6.
Intento ad asciugarsi
con un enorme asciugamano color salvia, Eros ascoltò la
lunga e, a volte,
divertente dissertazione di Alekos in merito a quanto successo nel
mondo onirico
di Astrea.
O meglio… per
lui fu divertente. Quanto ad Alekos,
a Eros parve assai frustrato e sì, decisamente preso dalla
donna che aveva
saputo renderlo così nervoso e irritato.
Quando infine il giovane
cugino ebbe terminato il suo soliloquio dolente, il dio
dell’amore gettò il
salviettone sopra una sedia, schioccò le dita per far
apparire una vestaglia di
seta e, dopo essersela drappeggiata addosso, dichiarò:
«Caro il mio Al, sei
spacciato. Astrea ti ha fritto il cervello.»
«Che intendi dire?! Io
desidero solo conoscerla meglio e aiutarla a uscire da quello schifo di
mondo
onirico!» sbottò Alekos, arrossendo suo malgrado.
«La reputo una persona
interessante e vorrei approfondire la sua conoscenza, ma lei
è così testarda da
vedere soltanto il suo personale incubo, senza
capire che sono passati più di settant’anni da
quell’evento!»
«Oh… mordi il
freno,
eh?» ironizzò a quel punto Eros, vedendolo
adombrarsi in volto per diretta
conseguenza. «Credi che non lo sappia? Astrea, intendo. Lo sa
eccome che sono
passati settant’anni o giù di lì, ma
non le interessa. Lei vuole soffrire in eterno.»
«E io non
voglio!»
sbottò allora Alekos prima di bloccarsi, guardare Eros con
espressione smarrita
ed esalare subito dopo: «Io… scusami. Non volevo
alzare la voce con te.»
Eros scosse una mano con
fare noncurante, replicando semplicemente: «Non ci ho fatto
caso. Sei
esasperato perché Astrea comincia a piacerti, e vorresti
conoscerla meglio per
capire se lei potrebbe o meno essere la donna per te. Mi pare
evidente.»
«Tu dici?»
mugugnò
Alekos.
«Bimbo caro, tu parli
con la quintessenza stessa della sapienza amorosa e, non per offendere
mia
madre, ma ne so più io di lei, di amore passionale e liaison più o meno
peccaminose» ammiccò furbo Eros, facendo
sorridere il cugino.
Tornando poi serio, il
dio dell’amore aggiunse: «Astrea era una bellissima
persona, vitale e gioiosa, prima
di imprigionarsi nel suo spettrale e personalissimo inferno,
perciò non mi
stupisce che un ragazzo con la tua personalità la trovi
interessante. Dubito comunque
che, pur in tutto quel suo macello shakesperiano fatto di tragedie e
morti, lei
si sia persa del tutto, e tu percepisci questa piccola fiammella di
speranza.»
«Ne sono convinto,
infatti. Il suo spirito perdura… ma è soffocato
dal rimorso che prova per tutte
quelle morti inutili» sospirò Alekos, lasciandosi
cadere su una delle poltrone
dello studio di prova di Eros.
Quando vi erano giunti,
Alekos se ne era un po’ stupito ma, dopo averne chiesto
spiegazioni a Eros,
aveva scoperto trattarsi di un luogo nel regno umano che lui affittava
periodicamente.
Eros sospirò a quelle
parole, e asserì: «E’ difficile avere a
che fare con una donna dilaniata da
dubbi e pianti non consumati. Perché è palese
che Astrea deve piangere ancora molte lacrime, prima di liberarsi dal
dolore
che cova in lei.»
«Tu credi che…
non si
sia mai sfogata?» esalò Alekos, pieno di sorpresa.
«Chiunque, anche la
persona più persa nel dolore, se riesce a sfogarlo prima o
poi si sente meglio.
Lei invece, da quel che mi dici, non sta mai
bene. E’ sempre dilaniata e divorata dalle stesse fiamme che
divorano gli altri,
giorno dopo giorno.»
«Però, se la
tocco, vedo
la vecchia lei» gli fece notare Alekos, sorprendendolo.
