Non che la cosa gli dispiacesse, certo, era sempre stato un ragazzino curioso e avido di conoscenza ed era perfettamente conscio che questo fosse il suo migliore punto di forza (forse l'unico? ripetava anche allora una certa vocina insistente). Del resto non possedeva il carisma e l'intelligenza vivace di Bill o il talento sportivo di Charlie né aveva la capacità di attirare a sé folle di amici come erano invece soliti fare i gemelli.

In seguito era riuscito nel suo intento: dodici G.U.F.O. e un impiego al Ministero! All'epoca pensava che la vita gli stesse finalmente sorridendo.

Ma quando mai aveva avuto fortuna lui?


Gli stessi sguardi ilari misti a pietà e le stesse risatine beffarde lo avevano accompagnato nei corridoi di quello che era stato senza ombra di dubbio il suo luogo preferito fin da bambino. Ora, Percy amava la sua famiglia e sapeva di tutti i sacrifici che i suoi genitori avevano compiuto per lui e i suoi fratelli ma possibile che non avessero mai avuto il desiderio di migliorarsi? Di raggiungere gradini più elevati rispetto a quelli a cui erano giunti?

La risposta era molto semplice: suo padre adorava il suo lavoro e non lo avrebbe lasciato per niente al mondo e non desiderava far carriera o guadagnare di più. Del resto, era solito ripetere Arthur Weasley ai suoi figli, non sono i soldi a tenerci uniti e a fare di noi una famiglia.

Anche Percy vi aveva creduto per un po' e aveva pensato che avrebbe potuto continuare a credere agli insegnamenti dei suoi genitori aggiungendo anche un po' di ambizione e desiderio di rivalsa che erano tipicamente suoi. Si era impegnato, davvero, aveva cercato di dare il meglio di sé come assistente personale del signor Crouch ed era finito con il fallire miseramente.

Quel giorno era tornato a casa con il volto ancora arrossato per l'imbarazzo a cui era stato sottoposto durante l'inchiesta e le dita della mani chiuse in un pugno di ferro. Forse quello era stato il momento peggiore della sua vita perchè per una volta le risatine beffarde che l'avevano accompagnato non erano state frutto della povertà dei suoi genitori ma dei suoi errori, della sua incapacità di riuscire in qualcosa.

Quella notte aveva pianto per la prima volta da tanto tempo, reprimendo i singhiozzi sul cuscino nel timore che, nonostante avesse insonorizzato la stanza, qualcuno dei suoi fratelli potesse sentirlo.

Aveva cercato di fare tutto nel modo migliore di tutti e alla fine era riuscito solo a dimostrare a tutti che non era in grado di portare a termine qualcosa, lui.

E mentre piangeva i soliti pensieri negativi gli riempivano la mente, sempre gli stessi da quando aveva memoria: non sei bello e intelligente come Bill, non sei talentuoso e avventuriero come Charlie, non sei divertente e ingegnoso come i gemelli, non sei leale e buono come Ron, non sei forte e determinato come Ginny. E poi di nuovo fino a quando era crollato sfinito dalle sue stesse lacrime.

Il mattino dopo mentre cancellava le ultime tracce di pianto dal viso e scendeva a fare colazione sentiva come aveva sempre sentito lo sguardo preoccupato di sua madre che indecisa su come poterlo consolare gli accarezzava teneramente il volto, sentiva le risatine a stento trattenute dai gemelli, i quali del resto lo avevano sempre considerato inutile.

Forse perchè inutile lo sei davvero? ripetè la vocina nella sua testa.


Probabilmente fu colpa di quella vocina o di tutta la rabbia che Percy sapeva di aver trattenuto per troppo tempo che litigò ferocemente poco dopo con suo padre.

Niente avrebbe dovuto impedirgli però di chiedere scusa e di tornare a casa ma si sa, è più facile scappare che affrontare i problemi anche se questo lo rendeva soltanto un vigliacco. Poteva quasi sentire i commenti dei suoi fratelli alle sue spalle ma per una volta decise di mettere a tacere tutte quelle vocine nella sua testa, tutti gli scherni a cui era dovuto andare incontro e a concentrarsi soltanto su di sé.