Eros rimase senza
parole, a quell’accenno ma, preferendo non dare false
speranze al giovane, si
limitò a dire: «Beh, è una cosa
sicuramente curiosa. Però credimi, finché lei
non piangerà i suoi morti, perché è
chiaro che li reputa come una sua
responsabilità, non ne verrà mai
fuori. E tu rimarrai frustrato a vita.»
Alekos si accigliò, a
quelle ultime parole, e bofonchiò: «Grazie,
cugino. Tu sì che sai risollevarmi
il morale.»
«Ora non mettere il
broncio anche tu…» ironizzò Eros,
sorridendo poi a Psiche quando ella entrò
nello studio di danza, armata di stivaletti pelosi, giacca a vento e
jeans
schiariti.
Nel vedere Alekos, la
dea lasciò perdere le sue borse dello shopping per correre
ad abbracciarlo e,
nel passargli una mano sulla corta capigliatura, esalò:
«Oh, sento così tanto
la mancanza dei tuoi riccioli! E’ un vero peccato che si
siano rovinati così
tanto da doverli tagliare.»
«Anche a me mancano. Mi
piacevano» sospirò il giovane, rispondendo
all’abbraccio senza alcun problema.
Eros, dopotutto, aveva avuto
ragione. Se non reagiva più a Psiche e alla sua presenza
sensuale, non era
soltanto perché si era abituato a lei, ma perché
c’era un’altra donna, nella sua
mente, che lo distraeva completamente.
Nel ricevere un bacio
sulla guancia da Psiche, Alekos si mise in attento ascolto delle sue
avventure
in giro per le vie del centro di Milano – come
scoprì a quel punto – e, per
tutto il tempo, desiderò portarci anche Astrea.
Desiderava davvero
strapparla a quella gabbia, anche solo per dimostrarle che il mondo,
nonostante
tutto, era sopravvissuto a tanto odio e tanta rabbia. Sapeva
però che, prima di
arrivare a tanto, avrebbe dovuto farla piangere.
Il che, lo inorridiva al
solo pensarci.
***
Seduto a terra accanto
al divano dove la madre era sdraiata comodamente, Alekos le passava a
momenti
alterni degli acini d’uva mentre Érebos, in
cucina, era impegnato a terminare
la preparazione dei pop-corn.
Quella sera, dopo essere
tornato da Milano grazie a un passaggio di Psiche, Alekos si era voluto
fermare
a cena dai suoi genitori per sapere come stesse procedendo la
gravidanza.
Il processo di
guarigione lo aveva tenuto spesso a letto e, a causa dei forti dolori,
non
sempre se l’era sentita di farsi vedere da sua madre. Stando
ormai bene,
perciò, aveva pensato di passare in visita.
Rispetto ad Artemide,
comunque, la madre non sembrava risentire della presenza della neonata
–
Demetra aveva confermato trattarsi di una femmina –
né dei suoi poteri già in
formazione.
Lo faceva sentire
strano, il pensiero di vedere sua madre cambiare di giorno in giorno,
nonostante avesse già vissuto pienamente la nascita e la
crescita delle
gemelline degli zii e del figlio di Apollo e Clizia.
Non aveva quindi idea
se, questi suoi sentimenti contrastanti, dipendessero dalla
consapevolezza di
essere un futuro fratello maggiore, o dal timore che la sorella potesse
essere
come le cuginette.
Adorava Xena e Buffy, ma
solo Chaos sapeva come Felipe non fosse già impazzito a
causa dei loro
dispetti.
Ora che andavano a
scuola, le difficoltà per tenerle a bada erano decuplicate
e, spesso e
volentieri, Artemide era stata costretta a far intervenire
Érebos per
candeggiare le menti dei mortali.
«Sei così
pensieroso che
le tue paure stanno prendendo forma sopra la tua testa»
ironizzò sua madre,
strappandolo a quei tetri pensieri mentre, con una mano, spazzava
simbolicamente via i pensieri del figlio.
Lui sorrise imbarazzato,
scusandosi e, nel mettersi in ginocchio, poggiò un bacio sul
ventre arrotondato
della madre per poi dire: «Sono sicuro che tu sarai
bravissima e buona come il
pane, Chlóe1.»
Il padre rise
sommessamente nel sentirlo parlare a quel modo e, dopo aver consegnato
una
ciotola enorme di pop-corn ad Athena, ne diede un’altra ad
Alekos e dichiarò: «Di
sicuro, Chlóe potrà vantare su un fratello
gentile e premuroso che le farà da
guida.»
«Al momento, la mia
guida servirebbe a poco… non so dove andare o cosa fare, in
questo periodo»
sospirò il giovane, passandosi stancamente una mano sul viso.
Érebos levò
un
sopracciglio con evidente interesse ma, senza cambiare in alcun modo il
tono di
voce, disse con tranquillità: «Può
capitare, ragazzo. Si vede che niente ti
stimola veramente, ma non è necessariamente un male. Forse,
potresti scegliere
un’università e studiare per qualche anno.
Potrebbe liberarti la mente.»
«Se lo dici
tu…» mormorò
Alekos, sbuffando.
Athena lanciò
un’occhiata al compagno prima elevarsi dal divano, tenersi la
schiena e
borbottare: «Tu non saprai dove andare, ma io sì.
Al bagno. E in fretta. Voi
cominciate pure senza di me, visto che non so per quanto ne
avrò.»
Alekos la seguì turbato
con lo sguardo, ma il padre si limitò a dire: «Non
temere. E’ solo la piccola
che preme sulla sua vescica, facendola diventare più
sensibile.»
«Okay»
assentì il
giovane prima di mormorare: «Ma me lo direste, vero, se ci
fosse qualcosa che
non va?»
«E’ ovvio. Sei
nostro
figlio e, tra di noi, non ci sono segreti» ammiccò
Érebos, sgranocchiando con
calma alcuni pop-corn.
Alekos allora annuì,
parzialmente pacificato, cincischiò per alcuni attimi con i
propri pop-corn e
infine, con uno sbuffo, mugugnò: «Posso chiederti
una cosa?»
«Certamente»
assentì il
dio Ctonio, mantenendosi su un tono neutro.
«Come approcceresti una
donna, sapendo di doverla far soffrire, prima di farla stare
bene?»
Sbattendo confuso le
palpebre, Érebos fissò il figlio senza capire
bene la sua domanda e Alekos,
passandosi nervosamente le mani sul viso, brontolò
un’imprecazione prima di
ritentare.
«Eros è
convinto che
Astrea non abbia ancora pianto i suoi morti, e questo la bloccherebbe
in quel loop senza fine. Sai, la
faccenda di
elaborare il lutto e tutto il resto…»
La divinità Ctonia
assentì e Alekos, con maggiore coraggio, aggiunse:
«Ecco, io mi troverei anche
d’accordo con lui, se non fosse che non voglio farla
piangere.»
«Oh…
è encomiabile che
tu tenga alla sua felicità ma, in effetti, il discorso di
Eros ha un suo
perché. Esculapio tentò più volte di
venire a patti con lei, in merito a
questo, ma non riuscì mai a fare breccia nel suo animo.
Neppure gli oneiroi
riuscirono in questo, e Hypnos ricevette un secco ‘non
mi scocciare’ circa una ventina d’anni
addietro. Quanto a me,
non ripeterò ciò che mi disse per pura gentilezza
nei tuoi confronti. Forse
però, tu, potresti riuscirvi.»
«Quindi, sarò
davvero costretto a farla
ulteriormente
soffrire?» borbottò Alekos, accigliandosi non poco.
Il dio Ctonio lo fissò
con attenzione, ne studiò il nervosismo palese,
l’ansia con cui ticchettava le
dita su un ginocchio, o il modo in cui le sue labbra venivano lappate
continuamente.
Alekos non stava
chiedendogli solo un consiglio. Era
completamente al buio, perso nel suo personale dramma, e non solo
perché aveva
paura di far soffrire Astrea. C’era ben altro, nelle sue
domande.
«C’è
più di un motivo,
per cui non vuoi vederla soffrire? A parte quello più
ovvio?» gli domandò
allora il padre, poggiando sul tavolino da salotto la sua ciotola di
pop-corn
per dare un peso maggiore alle proprie parole.
Poteva anche essere la
divinità Ctonia dell’oscurità, il Sommo
Érebos che tutti temevano, ma non
riusciva a vedersi molto in parte,
con dei pop-corn in una mano e una Coca-Cola nell’altra.