Scoprì con sua grande sorpresa che era molto più semplice di quanto avesse previsto: bastava mettere a tacere il senso di colpa, la propria coscienza e seguire senza pensarci due volte ciò che altri avevano deciso per lui. Da quel momento in poi non mise mai più in discussione una parola del Ministero: ciò che gli veniva chiesto di fare, lui faceva senza chiedere spiegazioni.

E aveva funzionato. Stava facendo carriera, si stava costruendo un nome; alcuni impiegati spesso lo fermavano in corridoio per complimentarsi con lui o per chiedergli consigli.

A lui! che fino a quel momento era sempre sempre stato considerato noioso da tutti.

Erano successe tante cose in quel periodo a cui lui non aveva preso parte e di questo si pentiva profondamente: l'attacco a suo padre, il ritorno di Colui-che-non-deve-essere-nominato, la morte di Silente, il matrimonio di suo fratello maggiore, la caduta del Ministero e infine l'avvento di una nuova politica aggressiva e crudele contro i Nati Babbani


Mentre pensava a tutti gli eventi drammatici a cui era stata sottoposta la sua famiglia, uscì dalla doccia e si mise davanti allo specchio leggermente scheggiato del bagno. Guardò il suo riflesso notando come l'azzurro dei suoi occhi risultasse spento e su quanto fossero marcate le sue occhiaie. Aveva poco più di vent'anni e si sentiva come se tutta la sua vita fosse stata sprecata.

Afferrò con decisione i bordi del lavello e chiuse gli occhi tentando di imporsi la calma respirando a fondo mentre avvertiva montare il solito senso di nausea che lo accompagnava quando ripensava a tutto ciò che si era perso in quei due anni dopo la sua scelta scellerata.

Quando aveva sentito la notizia che suo padre fosse stato attaccato si era sentito morire. Aveva avvertito qualcosa rompersi dentro di lui e tutto ciò che voleva fare era scappare via dall'aula di tribunale in cui si trovava insieme al Ministro e correre via, vedere la sua famiglia, stringere le mani di suo padre e farsi consolare da lui come quando era bambino e rimaneva vittima di uno degli scherzi dei gemelli. Aveva sempre ammirato suo padre, anche se non gliel'aveva mai confessato, e pensare che lui stesse male e che lui non fosse al suo fianco l'aveva distrutto più di quanto chiunque avrebbe mai potuto immaginare.

Ma sapeva di avere lo sguardo del Ministro e dei suoi fedeli su di lui, intenti a studiare qualsiasi cambiamento nella sua espressione, qualsiasi indizio potesse svelare la sua colpa. Così ricacciò il groppo che gli era salito in gola e aveva dato la risposta che tutti si aspettavano da lui.

Nessuno avrebbe mai saputo che era andato a trovare di nascosto suo padre ogni sera quando sapeva che non avrebbe potuto incontrare nessuno e quando il padre era profondamente addormenatato. Aveva dovuto quasi supplicare l'infermiera di non rivelare mai alla madre delle sue visite ma ne era valsa la pena.

Poi vi era stato l'attacco dei Mangiamorte nel cuore del Ministero e la comparsa di Voldemort stesso. Ancora una volta il senso di vergogna aveva tentato di sopraffarlo. Lui, che per un anno intero aveva ripetuto la storiella da quattro soldi venduta dal Ministero della Magia, che aveva denigrato il professor Silente per la sua guerra costante contro di loro, che aveva tentato di convincere suo fratello minore a prendere le distanze dal suo migliore amico il quale aveva avuto soltanto la sfortuna di dire a tutti quanti la verità e di essere ricambiato con ingiurie e derisioni. L'unica nota positiva di quel periodo che assumeva sempre di più i contorni di un incubo era stata la visita a Diagon Alley per osservare il negozio di scherzi aperto dai suoi fratelli.