Alekos lanciò uno
sguardo al corridoio dove era svanita sua madre, prima di mormorare:
«Potrebbe…
esserci dell’altro.»
«Ed è una cosa
che posso
sapere, o preferisci parlarne solo con Eros? Vedo che ultimamente vi
sentite
spesso» gli domandò ancora il padre, sorridendogli
comprensivo.
Il figlio rise
imbarazzato, annuendo, ma disse: «Beh, il fatto che tu
l’abbia notato, depone
già a mio sfavore. Comunque, credo di provare qualcosa per
Astrea, ma non
riesco a capire se il mio interesse è più che
altro dettato dal mio desiderio
di salvarla, o se veramente ci sia dell’altro.»
Érebos
assentì pensieroso,
preferendo non lasciarsi andare a battute inerenti al fatto che Alekos
si fosse
innamorato o meno di una donna – cosa che sarebbe avvenuta
con Ares presente,
per esempio.
Rammentava bene lo
stordimento da lui provato quando, dopo millenni passati al fianco di
Nyx, la
loro passione era scemata, lasciandoli liberi da legami profondi se non
il
rispetto e l’affetto reciproci.
Questo vuoto nel cuore
lo aveva lasciato in qualche modo stranito, ma non in senso negativo.
Gli aveva
concesso di vedere il mondo con occhi nuovi, e questo lo aveva portato
a
guardare con occhi diversi anche le persone.
Nyx si era persino
divertita, al pensiero di trovargli una nuova compagna, e lui
l’aveva lasciata
fare al solo scopo di dirle sempre di no in risposta.
Questo loro strano gioco,
però, non aveva tenuto in debito conto l’ironia
con cui Chaos sapeva
sparigliare le carte… generando casualità laddove
nessuno avrebbe mai pensato.
Pur conoscendo Athena da
secoli, Érebos non aveva mai fatto parte della cerchia
ristretta dei suoi amici
– di cui invece faceva parte Nyx – ma, quando ella
aveva deciso di andarsene
dall’Olimpo, lui l’aveva aiutata a decidere.
Trovarla in lacrime,
furiosa e scarmigliata dinanzi alla casa di Nyx e indecisa se entrare o
meno,
aveva mosso istintivamente il suo corpo verso di lei.
Athena si era scusata
con lui per quell’improvvisata, ma il dio Ctonio
l’aveva pregata di non
pensarci e di dirle, piuttosto, come potesse donarle di nuovo il
sorriso.
Spontaneamente, allora,
la dea gli aveva parlato della sua ultima lite col padre, di come lei
si
sentisse fuori posto e fuori fase, sull’Olimpo, e di quanto
desiderasse tornare
nel mondo degli uomini.
Era stato a quel punto
che lui le aveva proposto di visitare nuovamente il mondo umano che,
per troppo
tempo, non l’aveva vista camminare tra le genti come semplice
donna, e lei
aveva accolto l’idea con entusiasmo.
Nelle settimane
successive, Athena era tornata spesso alla sua porta per chiedere
ulteriori
consigli o per sottoporgli proposte diverse. Quando, infine, il giorno
della
partenza era giunto, Athena lo aveva ringraziato con un abbraccio e un
bacio,
esprimendogli poi con un sorriso tutta la sua gratitudine per
l’aiuto che lui
le aveva dato.
Quel sorriso, il tempo
passato assieme gomito a gomito e la scoperta di una Athena che lui mai
aveva
conosciuto realmente, avevano infine congiurato contro di lui.
La casualità che nessuno
aveva considerato aveva iniziato a far parte della sua vita.
Nel corso dei decenni,
quindi, Érebos l’aveva seguita in silenzio, ne
aveva ammirato l’intraprendenza
e la curiosità, si era innamorato di lei un passo alla
volta, da lontano, senza
mai turbarla con i suoi sentimenti. E aveva sentito il proprio cuore
andare in
pezzi quando, per la prima volta, Athena si era innamorata di un uomo.
Quel mortale, quel
giovane di bell’aspetto e belle speranze, era riuscito
laddove nessun altro,
divinità comprese, era mai riuscito, e lui si era sentito un
codardo per tutto
il tempo. Mai si era fatto avanti, credendo in se stesso e nei propri
sentimenti,
e persino Nyx lo aveva rabberciato in tal senso, lagnandosi con lui per
la sua
viltà.
Così, ancora una volta,
era rimasto nell’oblio, beandosi comunque per la
felicità di Athena. Perché,
prima ancora che alla propria, lui aveva pensato al benessere di colei
che
aveva imparato ad amare.
Per questo, l’incidente
di Miguel e la morte di Alekos lo avevano spinto a tanto. Il suo amore
per
Athena lo aveva condotto su un sentiero che, solo per merito della
benevolenza
di Chaos, non si era tramutato in un disastro.
Se Alekos provava anche
soltanto qualcosa di simile per Astrea, quindi, doveva metterlo in
guardia
dagli errori che lui aveva commesso, e che lo avevano condannato al
silenzio
per anni e anni.
«Sai che amavo tua madre
da ben prima della tua nascita, no?» iniziò col
dire allora Érebos, vedendolo
annuire. «Sai anche che non provo gelosia nei confronti di
tuo padre.»
«Certo. Me lo hai detto
molte volte, e comunque ricordo bene come ti comportasti con lui,
nell’Oltretomba, salvando dal Lete i suoi ricordi»
annuì sereno Alekos.
«Ciò che forse
non ti ho
mai detto è che, però, mi sono sentito spesso un
idiota per non essermi fatto
avanti prima, con tua madre» ammise il dio, sorprendendo un
poco il figlio
adottivo. «Forse, tua madre avrebbe comunque avuto bisogno
dell’amore di tuo
padre, per sentire dentro di sé il desiderio di avere un
compagno, chissà. Ma
forse avrei potuto essere fin da subito io,
quel compagno, e tu avresti potuto essere davvero mio figlio. Nessuno
può
saperlo, ma l’essermi tenuto nell’ombra mi fa
credere di essere stato un vile...
e anche un idiota.»
Alekos sorrise
comprensivo, ben sapendo quanto fosse difficile, per una
divinità, ammettere i
propri errori, anche se soltanto in campo affettivo.
«Ho imparato molte cose,
parlando con Chaos prima di venire risucchiato dentro il mio personale loop metapsichico, e so che una cosa
molto importante è questa; il filato della vita offre linee
guida, non un
percorso prefissato perché, alla fine, siamo noi a decidere
come vivere. Forse,
in quel momento, neppure tu eri pronto per essere il suo uomo.
Chissà» chiosò
Alekos, scrollando le spalle.
«E’
possibile» annuì il
dio.
«Quello che so con
certezza è questo; aver avuto te e mio padre, nella mia
vita, mi ha dato molto.
Ringrazio ogni giorno per il tempo che ho passato con Miguel, piuttosto
che per
il tempo che ho passato e passerò con te» gli
disse con sincerità Alekos. «Se
mai dimostrerò di essere degno di voi, saprò di
aver fatto un buon lavoro nella
mia vita.»
«Lo stai già
facendo,
credimi, e penso di poter parlare anche a nome di Miguel, dicendoti
questo» lo
rincuorò il padre. «Tutto ciò per dirti
che, se senti che potrebbe esserci
qualcosa di più, nei sentimenti che provi per Astrea
– a parte il genuino
interesse di salvarla – devi scoprire
cos’è e prenderlo a piene mani.
L’immortalità è bella, ma sprecare
anche un singolo giorno senza la persona
amata è, per me, un’autentica
assurdità.»
Alekos assentì grato e
ammise: «E’ difficile capire cosa provo. La vedo
così debole e fragile che,
spontaneamente, vorrei sempre difenderla, eppure…»
«… eppure, sai
che non è
sempre stata così, che in passato non aveva bisogno di
essere difesa, e che
forse di quella persona potresti innamorarti senza alcun dubbio a
seguirti come
un’ombra» terminò per lui il padre,
annuendo.
Sbuffando, il giovane
asserì con una certa veemenza: «A volte, mi fa
davvero arrabbiare. Vorrei
scuoterla fino a far riemergere la dea che è in lei
– e che io ho visto – ma
che Astrea tiene saldamente per le redini. E’ come se si
vergognasse di essere
una divinità!»