Lo ammetteva, non credeva che quei due fossero in grado di combinare qualcosa di così..beh, geniale. E redditizio a dirla tutta. A diciassette anni, i suoi fratelli erano riusciti ad aprire un'attività di tutto rispetto contando soltanto sulle proprie idee e sul proprio talento. Avevano conquistato il loro angolo di mondo. Qualcosa che lui aveva sempre sognato ma che ancora in realtà non era esattamente successo.

Ma, di nuovo, quando mai lui era riuscito in ciò che voleva?


Non era riuscito ad entrare all'interno del negozio; aveva preferito osservare da fuori i colori vivaci che animavano non solo le pareti del negozio ma i visi dei suoi fratelli mentre illustravano la merce ai clienti. Si era ritrovato a sorridere nonostante tutto con uno strano senso di orgoglio che gli inondava il petto.

Era così che sarebbe dovuto essere tra fratelli: essere orgogliosi dei loro traguardi, prestare loro aiuto nel momento del bisogno e asciugare le loro lacrime nel momento del fallimento. Il sorriso che lo avevano rianimato per qualche istante era rapidamente sparito: lui non era mai stato nessuna di queste cose; aveva sempre provato invidia per gli sconfinati talenti di tutti i suoi fratelli. E sapeva con certezza che nessuno di loro avesse mai provato orgoglio nei suoi confronti. Lui era il traditore, colui che aveva preferito la carriera prima della propria famiglia.


Ancora immerso nel ricordo riaprì lentamente gli occhi: se avesse continuato a distrarsi in quel modo, sarebbe arrivato in ritardo a lavoro.

In pochi istanti si lavò i denti, si rasò con cura le guance e indossò uno dei suoi completi più nuovi. Non si fermò neanche per bere una tazza di thè ed evitando accuratamente di vedere il proprio riflesso nello specchio del corridoio, decise di smaterializzarsi direttamente al Ministero.

Una volta arrivato lì cercò di non guardarsi troppo attorno: l'atmosfera tetra e cupa che si respirava al suo interno era così diversa dai suoi ricordi di bambino da fare quasi male.

I Mangiamorte credevano ormai di essere i padroni del posto, camminavano nei corridoi con la consapevolezza di essere intoccabili e invincibili e con la presunzione di essere migliori di tutti. Percy cercava di evitarli per quanto era possibile.

Non ricordava di essere stato tanto stanco da non voler andare a lavoro.

-Un galeone per i tuoi pensieri!- esclamò una voce femminile dietro di lui. Inconsapevolmente un piccolo sorriso comparve sul suo viso prima di voltarsi per rispondere alla giovane.

-Se fossi in te non sprecherei neanche uno zellino per i miei pensieri!- replicò Percy.


La ragazza rise leggermente, divertita. Si chiamava Audrey Light e subito dopo i M.A.G.O. conseguiti l'estate precedente aveva ottenuto un impiego nel suo stesso ufficio e stranamente i due avevano iniziato quella che poteva essere definita come una timida amicizia, anche se Percy sapeva che i sentimenti che iniziava a nutrire per lei esulavano la semplice amicizia. Spesso, quando il lavoro diventava semplicemente troppo noioso Percy si ritrovava ad osservare la figura minuta di Audrey seduta nella scrivania accanto alla sua: si concentrava soprattutto sui lisci capelli biondi che le ricoprivano la schiena; su quelle ciglia chiarissime che vibravano leggermente mentre era intenta a leggere qualche documento; sui movimenti sicuri delle mani di porcellana mentre chiacchierava e si animava di vita.

Amava perdersi soprattutto sui suoi chiari occhi verdi che sembravano fissarlo sempre con dolcezza e con un pizzico di malizia. In quelle pagliuzze leggermente dorate che adornavano il verde dei suoi occhi Percy si sentiva al sicuro, amato, meritevole di una seconda possibilità. Se solo avesse saputo che persona era realmente Percy, i suoi occhi avrebbero tradito la delusione e non si sarebbero più posati su di lui.

-Questo lascialo decidere a me Percy- replicò la biondina ricollegandosi al discorso di poco prima mentre Percy si concentrava su come adorasse sentire il suono della sua voce mentre pronunciava il suo nome. Si ritrovò a sorridere leggermente mentre la seguiva verso gli ascensori.

-Davvero Percy, va tutto bene?- gli chiese dolcemente mente attendevano di arrivare al loro piano. Percy deglutì rapidamente; come poteva rispondere sinceramente a quella ragazza sempre onesta e dolce? Scelse di annuire leggermente nel timore che la propria voce potesse tradirlo in qualche modo. Tuttavia Audrey doveva essersi accorta di quella sorta di lotta interiore che Percy stava vivendo perchè gli accarezzò brevemente la guancia prima di rispondere:- Lo sai che non è mai troppo tardi, vero?-

Percy la fissò stupito da tanta perspicacia.

-Lo sai che nessuno è mai stato in grado di leggermi dentro, vero?-


**

Erano passati ormai dieci mesi da quella giornata al Ministero. Tante cose erano cambiate da quel momento. Voldemort e i suoi Mangiamorte erano stati definitivamente sconfitti durante la Seconda Guerra Magica.

Santo cielo.. la guerra.

Non aveva un ricordo ben chiaro di quel 2 maggio. Ricordava solo di essere riuscito a chiedere perdono per tutti i suoi stupidi errori, di aver abbracciato nuovamente la sua famiglia e poi di aver lottato a lungo.

Nei suoi ricordi frammentati e che spesso lo svegliavano nel cuore della notte c'erano lampi di incantesimi, rumori assordanti, l'odore di sangue e di paura e c'era Fred.

Non ricordava una notte da quando era finita la guerra in cui non avesse sognato suo fratello. Era con lui nel momento in cui era stato ucciso e ricordava con esatta precisione le parole che aveva pensato in quel momento: dovevo essere al suo posto.

Tutto gli era sembrato ingiusto da quel momento in poi; avvertiva un dolore sordo che gli impediva anche soltanto di respirare. Aveva avvertito, sentito, il profondo dolore di George che lentamente stava cercando di trovare un posto nel mondo senza aver Fred accanto a sé. Aveva osservato i suoi genitori aggrapparsi l'uno all'altra per superare la tragica morte del figlio e a continuare ad amare incondizionatamente ognuno di loro.

Eppure lui di quell'amore non si sentiva proprio degno. Che diritto aveva lui di piangere quando era stato il primo a rinunciare a loro? Come poteva aspettarsi che i suoi fratelli volessero consolarlo quando lui non era stato presente quando loro avevano bisogno di essere consolati?

Ancora una volta, in realtà, era stata Audrey ad indicargli la via da intraprendere. Lo aveva fissato con quei suoi meravigliosi occhi verdi che non avevano perso tutta la loro dolcezza e gli aveva sussurrato di avere coraggio. Poi aveva posato leggermente le labbra sulle sue cercando di trasmettergli tutto il suo appoggio.

Sentire che lei si fidava di lui nonostante tutto, nonostante gli errori commessi l'aveva spinto a tornare a casa, a provare a rimediare anche se in maniera impacciata e goffa.


Capì di aver compiuto la scelta giusta specchiandosi negli occhi di sua madre ancora troppo lucidi ma pieni di gioia del fatto che lui fosse finalmente tornato; nei sorrisi mesti che gli rivolgeva Ron; nelle carezze accennate di sua sorella tra i capelli mentre si scontravano nei corridoi; nella stretta di suo fratello Charlie; nelle espressioni rassicuranti di Bill e Fleur.

Sentiva che loro l'avevano perdonato. Era lui che non riusciva proprio a dimenticare il passato.

Capì di aver compiuto la scelta giusta soprattutto grazie a George.

Dopo la morte di Fred per giorni che erano diventate poi settimane, il ragazzo si era barricato nella camera che aveva condiviso con Fred rifiutandosi di mangiare, di scendere e stare in compagnia dei suoi fratelli e degli amici che titubanti scrivevano per condividere con lui il suo dolore. Nessuno di loro era riuscito a convincerlo a reagire, a tentare di trovare un senso in questa nuova vita.