Quel nervosismo
inaspettato fece sorridere Érebos, confermandogli quanto il
figlio fosse
piuttosto preso dalla dea della giustizia. Era palese quanto fosse
forte in lui
il desiderio di strapparla ai suoi demoni, così da poterla
finalmente conoscere
davvero.
Tutto ciò,
però, doveva
avvenire con i tempi giusti, o Astrea si sarebbe chiusa a riccio ancor
di più,
relegando fuori dal suo cuore anche Alekos.
Prima ancora di poter
parlare, però, Érebos vide tornare Athena che, le
mani poggiate sulla schiena
in posizione dolente, dichiarò: «Scusate, non ce
la facevo più… ero troppo
curiosa, e il bordo della vasca fa schifo, come sedia,
perché è deplorevolmente
duro. Ero stufa di stare seduta lì sopra ad aspettare che
finiste di parlare.»
Sia Alekos che Érebos
scoppiarono a ridere e Athena, nel sistemarsi di nuovo sul divano,
diede una
pacca sul braccio al figlio e aggiunse: «So ascoltare come un
maschio, non
temere. Non mi sdilinquirò come farebbe Afrodite.
Promesso.»
Il figlio, però, scosse
il capo, negò di avere problemi in merito a eventuali
sdilinquimenti e, più
sereno, parlò anche con la madre dei dubbi che lo
attanagliavano. Dopotutto,
due teste erano meglio di una. Se erano tre, era meglio ancora.
***
La notte era fredda e
sferzata da un vento umido che le scompigliava i capelli, le feriva le
membra e
la faceva sentire ancor più sola e triste.
Rannicchiandosi più che
poté sotto i pochi cenci che era riuscita a raccattare,
Astrea serrò gli occhi
per impedire alla polvere di ferirle le sclere già
arrossate.
Tutto il suo corpo
gridava di dolore, implorando per un attimo di requie ma
perché, proprio quella
sera, lei sentiva così tanto i morsi della fame e il grido
delle sue carni?
Perché, proprio quella
sera, ogni sua volontà di resistere stoicamente al dolore le
sembrava inutile?
Perché,
proprio quella sera, lei provava pena
per se stessa?
Sei la
regina di questo regno, perciò puoi fare quel che vuoi…
Le parole di Alekos
riverberarono dentro di lei come un martello, percuotendola e
ricordandole in ogni
momento quanto poco, dell’Astrea di un tempo, fosse rimasto.
Lei non era la derelitta
che arrancava lungo le vie, o l’infima creatura vittima di
un’ecatombe. Non lo
era mai stata, e il solo fatto di volerla apparire era una menzogna
bella e
buona.
Il fatto di volersi
punire ad vitam, ripercorrendo ogni
giorno della sua esistenza le pene sofferte dal popolo giapponese,
poteva forse
avere un sentore di contrizione, ma non portava a nulla.
Cosa aveva imparato, in
quei decenni fatti solo di dolore e disperazione? Nulla.
Cosa aveva fatto per
riscattarsi dal baratro in cui era caduta? Nulla.
Si era rannicchiata in
un angolo a lagnarsi per le colpe che presumeva di avere, ma non aveva
agito.
Non aveva fatto un accidente di niente, per aiutare le persone che
avevano
subito un tale scorno da parte del destino!
Risollevandosi da terra
con espressione irritata e determinata assieme, Astrea fissò
gli occhi di
colomba sull’oceano scuro che ancora attendeva
l’alba. Tutto era immoto,
esattamente come lo era stata lei fino a quel momento.
Si era lasciata
trascinare dalla corrente, niente più che una foglia in
balia del vento degli
eventi ma mai, una sola volta, aveva provato a cambiare lo stato delle
cose.
Lei, che era stata
fregiata del titolo di divinità, si era comportata come
neppure il più misero
degli umani avrebbe fatto.
«E’ ora di dire
basta»
sibilò Astrea, stringendo la mani a pugno contro i fianchi
smagriti.
Reclinando lo sguardo,
sbuffò irritata e, prima che il sole sorgesse per una nuova
alba, un’altra luce
si espanse sull’ignara Hiroshima.
Era giunto il tempo.
1
Chloé: significa “germoglio”,
“piantina nascente”.