Percy allora aveva deciso di pranzare con lui tutti i giorni; non cercava di parlare o di forzarlo a compiere qualcosa per cui non si sentiva ancora pronto.

Semplicemente si sedeva sul pavimento accanto al letto del fratello e gli teneva compagnia con la sua presenza silenziosa. All'inizio sembrava quasi che il fratello non avesse notato il cambiamento, ma poi piano piano aveva iniziato a mangiare con lui mantenendo il silenzio e solo dopo qualche tempo l'avevano interrotto con qualche laconico commento.

Sempre tenendo una mano silenziosa sulla sua spalla Percy era riuscito a convincerlo a scendere in cucina a mangiare con tutta la famiglia con l'aggiunta di Harry ed Hermione e timidamente George aveva iniziato a vivere di nuovo.

Fu così che quando Percy lo vide spuntare con l'accenno di un ghigno divertito e chiedergli:-Ti va di fare il tour per vip al negozio di scherzi?- seppe di essere stato perdonato.


**


-... e davvero non pensavo che avessero creato tutte queste cose fantastiche! E dire che la maggior parte delle idee hanno iniziato a svilupparle quando avevano soltanto sedici anni!-

Percy e Audrey erano sdraiati sul letto di lei e stavano condividendo i dettagli della giornata: George aveva accompagnato Percy a fare un giro nel suo negozio e ora quest'ultimo stava cercando di trasmettere tutto il suo entusiasmo ad Audrey, la quale lo fissava divertita accarezzandogli dolcemente i capelli.

-Sono degli assoluti geni allora- concordò dolcemente con lui e ridendo del cenno entusistico che ricevette in risposta.

-Mi sento quasi in colpa della felicità che sto provando in questo momento sapendo che Fred non potrà più esserlo- le confessò quando l'ilarità scomparve. Audrey si limitò a fissarlo spronandolo ad andare avanti consapevole del fatto che avesse bisogno di sfogarsi con lei.

-Aveva tutta la vita davanti, dei progetti, dei sogni, una famiglia da costruire. E io... mi sento così in colpa. Da quando ho riallacciato i rapporti con i miei genitori e i miei fratelli, mi sento di nuovo completo e quando sto con te, sono l'uomo più felice del mondo. Sei riuscita a riportare i colori nella mia vita e Fred non potrà mai sperimentare un amore come quello che io provo per te..-

-Percy...- tentò di consolarlo la ragazza ma lui la sorprese con un sorriso leggero:- No, ascoltami. È proprio per questo motivo che io devo amarti due volte di più rispetto a quanto ti amo ora. Perchè la vità è una e io ho già perso fin troppo tempo! Ti amo Audrey Light, ti amo dal primo momento in cui ti ho vista- le sussurrò infine con le guance leggermente arrossate e nascoste in parte dal buio della stanza.

Il sorriso che comparve sul sorriso di Audrey fu più eloquente di qualsiasi parola.





Note:

Salve a tutti! È passato molto tempo da quando ho deciso di scrivere qualcosa ma oggi qualcosa mi si è smosso dentro e ho sentito questo desiderio improvviso di scrivere!

So che non tutti amano questo personaggio che effettivamente nella saga si rivela spesso un o stupido a causa delle sue scelte ma io ho sempre sospettato che ci fosse qualcosa in più dietro questa facciata e ho provato a vedere oltre. Credo che fondamentalmente Percy fosse molto insicuro e solo e a volte questi sentimenti possono spingere anche il migliore tra noi a commettere errori. Non so se sono riuscita nel mio intento o se è uscito soltanto un enorme disastro! Seconda un'altra mia teoria un ruolo chiave viene svolto dalla sua futura moglie Audrey che sarà in grado di riportarlo sulla giusta strada e di guidarlo sempre.

Spero che la storia sia comunque di vostro gradimento e sono ben accetti consigli e critiche!

Grazie per il vostro tempo,

Hoon21



  
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